Le vicende narrate in questo racconto si svolgono sul finire del 2013, in una Milano teatro di disordini sociali sempre più intensi causati da una crisi economica inarrestabile. Carlo, il protagonista, è un manager del settore marketing che si ritrova senza lavoro, e che vede crollare ad una ad una tutte le sue certezze. Nell'arco di una settimana, attraverso l'incontro con vecchi compagni con i quali non si vedeva da trenta anni, cambia completamente la sua visione del mondo, subendo una metamorfosi interiore che lo cambierà radicalmente.
La storia è suddivisa in sette capitoli, uno per ogni giorno della settimana, più un epilogo. Tempo medio di lettura: due ore.
La storia è suddivisa in sette capitoli, uno per ogni giorno della settimana, più un epilogo. Tempo medio di lettura: due ore.
VENERDI'
Quel giorno Carlo, senza una vera
ragione, decise di ritornare nel quartiere della sua giovinezza. Al tempo in
cui Carlo vi viveva era un quartiere di periferia, con i classici palazzoni
popolari confusi tra capannoni, fabbriche e ciminiere. Con il tempo molte delle
fabbriche furono spostate in altre zone, ed il loro posto fu occupato da nuovi
condomini e da qualche centro commerciale.
Vi arrivò senza fretta, così come
parcheggiò, non facendo caso al fatto che l'auto fosse in divieto di sosta. E
così, mentre si allontanava fu richiamato dal fischio di un vigile urbano
sbucato chissà da dove insieme al suo collega.
"Non ha visto il
segnale?"
"Mi scusi, ero distratto, la
sposto subito"
"Patente e libretto, per
favore"
Carlo aprì la macchina e consegnò
il libretto all'agente, mentre il collega entrò nell'auto di servizio per fare
la classica verifica sulla targa. Ne uscì dopo un po, avvicinandosi al collega
con il quale parlottò a bassa voce.
"Signore, lo sa che
quest'auto non può circolare? C'è il fermo amministrativo. Dobbiamo
sequestrargliela."
Carlo rimase pochi istanti in
silenzio, combattuto tra la rabbia e la rassegnazione.
"Non ho pagato delle multe,
è vero. Ma non c'è stata malafede, è che ho perso il lavoro. Appena riprenderò
a lavorare pagherò tutto, ve lo assicuro. Intanto però senza auto mi è quasi
impossibile cercare lavoro....per favore"
"Mi spiace, ma dobbiamo fare
il nostro dovere."
Carlo, dopo un breve silenzio e
guardando negli occhi il suo interlocutore, chiese: "avete dei figli? Io
ne ho due" Fece una breve pausa," e non sanno che ho perso il lavoro.
Non lo debbono sapere. Sono sicuro che troverò qualcosa. La macchina mi serve.
Togliermi la macchina vuol dire togliermi la possibilità di trovare qualcosa, qualunque
cosa. Per favore..."
I due agenti si guardarono negli
occhi, e bastò poco ad intendersi. In fondo erano anche loro due disgraziati
che vivevano i problemi di quest'Italia in bancarotta, ed avevano amici e
parenti che vivevano il dramma della disoccupazione. Erano anche stanchi di
dover sequestrare ogni giorno auto che circolavano senza assicurazione o con il
fermo amministrativo. Oramai, chiudere un occhio, era diventata prassi.
"Sposti comunque la
macchina, e buona fortuna." Riconsegnarono i documenti ed andarono via.
Il quartiere era cambiato dal
tempo in cui Carlo vi abitava, ma non abbastanza da non consentirgli di
riconoscere i luoghi della sua giovinezza. Vi mancava da trenta anni, da quando
si trasferì in un'altra zona. Pensò spesso di ritornarvi per incontrare i
vecchi amici, sapere di loro, dei loro destini, e raccontarne del proprio, di
come si fosse realizzato, avesse trovato un buon lavoro, guadagnasse bene.
Voleva tornarci da vincitore, con la sua bella auto ed i suoi abiti firmati. Ma
si sa come succede: si rimanda, si rimanda, ed all'improvviso ci si accorge che
sono passati decenni. Trenta anni sono tanti, oppure pochi; dipende.
