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MANUALE DEL PERFETTO COGLIONE



     MANUALE DEL PERFETTO COGLIONE
                                    2017



A mio padre, che ha amato i libri per tutta la vita, e che mi ha trasmesso questo amore.
A lui, poeta e sognatore, sempre presente nei miei pensieri ed al quale vorrei dire tutto quello che non gli ho detto quando era in vita.
A lui dedico questo libro, sperando che da lassù mi veda.
Ciao, babbo.




                                                      

                                         

                                          PREMESSA
    Nel mondo si pubblica una enorme quantità di libri, la gran parte dei quali sarà letta da pochissime persone. Sono davvero poche, in percentuale, le pubblicazioni che lasciano un segno nella storia culturale del mondo. Perché, allora, pubblicare l’ennesimo libro?
     Le ragioni sono tante, non ultima un certo narcisismo. Ma la principale è il desiderio di togliermi qualche sassolino dalle scarpe. Dimostrare, attraverso una serie di brevi pensieri, quanto siamo stupidi e superficiali, e di come accettiamo passivamente una infinita serie di luoghi comuni, facendoli nostri, e non mettendone in discussione la verità.
     Verità che si rivela falsa al primo approccio critico. Viviamo di luoghi comuni e di pensieri politicamente corretti. Pensieri falsi, ma che tutti fingiamo di condividere. E così siamo costretti ad ascoltare sempre le solite banalità, alle quali poi nessuno crede.
      Questo libro è stato fatto anche e soprattutto per coloro che non amano leggere, ed è strutturato in modo tale che se ne possa aprire una pagina a caso e leggervi un solo “pensiero”. La mia speranza è che poi quella lettura riesca ad inculcare nella mente del lettore il dubbio, e lo spinga a riflettere.
     So di essere molto cattivo nell’esprimere certi pensieri che, appunto, sono politicamente molto scorretti. Ma vorrei comunque premettere che la cosa più stupida che si possa fare è generalizzare, e che quando esprimo dei giudizi su una certa categoria tendo ad enfatizzarne i difetti che, vorrei ripeterlo, non appartengono a tutti. In ogni categoria esistono galantuomini e farabutti. Questo vorrei che fosse chiaro.
     Buona lettura.




1     Gli ambientalisti si presentano per manifestare contro una raffineria di petrolio a bordo del loro fiammante SUV da 3000 di cilindrata. Protestano contro le antenne ed usano cellulari di ultima generazione. Amano la campagna, perché ci vanno a fare le scampagnate e non hanno mai armeggiato con una zappa. Non vogliono il gasdotto, ma in inverno godono del tepore della loro casa scaldata a metano. Detto in parole povere sono dei pagliacci che vorrebbero avere tutto senza pagare dazio. Questi coglioni fingono di non sapere che non esistono pasti gratis.

2     Se fosse dipeso dagli ambientalisti Portofino non esisterebbe, come non esisterebbero Amalfi o Sorrento. Non esisterebbero ferrovie, autostrade ed acquedotti. Non esisterebbero grattacieli e fabbriche. Se fosse dipeso da loro oggi vivremmo ancora nelle capanne di paglia e fango. Questi super coglioni sostengono che le grandi città, fatte di grattacieli e tangenziali, metropolitane ed aeroporti, impianti sportivi e teatri, tangenziali e centri commerciali, sono alienanti e disumane. Chissà perché ogni anno milioni di persone abbandonano le tanto meravigliose campagne ed emigrano nelle grandi città. Ma soprattutto occorre chiedersi per quale motivo loro stessi non fuggono dalle metropoli per ritirarsi in qualche isolato eremo a vivere a contatto con la natura, evitando di rompere i coglioni con le loro inutili ed inconsistenti elucubrazioni.

3     Il mondo moderno è meraviglioso, se paragonato al passato. Quelli che sostengono che un tempo si viveva meglio potrebbero benissimo rinunciare a tutti i vantaggi della modernità, e vivere facendone a meno. Li vorrei vedere senza antibiotici ed anestesia, senza acqua corrente e senza carta igienica, senza trattori e senza fertilizzanti. Da gran coglioni, quali sono, restano comunque aggrappati alla modernità, perché sanno che comunque, nonostante i tantissimi problemi che essa porta con sé, i vantaggi di cui si può godere sono enormi ed irrinunciabili.

4     Il passato di ognuno di noi è sempre ricordato come un periodo meraviglioso. In realtà, ad essere meravigliosa era la nostra giovinezza. Ma il passato di un popolo non è mai migliore del suo presente. Il passato che rimpiangono non è mai esistito, ed è solo il frutto della loro fantasia e di oscuri meccanismi della mente. Raramente si ricorda ciò da davvero fu, ma più spesso ciò che avremmo desiderato che fosse stato. D’altronde se qualcuno volesse vivere come si viveva nel passato può farlo benissimo, rinunciando a tutto quanto il progresso degli ultimi anni ci ha regalato. Ma nessuno lo fa, per la semplice ragione che i vent’anni che rendevano bello quel tempo non ci sono più, ed il passato si presenta per quello che davvero è stato, sicuramente meno bello del presente.

5     Esiste la stupida tendenza a valorizzare ed a conservare tutto quanto appartiene al passato. Purtroppo il passare del tempo non aggiunge valore a ciò che di valore era privo. E così un mattone, anche se ha duemila anni, resta sempre un mattone. Un edificio mediocre, per quanto antico, resta sempre un edificio mediocre, sul quale non vale la pena investire risorse per la sua conservazione. Ma ciò che fin dalla sua origine aveva un valore di tipo artistico o storico, conserva quel valore nel tempo. Se le risorse di cui disponiamo sono limitate, è necessario impiegarle con priorità verso ciò che davvero merita di essere tutelato e conservato. Che piaccia o meno, occorre scegliere, e dare il giusto valore alle cose.
        Ogni città desidera avere il suo piccolo museo archeologico, in cui quasi sempre vi sono conservati reperti di infimo valore. Musei inutili che, giustamente, nessuno visita. Andrebbero tutti chiusi, utilizzando le risorse risparmiate in quei pochi musei dove vi si conserva l’eccellenza, e che davvero meritano di essere visitati.

6     La maggior parte dei centri storici italiani andrebbe semplicemente rasa al suolo, perché priva di qualsiasi valore storico o artistico. La tendenza a conservare tutto ciò che è vecchio è semplicemente stupida. È come conservare tutti gli oggetti, i libri, i mobili, le foto e i documenti dei propri antenati. Ne resterebbero sommersi, lui e l’intera società. Non si può conservare tutto, ed arriva il momento di dover scegliere, conservando ciò che merita di essere conservato, e distruggendo il resto.

7     La plastica è meravigliosa. Quasi tutti i prodotti realizzati in plastica sono migliori degli stessi prodotti realizzati con materiali cosiddetti naturali. Fermo restando che anche la plastica, a voler essere corretti, è un prodotto naturale. Perché se è vero che in natura non troviamo la plastica, è anche vero che non troviamo il vetro, i mattoni, il pane, tessuti in cotone, vasellame in terracotta, formaggi, salumi e vino.
     Occorre affermare con forza che il bello è bello a prescindere. Che un oggetto sia in marmo o in plastica non cambia nulla. Ciò che dà valore alle cose è la quantità di conoscenza che la sua realizzazione ha richiesto. Una sedia in plastica può essere meritevole di essere esposta in un museo al pari di ogni altro manufatto che il genio umano ha realizzato. Solo i coglioni sono convinti che un mobile in legno sia migliore di un mobile realizzato in plastica.

8      Se riflettiamo attentamente ci rendiamo conto che tutto quel che l’uomo può fare, lo può fare utilizzando composti chimici esistenti in natura, trasformandoli poi secondo processi chimico-fisici possibili secondo le leggi di natura. Se facciamo il pane, che tutti considerano naturale, uniamo farina, sale, acqua, lievito, e, per mezzo della cottura, produciamo qualcosa che non si trova in natura. E la stessa cosa vale per i mattoni. Esiste l’argilla, esiste l’acqua ed esiste il fuoco, ma è l’opera dell’uomo che trasforma queste cose in qualcosa che prima non esisteva. Eppure nessuno si permette di sostenere che i mattoni non siano naturali. Anche il petrolio è un prodotto naturale, che, attraverso processi chimici e fisici, si può trasformare in migliaia di altri prodotti che non si trovano in natura. Tutto ciò che esiste è naturale, perché deriva da materie che esistono in natura e subiscono trasformazioni secondo leggi della chimica e della fisica che certamente esistono in natura al di là dell’esistenza umana.

9     Gli stupidi, con spirito manicheo, distinguono tutto ciò che esiste, in naturale e in artificiale, con il presupposto che tutto quanto è naturale sia necessariamente buono. Dimenticano, i coglioni, che i terremoti, gli uragani, gli tsunami, le siccità e le alluvioni, le invasioni di cavallette, le zanzare che trasmettono la malaria, il coccodrillo che li divora, il serpente che li avvelena, le zecche che li tormentano, il botulino, i virus ed i batteri che producono tremende malattie, il cancro, sono tutte cose assolutamente naturali. L’uomo intelligente non distingue tra ciò che è naturale da ciò che non lo è, ma tra ciò che è utile alla sua sopravvivenza da ciò che invece è dannoso, né più né meno di quanto fa ogni organismo vivente.
 10     La caratteristica che accomuna tutti gli organismi che popolano il nostro pianeta è l’egoismo. Ogni organismo si preoccupa solo della sopravvivenza della propria specie, ed agisce senza preoccuparsi del resto dell’ecosistema. Se un animale per sopravvivere mangia altri animali, non si preoccupa della loro estinzione. La somma di tutti gli egoismi, insieme alle mutevoli condizioni geofisiche e climatiche, produce il mondo così come lo vediamo. Un mondo in continuo cambiamento che trova incessantemente nuovi equilibri. Gli organismi capaci di adattarsi a questi cambiamenti sopravvivono e prosperano, quelli incapaci si estinguono. L’uomo non può avere l’arroganza di rendere l’ecosistema immutabile, perché non lo è. Ciò che l’uomo deve fare è solo avere la capacità di adattarsi ai cambiamenti. Alla fine, non sopravvive il più intelligente, ma quello che riesce ad adattarsi.

11     Il perfetto coglione, alla parola “chimica” ha un moto di stizza, perché associa a questo termine qualcosa di negativo. Eppure tutto è chimica, l’acqua, il cibo, il nostro organismo, i mattoni, la lana, il fuoco. La chimica sono i farmaci che ci salvano la vita, i fertilizzanti che hanno eliminato le carestie, il gas che riscalda le nostre case. La chimica è bella, tanto che la gran parte dei prodotti realizzati con le materie plastiche sono migliori di quelli realizzati con materie prime cosiddette naturali, e la loro produzione ed il loro utilizzo riduce notevolmente l’inquinamento. I coglioni restano perplessi di fronte a queste affermazioni, per la semplice ragione che la loro capacità intellettuale è limitata.
            Il perfetto coglione non immagina che se tutti noi ci riscaldassimo bruciando legna in un camino, in breve tempo distruggeremmo tutti i boschi e renderemmo l’aria irrespirabile per l’enorme quantità di polveri sottili che produrremmo. Eppure, cosa c’è di più naturale che riscaldarsi con la legna?

12      Un laureato in architettura non è necessariamente un architetto. Perché lo sia occorrono talento, passione, cultura ed esperienza, tutte cose che nessuna università è in grado di dare. Il novanta per cento dei laureati in architettura è composto da individui che con l’architettura non hanno nulla a che fare.

13     La maggior parte degli architetti pensa che l’architettura sia un fatto squisitamente tecnico. Questi coglioni, in virtù della loro immensa ignoranza, non capiscono che l’architettura è una faccenda squisitamente umanistica. Non si può fare buona architettura se non si conoscono la storia, la letteratura, la filosofia. Ma soprattutto non si può fare buona architettura se non si è degli artisti, ed artisti, ovviamente, si nasce. Un artista può progettare un’opera meravigliosa, e lasciare poi agli ingegneri il compito di curarne la parte strutturale e tecnica. Infatti tutti i meravigliosi edifici del passato, quelli che ancora oggi ammiriamo stupiti, sono stati progettati da artisti: Michelangelo, Brunelleschi, Vasari, Bernini. Anche le grandi architetture di oggi, quelle che i posteri ammireranno in futuro, sono realizzate da artisti. Perché non si può negare che Renzo Piano e tutti i grandi architetti siano degli artisti.

14     La gran parte dei laureati in architettura è composta da individui che non sono né artisti né ingegneri, e si vede. Detto terra terra, non sono un cazzo. Per non morire di fame si dedicano all’arredamento di interni, che è il territorio degli architetti falliti. Passano la loro intera esistenza senza progettare e realizzare un solo edificio che possa essere annoverato tra le opere architettoniche, limitandosi a produrre certificazioni, aprire una finestra, allargare una porta, fare qualche perizia. I più fortunati tra loro entrano nel novero degli insegnanti, dove insegnano banalità ad alunni svogliati. La loro incapacità è pari alla loro spocchia.
15     Anche gli sprovveduti possono rendersi conto della inconsistenza della gran parte dei laureati in architettura. Basta gironzolare per la città e guardarsi intorno. Quasi tutte le costruzioni potrebbero benissimo essere state progettate da un bravo capomastro, tale è la loro banalità. Ogni tanto qualche architetto cerca di fare bene il proprio lavoro, producendo, però, edifici pretenziosi, retorici e grossolani. A loro discolpa occorre dire che una buona fetta di responsabilità va addebitata ai committenti, i quali sono alla perenne ricerca del minor costo, a scapito di qualunque valore estetico.

16     La bellezza è un valore assoluto, non meno importante di cose considerate più essenziali. Quasi sempre la bellezza misura il valore economico, morale e civile di un popolo. Alla bellezza ci si educa, frequentandola. Chi vive in luoghi brutti, trasandati, sporchi, degradati, dove regnano l’incuria e l’approssimazione, vi viene a tal punto assuefatto da non indignarsi neanche di fronte alle peggiori brutture. La bruttezza, possiamo dire, entra a far parte del proprio naturale patrimonio culturale, rappresentando la normalità della propria esistenza. La deriva dei valori morali e civili di un popolo è sempre accompagnata da un generale imbarbarimento del gusto.

17     Pochi apprezzano davvero la bellezza, per soffrirne della sua mancanza. La bellezza è una droga che crea assuefazione. Chi è cresciuto in un contesto privo di bellezza, non patirà mai crisi di astinenza dovute alla sua mancanza. Il degrado del luogo in cui egli vive gli sembrerà la normalità, e si mostrerà indignato ogni qualvolta qualcuno devesse metterne in evidenza lo squallore, il degrado e la bruttezza.
            Il giudizio sulla bellezza di una città non può essere espresso da coloro che in quella città vi sono nati e cresciuti. Costoro perdono la capacità di vedere ciò che uno sguardo emotivamente più distaccato riesce a vedere. Esistono città orribili che sembrano belle a coloro che vi abitano, nonostante il palese degrado, l’incuria e lo squallore che vi regnano.

 18    Parlare male del luogo in cui qualcuno vive suscita sicuramente l’antipatia di chi ci ascolta. Difficilmente qualcuno è in grado di dare un giudizio obiettivo relativamente a ciò che gli appartiene. Capita così di non riuscire a vedere neanche le più macroscopiche magagne, e di restare stupiti dei giudizi di chi, guardando le stesse cose con una certa distanza, ne mette in evidenza gli aspetti più negativi. “Ogni scarafaggio è bello per mamma sua”, in questo caso più che mai.
 19    Il bello, negli ambienti, nelle cose, nelle persone, nelle città, nel linguaggio, e in ogni altro ambito, è sempre preferibile al brutto. Sebbene tutti riconoscano il valore della bellezza, pochi sono disposti a spendere le proprie energie affinché essa sia presente in ogni ambito della nostra esistenza.
           Entrare in un bar arredato con gusto, frequentato da belle donne ben vestite e curate, ed essere serviti con garbo da baristi in gamba, mi mette di buon umore. Viceversa, entrare in un bar raffazzonato e cadente, essere serviti da un barista squallidamente idiota e sgarbato, mentre all’esterno si intravvedono donne malvestite e piuttosto malandate, mi avvilisce.

20     I coglioni dicono: non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace. Stupidaggine. La bellezza è assoluta, ma non accessibile a tutti. Anche se milioni di bifolchi trovano belle cose decisamente pacchiane, tali cose non acquisteranno comunque la dignità delle cose belle.

21     Per quanto ricchi si possa diventare, non esiste denaro sufficiente ad acquistare il buon gusto. Il suo prezzo non è espresso in euro ma in educazione. Il buon gusto si acquista frequentandolo, per anni ed anni. Chi nasce circondato dal bello, vive in una famiglia educata alla bellezza, frequenta la bellezza in tutte le sue manifestazioni, sarà dotato di quel buon gusto naturale che nessuna moneta può comprare.

22     Anche i più pacchiani e buzzurri sono convinti di avere gusti raffinatissimi. È meglio dire ad una donna che è una zoccola, piuttosto che dirle di non avere buon gusto. Nel primo caso può darsi che prima o poi vi perdoni, nel secondo vi odierà per sempre.

23     L’arte. Tutti sanno cos’é, ma nessuno è in grado di spiegarlo.

24     Pretendere di comprendere l’arte è inutile ed impossibile, perché essa va semplicemente sentita. Sentire l’energia che da essa promana è una capacità innata che appartiene ad una sparuta minoranza di individui. Il più diffuso errore che si commette è quello di voler leggere un’opera d’arte, e capirne il significato. In verità, ciò che l’artista dice, attraverso la propria opera, non ha alcuna importanza. Coloro che sono dotati della capacità di “sentire” l’energia di un’opera d’arte sviluppano emozioni diverse, ed immaginano diversi percorsi narrativi, ognuno dei quali è sempre quello giusto. Non conta ciò che l’artista vuole esprimere, ma ciò che il fruitore percepisce.

25     È solo a distanza di decenni che le opere d’arte di una certa epoca manifestano appieno la loro capacità di aver trasformato in energia emotiva lo spirito di quel tempo. E solo allora si comprende che certe espressioni artistiche non potevano manifestarsi in un tempo diverso da quello nel quale si sono manifestate.

26     Quelli che sostengono di non capire l’arte moderna, attraverso la loro affermazione, vogliono far intendere di capire, invece, l’arte del passato. In verità chi è sensibile alla forza dell’arte, lo è per l’arte nella sua interezza. Coloro che sostengono di capire l’arte del passato non fanno che coglierne gli aspetti superficiali: l’illustrazione, la decorazione, la perizia esecutiva, la facilità con la quale credono di coglierne il senso. Se davvero fossero sensibili all’energia artistica dell’arte figurativa, lo sarebbero anche per l’arte contemporanea, concettuale o astratta che sia.

 27    Un artista, al di là delle sue effettive capacità, è uno che ha capito che, tutto sommato, fare l’artista è sempre meglio che lavorare.

 28    Tutti gli artisti, in qualunque ambito operino, all’inizio della loro carriera sono stati massacrati dai soliti saccenti, che li invitavano a cambiare mestiere. Fortunatamente ognuno di loro ha continuato per la sua strada, incurante delle critiche dei soliti tromboni. E così abbiamo i Van Gogh, i Picasso, i Vasco Rossi, e tutta l’arte degli ultimi secoli.

29     Un artista, per poter vendere le proprie opere in provincia, deve essere decisamente mediocre. Si accorgerà di essere diventato davvero bravo nel momento in cui non riuscirà a vendere più nulla.

30       Gli artisti che hanno vissuto e vivono tra stenti e miseria, quelli che noi chiamiamo bohemien, erano semplicemente dei disgraziati che ambivano a vivere nel più borghese dei modi. La Boheme è semplicemente un mito.  Un artista che non si lava e non ha cura di sé stesso o è un malato mentale, o un zozzone, o è uno che vuole darsi un tono, sperando che la sua condizione dia maggior valore alle sue opere.

31     Il valore di un’opera d’arte sta nell’emozione che essa suscita. Ne consegue che una perfetta copia ha lo stesso valore artistico dell’originale, perché capace di suscitare le stesse emozioni. Discorso diverso per il valore storico di un’opera originale, che deriva dal fatto che il suo artefice ha operato direttamente alla sua realizzazione. La quasi totalità degli individui, incapace di cogliere la differenza tra un originale ed un falso, rimarrebbe ugualmente emozionata nel visitare un museo importante, anche se le opere esposte fossero semplici e raffinate copie. Cosa cambia, artisticamente parlando, se il Marcaurelio in piazza del Campidoglio è un originale o una copia?

32     Esercitare una professione creativa in provincia è come pisciare controvento. Se poi si tratta di una provincia a vocazione prevalentemente agricola, essere creativi equivale a cagarsi addosso.

33    Buona parte del patrimonio artistico, soprattutto architettonico, ha dei costi di manutenzione talmente alti da renderne conveniente l’abbattimento e la ricostruzione. Quelli che si scandalizzano di fronte a questa affermazione debbono sapere che buona parte delle cattedrali tedesche sono il frutto di una oculata ricostruzione conseguente alle distruzioni della seconda guerra mondiale. Così come il campanile di Piazza San Marco a Venezia, ricostruito dopo il crollo avvenuto all’inizio del ‘900. Stesso discorso per Ponte Vecchio a Firenze, distrutto dai tedeschi nella loro ritirata. Un edificio ricostruito non ha nulla di meno, artisticamente parlando, del suo originale. Nell’originale come nella ricostruzione l’ideatore dell’edificio ha fatto un progetto che è stato poi eseguito da altri, ed è il progetto il vero valore artistico e storico dell’opera. Come il valore di una sinfonia sta nell’atto creativo del suo compositore, a prescindere da chi e da quando tale sinfonia venga eseguita.

34     Ogni comune pretende risorse per valorizzare il proprio patrimonio artistico. Nella gran parte dei casi il patrimonio artistico esiste solo nella fantasia dei cittadini di quel comune. L’ignoranza fa credere loro che la semplice vetustà   conferisca valore a cose che, nel momento in cui furono realizzate, non ne avevano. La merda, anche dopo secoli, resta merda. E così ogni comune vuole il suo piccolo museo archeologico, dove custodisce e mostra reperti di scarso o nullo valore. Museo che, naturalmente, nessuno visiterà, mentre la sua gestione avrà costi che saranno pagati dai soliti stronzi.

 35        Politici disonesti o semplicemente incapaci continuano ad illudere i propri elettori sostenendo che l’agricoltura abbia la capacità di creare benessere diffuso, sfruttandone adeguatamente le potenzialità. Nella realtà l’agricoltura è sempre associata a redditi bassi, e questo per la semplice ragione che il valore aggiunto nel settore agricolo è decisamente scarso. Infatti in tutto il mondo i paesi con economia prevalentemente agricola sono tra i più poveri, mentre l’agricoltura nei paesi ricchi è sempre fortemente sussidiata dallo stato.

36     Se ci si prende la briga di controllare certi dati, si può facilmente osservare una costante. Tanto più un paese ha il PIL pro capite alto, tanto più è bassa l’incidenza dell’agricoltura nella sua economia. Tanto più l’incidenza dell’agricoltura è alta, tanto più il PIL pro capite è basso.

37    Il settore agricolo non sfuggirà al destino di ogni altro settore dell’economia: la concentrazione della produzione in un minor numero di soggetti economici, capaci di sfruttare le economie di scala che ne conseguono. I piccoli coltivatori pian piano scompariranno, mentre le grandi aziende faranno sempre più ricorso a sofisticate tecnologie che ridurranno al minimo la necessità di manodopera non qualificata.

38     Tra coloro che usciranno di scena vi sono soprattutto quelli incapaci di guardare il mondo con lucidità, e che continuano a credere che i loro prodotti siano i migliori al mondo. Che si tratti di uva, di grano o di olio. Come se il Padreterno avesse concentrato in un unico luogo il meglio che la natura potesse dare, e che abbia donato loro, in via esclusiva, capacità di cui ogni altro popolo è privo.

39    Come tutti i mediocri, i piccoli produttori agricoli invocano l’intervento dello stato affinché, attraverso dazi e barriere doganali, riduca la concorrenza delle importazioni. Invocano la tutela dei consumatori, quando in realtà sono interessati esclusivamente a salvaguardare i propri redditi. Se le politiche protezionistiche da loro invocate producono danni alle esportazioni di prodotti tecnologici sofisticati, con la chiusura di aziende innovative che impiegano ingegneri ed operai preparatissimi, a loro non importa assolutamente nulla. Quasi sempre questo è dovuto al fatto che non riescono a vedere oltre il proprio naso, ed il mondo, per loro, finisce a pochi chilometri da dove vivono.

40     La gran parte dei piccoli produttori agricoli ha una visione del mondo talmente limitata, da credere che i prezzi, il mercato, l’economia, dipendano dalle vicende locali. Il fatto di non comprendere che oramai è il mercato globale a decidere ogni cosa, e che le vicende del proprio contado siano insignificanti, li condurrà alla rovina. Solo quelli tra loro che saranno in grado di comprendere gli epocali cambiamenti che si stanno verificando, troveranno nuove opportunità per il loro futuro.

 41    Quando facevo il militare mi sono reso conto di un fatto che mi ha fatto a lungo riflettere: tutti i figli di famiglie borghesi, spesso benestanti, che avevano viaggiato, avevano studiato e conosciuto il mondo, mangiavano tutto quello che la mensa offriva, senza mai lamentarsi. I commilitoni di origini umili, poco istruiti, che provenivano da luoghi arretrati e miserabili, che non avevano conosciuto altro che il loro piccolo mondo, schifavano tutto, e non mangiavano nulla. L’unico vino buono era quello che producevano loro, l’unico sugo buono era quello che preparava la mamma, l’unico pane decente era quello del proprio paese, e così per ogni cosa. Non erano minimamente sfiorati dall’idea che fosse impossibile che miliardi di persone facessero una vita miserabile, semplicemente perché diversa dalla loro.
 42    Il contadino, mediamente, ha una tale limitatezza culturale da non comprendere come nel mondo possano esistere milioni di alternative al suo modo di vivere. Tutta quanto è diverso dal loro modus vivendi lo ritengono semplicemente sbagliato. Non accettando la diversità, non viene accettata neanche la novità. Tanto che, se fosse dipeso dai contadini, oggi vivremmo come 4000 anni fa. Nessuna innovazione è mai venuta dal mondo contadino. Qualunque innovazione avvenuta nel mondo agricolo è figlia della città e della sua capacità di cercare e trovare nuove soluzioni a vecchi problemi. Il contadino, al massimo, scrolla le spalle rassegnato, scettico verso qualunque innovazione che possa produrre un cambiamento nella sua vita.
 43    Tutti i contadini che fanno il vino in casa, convinti di fare il migliore vino del mondo, dovrebbero fare un semplice esperimento: in una grande tavolata dovrebbero mettere delle caraffe con il proprio vino e delle bottiglie di buon vino prodotto industrialmente, e verificare, alla fine, quale vino sia stato consumato. Forse capirebbero che il loro vino non è poi quel capolavoro che credevano.

 44    Il contadino che fa il vino in casa, sebbene non sappia neanche leggere e scrivere, è convinto di saperne più di un enologo con tanto di laurea e lunghi anni di esperienza. Benché durante l’intera vita non abbia bevuto alcun vino diverso dal suo, si permette di sostiene con fermezza che il suo vino sia migliore di qualunque altro.

45     Il perfetto coglione non ama il pane di Modena, o di Ancona, oppure quello di Bari. Egli afferma in modo perentorio che il pane del proprio paese è il migliore del mondo, e che tutti gli altri panettieri sono degli incapaci. Al perfetto coglione non passa per la mente che, forse, ognuno ha la sua tradizione, e produce quel certo pane perché è quello il pane che la gente del posto preferisce.

46   Tutte le innovazioni, le scoperte, i progressi che ci consentono l’attuale livello di benessere, provengono dalla città. Perché è solo nelle città che si concentrano quelle menti creative ed aperte a tutte le possibilità. La storia del mondo è la storia delle città. Tebe, Persepoli, Atene, Roma, Alessandria, Bisanzio, Parigi, Londra, New York. Le città si possono paragonare a dei torrenti in piena, limpidi e rigogliosi. Il mondo contadino appare, al confronto, come una palude putrida e stagnante. C’è un esperimento che tutti possono fare: basta prendere i nomi di personaggi illustri operanti in qualunque ambito, dalla letteratura all’arte, dalla scienza all’imprenditoria, dallo spettacolo all’economia, e verificare dove hanno vissuto ed operato. Che siano cento o mille nomi il risultato non cambia: tutti sono legati ad una grande città.