Intanto il quartiere sembrava
aver perso la vitalità di un tempo, così come l'aveva persa la generazione di
Carlo. Tutto sembrava spento, decadente, precario. Sicuramente c'era più
ordine, i palazzi erano più belli, il verde più curato. Mancavano, però, i
bambini che giocavano in strada, i venditori ambulanti con le loro grida
dall'improbabile accento, le mamme dai morbidi chili in eccesso che tornavano
dal mercato rionale. Mancava la vita, con i suoi rumori ed i suoi odori.
Oppure, più semplicemente, mancava quella vita che Carlo ricordava, la vita di
una periferia abitata prevalentemente da una classe operaia che ancora sognava
di andare in paradiso, ignara del fatto che, qualche anno più in la, la Milano
da bere avrebbe inaugurato l'epoca dell'economia immateriale, e segnato il
destino dell'industria.
"Carlo? Sei Carlo?"
Carlo si destò dai suoi pensieri
e guardò, perplesso, l'uomo che aveva di fronte.
"Carlo, non mi riconosci?
Sono Giovanni, Giovanni Rubini."
"Giovanni! Cazzo come sei
cambiato."
I due si abbracciarono
calorosamente e stettero in silenzio per qualche momento.
"Come stai?" Chiese
Giovanni.
"Bene, e tu?"
"Insomma! Potrebbe andare
meglio."
"Ma anche peggio"
Replicò Carlo.
"Ma guarda che sorpresa
stamattina! Andiamo a berci un caffè" Disse Giovanni. "Voglio che mi
racconti di te. Ma chi avrebbe mai immaginato!"
"Andiamo al tazza
d'oro" Disse Carlo. "Mi pare che sia dietro l'angolo, sempre che
esista ancora"
"Il tazza d'oro esiste
ancora, ma sai, non è più il bar di un tempo. Il proprietario, Arnaldo, te lo
ricordi? Beh, Arnaldo morì, e la moglie vendette il bar. I nuovi proprietari
hanno smantellato tutto il vecchio arredo, eliminando il biliardo ed i tavoli
per giocare a carte. Ora è un bar alla moda, lo chiamano longe bar, e le
consumazioni costano parecchio. No, non è un bar per operai. Quelli come me
vanno al naviglio. E' meno elegante, ma il caffè costa poco e se ti siedi a
leggere il giornale senza consumare nessuno ti guarda storto. Ma se preferisci
andiamo al tazza d'oro"
"Va benissimo il naviglio.
Sai, ho frequentato molto questi locali alla moda, e, francamente, mi hanno
leggermente rotto il cazzo. Nessuno di loro è mai riuscito a farmi sentire a
casa mia come riusciva a farlo il tazza d'oro. In fondo, sai la verità? Sono
una grande presa per il culo. Come quei ristoranti di lusso dove paghi molto e
mangi poco. Li ho frequentati, dovevo farlo, ma in nessuno di loro mi sono
sentito appagato ed a mio agio come in una bella trattoria, dove si mangia
bene, e si spende il giusto. E dove non sei obbligato a fingere di apprezzare
un vino solo perché te lo fanno pagare un occhio della fronte, oppure a sopportare
un cameriere fastidiosamente zelante. No, decisamente meglio la trattoria. Vada
per il naviglio".
"Maria, due caffè"
ordinò Giovanni appena varcò l'uscio del Naviglio. Presero posto al primo
tavolo libero, ancora ingombro da un giornale sfogliato distrattamente e da un
paio di tazze. "Allora, Carlo, raccontami di te".
"Mah, cosa posso dire: sono
sposato, ho due figli, un mutuo ed una moglie stritolapalle."
"Se ti può consolare"
interruppe Giovanni "posso garantirti che tutte le mogli sono uguali, nel
senso che tutte, assolutamente tutte, hanno la capacità di fracassare i
coglioni ai rispettivi mariti. E' nella loro natura, e non c'è verso di
sottrarsi a questa continua tortura. Con il tempo ci si abitua. In fondo siamo
nati per soffrire." Giovanni accenna una breve risata "Ed il lavoro?
Di cosa ti occupi?"
"Sono dirigente in una
società di marketing, anzi, lo ero, perché sono stato licenziato. Sono
disoccupato, Giovanni, disoccupato."