47   La fine del medioevo corrisponde alla rinascita delle città ed allo sviluppo di una nuova classe sociale: la borghesia. I cosiddetti secoli bui, nei quali vi è stata una regressione dei livelli di civiltà, corrispondono al periodo caratterizzato dall’economia contadina di tipo curtense.
48     Si parla spesso di civiltà contadina, confondendo la civiltà con la cultura. La civiltà è una prerogativa della “civitas” e non può che manifestarsi in ambito urbano. L’inizio della civiltà corrisponde alla nascita delle prime città, e da quel momento l’intera storia del mondo è la storia delle città.
49     Qualunque persona di eccezionale talento, se fosse rimasta a vivere in provincia, avrebbe condotto una vita fallimentare, e sarebbe stata considerata arrogante e presuntuosa. Che si tratti di Picasso o di Renzo Piano, di Fellini o di Camilleri, di Versace o di Umberto Eco. La provincia è fatta per i mediocri, che riescono a prosperare nel loro ambiente naturale, circondati da altri mediocri con i quali ci si spalleggia a vicenda. Null’altro che la grande città è in grado di offrire ai geni l’indispensabile contesto nel quale prosperare.

 50    In provincia, l’insegnante che scrive poesie ermetiche, condite ogni tanto da qualche parola difficile, si sente un grande poeta, sostenuto, nella sua convinzione, dall’adulazione falsa dei colleghi, altri grandi coglioni. E questo vale anche per chi si diletta di pittura, realizzando mediocri copie di opere conosciute, e sentendosi alla stregua di Caravaggio. I complimenti dei colleghi, totalmente incompetenti, soddisfano la vanità di questi pseudo artisti, i quali, a loro volta, non mancheranno di ricambiare la cortesia. La provincia offre sempre questo squallido spettacolo, che sarebbe in sé tragico, se non fosse ridicolo.

51   È nella natura del provinciale sopravvalutare sé stesso, il proprio ambiente ed il proprio mondo. Come quei mediocri che pagano coloro che si occupano di ricerche araldiche, affinché trovino una nobile ascendenza al proprio casato, così il provinciale cerca nella storia spunti più o meno reali, per dare lustro al mondo nel quale vive. Quasi sempre si creano miti ai quali il provinciale finisce per credere, anche se poi, ad una attenta analisi, il castello di menzogne crolla miseramente.
          Quasi sempre si cercano labili appigli ai quali aggrapparsi per dare lustro al proprio presente, mancando le basi di una storia importante. E così ci si inorgoglisce del fatto che il tale personaggio pernottò casualmente nel proprio paese, oppure che il proprio paese sia citato in qualche antico documento. La coglionaggine arriva a tali livelli da considerare alla stessa stregua la storia di Firenze o di Venezia con la storia del proprio miserabile borgo, nel quale, per secoli, uomini e bestie vivevano in simbiosi nella più oscura ignoranza.

 52    La natura del provinciale lo porta a limitare le proprie conoscenze all’ambito del piccolo mondo nel quale vive. Il provinciale non sente il bisogno di conoscere altri mondi, altre culture, altri modi di vivere e di pensare. Direi, anzi, che egli teme la diversità, e giudica negativamente tutto quanto differisce da ciò che conosce. Perché il provinciale nasce “imparato”, a sa già tutto quel che occorre sapere.

53    Il professionista provinciale ha una peculiarità che lo distingue dal professionista di città. Egli è fermamente convinto che, essendo laureato, ha il diritto di esprimersi su tutto, e non solo sulla materia oggetto del suo studio. Nella gran parte dei casi è un caprone privo di cultura, anche se bravo nella propria professione. Ma la sua arroganza, tipica proprio degli ignoranti, lo porta a credersi persona di grande cultura, e soprattutto a pontificare su cose di cui davvero non sa nulla, enunciando banalità come sentenze inappellabili. Tutto questo avviene perché la platea che ascolta tali banalità è composta da individui della stessa inconsistenza.

 54   Il mondo contadino ha una natura profondamente stoica, a differenza del mondo della grande città, che ha natura epicurea. Quindi, se amate godervi la vita, andate a vivere in città. Il contadino, per ragioni storiche, evita di vivere il presente, rimandando ad un futuro che mai arriverà, il godimento dei frutti del proprio lavoro. Tende ad accumulare ricchezza, nell’ancestrale timore di una eventuale carestia. Si tratta, comunque, di una ricchezza che produce pochi benefici per la collettività, perché non è il denaro che si accumula a creare lavoro e benessere, ma il denaro che si spende.

 55    I coglioni credono che il medioevo sia stata l’epoca della cavalleria e delle principesse, dell’amor cortese e dei tornei. Il medioevo, come quasi tutto il tempo passato, è stata un’epoca di fame, miseria, malattia, violenza, sopraffazione, insicurezza, ignoranza, superstizione. Un’epoca nella quale il valore della vita umana era prossimo allo zero, e nella quale gli uomini vivevano come le bestie.

56    Il vero dramma del meridione d’Italia è costituito dall’esistenza di una borghesia semi parassitaria perennemente attaccata alla mammella pubblica, dalla quale suggere redditi e privilegi che altrimenti non saprebbe come procurarsi, essendo poco avvezza al confronto con il libero mercato. Quelli che vi appartengono non concepiscono altro sistema per garantirsi reddito, privilegi e prestigio, che esercitare professioni protette, o lavorare nel pubblico impiego, oppure ricevere incarichi pubblici di qualsiasi genere. Disdegnano ogni tipo di impresa industriale o commerciale, ritenendo queste attività umilianti e degradanti, oltre che rischiose. La rendita è la loro massima ambizione, unitamente al possesso di cespiti immobiliari. Come i signori medioevali, ritengono il rango sociale la misura di ogni cosa, e si ritengono naturalmente portatori di privilegi di nascita e di appartenenza. Secondo i loro valori un insegnante o un impiegato pubblico meritano maggior rispetto e considerazione rispetto a qualunque imprenditore, anche se questi fattura milioni di euro e dà lavoro a centinaia di persone. Perché percepire un reddito garantito dallo stato, senza alcuna relazione tra ciò che si vale e ciò che si percepisce, pone un individuo ad un livello sociale superiore rispetto a chi è privo di questo privilegio.

57 Il borghese meridionale ambisce ad entrare nella pubblica amministrazione, dove trova prestigio, sicurezza e potere. Poi, da questa posizione parassitaria, fa di tutto per rendere la vita difficile a chiunque intraprenda un’impresa. Questa pletora di farabutti produce due evidenti risultati. Da un lato succhia soldi alle casse pubbliche, ed indirettamente a coloro che producono ricchezza, dall’altro lato, con sottile sadismo, rende difficile lo sviluppo di una sana imprenditoria, perennemente vessata da questi cialtroni.

58   La parassitaria borghesia meridionale è composta da individui talmente miserabili da credere che il diritto che hanno ad occupare certi posti abbia natura divina, e che tale diritto sia ereditario. Infatti codesti borghesi faranno di tutto per inserire i propri figli nei ruoli della pubblica amministrazione, utilizzando l’appartenenza a quella naturale massoneria composta da tutti coloro che occupano posti di potere all’interno della pubblica amministrazione. Ognuno di loro rappresenta il nodo di una rete di mutuo soccorso, utile a controllare la farsa dei concorsi pubblici.

 59    La borghesia meridionale ha una natura profondamente contadina, ed un legame morboso con il possesso della terra, retaggio culturale della nobiltà borbonica. Togliere risorse e potere a questa borghesia è il primo passo per un riscatto del SUD.

60 Per comprendere il gusto medio del borghese meridionale, ma soprattutto per comprendere quale sia il valore che egli attribuisce alla bellezza e al decoro, basta fare un tour negli studi professionali di medici, ingegneri, commercialisti, avvocati. In nove casi su dieci scopriamo che lo stato dei locali è fatiscente, privo di cura e manutenzione, ed arredato con sedie, tavolini e quadri di recupero, raccattati nei modi più diversi. Immancabilmente vi saranno presenti riviste di qualche anno addietro, di quel genere che nessuno legge. Eventuali comunicazioni saranno affisse alle pareti con tanto di nastro adesivo, unitamente a quadri assolutamente impresentabili. Nonostante guadagnino fior di soldi, non ritengono opportuno investire un solo euro sul decoro, anche perché, essendo nati e cresciuti nella bruttezza e nel degrado, vi si trovano a proprio agio. Ogni euro speso per rendere più accogliente lo studio è un euro sottratto all’acquisto di nuovi uliveti, e questo è per loro inconcepibile. Non ci si deve quindi meravigliare se anche le città in cui vivono sono generalmente trasandate, sporche, brutte, prive di decoro e manutenzione.

 61    La piccola borghesia di provincia è quanto di più becero vi possa essere. È composta da individui tronfi e saccenti, presuntuosi ed inconsistenti, che amano compiacersi vicendevolmente, giusto per illudersi di valere qualcosa. È la valvola di sfogo per le loro miserie intellettuali, che sono profonde ed insanabili. La cosa grave è che, dall’alto della loro arroganza, si permettono di pontificare su cose di cui non sanno assolutamente nulla. Palloni gonfiati che fanno la loro figura in un contesto di ignoranti cronici, ma che apparirebbero per quel che sono, semplice merda, in un contesto diverso dal loro piccolo miserabile mondo.

 62    Il piccolo borghese meridionale usa lamentarsi del fatto che tutti vogliano i figli laureati, e nessuno più impari un mestiere. Nel frattempo obbligano i figli a prendere una laurea. A dover fare gli operai, naturalmente, debbono essere i figli degli altri, e non i propri. Esiste comunque una caratteristica propria di questa miserabile borghesia, e che ne costituisce l’essenza: il disprezzo per coloro che lavorano. La loro matrice culturale profondamente controriformista li spinge a ritenere che coloro che per vivere sono costretti a lavorare siano dei disgraziati mentecatti, e che da mentecatti vadano trattati. Solo coloro che in qualche modo derivano i loro redditi dallo stato meritano rispetto e considerazione, perché sono gli unici che possono permettersi di non fare un cazzo, e quindi di godere della prerogativa tipica dei signori.

63   Sotto l’appellativo di volontariato si nasconde un vasto sistema parassitario attraverso il quale pochi faccendieri, legati ai partiti ed ai sindacati, fanno business sfruttando giovani disoccupati che prestano la loro opera camuffandola come prestazione volontaria destinata all’assistenza di categorie disagiate. La loro paga viene camuffata come rimborso spese, così si evita anche di pagare i contributi. Di volontario, nel volontariato, non vi è nulla, se non uno dei tanti sistemi truffaldini per dare un reddito al sottobosco della politica.

64     Le organizzazioni “no-profit” sono una delle tante trovate per poter vivere sulle spalle degli altri. Forti della loro smisurata arroganza pretendono di fare del bene con i soldi degli altri. Innanzitutto i membri di queste organizzazioni prendono uno stipendio, direi, anzi, che lo pretendono. Si chiamano “no-profit”, intanto non lavorano gratis. Mentre un lavoratore autonomo si arrabatta tra mille difficoltà per guadagnarsi uno stipendio, e lo stato lo massacra perché cerca un “profitto”, il parassita delle associazioni “no-profit” riceve il suo stipendio proprio dalle tasse pagate dal fesso con la partita IVA.
 65    La schiera di quelli che pretendono di vivere mungendo la mammella dello stato si fa sempre più nutrita. Tra cooperative, ONLUS, Lavori socialmente utili, pseudo associazioni di volontariato, sindacati, patronati, controllori di ogni genere, ausiliari del traffico, parcheggiatori, addetti alla riscossione dei tributi, milioni di italiani vivono sulle spalle di chi davvero lavora e produce. Se ad essi aggiungiamo i dipendenti pubblici ed i pensionati, possiamo renderci conto di quale fardello deve trasportare chi è tanto stupido da lavorare davvero. E la cosa più assurda è che quelli che davvero lavorano sono anche considerati ladri ed evasori fiscali.

66     Chiunque vive sulla ricchezza prodotta da altri è un parassita. Eppure, sebbene questa condizione sia comune a milioni di italiani, davvero pochi si rendono conto di godere di un tenore di vita dovuto al lavoro altrui. I parassiti sono quelli che più di chiunque altro parlano sempre di diritti e mai di doveri. Essi reputano naturale che qualcun altro paghi i servizi di cui beneficiano e di cui non pagano il prezzo. Esistono persone che nella loro intera esistenza non hanno mai pagato una lira di tasse o di contributi, e sono i primi a pretendere pensioni, sussidi, assistenza sanitaria, case popolari, e tutto il possibile e immaginabile. Ma la cosa davvero ridicola, se non tragica, è che sono quelli che con maggior foga inveiscono contro i politici, chiamandoli ladri. Roba da matti.

67     La produttività di un dipendente pubblico, rispetto ad un dipendente privato, è vergognosamente bassa. Effettivamente non esiste alcuna relazione tra ciò che costui produce e ciò che percepisce.

 68    Il più grande alleato e benefattore dei parassiti è lo stato. È lo stato che vi pignora la casa se ritiene che avete pagato meno tasse del dovuto, ed utilizzerà quelle tasse per dare la casa popolare a chi le tasse non le ha mai pagate, e mai le pagherà.

 69    Sono proprio i parassiti quelli più pronti a lamentarsi ed a manifestare per ottenere diritti che ritengono sacrosanti, il primo dei quali consiste nel poter vivere sulle spalle degli altri. Vivono sottraendosi ad ogni dovere nei confronti della collettività, doveri dai quali si sentono dispensati, ma che necessariamente debbono essere adempiuti dai fessi, affinché possano foraggiare il loro parassitismo.
70     Lo stato è come un grande condominio, ma con regole decisamente assurde. Mentre in un condominio tutti partecipano delle spese comuni in ragione del loro presunto utilizzo, in uno stato tanto meno uno paga, tanto più utilizza le risorse pagate da altri. Lo stato, in parole povere, è il protettore dei furbi.
71    Quella dei dirigenti pubblici è una schiera di inetti fannulloni che sostengono di avere qualità di cui sono del tutto privi. Visto che si ritengono tanto bravi, ci si chiede perché non si dimettono e non si offrono sul mercato, o non intraprendono un’impresa.  Passano la vita a lamentarsi, ma dalla mammella pubblica non si staccano neanche se cascasse il mondo. Forse sanno che, quasi certamente, in una azienda privata verrebbero messi a spazzare i pavimenti.

72     I sindacati rappresentano la più grande organizzazione parassitaria presente in Italia. Fattura cifre enormi, senza dar conto a nessuno, e gode di privilegi spropositati. Insieme alle cooperative, alle ONLUS, alle varie associazioni di comodo, forma una sovrastruttura che vive sulle spalle di chi lavora, con la complicità dello stato che emana leggi apposite per darle denaro e potere.

73     Essere solidali con il culo degli altri è da gran farabutti. Quando lo stato decide di spendere soldi per immigrati, zingari, fannulloni di vario genere, dovrebbe chiedere ai cittadini se sono d’accordo o meno. La solidarietà non può essere una prerogativa dello stato, ma la libera scelta di ogni singolo cittadino. Deve essere davvero drammatico vedersi pignorare la casa per debiti con il fisco, e poi sapere che danno una casa popolare a degli zingari, che non hanno mai pagato nulla, e mai pagheranno nulla, oltre al fatto che continueranno impunemente a rubare ed a delinquere.

 74    Il parassita che munge la mammella dello stato vorrebbe sempre più regole e sempre più tasse, anche se questo produce la morte delle aziende. Questo emerito parassita nutre una profonda e malcelata invidia verso tutti coloro che hanno successo economico, e non desidera altro che il loro fallimento. E così, abusando dei poteri che lo stato gli ha conferito, piomberà come uno sciacallo sulle aziende, cercando cavilli e pretesti per comminare qualche sanzione. Lo fa credendo di operare a favore della società, e ritenendo il suo lavoro fondamentale per l’interesse di tutti. Ma rimane solo un miserabile parassita, e null’altro.
75    La burocrazia è l’insieme di strutture e di uomini preposti ad esercitare il potere per conto della cupola mafiosa chiamata “stato”. In cambio del proprio asservimento e della propria complicità il burocrate parteciperà alla spartizione di una parte del malloppo costituito dal gettito tributario.
     I danni prodotti dalla burocrazia sono enormemente maggiori di quelli prodotti dalla criminalità. E la cosa indecente è che i burocrati credono davvero di fare qualcosa di utile, o, peggio ancora, credono di essere indispensabili. La vita passata tra leggi assurde, regole incomprensibili e lentezze ingiustificabili, li porta ad una latente demenza di cui non si rendono conto.

 76    I burocrati odiano la semplicità, perché è solo dalla complessità che essi traggono prestigio e potere. Nella semplicità e nella chiarezza, la loro stessa esistenza sarebbe inutile.

 77    Lo stato, non diversamente dalla moglie, farà di tutto per fracassarvi i coglioni. Ciò nonostante, così come della moglie, non se ne può fare a meno.

78   Lo stato è una efficientissima organizzazione criminale. La cupola che la governa ama vivere nell’ombra, e preferisce far credere che il governo sia nelle mani di un parlamento democraticamente eletto. Mentre i governi vanno e vengono, la cupola rimane sempre saldamente al suo posto.

 79   Tutti i servizi pubblici lavorano in un regime di monopolio. La mancanza di concorrenza produce inefficienza, scarsa produttività, sprechi, pessimi servizi. È solo la concorrenza che produce vantaggi per gli utenti. In un servizio pubblico nessuno ha interesse a migliorare le cose. I dirigenti, comunque vada, avranno i loro stipendi a faranno la carriera prefissata, mentre i dipendenti continueranno a percepire uno stipendio, che non avrà alcun rapporto con il lavoro realmente svolto, né con la soddisfazione dell’utenza.

 80    Semplificare una macchina o una procedura è l’auspicio di qualunque professionista intelligente. L’ingegnere migliore è quello che riesce a far compiere ad una macchina lo stesso lavoro con meno passaggi. Qualunque software aumenta di efficienza quanto più è breve l’algoritmo. Anche uno stato funziona meglio quando le leggi sono poche, chiare, semplici. Tante più leggi vengono promulgate, e tanto più sono complesse e contraddittorie, tanto più i cittadini, per poter sopravvivere dignitosamente, sono costretti a raggirarle o eluderle.

81   La corruzione è la figlia diretta della discrezione. Esiste corruzione solo laddove la certezza delle norme e dei tempi è sostituita dalla discrezionalità del burocrate. Eliminare la corruzione aumentando le pene è stupido, oltre che inutile. Per eliminare la corruzione è necessario che ogni cittadino abbia la facoltà di fare tutto quanto non sia espressamente vietato dalla legge, e secondo regole certe e semplici. La verifica del rispetto delle norme deve essere fatta a posteriori.

82     Gli stati con il più alto indice di corruzione sono quelli con i sistemi legislativi più ingarbugliati e con la burocrazia più inefficiente. Esiste inoltre una relazione diretta tra il numero degli avvocati ed il livello di corruzione di un paese. Poche leggi, semplici e chiare, lascerebbero disoccupati molti avvocati.

83     Nel nome della patria milioni di disgraziati sono morti, e quasi sempre non sapendo neanche la ragione della guerra che combattevano. Disgraziati contro disgraziati, aizzati gli uni contro gli altri da una martellante e sottile propaganda fatta di menzogne. Pedine di un gioco condotto dai soliti potenti dalle stanze dorate dei loro salotti.
            Quasi sempre dietro l’epica di ogni popolo si nascondono inutili massacri. Chi scrive la storia la falsifica, ad uso e consumo del popolo coglione, ed a beneficio dei soliti potenti che gridavano: “vincere o morire” e che non hanno né vinto né sono morti, mentre sono morti quelli che non volevano né vincere né morire.
              Alla fine coloro che sono stati mandati al macello, e che spesso non sapevano neanche perché combattevano quella guerra, avrebbero preferito restare a casa con le loro famiglie. Invece, come sempre accade, qualcuno ha deciso delle loro vite e dei loro destini, senza prendersi la briga di chiedere la loro opinione. Date queste premesse, non mi sentirei di condannare coloro che cercano di evitare di essere mandati al macello. Non si tratta di vigliacchi, ma di persone consapevoli di come davvero va il mondo.

 84    Che una guerra si vinca o si perda, nessun vantaggio ne trarrà il popolo. Gli unici a beneficiare delle guerre sono i soliti potenti, che si spartiscono il dividendo delle carneficine, qualunque sia l’esito del conflitto.

85     Il numero delle contravvenzioni elevate non dipende dalla disciplina degli automobilisti, ma dalle necessità di cassa delle amministrazioni che beneficiano di quelle entrate. Comuni come Roma o Milano, semmai gli automobilisti dovessero diventare improvvisamente disciplinati, andrebbero in bancarotta. Se un comune, per sopravvivere, deve confidare sull’indisciplina degli automobilisti, vuol dire che effettivamente le contravvenzioni sono solo un atto di sciacallaggio verso i cittadini, non dissimile da ciò che facevano nell’antichità i briganti nei confronti dei viandanti. Se davvero si volesse evitare che le auto corrano troppo, soprattutto in città, basterebbe realizzare un certo numero di dossi artificiali. Invece si preferisce utilizzare autovelox posizionati in posti strategici, quelli che garantiscono il maggior numero di contravvenzioni.
 86    Uno stato sovrano crea denaro dal nulla. Con quel denaro può creare lavoro. Quel lavoro produce ricchezza. Ed è quella ricchezza che dà valore al denaro creato dal nulla. È un meccanismo semplice che pochi comprendono, perché nessuna scuola insegna ai ragazzi un minimo di politica monetaria, ovvero del come nasce e si gestisce la moneta. Ancora oggi la gente immagina che la moneta abbia un suo valore intrinseco, e non sia, invece, una semplice cambiale. È chiaro che anche la moneta creata dal nulla ha dei limiti, rappresentati dal tasso di inflazione.

 87    Con il pretesto dell’interesse generale si perpetrano i peggiori crimini e le più infami ingiustizie. Quasi sempre viene spacciato per interesse generale quello che in realtà è l’interesse di una minoranza. Il cosiddetto interesse generale è il cavallo di troia con il quale limitare la libertà individuale ed imporre regole sfacciatamente assurde.

 88     La fiducia nelle istituzioni appartiene a due sole categorie: agli uomini di stato ed ai perfetti coglioni. I primi, in verità, di fiducia nelle istituzioni non ne hanno affatto, ma debbono rispettare il loro ruolo, mentendo spudoratamente. I secondi hanno davvero fiducia nelle istituzioni, chiaro segnale della loro coglionaggine.

 89    Per salvare l’Italia occorre sopprimere una certa percentuale della sua popolazione. Che si usi la forca, la fucilazione o la camera a gas, ha poca importanza. Oramai troppe metastasi, tra parassiti, prepotenti e criminali di piccola e grande risma, stanno distruggendo ciò che resta dell’Italia. E queste metastasi, con la complicità di governi imbelli, si stanno diffondendo sempre più.

 90   La deriva morale di questo paese è tale da non rendere praticabile altra soluzione che la sospensione della democrazia. Chiaramente la democrazia, in sé, non è la causa dei nostri problemi, ma la sua errata interpretazione che consiste nel credere che ogni debosciato abbia la facoltà di fare ciò che vuole, confidando nella assoluta impunità. Ogni onesto cittadino è oramai ostaggio di delinquenti, prepotenti, debosciati, parassiti, mafiosi, e furbi di ogni genere. Una situazione che giustifica, a mio parere, una sospensione o una riduzione delle garanzie costituzionali, soprattutto una loro interpretazione troppo favorevole alla parte marcia della società.

91   Tanto il denaro che lo stato spende, quanto quello evaso al fisco e che rimane nella disponibilità di chi lo ha guadagnato, rientra nell’economia globale. La vera differenza sta nel chi spende quei soldi. Spendere i soldi guadagnati da altri è diverso che spendere il denaro guadagnato con il proprio sudore. È incontestabile che la spesa dei privati è molto più efficiente della spesa pubblica. È per questo che il gettito tributario deve essere il minimo possibile, e lasciare all’iniziativa privata, per quanto possibile, la scelta dei servizi di cui si vuol usufruire ed il prezzo che si è disposti a pagare.

 92   È vero che il sistema fiscale ha anche lo scopo di redistribuire il reddito. Tuttavia se il principio è condivisibile, all’atto pratico si creano enormi ingiustizie. Massacrare di tasse chi si spacca la schiena per guadagnare, e poi dare sussidi e case popolari a zingari, fannulloni e debosciati non è una bella cosa, e giustifica, a mio parere, l’evasione di chi a malapena sopravvive.

 93    Per quanto lo stato possa fare, l’economia sarà florida fin quando chi lavora, investe, rischia, riuscirà a ricavare un reddito superiore a quello che ricaverebbe se facesse il fannullone. Se davvero lo stato riuscisse a far pagare appieno tutte le tasse che pretende, l’economia collasserebbe. Molti di quelli che oggi lavorano per sopravvivere, preferirebbero chiudere baracca e burattini ed entrate nella folta schiera dei mantenuti pubblici.

 94     Quasi tutti quelli che si vantano di essere degli onesti cittadini perché pagano tutte le tasse, in realtà, se potessero farla franca, evaderebbero meglio e più degli altri. Infatti questi galantuomini, che inveiscono contro i lavoratori autonomi quando si servono di un artigiano non vogliono assolutamente pagare l’iva, oppure svolgono tranquillamente un secondo lavoro in nero.  

 95    I coglioni sono sempre pronti a condannare il piccolo evasore fiscale che vorrebbe esercitare il sacrosanto diritto di godere dei frutti del proprio lavoro, pur sapendo che probabilmente quei soldi andranno a beneficio della sterminata pletora di parassiti che vivono del frutto del lavoro altrui, un esercito di parassiti che lo stato nutre e coccola.

96   È ridicola la propaganda messa in atto dallo stato per fomentare l’odio sociale nei confronti degli evasori, creando dei capri espiatori ad uso del popolo coglione, al fine di nascondere le proprie malefatte. Si vuol far credere, ad esempio, che un evasore è un parassita, perché vive sulle spalle degli altri. I conti, naturalmente, non tornano. Sarebbe un parassita chi ha pagato 20 mila euro di tasse, e che magari ne avrebbe dovute pagare 30 mila, e non un fannullone che di tasse non paga nulla perché non ha alcun reddito. In pratica, chi paga 20 mila euro vive sulle spalle degli altri, chi invece non paga nulla, non vive sulle spalle degli altri. Se Berlusconi evade un milione di euro, pagandone comunque 20, secondo la propaganda vive sulle spalle degli altri. Non c’è che dire: sono dei geni.

97 Ogni qualvolta viene trasmessa un programma televisivo, si può assistere a questa infame situazione: tutti coloro che partecipano al dibattito vivono di soldi pubblici. Dal conduttore che prende i soldi dalla RAI, al giornalista che vive dello stipendio di un giornale mantenuto con soldi pubblici, e che spesso nessuno legge. Dal dirigente dell’agenzia delle entrate al politico. Dal sindacalista al rappresentante di qualche ente sovvenzionato dallo stato. Mai che possa intervenire qualcuno che vive del proprio lavoro e che si vede massacrato dallo stato e dalla burocrazia.

 98 Ogni dichiarazione di fallimento produce un unico effetto: l’arricchimento di qualche curatore fallimentare. Una sterminata pletora di professionisti piccolo borghesi, generalmente mediocri, frequenta i corridoi dei tribunali, nella speranza di ottenere un incarico in qualche curatela fallimentare. Dopo la nomina si avventano su ciò che rimane di un’azienda, spolpandola fino all’ultima goccia di sangue.
 99   Un governo di cialtroni è sempre preferibile ad un governo di moralisti intransigenti e giacobini. Nel primo caso, male che vada, finisce tutto a tarallucci e vino, mentre nel secondo caso finisce sempre in tragedia.
 100   Un governo saggio non è mai troppo intransigente nel rispetto delle leggi, e consente un certo margine di anarchia all’interno della società. Tale margine è indispensabili per far sì che i cittadini, mossi dai propri egoismi, agiscano in modo da correggere nei fatti gli errori e le mancanze dello stato.

101   Che la cosiddetta unità d’Italia sia stata una sciagura per il meridione è fuori discussione. Ma pretendere di addebitare ogni problema del sud a quei fatti storici è da vigliacchi. Tutti i problemi del SUD hanno una matrice culturale, figlia della propria storia. Ogni popolo è ciò che è in ragione del proprio passato, durante il quale si è formata la sua cultura: una cultura di matrice prettamente controriformista, barocca, latifondista. Il meridionale non è mai diventato un cittadino, rimanendo, nel suo intimo, un suddito. E tutta la struttura sociale è costruita su questa particolare caratteristica, ovvero la dicotomia tra il signore ed il servo.

 102    Ed il signore, nella cultura barocca, è colui che non lavora, e che vive di rendita e di privilegi, godendo di quel piccolo potere che gli deriva dalla vicinanza allo stato. Ecco quindi che il meridionale ambisce sopra ogni altra cosa all’impiego pubblico, cosa che gli conferisce prestigio, reddito certo e continuo, ed una infinita quantità di tutele. E tutto questo a prescindere dal fatto che effettivamente lavori bene o male.

 103    Un semplice postino gode di una considerazione sociale superiore a quella di un piccolo imprenditore, nonostante il fatto che guadagni molto di meno. Oltre al pubblico impiego il meridionale cerca le professioni protette, quelle che godono di poca concorrenza, come il farmacista o il notaio. Anche un ingegnere cerca la “protezione dello stato”, con la conseguenza che ambisce ad avere uno stipendio sicuro con l’insegnamento, e poi si aggrappa allo stato per ottenere perizie d’ufficio o rilascio di certificazioni. Con la conseguenza che spesso un ingegnere edile in tutta la sua vita non progetta un solo edificio.

104     Esiste una grande differenza tra l’essere sudditi e l’essere cittadini. Mentre i cittadini si sentono artefici e responsabili del proprio destino, i sudditi ritengono che il loro destino dipenda dalla volontà di coloro che comandano, e che nulla possano fare salvo mettersi sotto la protezione di qualche potente.  I terroni sono prevalentemente dei sudditi, nella loro forma mentis, ed in quanto tali non sanno cosa farsene della democrazia, di cui non ne comprendono il senso più profondo. Ed effettivamente la democrazia al Sud è solo una farsa, ed è la responsabile di buona parte dei problemi del mezzogiorno.

105    La democrazia funziona e da ottimi frutti solo laddove esiste un popolo composto da cittadini, consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri. Il suddito, per sua natura, considera la furbizia ed il piccolo sotterfugio indispensabili per condurre una vita dignitosa, e si giustifica sostenendo che “tanto fanno tutti così” e non farlo sarebbe da fessi.

 106    Una delle cose che mi fa incazzare è ascoltare persone del Sud sostenere che nel loro paese, spesso un piccolo paesino di montagna, si viva meglio che nelle città del Nord. A parte il fatto che questo è tutto da dimostrare, la cosa grave è che questi coglioni non si rendono conto che la qualità della loro vita è possibile grazie all’industria del Nord, ed alle tasse che le regioni settentrionali pagano proprio grazie ai redditi prodotti dall’industria. È bello godersi la vita tranquilla di un piccolo paesino senza inquinamento, traffico e stress, avendo le pensioni, la sanità e le scuole pagate dai fessi del Nord.

107   Nessuna maschera rappresenta gli italiani, ed i meridionali in particolare, come Pulcinella. La sua caratteristica è quella di essere un semplice servo che comunque si compiace della sua furbizia che consiste nel rubacchiare al proprio padrone, credendo di farlo fesso. E non si rende conto che l’unico fesso rimane lui, perché mentre il padrone continua a vivere negli agi e nel benessere, lui resterà servo per sempre, così come i propri figli che saranno i servi dei figli del suo padrone.

108     Nessuno è tanto fesso quanto colui che si crede tanto furbo.
     E, a proposito di furbizia, la dimostrazione di ciò che siamo sta nel fatto che mandiamo via i nostri giovani laureati più preparati, più ambiziosi, più intelligenti, per accogliere una massa di immigrati straccioni ed analfabeti. Occorre essere davvero dei coglioni per non vedere il disastro che stiamo preparando.

109     I politici meridionali cercano di acquistare consenso promettendo sviluppo e lavoro. Peccato che l’unico lavoro che concepiscono è sempre e comunque legato alla spesa pubblica. Parlano di fondi europei, di fondi regionali, di cooperative che dovrebbero valorizzare il territorio, oppure assistere i disabili, o, ancora, figure da inserire nel sistema sanitario, vigilatori del traffico, guide turistiche dove di turistico non c’è assolutamente nulla. Questi politici alle volte dicono queste stupidaggini coscienti di mentire, ma molto più spesso sostengono queste cose perché davvero ci credono, ed è questo il vero dramma. A nessuno di loro passa per la mente che l’unico vero sviluppo possibile e concreto consiste ella nascita di aziende private capaci di produrre cose o servizi che abbiano un vero mercato mondiale, puntando, possibilmente, sull’innovazione e sulla tecnologia. Intanto, mentre gli altri costruiscono valvole cardiache, microprocessori o robot, noi speriamo di creare sviluppo finanziando la sagra del finocchio.

110   Se al sud non arrivassero risorse prodotte da alcune regioni del Nord, sarebbe la catastrofe. Pochi sono coscienti del fatto che al Sud, scuola e sanità, non sarebbero sostenibili senza quei trasferimenti. Quando non si è capaci di provvedere a sé stessi, ma occorre utilizzare risorse prodotti da altri, si è dei parassiti. Tutti i meridionali, a queste parole, si indignano e si offendono, cercando, attraverso inconsistenti giustificazioni, di arrampicarsi sugli specchi. Pare quasi che, per colpe che qualcuno ha commesso 150 anni fa, il Nord abbia il dovere di mantenere il Sud per l’eternità.

111   Le cose da fare per risolvere i problemi del Sud sono molte. Ma qualunque intervento risulterebbe inutile se non se ne attua prima il più importante, premessa per ogni successiva azione: la sospensione della democrazia.

 112   La peculiarità del terrone è quella di nutrire la più totale sfiducia nei confronti dello stato e delle sue istituzioni, che egli considera tentacoli di una grande e vorace piovra.  Tale atteggiamento è il segno più evidente di una intelligenza sottile, maturata in secoli di vicissitudini storiche dalle quali il terrone ha tratto la verità ultima: il potere, qualunque potere, è il naturale nemico di ogni uomo libero.

 113 Nessun progresso sarà mai possibile fin quando i terroni continueranno a credersi i più bravi, i più intelligenti, i più furbi di tutti, ma soprattutto fin quando continueranno a scaricare su altri le loro esclusive responsabilità.

114   La natura di un popolo si evince da tante piccole cose, che sembrano non pertinenti, ma che, lette nel modo giusto, sono un libro aperto. Prendiamo ad esempio il modo in cui sono organizzati i colloqui scolastici. Non è possibile immaginare che decine di “professori” non siano in grado di organizzare i colloqui in modo tale che ogni genitore perda il minor tempo possibile e non passi il pomeriggio in inutili code. Questo non avviene, per la semplice ragione che a nessuno importa del tempo perso dagli altri. E così, il meridionale, fin dall’infanzia impara ad essere approssimativo e leggero riguardo gli orari e gli appuntamenti. La recita scolastica inizierà certamente almeno con un’ora di ritardo, così come la partenza dell’autobus per la gita scolastica, perché nessuno si presenterà con meno di un’ora di ritardo. Questo modo di fare è talmente radicato e considerato normale che se rimproverate qualcuno per il ritardo ad un appuntamento, questi vi guarderà stupito, non comprendendo la vostra indignazione

115   Ogni popolo è convinto di essere migliore di ogni altro popolo. Anche quello più scalcinato, più disastrato, più povero. più cialtrone, più parassita, più arretrato, più ignorante, più schiavo, più intollerante. Anzi, pare che tanto più le condizioni di un popolo siano disastrate, tanto più quel popolo si sente superiore, ed addebita i propri disastri ai più fantomatici ed immaginari nemici, oppure a qualche complotto internazionale che vuole quella situazione. Nessuno ammette di essere responsabile della propria condizione, ed è proprio questa la causa che impedisce qualunque cambiamento.

116     Un popolo che si piange addosso, aspettando che qualcuno risolva i suoi problemi, merita la miseria nella quale vive. Addebitare ad altri colpe che appartengono solo a sé stessi è da vigliacchi, o da emeriti coglioni.

117   Un serio studio della storia ci insegna una verità di cui pochi sono davvero coscienti: il popolo non ha mai contato nulla. La storia è sempre il frutto della dialettica esistente all’interno di sparute minoranze. Nel frattempo il popolo, composto in prevalenza da grandi coglioni, è convinto di contare qualcosa, e di essere determinante per i destini dell’umanità: stupidaggini.

118    Ogni popolo è fermamente convinto che i propri prodotti, tanto dell’agricoltura quanto dell’industria, siano i migliori esistenti. Anche di fronte all’evidenza il popolo è assolutamente cieco. Naturalmente esiste una minoranza priva di pregiudizi, capace di valutare le cose per quel che sono in realtà. Ecco perché in ogni società esiste una parte della popolazione che prospera, decide i destini del paese e detiene il potere, mentre la maggioranza vive di stupidi luoghi comuni, ed è, consapevolmente o meno, alla mercé dei potenti.

119   Il popolo? Ebbene, il popolo è fatto da quegli stessi individui che a Piazzale Loreto hanno vilipeso i cadaveri di Mussolini e di altri fascisti, e che tempo prima inneggiavano al duce a piazza Venezia.

120      L’elettore, in un politico, non cerca né l’onestà né la capacità, ma solo qualcuno che curi i suoi interessi, anche se, per fare questo, vengono calpestati i diritti degli altri.  Il proprio tornaconto è l’unica cosa che conta, ed al culo tutto il resto.

121    Il popolo manifesta sempre la propria indignazione di fronte alla pratica della raccomandazione, sebbene ogni persona, in privato, vi ricorre senza ritegno.

122   Quelle che noi chiamiamo rivoluzioni sono quasi sempre delle semplici rivolte. Il popolo che vi prende parte non è altro che uno strumento utile a coloro che vogliono sostituirsi ai precedenti governanti. Quando la rivolta sarà terminata il popolo avrà semplicemente cambiato padrone.

123     Perché avvenga una vera rivoluzione occorre che il popolo acquisti consapevolezza. Se questo accadesse non sarebbe necessario alcun uso della violenza. Ma la consapevolezza non apparterrà mai che a piccole minoranze, mentre le masse saranno mosse solo dai loro più elementari istinti. Coloro che saranno capaci di sfruttare questi istinti, useranno le masse per i propri fini. Mai dimenticare che tra Gesù e Barabba, il popolo salvò Barabba.

124   Ogni grande cambiamento è l’opera di una minoranza di intellettuali. L’intervento delle masse è semplicemente strumentale.

125    I coglioni sono convinti che la rivoluzione francese sia stata una rivolta del popolo contro i privilegi delle aristocrazie. In verità la rivoluzione francese è stato il mezzo per sostituire l’aristocrazia della terra con quella del denaro. Il popolo, dopo la rivoluzione, ha continuato ad essere quel che è sempre stato: una insignificante massa di servi.

126    Quelli che si lamentano del fatto che lo stato eroghi le pensioni sociali a chi non ha pagato contributi, trovando la cosa ingiusta, dovrebbero sapere che la stragrande maggioranza delle pensioni erogate a coloro che hanno pagato i contributi, sono quasi sempre superiori a quel che avrebbero dovuto essere se fossero erogate in base a quanto realmente versato. Quelli che oggi prendono pensioni da 1600 euro al mese, ad esempio, facendo i calcoli utilizzando la matematica attuariale e la speranza di vita al momento del pensionamento, si accorgerebbero di dover prendere pensioni da 800 euro al mese. È evidente che ricevono dallo stato un regalo superiore a quel che ricevono i pensionati sociali.

127   Il problema delle pensioni sembra irrisolvibile, secondo il terrorismo praticato da una massa di cialtroni, alcuni in malafede, altri assolutamente coglioni. Si presume che i pensionati saranno sempre di più, mentre coloro che lavoreranno saranno sempre di meno. Si omette però di dire una semplice verità: non conta assolutamente nulla il numero delle persone che lavorano. Quello che davvero conta è la quantità totale di ricchezza prodotta. Proviamo a pensare che non lavori più nessuno, perché dei sofisticati robot fanno tutto il lavoro che oggi fanno gli uomini. Credete che sia un problema? E perché mai? A noi non deve interessare quanto la gente lavori, ma di quanti beni possiamo disporre. Se un paio di scarpe lo ha prodotto una persona o una macchina, cosa cambia? Se il cibo viene prodotto da macchine sofisticatissime, perché mai pretendere che sia un uomo a zappare la terra? Nel futuro, sempre che non avvenga una imprevista catastrofe, tutta la produzione sarà realizzata da robot, e quasi tutto il lavoro sparirà per gli anziani e per i giovani. Ma questo non vorrà dire che non avremo cibo, medicine, abiti ed ogni altra cosa ci occorri.

128     Durante la guerra, con il pane razionato ed i bombardamenti, i cinema e le sale da ballo erano piene. Questo perché l’incertezza, la paura e le privazioni, spingono la gente a distrarsi, evitando di piangersi addosso. Ma soprattutto quando il futuro diventa incerto, si tende a vivere il presente, godendone per quanto sia possibile.

129     Del domani non me ne frega niente. Non so neanche se ci sarò.

130     La responsabilità del consumo di droga non è dello spacciatore, ma del consumatore. Nessuno viene obbligato a consumare droghe, come nessuno viene obbligato a fumare, a bere troppo, o a mangiare male. Non è del tabaccaio la colpa di chi fuma, né del barista la responsabilità di chi beve troppo. Occorre una assoluta assunzione di responsabilità, e smetterla di trasferire su altri responsabilità che sono proprie. Se la lotta allo spaccio di stupefacenti, dai costi inimmaginabili, è totalmente fallimentare, è perché le energie si dovrebbero concentrare su chi consuma sostanze, e non su chi le vende.

131     Non è il più intelligente a sopravvivere, ma quello che meglio si adatta al cambiamento. Quelli che si lamentano della crisi non si rendono conto che il problema è dentro di loro, ovvero nell’incapacità di comprendere i cambiamenti e di adattarvisi.

132     Raramente i politici sono più ladri del popolo che li ha votati.

133     È la somma degli egoismi di miliardi di persone che determina il corso della storia. Governare questi egoismi è innaturale e dannoso. Al di là di pochi e precisi limiti, occorre che ognuno faccia quel che meglio crede. È il sistema migliore per migliorare le condizioni di tutti. I limiti che possono essere imposti debbono riguardare solo la sicurezza, la proprietà e la libertà di ognuno.

134     Ogni volta che un governo ha voluto essere totalitario, nel senso di pretendere di controllare ogni aspetto della vita delle persone, è finita in tragedia.

135     I coglioni che straparlano di integrazione, sostenendo che essa sia sempre possibile, dovrebbero essere costretti a vivere per un periodo in un condominio abitato da zingari. Possiamo avere la matematica certezza che cambierebbero idea in brevissimo tempo.

136     Non si fa guerra che il banchiere non voglia.

137     Non è stata ancora combattuta una sola guerra che abbia portato benefici al popolo, il quale, alla fine, ne paga comunque il prezzo. A trarne vantaggio, che la guerra la si vinca o la si perda, sono sempre le solite oligarchie.

138     La globalizzazione è un processo inarrestabile dovuto al mutare del contesto tecnologico e geopolitico, e non certo alla volontà di qualche governo. Ne possiamo rallentare l’espansione, porre degli argini momentanei, ma nessuno sarà in grado di fermarla. Sicuramente la globalizzazione, come ogni mutazione sociale, produrrà vincitori e vinti. Ed i vincitori saranno proprio quelli che ne capiscono la natura, e si adattano al nuovo contesto socioeconomico, dandosi da fare ed evitando di invocare dazi, protezioni e barriere.

139    Spesso un buon paliatone, fatto al momento giusto, produce enormi benefici all’educazione di un figlio. La stessa cosa avviene con i popoli. Un paliatone, di tanto in tanto, serve a correggere le pessime derive che una società può prendere, e riportare il necessario equilibrio laddove tale equilibrio si fosse rotto.

140    Le ZTL e le isole pedonali, insieme ai parcheggi a pagamento, sono il miglior regalo che le pubbliche amministrazioni possono fare ai centri commerciali. Ad esclusione di importanti località turistiche, le isole pedonali rappresentano la morte dei centri storici.

141     Anche il   caos ha le sue regole. Tra ordine e disordine, tra caso e necessità, la natura trova sempre nuovi equilibri. L’uomo pensa, astrae, crea. Ma tutto, in potenza, è già creato. Tutto quel che può essere è già incluso nelle leggi che governano il mondo.

142     Ogni cambiamento risponde ad una necessità. Cambiare non è mai una scelta, ma una risposta indispensabile e spesso inconsapevole al mutare dei fattori contingenti. Il mondo propone continue innovazioni, alle volte impercettibili, altre volte dall’impatto dirompente. Un cambio di governo, una scoperta scientifica, una mutazione climatica, un trattato commerciale, cambiano il corso della storia. Il sistema è talmente complesso che nessuno è in grado di prevedere il futuro. Come in tutti i sistemi caotici, basta una piccola variazione per determinare, nel lungo termine, variazioni macroscopiche ed epocali.

143     Una puttana esercita per mestiere, a differenza di una zoccola che, invece, lo fa per vocazione. Puttane si diventa; zoccole si nasce.

144     Tra gli esseri umani le suore sono quelle dall’indole più cattiva, di una cattiveria nascosta sotto il velo della carità. Il rimorso di tutti i peccati che non hanno potuto commettere si trasforma in sottile disprezzo verso ogni essere umano.

145     Il Presidente della Repubblica parla, parla, parla, ma, in fondo, non dice assolutamente nulla, al di fuori di palesi banalità.

146     È nella natura di ogni prete il voler gestire il denaro degli altri e disporne a loro insindacabile giudizio, quasi fosse frutto del loro lavoro. Costoro amano fare la carità con i soldi degli altri, e gestire ospedali, ospizi, università, scuole. Lo fanno pretendendo di essere considerati benefattori, anche se poi il conto lo paga lo stato o coloro che usufruiscono di quei servizi.

 147    Pretty Woman è uno dei film più amati dalle donne, perché esalta le loro due massime aspirazioni: fare le puttane ed essere mantenute da un uomo ricco e potente.

148    Il vero dramma non sta nella disonestà dei politici, ma nella loro inconsistenza. La gran parte di loro si è formata nei ranghi della pubblica amministrazione, che è il regno dell’inefficienza, dei privilegi, dello sperpero, della corruzione, del parassitismo e del nepotismo. È normale che amministrino la cosa pubblica secondo i paradigmi tipici del mondo dal quale provengono. Un grande salto verso l’efficienza della macchina pubblica sarebbe l’obbligo, per chi pretende di avere cariche amministrative, di dimostrare una convalidata esperienza nella gestione di aziende private costrette, giorno dopo giorno, a confrontarsi con il mondo vero, quello che lavora e produce e nel quale chi non è efficiente viene spazzato via.

149     Raramente i politici sono più ladri degli elettori che li hanno votati. È inevitabile che un popolo di ladri elegga dei politici ladri. I quali, è bene ricordarlo, sono considerati tali solo quando rubano per sé o per gli altri, mai quando rubano per chi si lamenta della loro disonestà.

150   Esistono persone davvero importanti e persone che si danno importanza. La differenza tra loro è la stessa che passa tra chi è autorevole e chi ha autorità.

151   I giornalisti hanno il loro bravo albo, al quale non intendono rinunciare. Il suo scopo è quello di limitare l’accesso alla loro professione, e quindi diminuire la concorrenza. Sostengono che l’iscrizione all’albo sia una garanzia per i lettori che loro considerano, a ragione, dei gran coglioni. Non spiegano però come mai in America o in Inghilterra, dove esiste una stampa di alta qualità, non esista alcun albo dei giornalisti.

152     Se esiste una cosa che fa davvero incazzare è quando dei miserabili quaquaraquà che si dicono giornalisti, si permettono di fare i moralisti e pontificare di cose di cui non sanno assolutamente nulla. Questa genie di mantenuti, che prendono i loro stipendi da giornali mantenuti in vita dai finanziamenti pubblici, che piagnucola ogni qualvolta rischia di perdere il lavoro, ed invoca ulteriori interventi pubblici a carico dei contribuenti, ama, sopra ogni altra cosa, criticare il mondo dei lavoratori autonomi, considerati criminali evasori, e non persone che si fanno un culo enorme per guadagnare la pagnotta senza pretendere di vivere sulle spalle degli altri. Danno informazioni false, grossolane, approssimative, facendo credere cose inesistenti, e si astengono assolutamente da qualsiasi confronto che li farebbe apparire per quel che sono, dei miserabili coglioni.

153   Ogni artigiano crede che i suoi prodotti siano migliori di quelli realizzati dall’industria. Ci crede perché è un imbecille, e non riesce a vedere la realtà. La produzione industriale, che impiega macchine da milioni di euro e procedure impossibili per un artigiano, realizza prodotti migliori di quelli artigianali e, a parità di qualità, ad un prezzo molto più basso. Occorre prendere atto che quasi tutti gli artigiani che producono cose spariranno. Ne resteranno pochi davvero bravi per soddisfare i capricci di una clientela ricca, e disposta a pagare per qualcosa di esclusivo.

154     L’artigiano che si lamenta della crisi, ed aspetta con speranza che torni il lavoro, non si rende conto che il contesto è irreversibilmente cambiato, ed il suo lavoro è diventato inutile. La gente continua a spendere, ma ha priorità diverse rispetto al passato.

155    Quella degli avvocati è una delle categorie che annovera il maggior numero di sciacalli. Spesso avidi, cinici, falsi e corrotti, prosperano sulle disgrazie altrui, pronti ad avventarsi sul disgraziato che dovesse capitargli a tiro. Molto spesso il successo economico di un avvocato è in diretto rapporto con la sua indole criminale.

156    Basta una semplice scorreggia, per far si che un magistrato “apra un fascicolo”.

157     Il fatto che nella sola città di Roma vi siano più avvocati che non in tutta la Francia, la dice lunga sulle magagne della nostra legislazione e del nostro sistema giudiziario.

158     La vita di ogni grande uomo si è sempre intrecciata con grande frequenza con la vita di altri grandi uomini. Il rapporto con persone eccezionali, con quella minoranza che emerge dalla massa, è il nutrimento indispensabile allo sviluppo del proprio genio. Questa è la ragione del fatto che la vita dei grandi uomini, in qualunque ambito abbiano operato, si è sempre svolta nelle grandi città. È solo nelle grandi città che si concentrano le più brillanti intelligenze, formando quella massa critica necessaria all’esplosione del genio. La provincia, qualunque essa sia, è la patria della mediocrità e la tomba di ogni grandezza. La provincia è un luogo popolato di pulci che si credono leoni.

159     Ci sono quelli che fanno gli imprenditori, e ci sono quelli che vorrebbero insegnare a fare gli imprenditori. Visto che un imprenditore guadagna molto più che un insegnante, non si capisce per quale motivo, costoro, piuttosto che accontentarsi del loro misero stipendio, non avviano un’impresa.

160     Quella degli insegnanti è una categoria molto importante, alla quale dobbiamo grande riconoscenza. Purtroppo una schiera eccessivamente folta di insegnanti è composta da spocchiose nullità, da esseri insulsi ed inconsistenti incapaci di rendersi conto di essere delle spocchiose merdacce. Tra le altre cose, essendo la scuola pubblica, lo stipendio degli insegnanti in gamba e quello dei coglioni si equivale. E questa, per l’educazione dei giovani, è una sciagura. Aumentare lo stipendio degli insegnanti sarebbe giusto, se automaticamente non aumentasse anche lo stipendio di quelli tra loro che dovrebbero andare a zappare.

161    La disponibilità all’azzardo, ed una certa indole criminale, fanno parte del corredo di ogni imprenditore di successo. Egli non pretende di cambiare il mondo, né si pone problemi di ordine morale. Il vero imprenditore accetta il mondo così com’è, ed agisce di conseguenza.

162   Un imprenditore di successo insegue il profitto aumentando il fatturato, e non abbassando i costi, si circonda di persone capaci, pagandole bene, e non di mediocri pagati quattro soldi, e sa bene che per ottenere profitti occorre prima investire, senza troppo lesinare sulle spese.

163    L’intellettuale non sarà mai felice; è contro ogni legge di natura. Solo i semplici possono aspirare alla felicità, perché la loro sana ignoranza le spalanca le porte. L’intellettuale è perennemente insoddisfatto, perché cerca sempre più in profondità, senza mai trovare la verità ultima. Mentre l’intellettuale consuma la propria esistenza nella speranza di migliorare il mondo, il semplice accetta il mondo così com’è, e ne gode per quel che può. Fortunatamente l’istruzione di massa non è riuscita a diffondere la cultura, che rimane prerogativa di pochi, in modo tale che la massa, che continua beatamente a navigare nell’ignoranza, può ancora legittimamente sperare in qualche sprazzo di felicità.

164   Non tutte le zoccole lo sono allo stesso modo. Una zoccola romana, ad esempio, ha sempre qualcosa di decadente. Una zoccola napoletana ha una calorosa volgarità popolare. Una zoccola siciliana manifesta anche a letto la sua natura aristocratica. Una zoccola bolognese è succulenta e passionale come una buona lasagna. Una zoccola milanese è puntuale, efficiente e malinconica come una giornata di nebbia. Una zoccola torinese sa di gianduiotto.

165    Tra gli zotici, i peggiori sono quei mediocri piccolo borghesi che si credono dei signori, ignorando che i loro miserabili natali difficilmente possono essere nascosti ad un occhio allenato.

166   Quella del codardo è la categoria che annovera la stragrande maggioranza della popolazione. Se il potere è sempre detenuto da una minoranza, e se la stessa minoranza detiene la più grossa parte della ricchezza di una nazione, è perché il popolo accetta con viltà qualunque ingiustizia perpetrata in suo danno. Se il numero dei codardi fosse piccolo, nessuna minoranza sarebbe in grado di opprimere violentare e depredare la gran parte della popolazione. Se il popolo non fosse stato codardo, non sarebbe stato possibile che un signorotto con un manipolo di bravi riuscisse a sottomettere migliaia di contadini, ridotti in una condizione di vera e propria schiavitù.

167    Nessuno ammette di essere un coglione, addebitando sempre ad altri la causa dei propri problemi. La crisi, la Cina, la globalizzazione, qualche complotto, ogni pretesto è buono per giustificare il proprio fallimento. Omuncoli senza arte né parte, analfabeti rimbambiti dalla televisione, privi di qualsiasi conoscenza o professionalità, passano la vita a piagnucolare, elemosinando l’intervento dello stato perché garantisca loro un reddito. Nel frattempo altri, molto meno coglioni di loro, studiano, si aggiornano, viaggiano, imparano le lingue, si mettono in gioco e vanno avanti senza tante storie.

168     La folta schiera dei giovani diplomati disoccupati che si lamentano, è composta essenzialmente da miserabili coglioni che, avendo ottenuto un titolo di studio, credono di aver automaticamente diritto a un “posto”. Dopo anni di scuola non sono capaci di tradurre un breve testo in inglese, né di elaborare un testo in un italiano decente. Non hanno un minimo di cultura generale e di cultura scientifica. Praticamente sono degli assoluti analfabeti che hanno buttato al vento cinque anni della loro vita. Poi, non riuscendo a superare i test di ingresso a qualche facoltà universitaria, sostengono che ci vogliano le raccomandazioni, oppure che i test siano troppo difficili. E così, per garantirsi la pagnotta, iniziano a frequentare il territorio della politica, dove sperano di trovare una qualche sistemazione. Poiché sono questi giovani che con grande probabilità entreranno nella pubblica amministrazione, non ci si deve meravigliare dello sfascio imbarazzante in cui versa la macchina pubblica.

169     La capacità del comico di capire le cose del mondo supera quella di chiunque altro. Il comico, oltre ad essere dotato di grandissima intelligenza, ha la capacità di ridere di quelle cose che altri, stupidamente, prendono sul serio. Sicuramente un governo di comici farebbe meglio di un governo di politici tanto seriosi quanto coglioni.

170     Le donne si dividono in due categorie: e signore, che amano essere trattate da gran mignotte, e le mignotte, che amano essere trattate da gran signore.

171     Le donne meritano tutta la nostra considerazione, specialmente se sono giovani, belle, e piuttosto mignotte.

172   Una ragazza povera di facili costumi viene inevitabilmente considerata una zoccola, mentre una ricca che se la gode è solo una ragazza allegra.

173     Il signore, nel creare la donna, ha fatto un gran bel lavoro. Ne avrebbe fatto uno migliore se non le avesse dato la parola.

174    Per diventare davvero ricchi occorre possedere un’indole criminale. Se non si infrange la legge, si infrange la morale. Non esiste grande ricchezza che derivi dall’onesto lavoro di qualcuno, per quanto laborioso e bravo possa essere.

175     Esistono due tipi di ricchi, quelli che amano fare gli sborroni, e si arricchiscono per godersi la vita, e quelli che amano semplicemente accumulare denaro, spendendo il meno possibile. Mentre gli sborroni, spendendo, danno lavoro e stimolano l’economia, quelli che accumulano non danno alcun beneficio alla società, e le loro fortune andrebbero confiscate.
176     I danni maggiori fatti all’umanità originano sempre da coloro che pretendono di conoscere meglio di chiunque altro cosa è bene e cosa è male per gli altri. Questi presuntuosi pretendono di imporci ad ogni costo quei comportamento che loro ritengono necessari per il nostro bene, e non tollerano che ognuno decida da sé stesso. L’umanità ha subito i peggiori crimini proprio da costoro, intolleranti, crudeli e manichei.

177     Tutti quelli che vivono di stipendi pubblici passano la vita a lamentarsi di quanto siano sottopagati rispetto a quanto effettivamente meriterebbero. Eppure nessuno di loro lascia il proprio posto di lavoro per cercare migliori opportunità al di fuori dell’impiego pubblico. Evidente, in cuor loro, sanno di non valere un cazzo, e che solo lo stato gli può garantire uno stipendio sicuro senza alcun rapporto con le loro effettive capacità. 