"Beh, allora siamo colleghi,
anzi, lo saremo tra breve. Io sono in cassa integrazione, ma sicuramente non
rientrerò più al lavoro."
Maria poggia le due tazzine di
caffè sul tavolo, raccoglie quelle vuote e va via veloce.
"Qui purtroppo è un macello.
Tra le aziende che falliscono e quelle che trasferiscono la produzione all'estero,
il lavoro sta sparendo, almeno per gli operai come me. Dicono che dobbiamo
riqualificarci. Mah! A me sembra che ci stanno solo prendendo per il culo.
Almeno tu hai studiato, hai una professione importante e ben pagata"
"Merda, Giovanni, merda.
Quelli come me oggi sono solo merda. Se hai superato i '50 sei peggio di un
appestato. Sapessi quante telefonate ho fatto! Niente, non c'è niente. La scusa
più frequente è che sono troppo qualificato, che è un modo gentile per dire che
sono vecchio. Intanto i soldi stanno finendo, ho Equitalia sul collo e tre rate
del mutuo non pagate."
"Mi spiace Carlo. L'unica
cosa che posso dirti, se ti può essere di qualche consolazione, è che tutta
questa gente che vedi qui al bar è senza lavoro. Io riesco ancora a sopravvivere
perché la casa è quella che mi lasciarono i miei genitori, e mia moglie si
arrangia assistendo un paio di vecchietti che abitano nel mio palazzo, sperando
che vivano a lungo," Giovanni fece una breve pausa, bevve il suo caffè, e
continuò: "Ma il futuro...non so, davvero non so."
"Non lo sa nessuno"
intervenne Carlo "La verità è che nessuno sa come andrà a finire questa
faccenda, nessuno. I politici sparano le solite cazzate, cercando di far
credere di avere la soluzione a portata di mano. In realtà anche loro navigano
nel buio più profondo."
Stettero per un po’ in silenzio,
a meditare sulle proprie miserie. Poi Giovanni disse:
" Senti, ti va di vedere
qualche vecchio compagno? Te lo ricordi Marco Favara? Quello che il padre
faceva l'idraulico?"
"Certo che lo ricordo, era
l'unico ad avere sempre dei soldi in tasca."
"Ha messo su un'impresa
edile. Sai, guadagna un sacco di soldi. Se vuoi possiamo trovarlo alla
trattoria da Caterina, è qui vicino. Da quando si è separato il mezzogiorno
mangia li. Sono sicuro che gli farebbe piacere rivederti,"
"Non saprei Giovanni,
presentarsi così, all'improvviso".
"Ma dai! Non farti questi
stupidi problemi. E poi, lui conosce tanta gente, può darsi che ti possa dare
una mano. Hai la macchina?"
"Si, è qui vicina."
"Allora andiamo"
La macchina partì lentamente,
seguendo le indicazioni di Giovanni. Lungo il tragitto Carlo notò lo stesso
paesaggio di ogni altro quartiere della sua città: tantissimi negozi chiusi,
tanti cartelli vendesi o affittasi, parcheggi dei centri commerciali semi
deserti, fabbriche chiuse. Ed un'atmosfera strana, quasi inquietante. Non si
trattava certamente dello spettacolo migliore per stimolare l'ottimismo. Dopo
l'ennesimo incrocio svoltarono a sinistra, e si trovarono davanti alla
trattoria “da Caterina”.
Nell'entrarvi, Giovanni fece
strada a Carlo, muovendosi come fosse di casa. Si guardò un po’ intorno, fin
quando vide Marco seduto al suo tavolo. Gli si avvicinò e disse: "Marco,
guarda chi ti ho portato."
Marco alzò lo sguardo verso il
compagno di Giovanni, fissandolo con attenzione. Non gli parve di riconoscerlo.
"Marco, non lo
riconosci?"
"Veramente non saprei, mi
sembra...no, mi spiace"
"E' Carlo, te lo ricordi?
l'intellettuale"
"Porca miseria, Carlo, cazzo
è vero, Carlo" Si alzò e lo abbracciò, ricambiato. "E come mai sei
tornato all'ovile? Nostalgia, vero?"