178     In un sistema di concorrenza lo stipendio sarebbe in rapporto ai servizi prestati all’utenza, la quale sarebbe libera di rivolgersi ad altri enti. Questa libertà spingerebbe i cittadini a rivolgersi a chi garantisce servizi migliori e più efficienti, lasciando fallire i meno efficienti nei confronti della clientela. Solo in tale contesto i parassiti ed i fannulloni sarebbero costretti a lavorare con efficienza. Nella pubblica amministrazione, operante in un regime di monopolio, non esiste alcuna relazione tra lo stipendio ed il lavoro eseguito, mentre la garanzia del posto a vita non obbliga nessuno all’efficienza, con il risultato che vediamo.

179     La caratteristica principale della pubblica amministrazione e dei suoi dipendenti, è la mancanza totale di rispetto per i cittadini, per il loro tempo, per le loro necessità, per i loro diritti. Se tutto questo avviene è solo per la posizione di monopolio nella quale la pubblica amministrazione opera. Semmai esistesse un regime di concorrenza, ed il cittadino avesse la possibilità di rivolgersi all’ufficio che meglio lo serve, tutti gli uffici pubblici chiuderebbero per mancanza di “clienti” con il conseguente licenziamento dei dipendenti. Ma sono convinto che, se ci fosse concorrenza, tutti i dipendenti pubblici diventerebbero efficienti, gentili e zelanti.

180     Nel futuro l’unico vero capitale sarà la conoscenza. E proprio nella conoscenza si effettuerà il più proficuo degli investimenti. Le proprietà immobiliari varranno sempre meno, e lentamente si concentreranno nelle mani di poche società. Qualunque bene durevole verrà offerto in uso ad un certo canone, e nessuno avrà interesse ad acquistarne la proprietà.

181     La conoscenza, in ogni caso, non può essere tassata, rubata, pignorata. Resterà sempre nella vostra esclusiva disponibilità, finché sarete in vita. La conoscenza non consuma energia, non inquina, non ha costi di stoccaggio.

182     È solo la conoscenza che produce ricchezza, bellezza e benessere. I paesi più ricchi sono quelli nei quali la conoscenza è più abbondante e diffusa. Le multinazionali più potenti e performanti sono quelle che più di altre investono sulla conoscenza e sviluppano prodotti immateriali.

183     La gran parte delle notizie che ci vengono propinate non sono affatto delle notizie. Informarci che un paese spia un altro non è una notizia, ma un dato di fatto di cui tutti sono a conoscenza. Trasmettere un servizio sull’inefficienza della pubblica amministrazione non è dare notizie, perché si tratta di una informazione di pubblico dominio. Trasmettere non notizie è il miglior sistema per disinformare, perché, insieme a tante banalità la cui verità è certa, si inseriscono notizie false alla quali gli utenti automaticamente danno credito.

184    Ogni notizia va elaborata, sfruttando l’intelligenza, la capacità critica e la cultura di chi la riceve. La stessa notizia, nella mente di un intellettuale o nella mente di un analfabeta, ha due diverse interpretazioni.  Informare il popolo, in ogni caso, equivale a consegnare una Ferrari a chi non può permettersi di fare il pieno.

185   Il cinema trash, con i vari Bombolo, Pierino, e compagnia cantando, ha una sua dignità, ma soprattutto una sua onestà. Perché questo cinema si presenta per ciò che è, e non ha alcuna pretesa se non quella di far divertire i semplici. Esiste un cinema, invece, che vorrebbe essere impegnato, ma che produce solo dei grandi polpettoni.

186     Per comprendere la vera natura del popolo, e quelli che sono i suoi desideri, è sufficiente prendere atto di cosa trasmette la televisione, e di quali siano i programmi più seguiti. Qualunque persona intelligente comprende la follia del suffragio universale, a la necessità di dare al popolo l’unica cosa che davvero desidera: “panem et circenses”.

187    Più aumenta la qualità tecnica degli apparecchi televisivi, e più diminuisce la qualità dei programmi trasmessi. La merda, trasmessa in alta risoluzione, puzza ancora di più.

188     Il valore legale del titolo di studio è una vera iattura, perché fa sì che tutti vogliano frequentare la scuola, e non solo quelli che hanno voglia di studiare. La gran parte degli studenti ha bisogno di un “pezzo di carta” senza del quale non potrebbe accedere al pubblico impiego. E così abbiamo una massa di diplomati completamente analfabeta, condotta al diploma da una massa di insegnanti che teme per il posto di lavoro, messo a rischio nel caso in cui, facendo il proprio dovere, iniziassero a bocciare i ciucci.

189     Anche quando due persone guardano la stessa cosa, vedono, in realtà, due cose diverse. E questo avviene perché quel che vediamo viene elaborato nella nostra mente, utilizzando l’intero bagaglio intellettuale di cui disponiamo. E poiché ognuno di noi ha un bagaglio intellettuale diverso, il frutto dell’elaborazione sarà necessariamente diverso.

190     La cultura è una pianta che attecchisce e cresce rigogliosa solo nelle grandi città. Perché è solo nelle grandi città che essa trova il terreno ed il clima adatti alle sue necessità. Chi sostiene che la cultura appartenga anche alla provincia è uno che non ha mai frequentato la vera cultura, o che confonde la cultura con l’istruzione. Che poi vi siano, anche in provincia, singole persone dotate di vasta cultura, non deve far dimenticare che una rondine non fa primavera.

191     Il buon Dio ha avuto il buon senso di escludere la gran parte delle persone dal mondo della cultura, lasciando le masse in una meravigliosa ignoranza. Questo garantisce loro una certa dose di felicità, negata a coloro tanto stupidi da volersi acculturare.

192    I relativisti, schiera di perfetti coglioni, sostengono che tutte le culture si equivalgono, e che non esiste una scala gerarchica tra diverse espressioni culturali. Quindi secondo loro la cultura architettonica di chi costruisce capanne di fango è equivalente a quella di chi ha costruito cattedrali e che oggi costruisce grattacieli. La cultura musicale di chi suona tamburi è equivalente a quella dei Verdi e dei Beethoven. La cultura tecnica di chi costruisce lance di legno equivale a quella di chi costruisce satelliti artificiali.  Per affermare tutto questo occorre davvero essere degli idioti.

193     Nove laureati su dieci, dal momento della laurea, non leggono più un libro per il resto della loro vita. In fondo se ne vergognano, e si giustificano sostenendo di non aver tempo, sebbene smanettino ore con i telefonini.

194     Coloro che non leggono libri, per darsi un tono, amano arredare le loro case con librerie imponenti e pretenziose. Quelli che invece leggono, amano librerie semplici e pratiche.

195     Il vero valore dei libri non sta in ciò che vi è scritto, ma nel fatto che la lettura è una ottima ginnastica per il cervello, e consente di costruire quella capacità critica che divide gli uomini tra élite e popolino.

196     Esiste una relazione diretta tra la quantità di libri letti in un determinato territorio, e la qualità della vita che vi si conduce.

197     Il valore legale del titolo di studio è una vera jattura, perché spinge tutti i giovani a prendere un “pezzo di carta” senza del quale non potranno fare i concorsi pubblici. E così ci ritroviamo una scuola piena di caproni che non hanno voglia di fare assolutamente nulla, e degli insegnanti che li promuovono sempre e comunque per non perdere studenti e rischiare di essere trasferiti.

198     La gran parte dei giovani diplomati ha difficoltà a superare i test di ingresso universitari, giustificandosi con il fatto che tali test siano difficili. La verità è che questi giovani sono dei caproni, e se avessero studiato non avrebbero avuto nessuna difficoltà a superarli.

199     I disoccupati si dividono in due categorie: quelli che cercano un lavoro e quelli che cercano un posto. I primi, in un modo o nell’altro, qualcosa la fanno sempre, mentre i secondi, in attesa del “posto” non fanno un cazzo.

200   È estremamente raro che un giovane che non trova lavoro riconosca che, in effetti, non sa fare assolutamente nulla.

201     La rovina di molti ragazzi deriva dall’imbecillità dei genitori, e dalle loro frustrazioni. Costoro raramente spingono i figli ad intraprendere studi ad indirizzo tecnico o professionale. Tutti vorrebbero i figli avvocati o commercialisti, e poi se li ritrovano a 40 anni a dovergli somministrare la paghetta.

202    Il semplice fatto che il 90% dei giovani non è capace di fare una semplice traduzione dall’inglese, nonostante 8 anni di studio della materia, spiega molto riguardo alle difficoltà che questi hanno a trovare un lavoro decente. Raramente ho visto giovani preparati, svegli ed intraprendenti restare disoccupati troppo a lungo.

203     Chi ambisce alla ricchezza dovrà guardarsi bene dal pagare sempre tutti i propri debiti. Ogni ricco, se avesse sempre onorato la propria parola, sarebbe certamente molto meno ricco. Eppure i ricchi, i truffatori, gli insolventi, i bancarottieri e gli usurai, quando entrano in banca vengono ossequiati e riveriti, mentre onesti lavoratori, sempre rispettosi della legge e del prossimo, se non sono ricchi, vengono trattati con sufficienza, se non palesemente maltrattati.

204    Il debito pubblico, se emesso da uno stato con moneta sovrana nella propria valuta, è pura finzione contabile. Questo per la semplice ragione che lo stato sarebbe indebitato verso sé stesso, ovvero verso la propria banca centrale.

205     Tanto più c’è crisi, tanto più i locali e le spiagge sono affollati.

206     In tempo di crisi ci sono quelli che si lamentano e piagnucolano, aspettando che torni il sereno. Nel contempo ci sono quelli che si danno da fare, e vanno avanti. Crisi o non crisi, esistono sempre opportunità da sfruttare, e, in ogni caso, sono proprio quelli che si danno da fare a far si che le crisi passino. Se dipendesse da coloro che si fermano a piagnucolare, ogni crisi sarebbe irreversibile.

207     Non esiste la crisi, esistono solo cambiamenti più o meno rapidi. Troppi, purtroppo, hanno difficoltà a capire ciò che accade, e passano il tempo a piangersi addosso, aspettando, invano, che la crisi passi. Altri, avendo una mente più aperta e pronta, si adattano al cambiamento, cogliendo quelle opportunità che sempre esistono. Anche nei momenti storici più drammatici, esistono persone che si arricchiscono.

208     La crisi colpisce prevalentemente i coglioni, quelli, per intenderci, che vedono la Cina come un paese dagli stipendi da fame, e non come un paese che sforna ogni anno 500 mila laureati in materie scientifiche tra i più preparati. I coglioni chiedono dazi protezionismo, quelli più intelligenti si preparano a produrre per decine di milioni di nuovi ricchi.

209   Non esistono spese inutili, perché ogni spesa comporta il trasferimento di denaro. Quando un ricco spende in articoli di lusso o voluttuari, produce lavoro. Quando osserviamo e rimaniamo ammirati per opere che sfidano i secoli, come chiese, monumenti ed opere d’arte, non dobbiamo dimenticare che tali opere si sono potute realizzare perché un potente, tassando i suoi sudditi, ha raccolto il denaro necessario alla loro realizzazione. Ma nello spendere quel denaro ha fatto lavorare spesso migliaia di artigiani che, altrimenti sarebbero rimasti disoccupati. Perché quel denaro, nelle mani dei sudditi, sarebbe stato speso per la pura sussistenza. E non vi sarebbe stato neanche alcun progresso nel campo della tecnica, dell’artigianato e delle costruzioni. Senza quelle “ingiuste” tasse non potremmo ammirare alcuna opera umana, se non semplici capanne di fango.

210     L’economia di un paese è come una grande torta. Per quanto grande possa essere, vi sarà sempre qualcuno che ne avrà molta, e qualcun altro che ne avrà troppo poca.

211     Una città che non ha né industrie né industriali è una città la cui borghesia ha problemi di natura culturale. Quando non esistono imprenditori disposti ad investire nella produzione di beni o servizi vendibili in un libero mercato, ed a livello globale, vuol dire che la sola idea di economia esistente tra questa borghesia cialtrona, è quella che consiste nell’operare in un mercato protetto dalla concorrenza o, peggio ancora, che vede come unico cliente la pubblica amministrazione. La sua massima ambizione è mungere, sempre e comunque, la mammella pubblica.

212     Il successo di un imprenditore deriva, spesso, dalla sua capacità di vedere cose che altri vedono con molto ritardo. Nella corsa verso il successo, partire in anticipo garantisce enormi vantaggi.

213     È solo la libera iniziativa che garantisce la prosperità economica. Il desiderio di profitto è l’unica molla che spinge gli uomini a fare, rischiare, investire, lavorare sodo, rischiare. Quando uno stato, attraverso le tasse, la burocrazia, le regole, i sindacati, ed un enorme apparato parassitario da mantenere, riduce i redditi degli imprenditori, tutta l’economia va a scatafascio. Alla fine, anche i parassiti che si sentono al sicuro, pagheranno lo scotto della mancata produzione di ricchezza. Perché deve essere chiaro che per distribuire ricchezza occorre che essa sia prodotta. Quando un imprenditore porta a casa meno di quanto guadagna un bidello, senza godere delle sue garanzie e delle sue tutele, non potrà che prendere che una di queste due decisioni: o entrare nel novero dei parassiti, oppure evadere alla grande.

214     Dicono che il lavoro nobilita l’uomo; assolutamente falso. È il reddito a nobilitarlo, ovvero la possibilità di soddisfare i bisogni. Infatti sta meglio chi ha un reddito senza lavorare, rispetto a chi lavora senza avere un reddito.

215    Il lavoro, fortunatamente, sparirà. La tecnologia libererà finalmente l’umanità dalla necessità di dover svolgere lavori faticosi, ripetitivi, sporchi. I politici, spesso perché ignoranti, sperano di aumentare i propri consensi promettendo quel lavoro che, invece, pian piano sparirà. La ricchezza necessaria a consentire a tutti di condurre una vita libera e dignitosa sarà prodotta da una minoranza di persone capaci di gestire strutture tecnologicamente automatizzate e sempre più sofisticate.

 216    Per la stragrande maggioranza è difficile immaginare la possibilità di avere un reddito senza lavorare, perché, incapace di usare bene il proprio cervello associa automaticamente il reddito alla quantità di lavoro. Il reddito, invece, non centra nulla con la quantità di lavoro svolto, ma dipende dalla quantità di ricchezza prodotta. Altrimenti chi ara un campo con il bue dovrebbe essere più ricco di chi ara il campo con trattori potentissimi. Se ciò che oggi producono miliardi di persone viene prodotto da robot, dove sta il problema?

217     L’umanità ha sempre sognato una mitica età dell’oro, nella quale si era liberi dalla schiavitù del lavoro. Eppure, oggi che ci avviciniamo a questa meta, la gente si lascia prendere dal panico, convinta che la mancanza di lavoro vorrà dire miseria. Ma se l’umanità avrà a disposizione tutti i beni ed i servizi di cui ha bisogno, perché mai dovrebbero esserci problemi? È chiaro che nella fase di transizione durante la quale il lavoro man mano sparirà, ci saranno enormi problemi, che i politici dovranno risolvere. La cosa più difficile sarà quella di accettare l’idea che, alla fine, tutta la produzione sarà realizzata da aziende pubbliche, per la semplice ragione che le imprese private, non pagando più stipendi, non potranno neanche avere più clienti. Che piaccia o meno, il futuro dell’umanità sarà una particolare forma di comunismo.

218     Se il datore di lavoro che sottopaga un dipendente pur potendosi permettere di pagarlo a dovere è da biasimare, lo è altrettanto chi accetta di lavorare per una paga miserabile. Se nessuno accettasse di lavorare per pochi soldi, ogni datore di lavoro che avesse davvero bisogno di personale, sarebbe costretto a pagare il giusto. I maggiori danni al mercato del lavoro non li fa l’imprenditore che paga poco, ma chi accetta di farsi sottopagare. Ciò che non si dice è che chi accetta di farsi sottopagare, probabilmente non vale molto più della paga che prende. Chi davvero vale, difficilmente è disposto a farsi sfruttare, e a piangersi addosso per anni: si rimbocca le maniche ed esplora altre strade.

219    Ho più ammirazione per chi, pur di non farsi sfruttare e maltrattare, si mette a delinquere, che di chi cala la testa ed accetta di essere trattato come uno schiavo. Non esiste giustificazione per chi si fa schiavizzare, se non la constatazione di essere nati servi.

220     In una società che tende inesorabilmente alla smaterializzazione, il valore degli immobili tenderà mediamente a scendere. Molto probabilmente mantenere un immobile costerà molto più del reddito che da esso si potrà ricavare. Nel lungo periodo tutta la proprietà perderà di valore, perché la tendenza è quella di pagare l’uso di un bene per il tempo che si riterrà opportuno. Di ogni bene si preferirà un canone d’uso, piuttosto che acquistarne la proprietà.

221     I mediocri passano la vita ad inveire contro i padroni, senza mai prendere il coraggio tra le mani e mettersi in proprio. Le persone in gamba, se reputano di valere qualcosa, non si lamentano dei loro padroni, ma cercano di diventare padroni a loro volta.

222     I mediocri addebitano ai cinesi tutte le loro disgrazie, sostenendo tesi che non stanno né in cielo né in terra. Nessuno ammette che i cinesi sono dei gran lavoratori, come lo sono stati gli italiani del dopoguerra. Investono, sono molto intelligenti, e soprattutto sfornano ogni anno centinaia di migliaia di laureati in materie scientifiche tra i più brillanti. Il giovane italiano che si lagna, con il suo diplomino da ragioniere e la sua imbarazzante ignoranza, non ammette di non sapere e di non volere fare un cazzo, se non occupare uno dei tanti posti da fancazzisti che la pubblica amministrazione offre.

223     La vera forza dei cinesi sta nella nostra debolezza, nel senso che siamo un popolo di vecchi che pensano ed agiscono da vecchi. L’italiano non ha più alcuna voglia di investire, ed impiega i suoi capitali su qualcosa che possa garantirgli una rendita. Mentre i cinesi si laureano in ingegneria, gli italiani si laureano in giurisprudenza, in giornalismo, in sociologia e in tante altre materie fatte di nulla. Poi pretendono che lo stato garantisca loro un reddito, semplicemente perché si sono laureati. E quindi si inventano lavori inutili, tanto per giustificare uno stipendio. E mentre l’italiano si crede importante perché è stato assunto come addetto stampa in qualche ente, il cinese inventa prodotti tecnologici all’avanguardia.

224     Una delle ragioni della miseria imperante in contesti con cultura profondamente contadina è il senso della parsimonia insito in codeste culture. La parsimonia dei pochi si può tollerare, quella dei molti crea miseria perché limita lo sviluppo. Poco risparmio e molta spesa beneficiano la comunità più che molto risparmio e poca spesa.

225   Ognuno pensa esclusivamente ai propri interessi, ritenendoli sempre e comunque prioritari rispetto agli interessi degli altri. Dell’interesse generale non importa nulla a nessuno. Ecco quindi la necessità di avere un governo con le palle, che non si faccia ricattare da ogni piccola e grande lobby. La democrazia, nel voler conciliare gli interessi di tutti, troppo spesso non produce che immobilismo, più deleterio di qualche piccola ingiustizia.

226     Nessuno è più povero dell’avaro, perché non ha né per sé né per gli altri.

227     Dio c’è, anche se alle volte sembra che giri la testa dall’altra parte. Avrà le sue buone ragioni, che noi non comprendiamo.

228     Sono certo che Dio sia un buontempone, godereccio ed un po’ goliardo. Alle volte fa degli scherzi piuttosto crudeli, e non capiamo perché. Quelli che immaginano Dio come un essere severo e triste sono solo dei frustrati mentali.

229     Tutti hanno pregiudizi su tutti, e raramente sono infondati.

230     Spesso il povero, non riuscendo ad arricchirsi, vorrebbe che anche i ricchi diventassero poveri. Questa è la sua idea di giustizia. Quelli intelligenti, invece, anche se poveri ammirano i ricchi, e cercano di arricchirsi a loro volta. È solo in questo modo che si incrementa la ricchezza di una nazione, ed il benessere generale. Perché non bisogna dimenticare che anche il povero, in una nazione ricca, è meno povero del povero di una nazione povera.

231    La più dannosa coglionaggine è quella di sottovalutare gli altri. Credersi migliori di tutti riserva sempre amare sorprese, con il rischio di ritrovare coloro che avevamo sottovalutati, davanti a noi.

232     Il perfetto coglione si crede sempre nato “imparato”. Nonostante le sue conoscenze siano estremamente limitate, è sua convinzione di sapere più e meglio di chi, attraverso lo studio, i viaggi, le esperienze, ha acquisiti davvero una valida conoscenza su una certa materia. Quasi tutti quelli che producono vini imbevibili sono convinti di produrre il miglior vino al mondo, anche se da 50 anni non bevono altro e non hanno alcuna conoscenza del settore. E così contestano con arroganza il parere di chi davvero se ne intente, e muove fatturati per decine di milioni di euro.

233   Quando dici che il 90% della popolazione moriva prima dei cinquant’anni, il coglione ti risponde che non è così, perché sa di uno che è morto a 70 anni. Quando dici che, mediamente, i laureati guadagnano di più di chi non ha studiato, il coglione ti dirà che invece conosce un analfabeta che è diventato ricco. Quando dici che i figli delle famiglie alto borghesi hanno maggiori possibilità di inserirsi in posti di alto livello, il coglione ti dirà che non è vero, perché conosce il figlio di in poveraccio che è diventato direttore di banca. Parlare con dei coglioni è davvero difficile, perché non hanno il senso della logica e dei numeri.

234     Il più diffuso sport nazionale è quello di parlare di cose di cui non si sa nulla. E tanto meno si sa, tanto più si pretende di aver ragione.

235     Ridere di sé stessi e non prendersi mai troppo sul serio, è segno inequivocabile di grande intelligenza. Il riso non abbonda sulla bocca degli stolti, ma su quella dei saggi che hanno capito che, in fondo, la vita è solo una grande commedia.

236     Il razzismo esiste in due varianti: quella etnica e quella culturale. Se il razzismo basato sull’etnia è sempre censurabile, quello basato sulla cultura è assolutamente legittimo. Perché ognuno desidera condividere la propria vita con persone portatrici degli stessi valori. Credo che nessuno ami vivere in un condominio in cui vi siano famiglie di zingari. È forse razzismo questo? Forse il rispetto delle altre culture vuol dire accettare di trasformare la propria vita in un inferno, la propria città in una cloaca, il frutto del proprio lavoro e dei propri sacrifici nel bottino di chi fa del furto l’unico modello di vita? Se questo è razzismo io sono il più razzista dei razzisti.

237     Comunque sia, essere razziasti è un sentimento. Così come l’odio, l’amore, il disprezzo. Eppure vorrebbero, attraverso la legge, sopprimere anche i sentimenti. È chiaro che non ci riusciranno mai. Ed allora tutto si riduce ad essere pure razzisti, l’importante è non dichiararlo.

238     Ogni resistenza al cambiamento è sempre deleteria. La scelta più intelligente è prendere coscienza dei cambiamenti, ed adeguarsi. I coglioni non capiscono che tutto muta incessantemente, e mai nulla rimane uguale a sé stesso. Il vero problema è che solo le menti più aperte si adeguano senza difficoltà ai cambiamenti.

239     L’invidia sociale è prerogativa di tutti i mediocri. Costoro, non avendo le palle per intraprendere o per rischiare, vorrebbero che tutti fossero miserabili come loro. Non si rendono conto, i coglioni, che la ricchezza di pochi, le loro ambizioni, i loro investimenti, la loro intraprendenza, la loro ricerca del benessere, produce la gran parte dei benefici di cui anche loro beneficiano. In una società senza ricchi, anche i poveri sono più poveri.

240   L’evoluzione della specie è come un missile che naviga senza conducente.  Al momento del lancio ha già al suo interno tutte le istruzioni per raggiungere gli obiettivi e superare gli imprevisti. Il caso, date queste premesse, si sviluppa entro ben determinati limiti.

241    Solo chi fa sbaglia. Ma è grazie agli errori che l’umanità è progredita. I vigliacchi che, per paura di sbagliare, non fanno nulla, passano la vita a criticare tutto e tutti, nella speranza di assistere al fallimento altrui, unica consolazione alla loro vita miserabile. Se oggi godiamo dei benefici del progresso, e sono immensi, è grazie agli infiniti errori che gli uomini veri hanno fatto nel corso della storia.

242     Troppi confondono il vivere con l’esistere. Coloro che davvero vivono sono una minoranza. La gran parte delle persone si accontenta di esistere.

243     Nella vita, restare indietro, crea dei problemi. Ma problemi ancora più grandi li ha chi è troppo avanti rispetto agli altri.

244     A differenza di quel che comunemente si crede, l’uomo è l’unico animale ad essere profondamente irrazionale. Ogni altro animale fa ciò che deve per garantire a sé e alla propria specie la sopravvivenza. L’uomo, viceversa, fa dell’irrazionalità il cardine delle proprie scelte, basti pensare all’innamoramento. Se esiste una differenza rispetto alle altre specie viventi, è proprio nella frequenza con la quale l’uomo commette errori. Ma è proprio l’errore ad aver garantito il progresso e la civiltà. Senza l’errore ci ritroveremmo ancora nelle caverne. Sottrarre all’uomo il suo libero arbitrio equivale a sottrargli proprio quella prerogativa che lo distingue da ogni altra specie vivente.

245     In un mondo davvero civile ognuno dovrebbe essere libero di fare quel che vuole, salvo, naturalmente, ciò che espressamente la legge proibisce. Eppure i burocrati non riescono ad accettare questa idea, convinti che sia indispensabile dover chiedere licenze, permessi, autorizzazioni: la chiamano anarchia. Io credo invece che temano per il loro inutile posto di lavoro e per quel po’ di potere di cui immeritatamente godono.

246    La vera libertà sta dentro di noi, e nessuno potrà mai togliercela. Un uomo libero è libero sempre, anche sotto una dittatura, perché la vera libertà è quella di pensiero. Purtroppo la gran parte delle persone non sa cosa farsene della libertà, che presuppone una assunzione di responsabilità che costa fatica. E così si preferisce avere un padrone, che decida al posto loro e provveda, in qualche modo, alle loro elementari necessità. Non è il padrone a creare lo schiavo, ma lo schiavo a pretendere un padrone.

247   È imbarazzante constatare come individui mediocri ed inconsistenti, parlino con sufficienza di altri popoli di cui, sostanzialmente, non sanno assolutamente nulla. E tanto più sono miserabili, inutili ed ignoranti, tanto più nutrono disprezzo verso coloro che credono inferiori. Quasi sempre non saprebbero indicare su un mappamondo dove vive il popolo di cui parlano.

248     Tanto più si è mediocri tanto più si invoca l’intervento pubblico per risolvere i propri problemi economici. Raramente quelli che non hanno lavoro, o che lavorano in modo precario e sottopagato, si rendono conto che è la loro mediocrità a determinare questa situazione. I giovani che non riescono a trovare lavoro non ammettono che praticamente non sanno fare nulla. Credono che il solo titolo di studio dia loro diritto ad uno stipendio, nonostante siano quasi sempre delle capre super ignoranti.

249     Tutti quelli che sperano di cambiare il mondo inseguono l’utopia. Il mondo va per conto proprio in ragione di una moltitudine di fattori incontrollabili. Ma la spinta più potente verso ogni cambiamento è l’innovazione tecnologica e scientifica. Ad ogni nuova scoperta la società cerca e trova nuovi equilibri. La ruota, il telescopio, la locomotiva, il telaio, l’energia atomica, internet, hanno stravolto tutto, ed aperto nuovi orizzonti all’umanità. Opporsi al progresso è inutile e controproducente. Le persone intelligenti accettano la realtà, e lasciano l’utopia ai poeti.

250     Gli stupidi amano parlare del mondo, come se ne esistesse uno solo. Di mondi ne esistono tanti, ognuno con i suoi valori, le sue regole, le sue idiosincrasie. Il mondo del sottoproletariato di periferia non è il mondo dell’alta borghesia di una metropoli. Il mondo degli intellettuali, degli artisti e dei creativi non è il mondo degli impiegati o dei contadini. Il mondo dello spettacolo non è il mondo dei burocrati. Ognuno vive nel proprio mondo, chiuso in sé stesso ed incurante di quel che accade altrove.

251       La vita è tragica ma non seria. Alla fine si riduce tutto ad una grande commedia.

252      Attraverso il teatro riusciamo a vedere ciò che siamo, al di là dell’apparenza e della finzione. Il teatro mette a nudo la nostra vera natura, sorprendendoci e costringendoci a ridere di noi stessi, atto di grande intelligenza

253     In qualunque gruppo sociale, piccolo o grande che sia, vi saranno sempre alcuni individui che emergeranno dalla massa. Grazie alla loro forza, alla loro saggezza, alla loro cultura, alla loro intelligenza, alla loro astuzia o al loro coraggio. Ovunque e in ogni tempo si formerà naturalmente una aristocrazia. Queste aristocrazie non possono essere eliminate, ma solo sostituite. Semmai dovessero improvvisamente sparire, in breve tempo se ne formerebbero di nuove. La natura aborre il vuoto.

254   Gli idioti credono che con la fine degli antichi regimi e l’instaurazione delle democrazie, il destino dei popoli sia stato posto nelle mani dei popoli. In realtà l’antica aristocrazia elle armi è stata sostituita con una nuova aristocrazia del denaro. Il destino dei popoli resta tuttora nelle mani di una minoranza, che non è certamente quella costituita dai parlamentari.

255     Se le società non includessero le disuguaglianze, non vi sarebbero né storia né progresso alcuno. A trarre vantaggio da questa condizione sono anche quelli che risultano untimi nella scala sociale. Mai dimenticare che oggi, un povero, vive meglio di un benestante di cento anni fa.
256     La disuguaglianza è indispensabile alla vita e all’evoluzione. Senza disuguaglianze tutto si fermerebbe, perché la natura, che tende all’equilibrio, non avrebbe l’energia per mutare incessantemente, e non ci sarebbero più né spazio né tempo.
257    Tuttavia, se le disuguaglianze sono auspicabili, in quanto generatrici di energia sociale, non sono tollerabili disuguaglianze eccessive. Nessun uomo può guadagnare, da solo, quanto mille altri uomini.
258    Il lusso produce due grandi benefici. Mentre dà lavoro a milioni di persone, spinge a migliorare i prodotti esistenti, producendo, nel tempo, miglioramenti anche per i prodotti popolari. Solo gli invidiosi, non potendosi permettere il lusso, desiderano che non ve ne sia per nessuno, rendendo il mondo decisamente grigio.

259     Anche se vestissimo tutti in jeans, ci sarebbero jeans da 10 euro e jeans da 200 euro. Perché il ricco ama distinguersi, e per farlo pretende cose che costino molto, e che non tutti possono permettersi. Per il ricco, più che la qualità dei prodotti, conta il prezzo.

260     I poveri, che denigrano i ricchi, in fondo vorrebbero essere come loro. Non potendolo essere, vogliono almeno apparire tali, e quindi acquistano prodotti di lusso taroccati.

261     La vera massoneria è una consorteria che si forma naturalmente, senza riti e senza tessere, tra tutti i potenti di un determinato luogo. Coloro che vi fanno parte occupano posti di potere utili a dispensare favori ad altri potenti che pagheranno con la stessa moneta. Non hanno né bandiere né partiti, ma solo l’interesse a perpetuare privilegi e poteri all’interno della propria consorteria.

262     I nostri natali determinano gran parte di ciò che siamo. Si tratta di un fardello che ci portiamo dietro per sempre, e del quale è difficilissimo liberarsi. Nasconderli, poi, è quasi impossibile. Da tante piccole cose si capisce sempre di quale natura furono.

263     Tutta la nobiltà ha origine nel crimine e nella sopraffazione. Il capostipide di ogni dinastia nobile è sempre un uomo d’armi, ovvero un brigante che operava per sé o per altri. Non esiste alcuna differenza tra un nobile ed un mafioso, entrambi pretendono il pagamento di un tributo per garantire la vostra sicurezza, oltre all’idea di poter disporre liberamente della vostra vita. Tutta la ricchezza dei nobili è il frutto di predazione, sopraffazione, prepotenza.

264   La democrazia è un lusso che non tutti i popoli possono permettersi. Il suo prezzo si paga con secoli di storia.
265     La maggior parte della popolazione non sa cosa farsene della democrazia, trovando sufficiente vivere senza privazioni e senza affanni.
266     Gli effetti di una democrazia imposta ad un popolo di sudditi, e quindi inadatto ad applicarne i principi, si può facilmente verificare in paesi come la Libia, L’Iraq, l’Afghanistan. La democrazia può solo nascere spontaneamente, e lo fa solo dove ne esistono i presupposti.

267     Quasi sempre viene spacciata per democrazia qualcosa che è solo il suo simulacro. La nostra democrazia, intendo quella del meridione d’Italia, è una farsa alla quale tutti fingono di credere, alcuni per pigrizia, altri per interesse.

268     La democrazia è quel sistema nel quale i molti che non pagano pretendono di decidere come spendere il denaro dei pochi che pagano.

269     La democrazia è il sistema più efficiente per soddisfare la massima ambizione di buona parte dell’umanità: vivere a spese di qualcun altro.

270     L’ambito architettonico riesce a rappresentare appieno gli effetti della democrazia sulla società, allorquando viene impiantata in contesti inadatti. Basta prendersi la briga di osservare cosa è stato edificato in 70 anni di democrazia. Salvo rare eccezioni, la qualità architettonica degli edifici scade nel banale, se non nel Kitsch. Quando governa un dittatore, oppure una monarchia, esiste un interesse concreto a realizzare opere che durino nei secoli e che diano lustro a chi le ha realizzate. Il governo di una democrazia pensa esclusivamente al presente, ed al consenso immediato. Realizza cose che portano voti nell’immediato, anche se produrranno disastri nel futuro. L’Italia è piena di opere meravigliose, che vanno dalla Magna Grecia al periodo fascista. Ma nulla di valido e duraturo è stato realizzato in settanta anni di democrazia, sebbene si siano edificati più metri cubi che nei 25 secoli precedenti.

271     Due sono le attività che caratterizzano ogni governo: tassare tutto il tassabile e governare la spesa pubblica. E nel governo della spesa pubblica si esercita il più lucroso dei poteri.

272     Ogni buon governo non dovrà mai fare a meno di considerare l’uomo unitamente alle sue miserie. L’imperfezione è l’essenza della natura umana, ed implica la possibilità di commettere errori. E senza errori non vi sarebbe alcun progresso. Se gli uomini fossero delle macchine perfette non vi sarebbe alcuna indeterminazione, nessun imprevisto, nessuna storia, nessun progresso. Se l’uomo si distingue da ogni altro organismo vivente è proprio grazie al libero arbitrio.

273     Non esiste un governo di ladri se non dove esiste un elettorato di ladri. Il popolo, quasi sempre, non si rende conto della propria disonestà. Per quanti sotterfugi utilizzi, per quante furbizie attivi a suo vantaggio, per quanti privilegi immeritati goda, si sentirà sempre onesto, e denuncerà negli altri quella disonestà che, in fondo, gli appartiene totalmente.

274   L’uguaglianza non è sinonimo di giustizia. Direi anzi che l’uguaglianza è quasi sempre l’applicazione di una grande ingiustizia, perché pretende di trattare allo stesso modo uno che ha studiato con impegno e sacrificio, e poi lavorato dando il massimo, e un fannullone che non ha mai fatto nulla, senza arte né parte. Dove si applica l’uguaglianza a tutti i costi si verifica che chi è capace e volenteroso non fa nulla, visto che prenderà lo stesso stipendio del fannullone. Il risultato finale sarà la miseria diffusa.

275     Ogni energia si manifesta solo laddove esistono delle differenze, proprio perché la natura tende all’equilibrio. Laddove esiste equilibrio tutto è immobile, e la vita si spegnerebbe.

276     Il successo di un uomo politico è direttamente proporzionale alla quantità di persone che riesce ad illudere di poter vivere sulle spalle di qualcun altro.

277     È prassi diffusa e consolidata considerare la classe politica, nella sua interezza, composta di ladri, come se la popolazione fosse invece composta da persone per bene. Nella pratica i ladri vengono votati perché rubino e rischino al posto degli elettori, e poi, in qualche modo, spartiscano con loro parte del bottino. Troppo spesso coloro che si dichiarano onesti sono solo dei vigliacchi, troppo vili per rischiare di persona, ma ben felici di beneficiare della disonestà dei politici.

278     Quando riflettiamo su ciò che la gente guarda in televisione, non possiamo che accettare l’idea che la storia sia stata fatta da una sparuta minoranza. Il popolo, come sempre, non desidera che “panem et circenses”.

279     L’idea che in uno stato il potere appartenga ai politici, ovvero ai parlamentari, è condivisa da tutti, anche se sostanzialmente falsa. Quello del parlamento è un potere di terzo livello. Al di sopra di esso vi è un potere di secondo livello esercitato da un apparato dello stato composto da direttori generali ed alti dirigenti dei ministeri, vertici delle grandi aziende di stato e di enti pubblici, rettori delle grandi università, presidente della rai e dei maggiori giornali, alti magistrati, alti ufficiali delle forze dell’ordine e delle forze armate, vertici delle maggiori banche. Mentre i governi cambiano, così come i regimi, questa massoneria è sempre al suo posto, e trasmette ai figli il proprio potere. Ma al vertice di tutto, il vero grande potere di primo livello, vi è la grande finanza internazionale. È lei che prende le grandi decisioni strategiche, quelle che davvero contano.

280     Il suffragio universale è il sistema nel quale il voto di un analfabeta fannullone e debosciato vale quanto quello di un imprenditore o di un intellettuale. Poiché gli analfabeti sono in maggioranza, e possono essere facilmente raggirati, è su di loro che i politici cercano di fare presa. Detto in parole povere: con il suffragio universale la maggioranza è sempre eletta dalla parte peggiore della popolazione.

281     La paura ha garantito la sopravvivenza dell’umanità. Solo i coglioni associano questo sentimento a qualcosa di negativo. Avere paura, quasi sempre, è segno di intelligenza. La codardia, sia chiaro, è una cosa diversa, così come la temerarietà, che è segno di incoscienza e non di coraggio.

282     Ammiro sempre coloro che pensano con la propria testa, anche quando non condivido il loro pensiero. Chi ha un pensiero proprio è un uomo Chi ha solo pensieri presi qua e là, è un quaquaraquà.
283     Ogni romanzo è frutto della fantasia del suo autore. Eppure è solo nei romanzi che è possibile leggere la verità sul mondo. Nulla è più vero dell’invenzione letteraria.

284      Esiste poesia che non sia triste. La grande poesia nasce sempre dal dolore. Il poeta è un infelice. Se non lo fosse, non avrebbe potuto scrivere poesie.

285     Essere politicamente corretti è, tutto sommato, la più grande forma di vigliaccheria. Dire ciò che si pensa davvero richiede carattere e coraggio, e non è per tutti.

286     Una delle più belle frasi del cinema mondiale, e che rappresenta l’apoteosi del politicamente scorretto è quella pronunciata da Fantozzi: “la corazzata Potionsky è una cagata pazzesca.”
287     Un’altra meravigliosa frase politicamente scorretta è quella pronunciata da Checco Zalone quando, a bordo di una barca, indicando al figlio una barca molto più grande, dice “vedi figlio mio, non devi credere che sia questa la felicità, perché è quella la vera felicità”.

288     Un eroe è colui che, volontariamente e gratuitamente, mette a repentaglio o perde la propria vita per salvare la vita di qualcun altro. Chi, rischiando la vita, si butta in mare per salvare qualcuno che sta annegando, è un eroe. Chi, rischiando di essere ammazzato, impedisce che qualcuno consumi una violenza su qualcun altro, è un eroe. Chi, rischiando la propria vita e quella dei suoi familiari denuncia dei criminali, è un eroe. Ma chi, per mestiere e per denaro, indossa una divisa, e viene ammazzato vigliaccamente, è un povero disgraziato, ma non un eroe. Troppo spesso basta morire indossando una divisa, anche a causa di un semplice incidente, per essere considerati degli eroi.

289     La felicità non si cerca; è lei che ci trova, dove e quando vorrà.

290     La fortuna, ovvero il caso, rappresentano gli elementi fondamentali nel determinare il nostro destino. Nascere nella famiglia giusta, avere talento e intelligenza, trovarsi nel posto giusto al momento giusto, non dipendono dalla nostra volontà, ma dal semplice caso.  Quelli che si vantano dei propri successi spesso dimenticano, da gran presuntuosi, che debbono quasi tutto alla fortuna, e non alle proprie capacità.

291      Per ottenere successo occorre sicuramente talento. Ma avere talento non è sufficiente per ottenere successo.

292   Tutte le città, grandi e piccole, sono piene di lapidi che commemorano grandi personaggi che in quelle città vi nacquero. In nessuna lapide è scritta una vergognosa verità, e cioè che questi personaggi, per realizzarsi, dovettero fuggire dal luogo natio, per cercare fortuna in una grande città. È da vigliacchi essere orgogliosi di questi personaggi, e quasi condividerne la gloria, quando gli stessi che oggi li esaltano, al tempo in cui vivevano nella città natale, li avevano derisi, vilipesi, denigrati. Una legge dovrebbe proibire queste lapidi, e consentirle esclusivamente a quei luoghi nei quali questi celebri personaggi operarono e divennero grandi.

293     Solo gli stupidi sono perentori nell’affermare che certe cose non avverranno mai. Sebbene la storia insegni che ciò che si credeva non potesse verificarsi mai, si è poi immancabilmente verificato, questi coglioni continuano imperterriti a negare una evidente realtà storica. Il progresso è un treno lanciato a grande velocità, e coloro che pensano di poterlo fermare vengono inesorabilmente travolti. Solo quelli intelligenti si preparano e si adeguano al cambiamento.

294      Il natale, tutto sommato, ha rotto il cazzo. Le feste appartengono ai popoli affamati, e rappresentano quei momenti nei quali si riescono a soddisfare bisogni che altrimenti non si potrebbero soddisfare.  Quando c’è opulenza ogni giorno è Natale, ed il Natale diventa solo una fonte di stress e di tristezza.

295     Anche le tradizioni si evolvono e cambiano. Molti credono che le tradizioni si perpetuino da tempo immemorabile, mentre basta documentarsi per capire che ciò che noi credevamo immutato da secoli, è invece cambiato di anno in anno.

296      I tempi belli sono sempre esistiti, e sono quelli nei quali si avevano 20 anni.

297     Una delle più divertenti ed istruttive attività che si possono svolgere consiste nella lettura delle sentenze della Corte Costituzionale. Gli ingenui resterebbero probabilmente sorpresi nel verificare come una stessa norma sia ritenuta costituzionalmente legittima in un certo momento, ed illegittima in una successiva o precedente sentenza. Così come siano considerate costituzionalmente legittime norme palesemente incostituzionali, allorquando siano necessarie agli interessi dello stato.

298     La costituzione è un elenco di buoni propositi, quasi sempre disattesi. La sua interpretazione è affidata alla corte costituzionale, gruppo di sofisti capace di affermare un principio o il suo contrario, in ragione delle necessità del momento. La costituzione va comunque sempre interpretata nel senso più favorevole alle oligarchie, di cui anche i giudici costituzionali fanno parte.

299     Il valore di qualunque legge sta sempre nella forza di chi deve far rispettare quella legge. Una legge che non sia sostenuta dalla capacità di coercizione è solo carta straccia. La legge è la forza.

300     Un esempio di quanto molte norme burocratiche siano idiote è l’uso dei guanti nei supermercati. Si pretende l’utilizzo dei guanti per prendere della frutta che poi saremo noi a mangiare, come se, toccare un’anguria o una banana, trasferisse su questi prodotti chissà quali malattie. E non si considera neanche che quella frutta è stata raccolta da mani sudicie, e manipolata più volte senza che venisse usata alcuna precauzione. Poi, quella stessa frutta, sui banchi del supermercato, deve essere prelevata da coglioni muniti di guanti.

301   La legge non sempre è giusta, più spesso è semplicemente opportuna.

302     Se tutti avessero sempre rispettato le leggi, nessun progresso sociale sarebbe mai avvenuto, e nessun regime sarebbe mai stato abbattuto. La democrazia, lo stato di diritto, la costituzione, i diritti fondamentali dell’uomo, sono stati il frutto di lotte alla cui base vi era il non rispetto della legge. Come sarebbe possibile abbattere una tirannia senza infrangere quelle leggi che proprio i tiranni hanno imposto a garanzia del loro potere?

303     “La legge è legge” è la frase più usata per giustificare il proprio vile operato. Il finanziere che multa un esercizio perché ha regalato una caramella senza emettere lo scontrino si giustifica con la scusa di aver applicato la legge. L’agente che vi multa per aver circolato con i fari spenti in un assolato pomeriggio d’estate, non dirà che aveva l’ordine di elevare un certo numero di contravvenzioni, ma di fare il proprio dovere, applicando la legge. Il vigile che multa un commerciante perché ha messo una ciotolina d’acqua davanti all’esercizio, affinché si possano dissetare dei cani, sosterrà, con una impassibile faccia di merda, di aver fatto solo il proprio dovere.

304     Molti ritengono quella dei magistrati una casta intoccabile e super privilegiata, composta di uomini non migliori di altri uomini, e quindi capaci di sbagliare. Purtroppo gli errori di un magistrato possono distruggere la vita di una persona, oppure, nella migliore delle ipotesi, produrre grandi danni patrimoniali a chi cade vittima dei loro errori, della loro arroganza e della loro supponenza. Esistono farabutti in tutte le categorie, dai preti ai muratori, dai commercianti ai medici, dai banchieri ai magistrati. Non esiste una categoria buona ed una cattiva, ma uomini buoni e uomini cattivi. Guai a colui che cade nelle mani di un cattivo magistrato.

305     Probabilmente sarà che io non ho il senso dello stato, oppure che non capisco davvero l’obbligatorietà dell’azione penale, ma a me pare davvero assurdo che la procura di Milano spenda tantissimi soldi e tantissime energie per occuparsi delle puttane di Berlusconi, mentre nella stessa città la camorra allunga i propri tentacoli in ogni ambito della sua economia.

306     La cosiddetta “Milano da bere” è stata un’epoca meravigliosa, dove, detto terra terra, c’era da “bere” per tutti. Era praticamente il sistema migliore per governare un popolo come quello italiano. Mani pulite ha spazzato via quel mondo, aprendo l’era del declino italiano. Tutta la classe politica precedente, fatta di ladri con grandi capacità, è stata messa da parte, sostituita da una classe politica di ladri incapaci, fasulla ed inconsistente. Chi pensa male, ed io sono tra questi, sostiene che sia stata la grande finanza mondialista a manovrare gli attori di quella grande farsa.

307     La certezza del diritto è un semplice mito. Se davvero esistesse il numero degli avvocati e delle cause sarebbe infinitamente più piccolo. Nella realtà giudici diversi, rispetto ad una stessa fattispecie giuridica, decidono in modo molto diverso, e spesso opposto. Il destino di una causa risiede più nelle convinzioni e negli umori di un magistrato che nelle norme del codice.

308     Credere nell’imparzialità assoluta di un magistrato è stupido. Un magistrato, in fin dei conti, è un uomo, con le sue fallibilità e le sue convinzioni. Immaginate di dover essere giudicati per maltrattamenti agli animali. Secondo voi, un giudice senza figli che possiede un cane giudicherà allo stesso modo di un giudice che detesta gli animali?

309     Un delinquente passa buona parte della propria vita in galera. Quando è fuori vive nella perenne paura e con l’affanno di trovare soldi per gli avvocati, veri beneficiari delle loro malefatte. Tutto questo dimostra che quasi sempre i delinquenti sono dei grandi coglioni, ed è proprio questo che li rende pericolosi.

310     Le garanzie dello stato di diritto sono una grande conquista della civiltà, alle quali non dobbiamo rinunciare. Ma tali garanzie devono venir meno verso coloro che, in modo continuativo e strafottente, si pongono al di fuori della civile convivenza, e si arrogano il diritto di non rispettare nulla e nessuno. Il diritto al rispetto di certe garanzie deve essere conquistato conducendo una vita rispettosa dei diritti di tutti.

311     Nei confronti dei delinquenti abituali, ovvero di coloro che decidono di vivere fuori da ogni legalità, e che conducono questo tipo di vita per anni, ogni garanzia legale deve essere sospesa. È l’unico modo per vincere una guerra che, altrimenti, vedrà lo stato perennemente sconfitto. Giocare una partita nella quale una sola delle parti rispetta le regole, mentre l’altra si sente libera di non rispettarne alcuna, è da coglioni.

312     Non si possono sconfiggere le mafie se non agendo con sistemi mafiosi. Trovo assolutamente legittimo che lo stato adotti questo sistema, in barba ad ogni limite legale, per distruggere ogni tipo di associazione mafiosa. Solo ricambiando pan per focaccia, è possibile liberare un paese dal cancro della mafia. Altrimenti si combatterà una battaglia infinita, il cui costo sociale ed economico sarà pagato dalle persone oneste, senza trarne alcun beneficio.

313     È davvero difficile digerire l’idea che esistano criminali efferati, che dominano con il terrore interi territori, e di cui si conoscono nome e cognome, che possono operare impunemente per decenni senza che lo stato abbia la possibilità di fermarli, per la semplice ragione che occorrono quelle prove che non si troveranno mai. Tutto questo è fuori da ogni logica e da ogni buon senso.

314     La lotta al traffico ed allo spaccio di stupefacenti è inutile, costosa ed inefficace. Dopo decenni di lotta e di spreco di somme gigantesche, ognuno può trovare la droga che vuole, dove vuole e quando vuole. Perché fin quando vi è qualcuno che vuole qualcosa, ed è disposto a pagare, vi sarà qualcun altro pronto a fornire quella cosa. Figurarsi quando i guadagni sono immensi. Forse sarebbe il caso di concentrarsi sul consumatore, e non più sullo spacciatore. Se uno fuma non è colpa del tabaccaio. Se uno si ubriaca non è colpa del produttore di vino. Se uno si schianta con la macchina non è colpa di chi costruisce macchine.

315     Una associazione criminale di stampo mafioso non è altro che uno stato nella sua forma più primitiva. Come lo stato, la mafia pretende il pagamento di un tributo in cambio di un servizio, ovvero di sicurezza. La possibilità di imporre tributi deriva dalla capacità di usare la violenza sulle cose e sulle persone, prerogativa tipica di ogni struttura statuale.

316   I grandi stati ed i grandi imperi si sono sempre formati dall’aggregazione per incorporazione di piccoli territori governati da un signore, antesignano di un boss mafioso. La lotta per la supremazia tra questi mafiosi ha generato domini sempre più vasti, fino alla formazione di stati e di imperi. Con l’espansione del dominio, si è resa necessaria la costruzione di una struttura burocratica atta ad esercitare prerogative di controllo e di dominio da parte del signore.

317     Laddove la mafia è potente, vuol dire che lo stato è debole. Non possono esserci due padroni. Laddove lo stato è forte ed efficiente non vi è spazio per l’espansione di organizzazioni criminali di stampo mafioso. Ogni stato, se davvero lo volesse, potrebbe sopprimere ogni organizzazione criminale che, per quanto potente, lo è immensamente meno di uno stato. Occorre, chiaramente, che lo stato utilizzi gli stessi metodi del nemico che vuole combattere.

318     In qualunque guerra non può esservi asimmetria nei mezzi ritenuti leciti per combattere. Allorquando una parte ritiene legittimo utilizzare ogni mezzo disponibile, anche l’altra è moralmente autorizzata a non limitare a propria capacità di azione.

319     La salute, come tutte le cose, si apprezza quando si perde. Per essa possiamo fare molto, ma non tutto. Alla fine l’ultima parola spetta alla fortuna.

320     Tanti idioti inveiscono contro i fumatori, sostenendo che il loro vizio costi denaro alla collettività. Pura idiozia. Che fumare faccia male è fuori discussione e quindi non fumare è meglio. Ma, se è vero che un fumatore vive mediamente 10 anni meno di un non fumatore, è vero che lo stato risparmia ben 10 anni di pensione e di spese sanitarie. E non è detto che un fumatore si ammali più di un non fumatore. Perché anche coloro che non fumano, a vivono più a lungo, alla fine si ammalano di una delle tante malattie della vecchiaia, e ne muoiono. I fumatori, intanto, hanno pagato suon di euro su ogni pacchetto di sigarette che hanno acquistato, beneficiando le casse dello stato di tantissimi soldi. Posso affermare e dimostrare che, a conti fatti, un fumatore costi allo stato meno di un non fumatore.

321     Nel campo del cibo l’unica certezza è che mangiare poco è meglio che mangiare troppo. Per il resto si tratta di semplici congetture. Di qualunque alimento esiste una sterminata letteratura lo giudica dannoso, ed una   altrettanto vasta che lo giudica salutare.

322     Arriva un’età nella quale una buona mangiata vale più di una trombata; si fatica di meno e si gode più a lungo.

323     Se gli italiani hanno scarso spirito guerriero, è perché hanno capito che godersi la vita è meglio che fare la guerra. Ma soprattutto che la guerra, quando serve, serve ai potenti, e non certo alla gente comune. Quando hai un bel clima, il mare, ottimo cibo e belle donne, è proprio da coglioni desiderare la guerra.

324   Lo spirito guerriero di tanti coglioni dura finché la guerra si riduce alle parate ed alle fanfare. Poi, di fronte alla guerra vera, svanisce come un lembo di nube al primo raggio di sole.

325     La più grande balla raccontata nelle scuole italiane riguarda l’epica risorgimentale. Intere generazioni sono state rincoglionite attraverso la menzogna su quel che veramente avvenne durante tutto l’800. Allora, così come oggi, gli interessi delle oligarchie plutocratiche hanno determinato il destino delle nazioni. Ed allora come oggi, quelli che detengono il potere economico, continuano a raccontarci un sacco di balle su ciò che avviene nel mondo. Balle alle quali un popolo di tele rincoglioniti crede con assoluta cecità.

326     È per tutti un mistero il fatto che l’Italia, con tutti i suoi difetti, i suoi drammi e le sue cialtronerie, tutto sommato funzioni, garantendo una delle migliori qualità della vita a livello planetario. Sempre sull’orlo del precipizio, pare che da un momento all’altro tutto debba collassare. Occorre ricondurre tutto al rinascimento, quando tra intrighi, veleni, corruzione, Michelangelo, Raffaello. Leonardo, davano al mondo stupore e bellezza. Oggi abbiamo la Ferrari, Armani, la Metafisica ed il Futurismo, la Commedia all’Italiana, Pavarotti, Renzo Piano, Prada, la pizza, la Lamborghini, la cantieristica, la Fellini, altissima tecnologia, il design e la moda. Tutto questo pare assurdo. Allora occorre chiedersi se non sia proprio la nostra cialtronaggine e la nostra anarchia alla base delle nostre eccellenze.

327     Continuiamo ad essere dei cialtroni, ormai è nel nostro DNA, ed a sopravvivere ad ogni temperie. Non per niente il melodramma è nato in Italia. Solo gli italiani potevano trasformare un dramma in uno spettacolo musicale. Come diceva Flaiano: la situazione è grave, ma non seria.

328        Il fatto che la Guardia di Finanza sia un corpo armato dello stato la dice lunga su quanto siano vitali le entrate tributarie per la sua stessa esistenza. Uno stato può rinunciare a tantissime prerogative, ma mai a quella della riscossione dei tributi. Ed effettivamente uno stato, di qualunque dimensione e natura, si fonda su tre pilastri: incassare le tasse, amministrare la giustizia, garantire la sicurezza delle persone e delle proprietà.

329     Nel momento in cui si forma una struttura di tipo statale, ci troviamo di fronte ad un ente di natura mafiosa. Detto in parole povere, chi ha la forza pretende un pizzo in cambio della sicurezza. Ogni stato, nella sua essenza, è una associazione di tipo mafioso, così come ogni associazione mafiosa è uno stato nella sua forma più primitiva. Il dramma è che una associazione mafiosa opera all’interno di uno stato, e non è possibile essere servi di due padroni. L’auspicio è che una delle due forme di stato prevalga sull’altra, ed operi in regime di monopolio.

330     Nessuno dovrebbe essere assunto nella Guardia di Finanza o all’agenzia delle entrate se non dimostra di aver esercitato per alcuni anni ana attività di lavoro autonomo. Tutto questo per evitare quel che accade attualmente: che pur non avendo alcuna esperienza, questi dipendenti dello stato credono di sapere, non si sa bene in ragione di quale divina rivelazione, come funzioni un’azienda. Sparano cazzate gigantesche, con l’arroganza e la spocchia tipiche degli ignoranti, e credono che l’indossare la divisa conferisca loro doti di cui sono assolutamente privi. Non si tratta di gente cattiva, ma semplicemente stupida. Il mondo, nonostante tutto, va avanti, per la semplice ragione che, alla fine, sa trovare il modo per sopravvivere, ed attutire i danni che costoro producono al mondo che produce ricchezza.

331   Da un certo punto di vista un brigante è più onesto di un gendarme. Perché un brigante si presenta per quel che è, ovvero un delinquente, mentre spesso dietro un gendarme che si pretende onesto, si cela un criminale della peggiore specie.

332    Sarebbe politicamente corretto sostenere che il personale delle forze dell’ordine e delle forze armate è composto da persone che hanno deciso di indossare la divisa per innato spirito di servizio, amor di patria, e desiderio di servire il popolo. Ma poiché la ragione di questo libro è il desiderio di essere scorretto, raccontando quella che io ritengo essere la verità, mi permetto di sostenere che quasi tutti quelli che indossano la divisa lo fanno per assicurarsi uno stipendio, semplicemente. Esiste anche una piccola minoranza che, nell’indossare una divisa spera di sconfiggere il proprio innato complesso di inferiorità.

333     Lo zelo che le polizie impiegano nel contrastare movimenti politici potenzialmente sovversivi è di gran lunga superiore a quello che impiegano nel combattere le varie mafie. Le polizie, nel tutelare le élite, chiude spesso un occhio riguardo il rispetto della legge.

334     Sarebbe interessante sapere per quale motivo se uno muore per un incidente sul lavoro è semplicemente una vittima, mentre se indossa una divisa diventa automaticamente un eroe, pur non avendo fatto assolutamente nulla di eroico.