"Molta" rispose Carlo
"Avevo voglia di rivedere il mio vecchio quartiere ed i miei amici"
"Ma sedetevi" Marco
spostò un paio di sedie "accomodatevi, mangiate insieme a me, siete miei
ospiti. Signora Clara, aggiunga altri due coperti, ho ospiti"
La signora Clara si avvicinò, e
quasi con timore disse " Signor Favara, le dispiace venire di la, dovrei
parlarle"
Il sorriso di Marco si spense in
una smorfia di leggera tristezza, si alzò e seguì la signora.
Riapparve dopo un paio di minuti,
riguadagnando con indifferenza il proprio posto. "Allora" disse
"Raccontami di te. Cosa hai fatto in questi trenta anni?"
"Sicuramente sono
invecchiato" disse Carlo "Per il resto mi sono laureato, ho messo su
famiglia, ho comprato casa. Sai, un po’ la vita di tutti, senza lode e senza
infamia. Avevo grandi progetti per la vita, come tutti, credo, ma le cose, si
sa, non vanno mai come uno le immagina."
"E' vero" interruppe
Marco "le cose vanno sempre per conto loro, ma dimmi, che lavoro
fai?"
"Mi occupavo di Marketing.
Ero dirigente in una grossa società"
"Perché parli al
passato?"
Intervenne Giovanni: "E'
stato licenziato, sai, la crisi. Ma Carlo è uno davvero in gamba, e troverà
subito un lavoro migliore"
"Glielo auguro con tutto il
cuore. Ma la situazione è davvero brutta" disse Marco con tono serio
"Qui sta saltando tutto, e non mi pare di vedere una via d'uscita, almeno
al momento."
"Il tuo lavoro?" Chiese
Carlo.
"Di merda ragazzi. Ma di
quella grossa. Sapete perché la signora Luisa mi ha chiamato in disparte? Bene,
è inutile raccontarci fesserie. La signora Luisa mi ha chiesto di saldarle il
conto" All'improvviso Marco si mette le mani sulla faccia, quasi a volersi
nascondere, e scoppia in un pianto sordo, discreto, quasi pudico. "Sto per
fallire, ragazzi. Ho costruito 16 appartamenti e non riesco a venderne uno.
Nell'operazione ci ho messo tutti i miei capitali e mi sono esposto con le
banche per oltre un milione di euro. Non riesco più a pagare i contributi degli
operai, i fornitori....neanche il conto della signora Luisa."
Carlo, che sperava di trovare
conforto, fu costretto a confortare Marco, o almeno a provarci. Sembrava che
tra i tre il meno disperato fosse Giovanni, benché non se la passasse proprio
bene. Forse il dolore dipende dall'altezza dalla quale si cade, e sicuramente
Giovanni, rispetto a Carlo e Marco, non aveva mai condotto una vita
particolarmente agiata. Ai sacrifici ed alle ristrettezze vi era abituato da
sempre, e sebbene i tempi fossero difficili, non lo erano molto di più del
solito.
Ma per Carlo e Marco la caduta
sarebbe stata davvero dolorosa. Abituati a vivere nell'agiatezza, a disporre di
belle macchine, di una bella casa e di una vita sociale abbastanza dispendiosa,
ritrovarsi senza alcun reddito sarebbe stata davvero dura. Ma Giovanni era un
semplice, tenero di cuore e sempre pronto ad aiutare gli altri, nel limite
delle sue misere possibilità. Perciò fu lui a tentare di confortare entrambi
gli amici.
"Ragazzi" disse
"Non vi disperate. Oggi siamo vivi, ed è già un buon punto di partenza. Ma
ci pensate? Potevamo essere morti, ed allora si che erano cazzi amari".
Le parole di Giovanni strapparono
una corale, liberatoria risata. Il buonumore tornò ad impadronirsi della
compagnia, soprattutto all'arrivo delle tre belle porzioni di pizzoccheri alla
valdostana. Poche cose, come il cibo, conciliano il buon umore, soprattutto se
accompagnato da qualche bicchiere di rosso, di quello buono.
Quando ebbero finito di mangiare
Carlo insistette per pagare il conto. Alla fine Marco acconsentì, con gran
soddisfazione della signora Clara.