335     Si sostiene che coloro che lavorano nelle forze dell’ordine abbiano diritto ad una retribuzione elevata perché rischiano la vita. Eppure se andiamo a valutare con numeri veri il rischio di morire sul lavoro, in base ai dati INAIL, scopriamo che camionisti, contadini ed operai rischiano molto di più. Dobbiamo forse credere che la morte di un agente sia più drammatica di quella di un altro onesto padre di famiglia?

336    L’unico vantaggio della leva obbligatoria è stato quello di aver permesso, almeno a quelli più svegli, di comprendere che nel mondo militare si concentrano tutti i peggiori vizi degli italiani: l’inefficienza, lo sperpero, la burocrazia, il nepotismo, l’imboscamento, il parassitismo, il maneggio, le piccole e grandi furbizie e l’idiozia ai suoi massimi livelli.

337     Ciò che è fatto a mano raramente è meglio di ciò che è prodotto industrialmente con sofisticate macchine. Poiché spesso i prodotti industriali debbono avere prezzi contenuti, anche la qualità ne soffre. Ma ciò non esclude che vi sono prodotti industriali di qualità eccelsa.

338     Ci raccontano che il comunismo sia caduto grazie a Giovanni Paolo II, il che è assolutamente falso. Il comunismo è caduto perché era arrivato al capolinea, divorato da sé stesso. La sua economia era collassata, in virtù di un sistema che porta inevitabilmente alla miseria.

339     Anche la Cina, con il suo sistema collettivista e centralizzato, è collassata economicamente, ed i suoi dirigenti, intelligentemente, hanno capito che occorreva adottare il sistema capitalistico, l’unico a garantire sviluppo economico e ricchezza. Perché è sempre bene ricordare che se è vero che in Cina ci sono enormi disuguaglianze, è anche vero che i poveri stanno molto meglio di prima.
340     Le persone si dividono in due categorie: quelle che sostengono di essere razziste, e quelle che sostengono di non esserlo, mentendo.
341     Ci sono bugie che sono veri e propri atti d’amore. Si tratta di menzogne che non diremmo se non amassimo davvero la persona alla quale le diciamo.
342     Il valore sociale delle bugie è compreso da pochi. Senza di esse il mondo sarebbe sicuramente più triste e crudele. Le bugie, in fin dei conti, sono l’olio con il quale si lubrificano gli ingranaggi dei rapporti sociali.
343     Il problema dell’obesità, a differenza di quanto credono i coglioni, non ha origine nell’alimentazione, ma in fattori psicologici come l’ansia, l’insoddisfazione, la propria disistima. La cattiva alimentazione è una conseguenza del pessimo rapporto che si ha con sé stessi. Per questa ragione gli obesi, prima ancora di rivolgersi ad un dietologo, dovrebbero rivolgersi ad uno psicologo.

344   Quelli che fanno la salsa in casa, nella convinzione di alimentarsi in un modo più genuino, non si rendono conto che il prodotto industriale di qualità è sicuramente migliore del loro, sotto il profilo igienico ed organolettico. Molto probabilmente, se la salsa fatta in casa venisse messa in commercio, si finirebbe in galera. Ma la cosa più ridicola è che, se davvero volessero alimentarsi in modo più salutare, dovrebbero allevare da loro la carne di cui si nutrono, e dovrebbero auto coltivare tutta la frutta e gli ortaggi che utilizzano.

345   Intanto questi intelligentoni dovrebbero sapere che Milano, che è sicuramente la città più inquinata d’Italia, è quella con la speranza di vita più alta della penisola.

346   Qualcuno tra i partigiani che esaltano i prodotti locali ed aborrono i prodotti industriali, nella convinzione che solo al proprio paese si mangi bene, dovrebbe spiegare come mai la vita media di chi vive nelle grandi metropoli è superiore a quella di chi vive in piccoli paesi agricoli.

347   Di tanto in tanto bisognerebbe prendersi la briga di guardare delle foto di 70 anni fa, quelle che ritraggono interi gruppi familiari. Sapere, innanzi tutto, che quelle vecchie ciccione e senza denti in realtà sono donne tra i trenta ed i 40 anni, distrutte dalla fatica e dalle privazioni, e che quel vecchio piegato su sé stesso non ha più di 55 anni. Questo esercizio gli farebbe capire che il bel mondo passato in realtà è solo un mito, esaltato soprattutto da vecchi rincoglioniti che ricordano la loro giovinezza.

348   Che la gente parli a vanvera è risaputo, e dica cosa che differiscono profondamente da come poi si comporta. È facile ascoltarli mentre esaltano la qualità del lavoro artigianale, e di quanto si dispiacciano della scomparsa di questa categoria. Intanto, però, non comprano che prodotti industriali fatti in Cina, ad un prezzo irrisorio. Se dipendesse da loro gli artigiani morirebbero tranquillamente di fame.

349   Ogni amministrazione comunale, sul cui territorio esistono dei ruderi insignificanti, vorrebbe attingere a finanziamenti per la valorizzazione di tali ruderi. Prepara uno studio per dimostrare l’eventuale afflusso turistico e le enormi possibilità di lavoro per i giovani, tra guide turistiche, addetti ad un eventuale ufficio informazioni, custodi, parcheggiatori, albergatori e ristoratori. Semmai riuscissero ad ottenere questi fondi, metterebbero in piedi un castello che crollerebbe dopo breve tempo per mancanza di turisti e per l’esaurimento dei fondi ricevuti. La cosa che davvero preoccupa è che questi amministratori sono talmente coglioni da credere davvero alle opportunità di lavoro che hanno programmato. È questo il vero dramma. Perché voglio ribadirlo: meglio degli amministratori ladri ma capaci, che dei coglioni onesti.

350   Ad ogni terremoto assistiamo alla stessa commedia. Case crollate, governo che promette a vanvera, amministratori locali che già pregustano la gestione di risorse di vario genere. Nessuno che abbia il coraggio di dire una sacrosanta verità: il 70% del patrimonio edilizio italiano va abbattuto. Tentarne la cosiddetta messa in sicurezza è costoso ed inutile. Catapecchie di 200 anni, che si tengono in piedi con lo sputo, e prive di qualunque valore storico o artistico, vanno semplicemente demolite. Questo Paese di vecchi rincoglioniti vorrebbe conservare tutto, anche ciò che in effetti non vale niente. Questo attaccamento morboso al passato ci ucciderà. Poiché non si può fare tutto, è necessario fare delle scelte, e preservare ciò che davvero ha un valore. Va bene spendere soldi per il centro storico di Lucca, ma buttiamo giù migliaia di piccoli insignificanti borghi.

351   Una domanda che tutti dovrebbero porsi: come mai tra i portatori dei santi non esistono professionisti? E come mai tra le donne che frequentano quotidianamente la parrocchia, non ci sono dottoresse, avvocatesse, professoresse?

352   La cosa più indicativa della coglionaggine umana è il relativismo, ovvero quella concezione culturale secondo la quale tutto si equivale. I relativisti sostengono che coloro che costruiscono capanne di fango abbiano la stessa dignità di chi costruisce grattacieli. Quelli che suonano la tarantella siano allo stesso livello di Beethoven, quelli che fanno vasi in terracotta non siano da meno di chi produce porcellane di Sèvres. Questi imbecilli non anno ben chiaro il concetto di progresso, che vuol dire sostanzialmente miglioramento. Si inizia costruendo capanne, poi case di mattoni, poi cattedrali gotiche e finalmente grattacieli. Detto in soldoni: ci sono quelli che hanno progredito, e quelli che sono rimasti indietro.

353   Uno degli spettacoli più patetici ai quali assisto di frequente è quello durante il quale un sindaco, nell’esaltare il proprio territorio, ne mette in evidenza il valore storico ed artistico, l’artigianato, le tradizioni, i prodotti tipici. In genere occorre un grande sforzo da parte di questi volenterosi sindaci per esaltare una storia tutto sommato insignificante. Così come mettere in evidenza valori artistici esistenti solo nella mente di qualche concittadino analfabeta. Si esalta poi l’artigianato che consiste nella   produzioni di cucchiai in legno o salvadanai in creta. Intanto altrove si producono scarpe da 600 euro al paio o valvole cardiache, pezzi di design in plastica che si vendono in tutto il mondo e finiscono nei musei, software per il riconoscimento ottico e occhiali griffati. Ma soprattutto si produce quella ricchezza e si pagano quelle tasse necessarie a garantire sanità, scuole e pensioni a quelli che intanto ballano la tarantella e vivono di sussidi, orgogliosi delle loro inesistenti qualità.

354   Il paesano seduto al bar sport, nella piazzetta del piccolo paesino dell’appennino, mostra con orgoglio i vantaggi della vita tranquilla che conduce, tra aria buona e mancanza di stress. Il coglione non dice, perché effettivamente non sa, che quella vita se la può permettere perché ci sono gli stronzi che pagano per lui. Crede che la pensione di cui godono i genitori, la sanità e tutti gli altri servizi pubblici si mantengano grazie alle 200 euro di IMU che lui paga, oppure grazie ai contributi che versa come bracciante, anche se ne riprende indietro il triplo sotto forma di assegno di disoccupazione. Bello vivere sulle spalle degli altri…

355    Altro segno chiaro e forte di coglionaggine è l’esaltare il passato e criticare la modernità in tutti i suoi aspetti. La cosa che davvero infastidisce è che mentre si esalta il passato, non si rinunzia a nulla di quanto offre la vita moderna. Vorrei vedere i contadini vendemmiare con i tinelli di legno, o arare i campi con i cavalli. La mancanza di coerenza, in questi casi, equivale a mancanza di pudore.

356   Un ulteriore segno di quanto sia usuale parlare a vanvera, senza l’ausilio del cervello, si coglie allorquando i contadini sostengono che un tempo i redditi agricoli fossero più alti di quelli di oggi. Questi geni dimenticano di considerare che allora il contadino viveva in due stanze riscaldate da un bracere che bruciava carbonella autoprodotta. Gran parte dell’alimentazione era costituita da pane e prodotti di cui si faceva scorta durante la stagione calda: sottoli, pomodori, olio, salsa, mandorle, fichi secchi, mosto cotto. I figli non si mandavano a scuola, ma a tredici anni si mandavano già a lavorare. Nessuno aveva la macchina e nessuno andava in ferie. Ci si vestiva prevalentemente con abiti comprati al mercato americano. La verità è che si guadagnava meno di oggi, ma, spendendo poco o nulla, si riusciva a mettere da parte consistenti risparmi.

357    Il paesano che non paga un euro di tasse, e passa la vita a succhiare tutto quel che può dalla mammella pubblica, sotto forma di assegni di disoccupazione, sussidi, esenzioni, invalidità, assegni di accompagnamento, risparmio sull’uso della nafta agricola, è il più sfegatato accusatore della disonestà dei politici. Lui, parassita della peggiore specie, si permette di criticare la cattiva amministrazione del denaro pubblico, benché di quel denaro egli non ha tirato fuori un solo euro. Sono sempre più convinto che il diritto di voto spetti solo a chi paga tasse oltre una certa soglia.

358   Il suffragio universale è una pura follia. Far votare gli zingari che non lavorano e vivono tutta la vita sulle spalle della collettività è assurdo. Come lo è far votare debosciati nullafacenti che vivono di espedienti e pretendono sussidi e case popolari. Ed è assurdo far votare il coglione ultrà che scrive sui muri “onore ai diffidati” e, essendo fondamentalmente un vile, insieme ad altri vigliacchi acquista coraggio e sfascia tutto. È vero che comunque la democrazia è una grande farsa, ed il voto, nella sostanza, non conta nulla. Per fortuna, direi.

359    Il destino delle persone in gamba non cambia, tanto se vivono sotto una dittatura quanto se vivono in una democrazia. Chi è intelligente, studia, si impegna, sa guardare il mondo con gli occhi giusti, e cerca di eccellere nel proprio campo, troverà sempre la strada per collocarsi nella parte superiore della società. I coglioni, in qualunque contesto, restano dei coglioni.

360   Tanto più l’economia si globalizza, tanto più gli investimenti si espandono in tutto il globo in un intreccio inestricabile, tanto più le grandi potenze acquistano aziende di paesi rivali, tanto più il pericolo di una guerra globale viene scongiurato, perché anche in caso di una improbabile vittoria, il danno subito sarebbe gigantesco.

361    Il fatto che esistano grandi potenze militarmente forti, è la migliore garanzia di una pace duratura. La certezza della reciproca distruzione impedirà il verificarsi di un conflitto globale. La guerra viene fatta solo da una grande potenza contro un paese più debole, oppure da un grande paese economicamente insignificante, e che quindi non ha nulla da perdere.

362    Sicuramente la Cina diverrà la più grande potenza economica a livello mondiale. Ma la sua influenza sul resto del pianeta non sarà paragonabile a quella che l’America ha avuto nel XX secolo. E questo per la semplice ragione che l’America era davvero l’unica vera superpotenza, senza rivali, mentre la Cina dovrà convivere con altre superpotenze: America, Russia, Cina, Europa.
363    Il mondo arabo, se non sarà capace di dare un colpo di reni verso la modernità, continuerà a non contare nulla. E conterà sempre meno man mano che il petrolio del golfo perderà di importanza strategica. Semmai nuove fonti di energia dovessero sostituire buona parte del petrolio, il mondo Arabo verrà abbandonato a sé stesso, e lasciato cuocere nel suo stesso brodo. È questo il motivo per il quale i ricchi del medio oriente investono le loro enormi ricchezze esclusivamente in occidente e nei paesi economicamente simili. Sanno che le loro terre sono destinate al collasso economico e sociale, ed allora si trasferiranno, forti delle loro immense fortune, proprio in qualche capitale occidentale. Alla faccia del popolo coglione.

364   Il grande disprezzo che i musulmani hanno nei confronti dell’occidente deriva dalla profonda invidia che questi popoli nutrono nei nostri confronti. Dietro le false dichiarazioni ideologiche dovute al loro profondo complesso di inferiorità, ognuno di loro vorrebbe vivere all’occidentale, e dell’occidente goderne gli infiniti vantaggi. Infatti fuggono a milioni dalle loro terre per vivere in Europa, senza alcuna intenzione di tornare al loro paese. Poi, di generazione in generazione, prendono degli occidentali tutti i vizi e tutte le virtù.

365    L’ultimo pensiero di questo libro riguarda la legge del menga, ovvero:

      “chi lo prende in culo, se lo tenga”.










                   LETTERA AD UN AMICO DEL NORD
     Voglio parlarti, caro amico, della mia terra, ovvero della mia gente. Voglio farlo con un linguaggio chiaro, semplice, conciso, lungi dall'enfasi e dalla retorica idiota di tante puttane della politica e del giornalismo, di coloro che non hanno nulla da dire e vogliono farlo camuffando la vacuità di fondo e vestendola di abiti intellettualoidi.
     Ognuno è artefice del proprio destino, come individuo e come popolo. Al di là dei rari eventi in cui la nostra volontà è impotente, sono le scelte che operiamo a tracciare il solco entro cui scorre la nostra esistenza. Questo, se è vero per i singoli, lo è ancor più per le nazioni. Scegliamo con la testa, in base alla nostra cultura, ai nostri valori, alla nostra educazione. Affermo, e ne sono fortemente convinto, che le condizioni economiche, sociali, politiche di un paese dipendano dalla "cultura" di quel paese, e dalla cultura di ogni suo singolo componente. Quali che siano tali condizioni, benché non condivise, vanno comunque rispettate, giacché ogni popolo ha il diritto di autodeterminarsi.
     Fin qui tutto quadra. Il problema nasce quando un popolo, vigliaccamente, non si ritiene responsabile della propria condizione, ma tende a scaricarne la responsabilità verso capri espiatori, i più fantasiosi. A questo proposito ho sentito l'intero pacchetto delle assurde menzogne con le quali noi meridionali tendiamo a mondare le nostre coscienze. La cosa che più mi rammarica è che tali menzogne siano propinate non solo dal netturbino semianalfabeta ma anche, forse soprattutto, da persone istruite allo quali lo studio della storia, se mai l'avessero studiata, avrebbe dovuto conferire una maggiore capacità di analisi. Probabilmente cinquant'anni di propaganda demagogica da parte dei nostri politici è servita a rimbecillire la coscienza di gran parte del popolo meridionale. Sta di fatto che pochi, davvero pochi, comprendono appieno le cause del nostro disastro. Questo ci impedisce di praticare la cura giusta, la sola che potrebbe guarirci dal nostro male oscuro. Curiamo i sintomi, ma non la malattia. Assumiamo farmaci palliativi, trasferimenti, sussistenze, finanziamenti, investimenti fasulli, che consentono esclusivamente il prolungamento di una lenta agonia.
     Ti parlerò, caro amico del Nord, della malattia che logora il nostro organismo, del perché ne siamo colpiti, di quali ne siano i sintomi e, soprattutto, delle possibili cure. Il nostro male si chiama controriforma. Alcuni usano nomi diversi come "sudditanza", feudalesimo, spirito levantino. Nomi diversi per uno stesso male: la mancata trasformazione dei sudditi in cittadini.
    Non esiste democrazia compiuta senza cittadini. Laddove esistono cittadini la democrazia nasce e si sviluppa generando frutti sani e copiosi. Laddove il popolo è composto da sudditi la democrazia non può che essere imposta. Ma una democrazia imposta non attecchisce, anzi tende a degenerare in qualcosa che della democrazia è un simulacro.
     Solo gli stolti possono negare che fino alla metà dell'ottocento la struttura sociale meridionale fosse sostanzialmente di tipo feudale. La storia del meridione d'Italia è un susseguirsi di dominazioni: Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Francesi, Spagnoli, Sabaudi. Nonostante questa varietà di case regnanti la condizione del popolo restava la stessa, quella dei sudditi sottomessi all'arbitrio del padrone di turno al quale pagare tributi. Questa condizione, nel corso dei secoli, ha prodotto nella coscienza popolare la convinzione che, chiunque comandi, lo farà nel suo esclusivo interesse. In conseguenza di ciò il meridionale ha sviluppato alcune forme di autodifesa: lo scetticismo, il familismo, il fatalismo.
     Caro amico, ho fatto questa premessa perché tu possa capire perché il meridionale sia rimasto, nel suo modo di pensare, un suddito. Ora voglio parlarti della sua natura, e di come differisca da quella del cittadino. Il suddito considera naturale il fatto che esista un padrone. Egli non dubita del fatto che colui che comanda lo fa in virtù di una ineludibile volontà divina, lontana, astratta. Un padrone può essere sostituito da un altro padrone, perché ci sarà sempre e comunque qualcuno che comanda. Il suddito, che non ha diritti, vive beneficiando dei favori e delle concessioni che colui che comanda vorrà di volta in volta dispensargli, secondo il suo arbitrio. La vita stessa del suddito è nella piena disponibilità del padrone, che ne determina il destino. Non esistono, in questo contesto, i beni pubblici. Ciò che non appartiene al suddito appartiene al padrone che, da vero signore, aborre il lavoro. È il lavoro che distingue il signore dal suddito. Il primo vive di privilegi, potere, rendite; il secondo deve guadagnarsi da vivere lavorando. Entrambi disprezzano coloro che lavorano, considerandoli mentecatti. La proprietà terriera, ed il latifondo in particolare, garantiscono al signore la rendita parassitaria necessaria ai suoi bisogni. Ogni altra iniziativa economica è considerata disdicevole, salvo quelle poche attività privilegiate, prive di concorrenza, avute in concessione dal Re, come la riscossione dei tributi, il monopolio del sale, l'attività notarile.
     Date queste premesse possiamo riassumere ciò che caratterizza il suddito, la sua natura profonda, il suo modo di pensare, la sua cultura.
1) Egli disprezza il lavoro ed ammira coloro che vivono di rendita, privilegi, sussidi, concessioni, piccole truffe, intrallazzi.
2) Egli non ha cura di ciò che non gli appartiene, e considera i beni pubblici qualcosa su cui non ha né diritti né doveri. Spesso partecipa al loro scempio con sottile compiacimento, quasi una rivalsa nei confronti del potere.
3) Egli considera lo stato come un padrone al quale dare il meno possibile a dal quale prendere il più possibile. Il bilancio pubblico è una faccenda che non lo riguarda, ciò che conta è esclusivamente il proprio "particulare".
4)  La sua massima ambizione è quella di divenire un signore. Ciò può avvenire esclusivamente entrando nelle grazie di qualche potente, e partecipando al godimento di una miserabile fetta di privilegi.
5) Non avendo alcuna fiducia nello stato egli confida esclusivamente nella propria famiglia, la quale ha la priorità su ogni altra pubblica istituzione.
6)  Egli è eternamente in lotta con lo stato, dal quali si sente vessato, e si vendica cercando di eluderne le leggi.
7) Ritenendo inutile il voto, "tanto comandano sempre gli stessi", venderà il proprio suffragio a colui che gli garantirà protezione nei confronti della pubblica amministrazione. Tale aiuto consisterà nell'elusione delle regole e delle leggi.
     È' vero che non tutti i meridionali sono uguali, ed esiste una certa percentuale di miei conterranei che ha oramai acquisito appieno lo status di cittadino, ma la gran parte della popolazione è, in maggiore o minore misura, portatrice di queste convinzioni. Non ti fidare, caro amico del nord, delle chiacchiere. Troppi predicano bene e razzolano male. Bisogna giudicare da ciò che fanno, e non da ciò che dicono. A suffragio di quanto affermo ti rivelo il risultato di un sondaggio che ho effettuato tra una trentina di miei conoscenti. Un sondaggio che ha poco di scientifico ma i cui risultati sono affidabili.
     La domanda era: “siete disposti a rinunciare per sempre al diritto di voto in cambio di un impiego pubblico, una casa garantita e all'eliminazione della criminalità?” Credimi, il 100% ha risposto sì. Coloro che avevano già un impiego pubblico hanno richiesto un impiego pubblico per i figli.  (sic! )  Sembrerebbe impossibile che si possa rinunciare così facilmente alla prerogativa fondamentale di ogni democrazia: la sovranità popolare. Il fatto è che il suddito ritiene che il voto sia solo una presa per i fondelli, inutile e dispendiosa. che in ogni caso non determini l'indirizzo politico di chi governerà. Egli ritiene che il diritto di voto sia una concessione che il potere, chissà perché, ha elargito al popolo. Bada bene: non un diritto, ma una concessione. Al di fuori di sparute minoranze il popolo meridionale, sempre passivamente servo di qualcuno, non ha mai lottato per la sua autonomia, per i suoi diritti, per la democrazia. Essa le è piovuta addosso, senza che ne comprendesse i meccanismi e senza che ne sentisse il bisogno.
     È in questo contesto, caro amico del Nord, che il meridionale esercita i suoi diritti politici. Il voto non viene utilizzato per dare un determinato indirizzo alla gestione della cosa pubblica, alla migliore tutela dell'interesse collettivo, all'affermazione di un certo ideale. Esso è considerato semplicemente merce di scambio. Il meridionale, in grandissima maggioranza, vende il proprio voto a colui che meglio potrà tutelare il suo "particulare". E tanto più il candidato è un mariuolo, un disonesto, un faccendiere voltagabbana, tanto più godrà del favore popolare in quanto maggiormente propenso all'intrigo, all'elusione delle leggi, alla corruttibilità. Che poi questo candidato, una volta eletto, concorra insieme agli altri al depauperamento della cosa pubblica, allo sfascio della pubblica amministrazione, alla sclerosi economica del paese, gli è del tutto indifferente. Sebbene cosciente di pagare in qualche modo le conseguenze di un siffatto sistema, egli lo accetta, nella convinzione che, chiunque governerà, agirà nello stesso identico modo. Caro amico del Nord, è questo fatalismo tipico dell'epoca premoderna e del mondo rurale in generale uno degli aspetti del male che ci logora.
     Il meridionale è cosciente del fatto che questo meccanismo sia perverso e sia la causa primaria del degrado sociale, intellettuale ed economico del nostro paese. Ritiene, però, che non possa essere modificato, e che comunque il proprio voto non possa cambiare le cose. In virtù di tale convinzione tende a salvaguardare gli interessi propri e della propria famiglia. Lo fa cercando l'unica strada che possa garantirgli reddito, sicurezza, prestigio sociale: il pubblico impiego. La mancanza di lavoro al sud non è la causa della brama con la quale il meridionale cerca il "posto", ma ne è la conseguenza. Relativamente alla natura del reddito necessario alla sopravvivenza il suddito divide la società tra coloro che lavorano e coloro che hanno un impiego pubblico. Questi ultimi sono considerati, in varia misura, dei "signori". Tale considerazione deriva dal fatto che, pur godendo di un reddito garantito, non hanno l'obbligo di lavorare.
     Caro amico del Nord, traccerò ora il ritratto caratteriale del pubblico dipendente meridionale. Ti prego di considerare che tendo ad estremizzare certe caratteristiche che non appartengono a tutti ma ad una percentuale che, nel corso degli anni, tende fortunatamente a diminuire. In genere nella pubblica amministrazione si accede per concorso. Non posso affermare che in Italia i concorsi siano tutti fasulli. Ciò che posso dirti è che relativamente alla zona nella quale vivo conosco le graduatorie dei concorsi prima ancora che essi si svolgano; e non sono un chiaroveggente. Queste "stranezze" si verificano sia per l'assunzione di un autista che per quella di un primario. Non è difficile comprendere come i concorsi siano un grande bluff, inutili e costosi. Servono, al massimo, a salvare la forma, l'apparenza, cose che il meridionale, controriformista e quindi barocco, ama. Le assunzioni, in verità, si decidono nelle stanze del potere.
     Ogni politico eletto tende a riscuotere la propria "parcella elettorale" che girerà, poi, ai propri gregari. Questi, a loro volta, cercheranno di accontentare le famiglie che maggiormente avranno contribuito all'elezione del proprio padrino. Il numero dei "posti" disponibili è sempre inferiore a quello degli aspiranti fannulloni, per cui ad ogni concorso si cercherà di sistemare ora il membro di una famiglia, ora quello di un'altra famiglia. Avere un ministro delle poste o dei trasporti o delle foreste proveniente dalla propria circoscrizione diventa una vera manna. In questi casi si inventeranno i più assurdi pretesti pur di assumere senza concorso schiere di compaesani. Alla fine paga pantalone.
     Il meridionale che viene assunto sente, da quel momento, di appartenere ad una casta privilegiata. Attraversato il Rubicone che divide i sudditi dai signori egli acquisirà d'improvviso la spocchia, la presunzione, l'arroganza tipiche del signore feudale. Ed in realtà si sentirà tale in virtù del fatto che non sarà più obbligato a lavorare per vivere. Egli godrà di ampi diritti, dei quali tenderà naturalmente ad abusare, e di pochi doveri. Cosciente che la sua nuova condizione sia irreversibile, imperitura, garantita al di là della qualità delle sue prestazioni, userà la propria intelligenza al solo scopo di lavorare il meno possibile e rendersi edotto di tutti i meccanismi utili per partecipare con efficienza ed entusiasmo al saccheggio delle casse pubbliche. Nei rapporti con il pubblico, in modo più o meno evidente, tenderà a sottolineare il fatto che l’utente è alla sua mercé, e se proprio soddisferà le sue istanze lo farà a mero titolo di favore personale. Totalmente incurante delle vostre esigenze e privo di rispetto per il vostro tempo e la vostra dignità, cercherà di farvi sentire in debito nei suoi confronti, avendo egli interrotto il suo ozio, cosa quanto mai disdicevole, essendo quello dell'ozio uno dei diritti fondamentali dei veri signori. Il pubblico dipendente diviene a tal punto assuefatto al sistema di cui fa parte da non rendersi più conto di essere un parassita, e gli sembrerà, addirittura, di essere sfruttato e sottopagato. Una certa permanenza all’interno della pubblica amministrazione gli avrà fatto dimenticare cosa vuol dire lavorare davvero, sempre che abbia mai lavorato.
     Il più delle volte il suddito meridionale tende ad evitare i rapporti diretti con la pubblica amministrazione, salvo il caso in cui ha delle conoscenze all'interno dell'ente o dell'ufficio al quale deve rivolgersi. Più spesso egli si rivolgerà al proprio referente politico, il quale, avendo ricevuto il suo voto, si sentirà obbligato al disbrigo delle incombenze dei propri “clienti”. Può apparire strano, ad un non meridionale, che la gente chieda queste intercessioni anche per quelle prestazioni che sarebbero comunque fornite gratuitamente e velocemente semplicemente rivolgendosi al relativo ufficio. Tutto questo è invece normale se si conosce la mentalità che sottintende a questa prassi. Per il meridionale lo stato non rappresenta il popolo, ma un potere estraneo, lontano, astratto. Lo stato è composto da una minoranza di privilegiati che ha il diritto di vivere a spese di chi produce ricchezza e che di queste spese non deve mettere conto a nessuno. Nel momento in cui un suddito riesce ad entrare nell'olimpo della pubblica amministrazione viene considerato, dai più, un privilegiato, uno che ha pochi doveri e molti diritti, uno che ha facoltà di dispensare favori, uno che, addentro alle cose pubbliche, avrà maggiori possibilità di mungere la vacca della spesa pubblica. La grandissima parte dei dirigenti della pubblica amministrazione dispone di patrimoni e redditi non giustificabili dell'entità degli stipendi percepiti, i quali, comunque, sono molto sovradimensionati rispetto alla qualità del lavoro svolto. È molto probabile che questi dirigenti, se lavorassero in una azienda privata, svolgerebbero mansioni decisamente umili, data la loro viscerale incapacità.
     E non credere caro amico del Nord che la gente consideri questi signori dei ladri. Il popolo meridionale ossequia, ammira, riverisce questi parassiti, considerandoli dei furbacchioni che ci hanno saputo fare. Dei veri e propri modelli da imitare. Lo dimostra il fatto che la quasi totalità degli eletti alle varie votazioni, è composta da dirigenti pubblici. Tutta gente palesemente ladra ed inetta, ma che in virtù dei ruoli occupati sarà in grado di dispensare favori in gran quantità. Nessuno voterebbe una persona capace, onesta, corretta, per il semplice fatto che quasi certamente non dispenserà favori, agirà nel rispetto della legalità, e, soprattutto, farebbe vacillare quel consolidato sistema di relazioni tra sudditi e potere sul quale si basa la società meridionale. Che tale sistema sia marcio ne sono tutti consapevoli, ed in cuor proprio ognuno vorrebbe che avesse fine. Ma ognuno è anche cosciente che da solo non potrà cambiare le cose, e mentre cercherà di lottare per abbattere questo sistema marcio, resterebbe fuori dal gioco, provocando gravi danni ai propri familiari, di cui si sente responsabile. Ed allora egli spera che siano gli altri a lottare per cambiare le cose.
     Laddove un bidello o un postino godono di un riconoscimento sociale superiore a quello di un piccolo imprenditore è evidente che lo sviluppo di una sana imprenditoria viene soffocato. È il contesto sociale, e non la mancanza di capacità individuali, che inibisce la creazione di un tessuto industriale diffuso. E per quanti finanziamenti possono essere erogati, nulla cambierà se non cambierà la cultura alla base di questo sfacelo.
     Nel dopoguerra, e fino agli anni settanta, vi è stato un grande fermento economico nella zona in cui vivo. Cavalcando l'onda del boom economico molti artigiani si sono trasformati in imprenditori, ottenendo sorprendenti risultati. Molte micro aziende si sono trasformate in piccole e medie industrie, producendo utili e creando occupazione. Di tutte queste aziende oggi non rimane nulla. Come mai? In verità tutti questi imprenditori, sebbene ottenessero buoni risultati economici, continuavano a convivere con un profondo complesso di inferiorità nei confronti dei "signori". Si premurarono, quindi, di preparare i figli a quel salto di classe al quale ambivano. Li fecero laureare ed usarono la loro forza economica per inserirli nella pubblica amministrazione e nelle libere professioni. Sistemati i figli, complice un mercato sempre più difficile, cessarono le attività ed affittarono i capannoni. A quel punto la famiglia si poteva finalmente considerare appartenente al mondo dei signori, disponendo della cosa indispensabile alla bisogna: la rendita. Una doppia rendita derivante dai canoni di locazione degli immobili e dal sicuro ed intoccabile stipendio pubblico.
     L'attaccamento alla sicurezza ed al privilegio è così forte che una grandissima quantità di avvocati, ingegneri, biologi, nutre la folta schiera degli insegnanti. Può sembrare strano che un ingegnere trascuri la libera professione per dedicarsi all'insegnamento dal quale trarrà un reddito tutto sommato miserabile. Devi capire, caro amico del Nord, che la parola "pubblico impiego" genera nei meridionali un vero e proprio stato di estasi. L'appartenenza ad una certa casta ha un valore sociale che supera il puro aspetto economico. Il meridionale, figlio della controriforma, vede nel rango sociale il metro di ogni valore. La capacità, l'impegno ed il talento valgono nulla rispetto ad un titolo, anche se il più delle volte dietro quel titolo vi è il nulla. Anche questo è uno dei motivi per il quale tantissimi meridionali impiegati nella pubblica amministrazione che risiedono al nord fanno carte false pur di essere trasferiti nel loro paese d'origine. Oltre l'attaccamento alla loro terra, legittimo, essi desiderano tornare laddove godrebbero di quel prestigio sociale che in una cultura europea non è loro riconosciuto.
     Voglio nuovamente precisare che le cose, fortunatamente, stanno cambiando. Una percentuale sempre più grande di meridionali ha oramai perso del tutto le caratteristiche del suddito. Così come è vero che in molte zone del Nord il quadro sociale non è molto dissimile da quello del Sud. Rimane comunque il fatto che nessuna delle aziende delle quali ti ho appena parlato ha compiuto il salto di qualità che le avrebbe consentito di crescere e consolidarsi. Non è rimasto che il vuoto totale. Ed è difficile che oggi possano nascere aziende competitive dall'iniziativa di un piccolo artigiano privo di capitali. Coloro che dispongono di cospicui capitali, e ve ne sono tanti, si astengono da qualsiasi iniziativa imprenditoriale, e questo per i motivi di cui ti ho parlato. Poiché il nulla genera il nulla, è facile prevedere il futuro industriale del meridione.
     Intanto i politici, che provengono tutti dalla pubblica amministrazione, aggravano la già penosa situazione, promettendo lavoro che, in un modo o in un altro, trova la sua ragione di esistere nella spesa pubblica. E così parlano di fondi europei par fantomatiche attività culturali, di cooperative per gestire centri per anziani o inesistenti patrimoni artistici. Di fondi regionali per corsi stupidissimi ed inutili. E migliaia di giovani si attrezzano per un titolo di studio comprato in qualche diplomificio, frequentando corsi per OSS o per autisti di ambulanza. Come se la sola pubblica amministrazione potesse assorbire l’intera forza lavoro esistente. E mai, e dico mai, parlano di aziende capaci di produrre beni e servizi da vendere sul libero mercato globalizzato. Non sfiora loro l’idea che il lavoro vero, quello che produce ricchezza, e non quello cha la assorbe, deriva dall’industria privata, dagli imprenditori privati che investono nell’innovazione e che pensano al mondo e ai milioni di nuovi ricchi che vogliono i prodotti migliori di questo Paese.
     Ma il dramma più grande, e forse il più sottovalutato, consiste nella fuga delle intelligenze. I meridionali più intelligenti, più aperti, più qualificati, soffrono più di altri questo clima di sfascio generale, di immobilismo funereo, di rassegnazione. Queste persone hanno capito che nulla cambierà se non cambierà il modo di pensare, e quindi di agire, degli individui. Queste persone sono coscienti del fatto che gli aiuti indiscriminati, le sussistenze, i finanziamenti, le leggi speciali, hanno concorso a drogare l'economia meridionale, ed a consolidare una cultura anacronistica. Sentendosi impotenti e soli fuggono laddove trovano le condizioni economiche e sociali tali da consentirgli una vita più consona alle proprie aspettative. Amano, dei luoghi in cui vanno a vivere, quel senso generale di ordine e di rispetto delle regole, il buon funzionamento della pubblica amministrazione, il riconoscimento sociale dell'impegno, della capacità e del talento, la cura del bene pubblico e, soprattutto, l'apprezzamento per il lavoro.
     Esiste una via d'uscita da questa situazione? Certamente sì. Abbiamo visto come il problema meridionale sia essenzialmente un fatto culturale. E fin quando non si cambierà il modo di pensare, ovvero non si trasformeranno i sudditi in cittadini, le cose non cambieranno, per quanti soldi possano essere spesi. Quando sentite dire che occorre investire al sud, che bisogna realizzare infrastrutture, che occorre creare lavoro pubblico, sappiate che ci stanno prendendo per il culo. Anzi, queste cose procurano danni al meridione, a fronte dei grandi vantaggi riservati ai soliti parassiti.
     Non di denaro ha bisogno il Sud, ma di nuove regole. Innanzitutto occorre sospendere la democrazia, ovvero scordarsi per un certo tempo il suffragio universale. Far votare analfabeti, fannulloni, criminali, debosciati, non ha senso. Poiché con il voto amministrativo si decide chi sceglierà come spendere i soldi pubblici è necessario che votino solo coloro che concorrono a quella spesa. Mi pare assurdo che coloro che non pagano nulla, e vivono di espedienti e sussidi pubblici abbiano il diritto di decidere dei frutti del lavoro e dei sacrifici dei fessi che pagano le tasse, le multe, l’abbonamento alla televisione, il mutuo della casa, l’immondizia e tutti gli altri servizi di cui usufruiscono. Perché deve essere chiaro: è assolutamente ingiusto e diseducativo ciò che oramai è diventata la norma, ovvero che i furbi vengono sempre premiati a scapito dei fessi.
     Ed è questa, a mio parere, la priorità. Organizzare le cose in modo che ai furbi non sia più consentito vivere sulle spalle degli altri, con la complicità di uno stato che con il pretesto della giustizia sociale produce una situazione di assoluta ingiustizia.
     La seconda priorità è far cessare la condizione di sostanziale impunità per tutti i criminali, grandi e piccoli, e per i prepotenti, e per tutti coloro che non rispettano le leggi, minando profondamente la qualità della vita dell’intera società. Da questo punto di vista lo stato deve essere duro ed intransigente. Chi non rispetta la legge deve inesorabilmente essere punito. L’idea di poterla fare franca deve scomparire dalla mente della popolazione. Ed a tal fine ogni mezzo deve essere utilizzato, anche a scapito di una riduzione della libertà personale e delle garanzie dello stato di diritto. La situazione è talmente degenerata che non esiste la possibilità di rimettere le cose a posto continuando ad usare la legislazione ed i mezzi attualmente a disposizione. Che persone debosciate, che vivono infrangendo quotidianamente la legge e che non contribuiscono in alcun modo al benessere generale, debbano anche ricevere case popolari, sussidi economici, benefici e servizi completamente gratuiti, quando coloro che rispettano la legge e pagano le tasse sono costrette a pagare tutto, mi pare talmente assurdo da chiedermi come si sia potuti arrivare a questo punto.
     Se davvero la sovranità appartiene al popolo occorre soddisfarne le istanze, la prima delle quali riguarda la sicurezza personale e la tutela della proprietà privata. Sono certo che la stragrande maggioranza della popolazione, pur di godere di una vita tranquilla e di un contesto sociale civile, è disposta a rinunciare a quell’eccesso di garanzie di cui si è assolutamente abusato.
     La terza priorità riguarda l’assunzione di responsabilità da parte dei cittadini, obbligati a prendere coscienza del fatto che esiste una relazione diretta tra quanto si dà e quanto si riceve. Non esistono pasti gratis, e quando si riceve senza dare vuol dire che c’è qualcun altro che sta pagando per noi. Per cui le tasse vanno tutte pagate a livello comunale, e successivamente una percentuale di quelle tasse vanno trasferite allo stato centrale. Ogni comune, poi, può amministrare la somma residua, senza pretendere nulla dallo stato. E così i cittadini possono godere dei servizi possibili in ragione delle tasse pagate, e non più avere pretese astratte soprattutto da parte di milioni di cittadini che non pagano nulla e pretendono tutto. Esistono attualmente piccoli comuni dove il gettito fiscale è praticamente nullo, mentre i relativi abitanti pretendono tutto il possibile, sostenendo che i politici siano dei ladri. Non si rendono conto di essere dei parassiti, perché da sempre altri stanno pagando la loro sanità, le loro scuole, le loro pensioni. Ogni cittadino deve avere un conto fiscale personale, in cui debbono figurare le tasse pagate e le risorse di cui ha usufruito, sotto forma di servizi pubblici. Il primo che protesta e pretende, sebbene abbia avuto molto più di quanto abbia dato, deve essere preso a bastonate.
     La quarta cosa da fare riguarda la differenza di reddito, di garanzie e di tutele, che esiste tra i dipendenti pubblici ed i dipendenti privati. Nessun dipendente pubblico deve avere più diritti di quanti ne abbia un dipendente privato. Nessuno deve poter essere assunto come dirigente nella pubblica amministrazione se non ha maturato una lunga esperienza in ruoli equivalenti in una azienda privata. La semplice laurea, che hanno oramai cani e porci, ed un eventuale concorso farsa, non possono consentire ad una persona di gestire la cosa pubblica, perché, ancor prima dell’onestà, è necessaria una vera e verificabile capacità manageriale. Ma soprattutto va privatizzato tutto il possibile, facendo sempre attenzione ad eliminare ogni monopolio. Non è necessario che siano strutture pubbliche ad eseguire esami diagnostici di qualsiasi tipo. Questo servizio può essere offerto da aziende private, in concorrenza tra loro, e con costi a carico del pubblico. Perché è solo la concorrenza a garantire efficienza ed economia. Amministrazioni come il PRA, la Motorizzazione, il catasto, debbono essere gestite direttamente dai professionisti privati, collegati on-line, eliminando decine di migliaia di mansioni oramai inutili. Anche le scuole dovrebbero essere tutte private, ed ogni genitore dovrebbe avere la facoltà di iscrivere il proprio figlio in quella che ritiene migliore. Questo, naturalmente, eliminando il valore legale del titolo di studio, ad esclusione della laurea, naturalmente.
     La quinta cosa da fare è privilegiare l’investimento, l’intraprendenza e l’innovazione, rispetto alla rendita, al privilegio, al mantenimento dello status quo. Colpire il patrimonio della parassitaria borghesia meridionale è fondamentale. Occorre istituire una forte patrimoniale sui capitali non impiegati in attività produttive, ed esentare da qualunque tassa i redditi derivanti da investimenti nell’industria e nei servizi, soprattutto se innovativi. Andrebbero completamente detassati i redditi derivanti dall’attività di esportazione.
     Essendo l’industrializzazione fondamentale perché si crei quella ricchezza indispensabile perché vi sia un benessere diffuso, e perché un popolo sia sufficiente a sé stesso, ogni azione che spinga imprenditori ad aprire fabbriche nel sud deve essere intrapresa, ad iniziare dalla totale detassazione dei redditi di impresa distribuiti agli azionisti esteri. Qualora vi fossero industrie in grado di garantire due milioni di posti di lavoro, e quindi due milioni di stipendi e conseguente aumento notevole del PIL, me ne fotterei se le aziende non pagassero tasse. Perché le tasse vanno pagate dalle persone, e non dalle aziende. Se un’azienda ha un utile, quell’utile deve essere tassato nel momento in cui viene distribuito alla persona fisica. Se, naturalmente, quella persona risiede in un’altra nazione, è giusto che le tasse le paghi nella nazione nella quale risiede. Uno stato meridionale dovrebbe fare tutto il possibile per incentivare le grandi multinazionali ad aprire succursali al SUD. Ad iniziare, come ho appena detto, da una certa politica fiscale. Strutturare la macchina giudiziaria in modo tale che tutte le cause, e in particolar modo quelle relative al commercio ed all’industria, si concludano entro 60 giorni. Garantire la sicurezza delle aziende nei confronti delle varie mafie che, lo ribadisco nuovamente, vanno assolutamente soppresse, utilizzando qualunque mezzo, in barba ad ogni limite costituzionale. L’azzeramento della grande criminalità è talmente fondamentale, da essere la priorità assoluta. Sono convinto che se vi fosse un referendum consultativo, e si chiedesse alla popolazione di accettare un governo autoritario, che limitasse certe libertà, allo scopo di annientare la criminalità, vi sarebbe un plebiscito a favore della proposta.
     Sempre per incrementare lo sviluppo industriale, si dovrebbe snellire la burocrazia al massimo possibile, evitando che sia ciò che è oggi, un enorme fardello sulle spalle di chi produce ricchezza.
     Vedi caro amico, non credo che, restando le cose così come sono, possa cambiare qualcosa. Mi pare, anzi, che le cose stiano peggiorando di anno in anno. Quando vado in giro, e vedo cumuli di immondizia nelle campagne e lungo le strade, e vedo le città come pattumiere, ed il verde pubblico in uno stato pietoso, così come ogni bene pubblico, mi duole il cuore. Ma ancor peggio provo un grande senso di vergogna nei confronti di altri popoli. Ed il fatto di avere un grande passato, enormi bellezze naturali ed artistiche, grandi intelligenze, non allevia questo senso di vergogna, anzi lo aggrava. Solo i grandi coglioni si aggrappano al passato per nascondere il presente. Le persone intelligenti sanno riconoscere le proprie colpe, condizione indispensabile ad ogni cambiamento. Purtroppo sento ancora troppe persone sostenere che siamo i più belli, i più bravi, quelli che vivono meglio, che mangiano meglio, che hanno le città più belle, e che ogni cosa che non va è da addebitare a qualche astratta e non ben definita entità, a qualcuno a cui fa comodo la nostra miserabile condizione. Ecco! Sono proprio queste le persone alle quali va assolutamente tolto il diritto di voto, perché sono proprio questi vigliacchi, incapaci di assumersi le proprie responsabilità, che impediscono il riscatto del SUD, ed il terreno sul quale prosperano e mafie, le combriccole, le consorterie, e il sottobosco della più deleteria politica.