"Il caffè, però, lo pago
io" disse Marco all'uscita del locale. "Vi offro un caffè con
sorpresa: una vera sorpresa. Vi va di fare 10 minuti a piedi?"
"Certamente", disse Giovanni
"In fondo non abbiamo un cazzo da fare".
Tra una chiacchiera e l'altra 10
minuti passarono in fretta. Arrivarono, finalmente, a destinazione. Fu grande
la sorpresa di Carlo e di Giovanni nel constatare che non si trattava di un
bar, ma di una libreria, o almeno così pareva dall'esterno.
La libreria non aveva insegna.
Era conosciuta come "la galleria del pazzo", soprannome che il
titolare portava quasi con orgoglio dalla più giovane età. Non che fosse
realmente pazzo, naturalmente, ma sicuramente fuori dagli schemi lo era sempre
stato. La "galleria del pazzo" faceva commercio di libri,
prevalentemente usati, ed organizzava mostre d'arte e piccoli convegni. Più che
un tradizionale negozio sembrava un grande e disordinato bazar. Quadri e sculture
si alternavano tra pile di libri e qualche pezzo di modernariato. Oggetti
strani occupavano i piani degli scaffali lasciati liberi dai libri. In questo
casino infernale lo stesso titolare aveva difficoltà a trovare ciò che i
clienti chiedevano, e forse proprio questo dava al locale un fascino
ineguagliabile. La "galleria del pazzo" nel corso degli anni divenne
una vera e propria istituzione, e molto spesso luogo di incontro e di
intrattenimento per una cerchia di clienti abituali. Per questa ragione il
Pazzo si organizzò creando un piccolissimo angolo caffetteria, dove, tra
l'altro, era anche in grado di preparare una spaghettata. Il tutto, sia chiaro,
in modo totalmente illegale.
Il Pazzo aveva una sua
particolare visione del mondo, nella quale era contemplato il dovere di non
rispettare qualunque legge che si ritenesse ingiusta. E qualunque legge
limitasse la libertà di una persona, senza che l'esercizio di tale libertà
danneggiasse qualcuno, era da considerarsi ingiusta. Ecco la ragione per la
quale la caffetteria fosse totalmente fuori legge. Il pazzo non capiva per
quale ragione non potesse esercitare il diritto di farsi una spaghettata con i
clienti circondato da libri ed opere d'arte. Luca, questo il suo vero nome, era
una persona di grande cultura e grande sensibilità. Si racconta che avesse
letto quasi tutti i libri che passavano dal negozio, ed era in grado di fornire
agli interessati ogni informazione su di essi.
La maggior parte dei clienti di
Luca entrava nel negozio con il pretesto di acquistare qualche libro, ma si
trattava, appunto, di un pretesto. La ragione vera consisteva nel partecipare
ad una discussione che, in breve, coinvolgeva tutte le persone presenti. Non
era raro che si facesse tardi, e che Luca proponesse ai presenti, sconosciuti
compresi, una bella spaghettata. Il piacere di partecipare a questi informali
simposi costava ai convenuti una piccola offerta, che veniva inserita in un
grande salvadanaio. E' difficile dire se Luca fosse un genio del marketing o un
entusiasta compagnone. Sta di fatto che le offerte, detratte le spese, gli
procuravano almeno la metà del reddito che ricavava dall'attività. Esentasse,
naturalmente.
Marco fu il primo del gruppo ad
entrare nel negozio, seguito dagli altri. Appena Luca lo vide gli si avvicinò
per salutarlo.
"Ciao, capitalista pezzo di
merda, non dirmi che hai deciso di leggere un libro? Non farlo, ne potresti
morire"
"Ciao, poeta del cazzo, non
ti preoccupare, la lettura è un vizio dal quale mi son saputo guardare.
Piuttosto, prepara 3 buoni caffè, per me e per i miei amici"
"Li preparo subito, ma non
per te, ma per quei poveracci che debbono sopportarti" volse finalmente lo
sguardo verso Carlo e Giovanni, che riconobbe dopo qualche attimo:
"Ragazzi, ma siete davvero voi? Che bella sorpresa!" Abbraccio
entrambi, mentre i suoi occhi si illuminarono. "Quanto tempo, quanto tempo
è passato. Mai avrei immaginato che ci saremmo rivisti prima o poi. Li
abbracciò di nuovo.