                                    IL FINANZIERE


Quando ero ragazzo avevo, come tutti, tanti amici. La gran parte di loro studiava, sperando di raggiungere la laurea. Pochi altri, per le ragioni più varie, abbandonavano gli studi ed andavano ad "imparare un mestiere". Ve ne erano altri che non studiavano e non lavoravano, e che al mio paese vengono definiti "spacca piazza": nomen-omen. Questa schiera di fannulloni, allergica a qualunque impegno e responsabilità, dovendo comunque sopravvivere anche allorquando i genitori sarebbero passati a miglior vita, speravano in un reddito che avesse la valenza di una rendita, senza alcuna relazione tra quanto avrebbero dato e quanto avrebbero ricevuto.
Ecco, quindi, la spasmodica ricerca di un "posto". Occorre, a questo punto, aprire una piccola parentesi, onde definire cosa intende, un meridionale, per "posto". Il posto è un privilegio concesso dallo stato ad alcuni eletti, dotati di non meglio definite qualità. Il posto assomiglia ad un impiego, ma a differenza dei normali impieghi, non vi è alcun obbligo di lavorare. Il posto è una rendita garantita vita natural durante, che conferisce al suo beneficiario uno status sociale superiore a quello di tutti coloro che, volenti o nolenti, debbono lavorare davvero. Il posto viene concesso attraverso un antico rito chiamato "concorso". Si tratta di una farsa nella quale una commissione dovrebbe selezionare, tra tanti candidati, quelli dotati di migliori capacità o di migliori titoli. Nella realtà la commissione, prima ancora che il concorso si svolga, dispone della lista dei "vincitori". Tale lista viene formata in ragione del peso politico del raccomandante, e di misteriosi meccanismi di spartizione, noti solo alla ristretta cerchia del sottobosco politico. Lo spacca piazza, quindi, necessita di due cose indispensabili: la raccomandazione ed un titolo di studio.
La raccomandazione va conquistata dai genitori dello spacca piazza attraverso un lavoro che dura parecchi anni, in cui la famiglia del raccomandato si adopera, elezione dopo elezione, a fornire al politico designato, il maggior numero di voti. La cosa ridicola è che esistono magistrati che aprono indagini per "voto di scambio", fingendo di non sapere ciò che sanno tutti: nel meridione d'Italia tutto il voto è "voto di scambio".
Nel frattempo lo spacca piazza dovrà procurarsi un diploma, uno qualsiasi. A questa ambascia ha provveduto il genio meridionale, con l'istituzione di una miriade di scuole private, dette anche "diplomifici". Si tratta di istituzioni che, in cambio di denaro, forniscono al cliente, nell'arco di due anni, un diploma. L'unica incombenza dello "studente" è quella di presentarsi all'esame di stato, dove gli verrà regolarmente fornito un kit con tutti i compiti già eseguiti, che lui, comunque, riuscirà a sbagliare. Ma questo ha poca importanza, perché un diploma non si nega a nessuno.
Ecco finalmente che lo spacca piazza, munito di quanto accorre alla bisogna, inizia il breve tour dei concorsi pubblici, fino alla conquista dell'agognato "posto". Si tratta quasi sempre di concorsi che riguardano assunzioni nelle varie forze armate dello stato: polizia penitenziaria, carabinieri, pubblica sicurezza, esercito, aeronautica, guardia di finanza.
Non posso affermare che tutti gli appartenenti a questi settori dello stato siano ex spacca piazza, ma ho la certezza che tutti gli spacca piazza che conoscevo sono entrati in questi settori. Fatto sta che questi individui, sostanzialmente mediocri, subiscono una vera e propria metamorfosi, trasformandosi da individui remissivi ed anonimi, in persone spesso arroganti e supponenti, forti della divisa che indossano e che ostentano quasi si trattasse di un trofeo, o di una laurea con lode nella più prestigiosa delle università. Quasi sempre si tratta di brave persone, vittime della loro mediocrità e del lavaggio del cervello che subisce chiunque entri a far parte del mondo militare. Perché forse pochi sanno che le regole, le abitudini e le consuetudini del mondo normale, sono completamente stravolte nell'ambiente militare, ad iniziare da una regola basilare ed inderogabile: evitare di pensare. Ma c'è qualcosa di ancora peggiore che mina l'equilibrio di tutti i militari, e che genera in loro una profonda frustrazione che spesso scaricano sugli incolpevoli cittadini, vittime sacrificali del loro profondo complesso di inferiorità: il fatto di dover sempre e comunque ubbidire, anche e soprattutto agli ordini più irrazionali e privi di senso.
Quasi tutti coloro che entrano nel mondo militare ne vorrebbero fuggire, ma la loro mediocrità, con la conseguente impossibilità di collocarsi nel mondo del lavoro vero, glielo impedisce. La divisa che indossano ed il piccolo potere di cui dispongono, unitamente allo stipendio sicuro, conferiscono allo spacca piazza quei vantaggi ai quali altrimenti dovrebbe rinunciare, e che non riuscirebbe a conquistare fuori dal mondo militare.
Il "posto" più ambito dagli spacca piazza è quello nella Guardia di Finanza. Tale corpo gode, nell'immaginario collettivo, di privilegi sconosciuti agli altri corpi armati dello stato. È 'convinzione diffusa tra il popolo che i finanzieri facciano la spesa gratis, o comunque godano di sconti imbarazzanti. Si tratta sicuramente di legende metropolitane, anche se esistono indizi che fanno riflettere, come ad esempio il fatto che, dovendo accompagnare le mogli a fare compere, quasi sempre i finanzieri preferiscono indossare la divisa. Molti pensano che ciò accada per intimorire il commerciante, e che la divisa rappresenti una minaccia occulta. Io invece credo che lo facciano perché orgogliosi di appartenere ad una istituzione che  “con spirito di sacrificio e grande senso del dovere, fa propria la missione di garantire la sicurezza dei cittadini e la giustizia sociale".
È lo stesso senso del dovere che impone loro di multare il commerciante che regala una caramella ad un bambino senza emettere lo scontrino, o che multa per la stessa ragione il barista che si prepara e consuma un caffè. Molti si indignano per questo eccesso di zelo, ma sbagliano. Dimenticano che "dura lex, sed lex". Anzi, personalmente proporrei un pubblico encomio a questi militi che "con spirito di sacrificio e grande senso del dovere, fanno propria la missione di garantire la sicurezza dei cittadini e la giustizia sociale".
Cosa accadrebbe se non ci fossero i finanzieri a lottare quotidianamente contro il flagello del consumo di sostanze stupefacenti? Sicuramente sarebbe facile per chiunque acquistare droghe, perché si troverebbero ovunque, di ogni tipo, a qualunque ora. Invece apprendiamo che l'anno passato la Guardia di Finanza ha sequestrato droghe in una quantità corrispondente allo 0,00003% di tutta la droga consumata in Italia. Un risultato strepitoso che viene, giustamente, enfatizzato dalla televisione, dove militi compiaciuti ed impettiti danno ragguagli sull'operazione appena conclusa.
Si tratta della stessa enfasi con la quale mostrano i risultati della lotta all'evasione fiscale, evidenziando accertamenti per miliardi di euro. Sarebbe superfluo essere maggiormente esaustivi, comunicando che la maggior parte di quegli accertamenti in sede di contenzioso verrebbero considerati per quel che sono: semplici elucubrazioni di individui fantasiosi e creativi, privi di sostanza logica e coerenza con la realtà. E sarebbe altrettanto superfluo informare che di tutti gli accertamenti che diventano esecutivi non si incassa che la minima parte, per la semplice ragione che i cosiddetti evasori sono molto spesso dei morti di fame che a malapena sbarcano il lunario, ed i guadagni che vengono loro addebitati non sono che il frutto delle false convinzioni degli accertatori, condite con una buona dose di invidia mista a rancore.
Torniamo, comunque, a parlare dello spacca piazza divenuto finanziere. Egli, indossando la divisa, dimentica immediatamente di essere un mediocre, semianalfabeta, sfaticato. Come ho già accennato la divisa produce una metamorfosi nella sua personalità. D'improvviso egli crede di detenere qualità e conoscenze precluse ai comuni mortali, avendo frequentato un corso in cui gli viene data una leggerissima infarinatura della normativa tributaria. Il poveraccio non dispone di alcun metro di paragone con il quale poter ponderare la qualità delle sue reali conoscenze, con la conseguenza di credersi un esperto tributarista, e pretendere di contraddire commercialisti con due coglioni grandi come mappamondi. Lo fanno coprendosi di ridicolo, senza rendersene conto, mancando degli strumenti intellettuali per farlo.
E se proprio gli si fa notare, codice alla mano, che si stanno sbagliando alla grande, feriti nel loro orgoglio, inveiscono quanto più possono, giustificandosi con il fatto che il contribuente può comunque fare ricorso. Non si curano, chiaramente, delle conseguenze economiche della loro incompetenza; tanto non sarà lui a pagare. In fondo, cosa pretendere da chi "con spirito di sacrificio e grande senso del dovere, fa propria la missione di garantire la sicurezza dei cittadini e la giustizia sociale" per il miserabile stipendio di 1800 euro al mese?
Sappiamo bene che fanno una vita dura, e giustamente poco dopo i cinquanta vanno in pensione. Mica come quei viziati dei carpentieri, dei contadini, dei camionisti, degli operai, che non subiscono l'usura a cui sono sottoposti i finanzieri, e che giustamente possono lavorare fino a 67 anni.
Un carpentiere lavora all'aria aperta, con folate gelide che gli sferzano il volto, o con il sole implacabile che brucia la pelle, sollevando pesi notevoli e salendo e scendendo dai ponteggi. Tutto questo lo mantiene in forma, e può considerarsi fortunato.
Ma il povero finanziere, tutto il giorno seduto in ufficio, a chiacchierare, bere il caffè, navigare su internet, con l'aria condizionata che potrebbe dargli problemi alla cervicale, o con il riscaldamento che potrebbe procurargli indesiderati sbalzi di temperatura, può egli restare in servizio oltre i 50 anni? Giammai....
La pensione, comunque, è il traguardo di un percorso irto di ostacoli che il finanziere deve seguire. Già dopo una quindicina di anni di servizio ogni finanziere ritiene di aver già dato abbastanza allo stato, e di meritare una sistemazione più consona alla sua esperienza ed ai suoi meriti. Per agevolare l'ottenimento di questa sistemazione il finanziere, come un po' tutti i pubblici dipendenti, ricorre ad un istituto geniale, frutto del duro lavoro dei sindacati: la causa di servizio.
In pratica si tratta di manifestare qualche malanno, uno qualsiasi, e pretendere il riconoscimento che tale malanno sia una conseguenza del lavoro svolto. Se, ad esempio, il finanziere soffre di una leggera ernia al disco, cercherà di vedersi riconosciuta come causa del suo malanno il fatto che sia stato troppo a lungo seduto. Ma nel caso avesse prestato il suo servizio in piedi, cercherà di addebitare alla abituale postura eretta la causa del suo male. Così come per i diplomi, anche una "causa di servizio" non si nega a nessuno. È una conquista che consente al pubblico dipendente una serie di vantaggi, essendo quelli già goduti evidentemente insufficienti.
Innanzitutto egli potrà godere dall'essere esonerato dai servizi più gravosi, imboscandosi in qualche ufficio, o svolgendo attività investigativa un po' sui generis, come scoprire i redditi del marito separato che nega gli alimenti alla moglie. Ma potrà anche godere di riposi straordinari, cure termali gratuite con vitto e alloggio pagati dallo stato, periodi più o meno lunghi di malattia, abbuono di alcuni anni lavorativi ai fini della pensione.
In Italia abbiamo circa 500 mila persone impiegate nei corpi armati dello stato, ovvero una persona ogni 120. Questo vuol dire che in una cittadina di venti mila abitanti dovremmo avere 180 persone addette alla sicurezza dei cittadini. Una quantità enorme che dovrebbe garantire la sicurezza totale di tutti e l'eradicazione di qualsiasi forma di criminalità. Sappiamo bene come stanno le cose. Ed il vero motivo è che nella pratica solo una piccola frazione di queste persone è realmente operativa. La loro produttività è davvero bassa, ed è ancor più diluita dalla gigantesca percentuale di fancazzisti, volontari o comandati che siano.
Comunque, sebbene "con spirito di sacrificio e grande senso del dovere, facciano propria la missione di garantire la sicurezza dei cittadini e la giustizia sociale" anche loro sono uomini, con le loro miserie e le loro debolezze. Con la conseguenza che, avendo bisogno dell'opera di un artigiano, rinunciano volentieri alla fattura in cambio di un interessante sconto. Oppure utilizzano disinvoltamente programmi per computer senza licenza. O badanti e colf in nero. Personalmente ho grande comprensione per le loro piccole debolezze. Quello che non sopporto è il momento in cui pretendono di fare la morale agli altri, ergendosi ad esempio di rettitudine ed onestà, cosa che fanno puntualmente, forse recitando una parte che gli è stata imposta loro malgrado.
Uno dei discorsi tipici dei finanzieri riguarda i lavoratori autonomi. Loro sostengono, credendoci davvero, che tutti i lavoratori autonomi guadagnino tantissimi soldi, siano ricchi, facciano la bella vita, a differenza loro che sono sfruttati e sottopagati. Viene quasi spontaneo replicare con la fatidica domanda: ma perché non avete fatto gli imprenditori? Oppure: perché non vi licenziate e vi mettete a lavorare in proprio, così da diventare anche voi ricchi e felici? A queste domande il finanziere inizierà a farfugliare una serie di giustificazioni confuse, mostrando evidente imbarazzo. Lo stesso imbarazzo che mostrerà allorquando gli chiederete come mai, piuttosto che indirizzare il proprio figlio laureato verso un'attività imprenditoriale o professionale, faccia carte false per inserirlo tra i servitori dello stato che "con spirito di sacrificio e grande senso del dovere, fanno propria la missione di garantire la sicurezza dei cittadini e la giustizia sociale".
Il finanziere in pensione, ancora piuttosto giovane, oltre ad impiegare il proprio tempo prostituendo la propria dignità per "sistemare" il figlio, cercherà qualche lavoretto rigorosamente in nero, giusto per arrotondare la sua magra e meritata pensione. Lui, naturalmente, non si considera un evasore fiscale, in quanto ritiene di aver già dato abbastanza allo stato.
Esistono nella vita di ognuno di noi, momenti che ci restano impressi per sempre nella nostra memoria in ragione del fatto che l'emozione che ci hanno suscitato è stata davvero grande. Pochi giorni fa mi è capitato di incontrare un paio di compagni della mia adolescenza che non vedevo da decenni.
Il primo era uno spacca piazza, poi divenuto finanziere ed oggi pensionato. È abbastanza giovanile, mostrando chiaramente di aver vissuto comodamente, senza eccessivi affanni o fatiche. Si gode la sua pensione di 1800 euro al mese, cazzeggiando per il paese e facendo discorsi non meno stupidi di quelli che faceva da ragazzo, con l'unica differenza che oggi li condisce con quell'arroganza tipica di chi crede di appartenere ad una casta di eletti.
Il secondo andò ad imparare un mestiere. Lavora da quando aveva 15 anni, e porta sul volto i segni della fatica e dell'usura. Parla poco, e se lo fa ha l'intelligenza della prudenza e del dubbio. È preoccupato perché sarà costretto a lavorare altri 12 anni, ma data la crisi e l'età, ha sempre più difficoltà a trovare lavoro.
Cammina senza una meta precisa, con lo sguardo spento e rassegnato, e maledice il padre che, credendo di fare una cosa buona, lo mandò a lavorare. Un tarlo divora pian piano la sua mente: ma se avessi fatto lo spacca piazza la mia vita sarebbe sicuramente stata migliore, ed oggi farei il signore, e non il miserabile che deve elemosinare qualche giorno di lavoro, semmai la schiena me lo consentirà. Maledetta Italia, dove i fannulloni e gli incapaci hanno mille privilegi, e gli stronzi come me vengono calpestati e derisi.
P.S. Questo scritto ha un carattere prevalentemente satirico, e spazia tra il serio ed il faceto. Ho tanti amici nella Guardia di Finanza, e sono certo che sono persone davvero perbene.
          LETTERA AD UN COGLIONE DELLA MIA TERRA
     Caro amico, ti scrivo questa lettera affinché tu prenda coscienza del fatto di essere una emerita merdaccia. Dubito che ci riesca, perché difficilmente un coglione riesce a prendere coscienza della propria condizione, nonostante ogni sforzo. Ma ci provo ugualmente, non fosse altro che per avere la coscienza pulita.
     Vedi caro amico, esistono molti segnali che dimostrano la tua condizione, e te ne elenco alcuni. Innanzi tutto il fatto di inveire con acredine verso la classe politica ed i pubblici amministratori, chiamandoli ladri, e sostenendo che il paese è in una condizione pietosa perché i soldi vengono mangiati dai politici. Ma dimmi, tu che sbraiti, di quali soldi parli? Certamente non dei tuoi soldi, perché è certo che tu non contribuisci in alcun modo alla spesa pubblica.
     Fai il bracciante, e versi una certa quantità di contributi. Ne versi il minimo possibile che ti consente di ottenere il sussidio di disoccupazione. Eppure lavori tutti i giorni, ad esclusione di quelli piovosi. Già questo dimostra che sei un ladro, perché buona parte dell’anno lavori in nero. In ogni caso quei pochi contributi che versi te li riprendi indietro, moltiplicati, sotto forma di assegno di disoccupazione. Questo vuol dire che allo stato non solo non dai niente, ma addirittura prendi più di quel che dai. Intanto, quando sarà il momento, pretenderai la tua bella pensione sostenendo di aver versato fior di contributi, quando, a conti fatti, hai preso sempre più di quel che hai dato.
     E così quello stato governato da politici che tu chiami ladri, ti somministrerà la tua bella pensione per venti o trenta anni, senza che da te abbia effettivamente   ricevuto nulla. E non ti passa per la tua mente bacata che qualcuno pagherà per te. Perché vedi, caro amico, non esistono pasti gratis. Se uno riceve senza dare vi sarà qualcuno che darà senza ricevere. E quello che riceve, a voler parlare senza peli sulla lingua, si chiama parassita.
     Ma se tutto si esaurisse nell’ottenere una pensione senza aver, nella sostanza, versato un bel niente, non mi sarei preso la briga di scrivere questa lettera. La verità è che comunque non versi un euro di IRPEF, e comunque pretendi la scuola, la sanità, le strade asfaltate, il verde curato e tutti gli altri servizi pubblici.
     Ma dimmi, grande faccia di merda, ma se tutti facessero come te, con quali soldi lo stato pagherebbe i servizi di cui tu usufruisci, e che pretendi di buona qualità? Non ti passa per la mente che qualcuno, alla fine, dovrà pur pagare? Dovranno farlo gli altri, chiaramente, perché, chissà per quale legge divina, tu hai il diritto di avere senza dare. Tu sei furbo, tanto furbo da non contribuire alla spesa pubblica neanche con le accise sui carburanti, perché questo onere spetta ai fessi. Tu sei furbo, invece, ed usi la nafta agricola, ma poi, quando vai in ospedale, pretendi tutto e subito, dimenticando, o facendo finta di dimenticare, che quello che ti viene dato è un bel pasto gratis pagato dai soliti fessi.
     Io credo che tu, oltre ad essere un furbacchione faccia di merda, sia anche un tantino idiota, perché sei così abituato a questo andazzo da non renderti più neanche conto della tua condizione di parassita. E non ti rendi conto, ad esempio, che anche quello che hai ereditato proviene spesso e in larga parte non dal lavoro dei genitori o dei suoceri, ma dal lavoro dei soliti fessi che hanno pagato le tasse. Perché era prassi consolidata che, soprattutto le donne, dopo aver versato contributi agricoli fittizi, ripresi con gli interessi attraverso la disoccupazione, verso i 50 anni riuscissero ad ottenere una pensione di invalidità, che, dopo qualche altro anno, veniva integrata da un assegno di accompagnamento. E così, persone che nella sostanza non avevano pagato un solo euro di tasse e di contributi, riuscivano a percepire per decenni fior di quattrini. E poiché si tratta di una generazione che veniva dalla miseria della guerra, era abituata a vivere con così poco, da accumulare in banca discrete fortune, di cui i figli avrebbero goduto.
       Caro amico, anche io sono un ladro, che ha preso più di quel che ha dato. Ma la differenza tra di noi sta nel fatto che ho il pudore di non chiamare ladri i politici. Perché solo chi è senza peccati può scagliare la prima pietra, e noi, credimi, di peccati ne abbiamo a bizzeffe.
     Visto comunque che hai difficoltà a capire le cose, voglio aiutarti. Devi sapere che per fare le cose occorrono soldi, e tanti più soldi ci sono a disposizione tante più cose si possono fare. E così un’amministrazione comunale può operare in ragione del proprio bilancio. Ora, se un comune è abitato in prevalenza da braccianti, disoccupati veri o fasulli, debosciati di varia natura, fannulloni, faccendieri e pensionati, avrà certamente meno risorse di un comune la cui popolazione è composta prevalentemente da operai, impiegati e imprenditori grandi e piccoli. Mille braccianti agricoli non versano un solo euro nelle casse pubbliche, anzi, come ti ho già spiegato, prendono più di quanto danno. Mille operai, invece, tra IRPEF e contributi previdenziali, versano ogni mese qualcosa come un milione di euro, che vuol dire quasi 12 milioni di euro l’anno.
     Ora capirai anche tu, nonostante i tuoi limiti mentali, che tra zero entrate e dodici milioni di euro di entrate c’è una bella differenza. Va da sé che dove nessuno paga nulla ciò che si ha viene pagato da coloro che le tasse le pagano. Si chiama redistribuzione.
     Concludo, caro amico, invitandoti a non lamentarti dei nostri politici che non saranno dei geni, ma neanche dei ladri, visto che non c’è nulla da rubare. Fatti un esame di coscienza e chiediti: quante volte ti sei rivolto a qualche politico per ottenere favori? Quante volte hai brigato per favorire un tuo famigliare a scapito di qualcun altro? Quante volte hai cercato di ottenere cose alle quali non avevi diritto? E come credi che i tuoi genitori o qualche parente dal quale hai ereditato abbiano ottenuto pensione ed accompagnamento? Siamo adulti e vaccinati, e certe chiacchiere possiamo lasciarle alle educande quindicenni.
    Ed allora, taci. E non venirmi a raccontare che non hai “venduto” il tuo voto e quello dei tuoi familiari a qualcuno dal quale ti aspetti qualcosa in cambio? E dimmi, cosa ti fa credere che quando si infrange la legge a tuo favore si tratta di un atto dovuto, mentre quando la si infrange a favore di qualcun altro si tratta di un abuso?
     Gli anni passano, si invecchia, e si capiscono cose che in gioventù non si capivano. E così comprendo i politici che non tengono in alcun conto il popolino, e che anzi lo disprezzano. Loro sanno che si tratta di coglioni inutili, che vanno presi costantemente per il culo. Il mondo va avanti a prescindere da loro, anche se per opportunità si fa loro credere di essere importanti. E così il suffragio universale si trasforma in una grande farsa, utile a far credere ai coglioni di contare qualcosa.
     Caro amico, credimi, tu e i tuoi compari non contate assolutamente nulla. Come non contano nulle le vostre chiacchiere fatte di banalità e luoghi comuni. Passate il tempo a rimbambirvi davanti alla televisione, oppure davanti al bar dove, tra di voi, continuate a raccontarvi chiacchiere alle quali vi piace credere.  E non vi passa assolutamente nella mente di essere profondamente ignoranti, e di non sapere nulla. E non vi sfiora l’idea che, forse, se vi prendeste la briga di informarvi correttamente, otterreste dei risultati migliori nel vostro lavoro. Ma voi, si sa, siete nati “imparati” e siete convinti, da gran coglioni, di saperne più e meglio di coloro che hanno studiato, girato il mondo, ed operato nel vostro settore muovendo decine di milioni di euro.
     Fate un vino che quasi sempre è una miscela imbevibile, convinti di produrre il miglior vino del mondo. Non avete bevuto altro da quando siete nati, eppure vi permettete di considerare i vini prodotti da grandi cantine come prodotti mediocri. Intanto, chissà perché, questi vini si vendono a 10 euro la bottiglia ed il vostro non lo vuole nessuno, neanche gratis. E parlate di complotto, di speculazione, di assenza dello stato. Voi, mi pare evidente, non avete colpe. La colpa è sempre di qualcun altro. Ma questo atteggiamento è tipico dei coglioni, e non deve meravigliare.
     Solo i coglioni sono convinti di produrre la migliore uva del mondo, il miglior grano del mondo, il miglior olio del mondo, come se il Padreterno avesse voluto concentrare in un solo luogo il meglio che la natura potesse dare. Intanto gli altri, con i loro prodotti “mediocri” vendono in tutto il mondo.
     Allora i casi sono due: o davvero avete i migliori prodotti al mondo e non li sapete vendere, segno evidente di coglionaggine, oppure il fatto di avere il meglio che esista al mondo è pura mitologia, ed anche questo è segno di coglionaggine.
     Io comprendo che spesso per una necessità di autoconsolazione occorre mentire a sé stessi. E credere davvero che la salsa fatta in casa sia migliore di quella prodotta industrialmente, o che la qualità del nostro cibo ci assicura una vita lunga e sana. Peccato che a Milano, città più inquinata d’Italia, la gente ha la più alta speranza di vita del nostro paese. Ma i numeri, che sono gli unici a non mentire, non vi appartengono. Vi piace sparare cazzate a vanvera, prive di ogni riscontro e di ogni fondamento.
     E intanto il mondo corre, senza curarsi di voi e della vostra “paranzana” di cui, sia chiaro, non frega nulla a nessuno. Mentre sperate in una valorizzazione dei vostri prodotti, che vi consenta di ottenere redditi più alti, gli altri costruiscono alta tecnologia, robot, farmaci innovativi, prodotti di lusso da vendere in tutto il mondo a decine di milioni di nuovi ricchi. Continuate a piangervi addosso, della serie “chiagne e fotte”, e non vi rendete conto di essere un residuo del passato che sopravvive per inerzia, totalmente insignificanti e semplici spettatori di un mondo che procede velocemente verso quel futuro che la vostra ignoranza vi impedisce di scorgere.


    
               LETTERA AD UN GIOVANE DISOCCUPATO



     Ora voglio fare due chiacchiere con te, giovane disoccupato che non riesci a trovare lavoro. È un vero peccato che un giovane, nel pieno delle proprie energie fisiche ed intellettuali, non possa dare il suo contributo al benessere generale. Si tratta, purtroppo, di un problema di difficilissima soluzione, soprattutto per quelli come te che abitano in una provincia meridionale ad economia prevalentemente agricola.
     Perché occorre essere onesti, e dire le cose come stanno. La campagna non offre che occupazioni di basso livello, precarie e sottopagate. Tant’è che oramai la manodopera agricola è composta in prevalenza da immigrati, che, fuggendo da condizioni ben peggiori, trovano accettabile il lavoro in agricoltura. E non credere alle fandonie che raccontano i politici per acchiappare voti, perché per quanto si possano valorizzare i propri prodotti ed il proprio territorio, non si riuscirà a creare tanto lavoro sufficiente ad occupare tutti.
     Se il lavoro agricolo è oramai appannaggio degli immigrati, e l’industria ed i servizi avanzati sono assenti, gli unici sbocchi possibili riguardano l’impego pubblico e l’emigrazione. Ma il pubblico non può, evidentemente, assorbire i milioni di giovani disoccupati del sud che cercano uno stipendio. Ne può assorbire una parte, che, con il passar del tempo, diventa sempre più piccola.
     Devi sapere, caro giovane, che il 50% del lavoro nella pubblica amministrazione sparirà, per la semplice ragione che si tratta di stupidissime mansioni che un semplice computer svolge meglio e più velocemente di qualunque impiegato. Si tratta di tutti quei lavori di pura burocrazia, dove gli impiegati non fanno altro che compilare, trasmettere e archiviare documenti. Si tratta dello stesso destino che subiranno gli impiegati di banca, quelli, per intenderci, che lavorano agli sportelli e che compiono operazioni stupide e ripetitive. Non occorre un genio per eseguire un versamento su un conto corrente.
     Non resta, quindi, che l’emigrazione. Ma anche questa possibilità porta con sé dei limiti ben precisi, salvo il caso in cui taluno voglia andare a svolgere lavori da miserabili. È passato il tempo dell’emigrante analfabeta con la valigia di cartone. Nessuno ha più bisogno di lui. Il giovane che si rassegna a cercare fortuna altrove può sperare in un lavoro soddisfacente solo se davvero qualificato. E qui casca l’asino.
     Capisco che nessuno ama sentirsi dire la verità, soprattutto quando fa vacillare l’impianto mentale su cui si basa la vita di una persona. Ma girare la testa dall’altra parte non è di alcun aiuto. E la verità è che tu, molto probabilmente, fai parte di quel 90% di diplomati e laureati che non sa fare nulla. L’idea che basti un titolo per trovare occupazione è sorpassata da lungo tempo, anche se troppi ancora credono in questa fesseria, con la complicità di una classe politica che dovrebbe aprirvi gli occhi e non lo fa.
     Avere un titolo non dà garanzie di saper fare qualcosa, e soprattutto qualcosa che il mercato del lavoro di oggi cerca. Ancora tutti a diplomarsi in ragioneria, al magistrale, al liceo classico, schifando le scuole tecniche che, se frequentate con passione, garantiscono davvero di trovare un lavoro qualificato. Un tecnico in meccatronica, in termoidraulica o in elettromeccanica, se bravo, trova lavoro facilmente, anche se, purtroppo, lontano dal proprio paese. Così come trova lavoro un laureato in materie scientifiche, dalla chimica alla matematica, dalla medicina all’ingegneria.
     Ma di un laureato in legge nessuno sa cosa farsene. In Italia esiste una quantità di avvocati abnorme, e ciò nonostante, i giovani continuano ad iscriversi a questa facoltà. Così come si iscrivono a psicologia, scienze della formazione, giornalismo, scienze politiche, lingue. Tutte facoltà che garantiscono una disoccupazione di lunga durata, perché si tratta di figure professionali di cui nessuno ha bisogno.
     Il mio sospetto è che si è portati a scegliere la strada più semplice, perché forse non tutti possono affrontare facoltà scientifiche. Ma allora è meglio non prendere una inutile laurea, ed imparare un mestiere. Ma impararlo bene, essere davvero bravi e preparati. Meglio un bravo parrucchiere che un mediocre avvocato. Meglio un ottimo cuoco che un giornalista fallito. In fondo ha poca importanza quel che fate, quanto il modo con cui lo fate. Qualunque cosa uno   faccia. può farla in modo innovativo, creativo, professionale, ed ottenere grandi soddisfazioni economiche.
     Sento dire che per accedere a certe facoltà occorre superare i test d’ingresso, difficilissimi. E lo sono davvero per coloro che hanno perso 5 anni a non fare una benemerita mazza. Caro giovane, parliamoci chiaro: la gran parte dei diplomati è di una ignoranza sconfinata. Se facessi loro 100 domande di cultura generale difficilmente risponderebbero correttamente a 10 di esse. Ed è assurdo che dopo 8 anni di studio della lingua inglese, non si è capaci di tradurre un breve articolo di giornale.
     Conosco tanti giovani, e tra loro alcuni che hanno davvero studiato, sono intraprendenti, ambiziosi, brillanti. Ebbene, nessuno di loro è disoccupato. Ed allora è il caso che tu e i tuoi amici facciate un serio esame di coscienza. Il tempo del lavoro per tutti è finito. Che piaccia o meno le disuguaglianze aumenteranno, così come aumenterà la precarietà. L’unica arma per combattere in questo mondo, e che ci può consentire di uscirne vincitori, è la conoscenza.
     Perché questo i politici non te lo hanno detto: il mondo si dividerà tra chi possiede la conoscenza, e chi no. Da un lato ci sarà una minoranza che vivrà negli agi, amministrando il potere, e dall’altra una maggioranza composta da un enorme sottoproletariato a cui sarà garantita la semplice sussistenza. Ciò che prima aveva un valore oggi diventa un onere, ad iniziare dai beni immobili. Un medico brillante guadagnerà più di chi possiede 20 appartamenti, considerando anche che la conoscenza uno la porta con sé, e nessuno la può rubare, distruggere, tassare.
     Non è necessario, chiaramente, essere medici o ingegneri. Perché la conoscenza è importante in qualunque ambito. Si può arricchire un medico come un ristoratore, un grande avvocato come uno che piazza distributori automatici di bevande.
     Occorre quindi fare, e fare meglio degli altri. Ma stare a piagnucolare, frequentando le anticamere dei politici, non porta da nessuna parte. E mentre passano gli anni, nella vana speranza di un “posto”, quelli più intelligenti cercano di acquisire conoscenza, frequentando dei corsi seri, ed imparando cose nuove, utili al mondo contemporaneo. E sarebbe anche importante stare meno tempo su Faceboock e leggere qualche libro. Perché, a differenza di quel che credi, la lettura attrezza il cervello di strumenti formidabili per affrontare il mondo.
     La gente, in fondo, si divide in due categorie. Una minoranza che impara ad usare il cervello con razionalità, che si informa e guarda i numeri. Perché i numeri, caro giovane, difficilmente mentono, a saperli leggere. Poi c’è la seconda categoria, che abbraccia il 90% della popolazione, ed è quella che ragiona con la pancia, ovvero con l’istinto. Non si informa e non guarda i numeri, perché è inutile. Queste persone sanno già tutto, anche se le loro conoscenze provengono dalle chiacchere da bar, e non ammettono di potersi sbagliare.
     La storia del mondo dimostra che in ogni epoca ed in ogni luogo c’è chi sta sopra e chi sta sotto. Ora fai un piccolo esercizio: delle due categorie di cui ti ho accennato, indovina chi sta sopra? E tu, onestamente, vuoi stare sopra o sotto?
     Se davvero non desideri divenire un anonimo ed insignificante sottoproletario, vivere di stenti ed essere considerato una nullità, inizia a darti da fare, e sgombera la tua mente dall’enorme massa di stupidaggini e luoghi comuni di cui è piena. Solo la conoscenza separerà i pochi dai molti, ed è su di essa che devi investire il tuo tempo e le tue energie.


                                     
                                        IL POLITICO



     Don Raffaele, noto politico locale, nonché instancabile benefattore, riceve i suoi clienti nello studio al primo piano del palazzo di famiglia. Entra il primo cliente, una madre disperata e supplicante: "Don Raffaè, voi dovete sistemare mio figlio. Quello, il disgraziato, non ha né arte né parte. Dorme fino a mezzogiorno e non ha nessuna intenzione di sistemarsi ed andarsene di casa. Io e suo padre siamo stanchi. Per favore, dateci una mano!"
     "Avete detto che non ha né arte né parte?" interrompe Don Raffaele. "Vediamo un po', ecco, gli trovo un posto da bidello. Li non fa un cazzo tutto il giorno, ma comunque prende uno stipendio, che è l'unica cosa che conta. Uno stipendio sicuro, vita natural durante; malattia, assegni familiari, prestiti agevolati, aspettative, distacchi sindacali. Tutto fuorché la fatica signora mia" "Grazie Don Raffaè, ve ne saremo grati tutta la via. Siete un santo." "L'importante” interrompe Don Raffaele “è che ve ne ricorderete quando sarete nella cabina elettorale. Li, io non vi vedo, ma Dio si"
     Entra il secondo cliente, Un uomo modesto e dall'aspetto supplicante: "Buongiorno Don Raffaele. Voi sapete che io e la mia famiglia siamo e resteremo sempre vostri servi devoti. Oggi, purtroppo, debbo chiedervi un favore, un grande favore che a voi non costa nulla ma che può cambiare la vita di un giovane sfortunato: mio figlio. "Oh Madonna del Carmine” interviene preoccupato Don Raffaele “e qual è questa sfortuna che ha colpito quel bravo giovine di vostro figlio"?
 "Vedete, Don Raffaè, mio figlio non ha voglia di fare un cazzo. Gli ho trovato tanti lavori, ma ogni volta ha durato pochi giorni. Un lavoro era sporco, un altro era faticoso, un altro ancora si lavorava di domenica, e poi il padrone era scorbutico, oppure i clienti non lo rispettavano. Ogni volta un pretesto per farsi licenziare. Don Raffaè, siamo disperati." "E ditemi" intervenne Don Raffaele. "Vostro figlio ha qualche titolo?" "Veramente ha un diploma di ragioniere" "Beh, almeno ha avuto la buona volontà di studiare:" "Macchè, quello, mio figlio, non ha combinato niente neanche a scuola. Il diploma glielo abbiamo comprato. Conoscete quelle scuole dove paghi e ti danno il diploma? Seimila euro ci è costato, seimila euro che avevamo messo da parte con grandi sacrifici per comprare un posto al campo santo. Quello, Don Raffaè, non si può mai sapere. E allora è meglio che uno sia sempre preparato, siete d'accordo?"
     Don Raffaele, dopo essersi grattato con discrezione dove tutti immaginiamo, inizia a pensare: "Ho trovato. Vostro figlio lo mandiamo in Finanza. È' la carriera ideale per i fancazzisti cronici che si credono di possedere qualità di cui sono del tutto privi. E mi sembra che vostro figlio, di qualità, non ne ha alcuna." "Don Raffaè, vi debbono fare santo subito. Non capisco come possano in tanti parlare male di voi, che non fate che del bene. Permettetevi di baciarvi le mani." "Comodo, non è il caso. L'importante è che ve ne ricordiate al momento giusto: capite a me:"
     Entra il terzo cliente, un uomo dall'aspetto distinto, di buona famiglia. "Don Raffaele, vi porgo i miei ossequi. Mi spiace importunarvi, sapendo che siete sempre tanto impegnato a fare il bene degli altri. Se sono qui è perché anche io, questa volta, ho bisogno della vostra sacra intercessione." "Professore carissimo, ditemi pure." Disse Don Raffaele "Conosco da sempre voi e la vostra famiglia, e so che siete sempre stati dalla mia parte e mi avete sempre sostenuto nei momenti importanti. Ditemi pure."
      "Vedete, caro onorevole, io ho un figlio che mi sta dando tante preoccupazioni. Si è laureato in legge per il rotto della cuffia. Ci ha messo 12 anni, capite? Dodici anni. Benché sia mio figlio debbo riconoscere che era ed è rimasto un caprone, nonostante la laurea. Ma la cosa che davvero mi preoccupa è che si accompagna a persone poco raccomandabili. Gente avvezza alle piccole e grandi truffe, agli intrallazzi, al guadagno facile, sempre al limite della legalità. Lui, mio figlio, sostiene che solo i fessi lavorino, e che esistono tanti sistemi per fare soldi, alla faccia degli ingenui." "Beh!" Interviene l'onorevole "Una bella testa calda" "Ho paura, onorevole" Riprende il professore. "Ho paura che prima o poi finirà in galera, portando disonore a tutta la famiglia"
     "Non si preoccupi, professore. Vediamo un po': ha una laurea, è un caprone e crede di essere un genio, è avvezzo all'intrigo, ha poche remore morali. Credo che l'ideale sarebbe un bel posto come dirigente nella pubblica amministrazione. Vada pure tranquillo, professore, ci penso io." "Sapevo di poter contare sulla vostra benevolenza, esimio onorevole. In qualunque occasione disponete pure di me e di tutta la mia famiglia."
     Entra il quarto cliente. "Buon giorno onorevole. Mi hanno parlato a lungo della sua disponibilità nel risolvere i problemi della gente. Sono qui per chiedervi di aiutarmi." "Ditemi pure. Di cosa vi occupate e cosa vi occorre?" "Sono un fabbro, e, scusate la modestia, sono anche bravo. Lavoro da quando avevo quattordici   anni, e guadagno abbastanza. Il fatto è che sono stanco. Gli anni passano e vorrei un lavoro meno faticoso. I miei figli sono autonomi, e mi basterebbe un semplice stipendio per vivere serenamente.
     "Vedete caro amico" risponde l'onorevole "Voi non vi rendete conto   di quanto siete fortunato. Sapete fare qualcosa, lo sapete   fare bene e siete anche abituato a lavorare sodo. Il vostro è un atteggiamento egoistico." "Egoistico?" "Si, egoistico. Se io vi dessi un posto, sarebbe un posto in meno a disposizione di qualcun altro, magari un fannullone nullafacente e sfaticato. Mentre voi siete capace di guadagnarsi la pagnotta, questo mondo è pieno di incapaci ai quali, noi politici, abbiamo il dovere di provvedere. Se non dessimo loro un posto, come farebbero a sopravvivere? Pensateci, e mettetevi la mano sulla coscienza." "Onorevole, la mano sulla coscienza se la dovreste mettere voi. Comunque non conti sul mio voto e su quello della mia famiglia"
     "Caro mio, lei non si rende conto che nella democrazia contano i numeri. La quantità e non la qualità. I nullafacenti, gli ignoranti, gli sfaticati, gli incapaci, sono tanti, ma proprio tanti. È il loro voto che fa vincere le elezioni, e non quello di un imprenditore, o di un intellettuale o di un onesto lavoratore. Cercate quindi di capire, e   mettetevi l'anima in pace."


    






    
  
























      


































































                          Stampato nel mese di Ottobre 2017

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