Il tempo di preparare il caffè fu
sufficiente per scambiarsi le informazioni essenziali: la salute, la famiglia
il lavoro. Poi sedettero sulle sgangherate poltrone con le tazze in mano.
"Ragazzi" Disse luca
"permettetemi di recitarvi una poesia assolutamente pertinente alle
circostanza che stiamo tutti vivendo"
"Ti ascoltiamo con
piacere" disse Marco.
Luca si levò solenne, e cominciò.
"Ognuno fa quel che deve
alcuni fan ciò che possono
altri fan quel che sanno
ma tutti, in qualche modo
lo prenderanno in culo
quando? Beh, nessun lo sa"
L'applauso partì immediato, anche
da parte degli altri avventori presenti nel locale.
"A proposito del
quando" intervenne Carlo "mi pare che non occorra più aspettare. E'
in questo momento che lo stiamo prendendo tutti in culo, siete d'accordo?"
"D'accordissimo" disse
Giovanni
"Mi associo" Disse
Marco, stringendo la mano a Carlo. "Anche se mi pare che una categoria si
salvi sempre, e che, anzi, proprio in questo momento se la passi alla
grande".
"A chi ti riferisci?"
Chiese Luca.
"Ai grandi banchieri"
"Ti sbagli, mio caro. Forse
dimentichi che anche loro, un bel giorno, andranno al creatore. Quel giorno lo
prenderanno doverosamente in culo. Ma ci pensate quanto deve essere terribile
morire sapendo di lasciare un patrimonio di miliardi di euro, e non poterli
portare con se? Terribile, deve essere davvero terribile."
"Sarà anche terribile"
interruppe Giovanni "Ma almeno loro in vita i soldi li hanno avuti. Noi
sicuramente non avremo il rimorso di lasciare tanti soldi, ma quello ugualmente
terribile di aver vissuto da morti di fame"
"Suvvia ragazzi, mi sembrate
troppo pessimisti" sentenziò Luca "Una persona intelligente sa che,
in qualunque circostanza, essere ottimisti e ridere è sempre più conveniente
che essere pessimisti e disperarsi. Anzi, direi che ridere delle proprie
miserie sia il più grande segno di intelligenza che una persona possa dare. E
poi, ditemi, avete mai visto qualcuno risolvere i propri problemi
disperandosi?"
"Mai" disse Giovanni
"E poi, diciamocelo francamente, se proprio uno deve stare nella merda, è
meglio starci con allegria"
Carlo annuì, si alzò ed iniziò la
sua arringa: "Signori, ragazzi, o come cazzo volete essere chiamati,
vorrei, in questa circostanza, ringraziarvi pubblicamente per avermi regalato,
in questa giornata, momenti di allegria insperata, dopo giorni di vera e
propria angoscia. Questa rimpatriata è stata molto più efficace di una serie di
sedute dallo psicologo, che, tra l'altro, non mi potrei neanche permettere.
Sapere che i miei amici d'infanzia sono, tutto sommato, dei disgraziati come
me, mi fa sentire meglio. Quindi grazie, grazie di cuore per essere dei
derelitti, degli emarginati, dei falliti, dei miserabili. Grazie ed ancora
grazie"
Marco restò in dubbio se essere
sbigottito o divertito. Optò per la seconda soluzione, e volle dire la
sua:" Come si dice, mal comune mezzo gaudio. Effettivamente sapere che in
questo momento in Italia la gran parte della popolazione è nella merda come
noi, ci fa sentire meno colpevoli. E, così come si stanno mettendo le cose, la
cosa più intelligente da fare è godersi la vita giorno per giorno. Come disse
il poeta: del doman non v'è certezza"
"Bravo Marco"
intervenne Luca "Sono felice di sentirti citare i poeti. Forse con l'età
ti stai ravvedendo, ed hai deciso di acculturarti"
"Giammai, caro Luca, io sono
orgoglioso della mia ignoranza, ne sono fiero ed intendo difenderla con le
unghie. Per citare un altro poeta: beata ignoranza, quando se sta bene de capo,
de core e de panza."
Proprio in quel momento la porta
del negozio si aprì, ed entrò Simona.
Luca l'accolse con calore:
"Cara Simona, capiti a proposito, voglio farti conoscere alcuni miei amici
di gioventù"
"Ne sarei onorata"
rispose Simona.
"Lui è Giovanni,
inesauribile fonte di saggezza popolare. Carlo, detto l'intellettuale per via
del fatto che era un secchione saccente, e Marco, costruttore, pieno di soldi e
povero di cultura."
"Io sono Simona,
piacere"
"Accomodati, ti preparo
subito un caffè"
Simona è una donna che porta bene
i suoi anni, dai modi signorili e dolci e dotata di una naturale eleganza.
Proviene da una famiglia della ricca borghesia meneghina di fine ottocento, che
nel corso degli anni ha dissolto il proprio patrimonio tra una moltitudine di
eredi. Suo padre occupò buona parte della sua vita nella ricerca e nella
raccolta di libri antichi rari, cosa che quasi prosciugò il suo patrimonio.
Alla sua morte l'intera raccolta fu donata al Comune di Milano, ed a Simona non
restarono che un bell'appartamento dalle parti di San Babila, ed una buona
educazione. Fece un ottimo matrimonio con un avvocato avviato ad una brillante
carriera, che però fu interrotta dalla sua prematura morte a causa di un
incidente d'auto. Simona restò presto vedova, senza figli e con un paio di
locali in centro, il cui affitto le consente di vivere senza particolari
affanni. La sua assidua frequenza della galleria del pazzo è dovuta al suo
amore per i libri, per l'arte, e per il convivio al quale, con una certa
frequenza, partecipa gente davvero interessante.
"Simona" disse Luca
"Oltre ad essere una cara amica, è una persona davvero eccezionale, di
grande cultura e di grande intelligenza, oltre ad essere anche molto attraente,
cosa che non guasta mai"
"Effettivamente"
intervenne Giovanni " la bellezza è sempre apprezzabile, incute ottimismo
e rende meno amara la vita"
"Sono lusingata, e ve ne
ringrazio" disse Simona "Ma sono anche abbastanza intelligente da
capire che nelle vostre parole c'è una buona dose di galanteria. Sono oramai
prossima ai '50, e sono cosciente di non poter competere con donne più giovani,
nel pieno del loro splendore. D'altronde c'è un tempo per ogni cosa, ed occorre
vivere il proprio tempo senza rimorsi. Sosteneva mio padre, persona di grande
sensibilità, che man mano che si invecchia aumenta il tempo impiegato a
rimpiangere tutti i peccati che non si sono commessi"
Carlo ascoltò, affascinato dalle
parole di Simona e dal suo tono decisamente suadente, poi volle dire la sua:
"inizio a preoccuparmi: sempre più spesso mi capitano questi rimpianti.
Vuol dire che sto davvero invecchiando?"
"Ne dubitavi?" disse
Giovanni
"Oddio, non ci pensavo"
rispose Carlo
"E' ora che inizi a
pensarci" intervenne Marco "Inizia a guardarti allo specchio, e
guarda come sei ridotto. Con quella faccia seriosa ed il tuo abito costoso che
indossi come una divisa. Sei stato omologato, standardizzato, inquadrato. Giovinezza
è libertà, e tu la libertà l'hai persa nel momento in cui hai deciso di
vestirti secondo i canoni della tua azienda. Tu, insieme a milioni di soldatini
ubbidienti, tutti vestiti uguali, tutti con lo stesso linguaggio infarcito di
parole inglesi: mission, brand, business, cash, rating, brunch, happy hour,
tutti con le stesse carte di credito negli stessi locali alla moda. Sei stato
inquadrato, caro Carlo, e porti delle grosse catene, anche se non te ne rendi
conto."
"Carlo mi sembra ancora un
bell'uomo, e non è affatto vecchio" disse Simona "Anche se è vero che
sia stato omologato, e quindi abbia perso l'essenza della giovinezza: un sana
incoscienza. Ma questo è il destino al quale solo pochi riescono a sottrarsi,
ed è sempre stato così. Solo chi continua a sognare non invecchia mai. Credo
che iniziamo davvero ad invecchiare nel momento in cui smettiamo di fare
progetti per il futuro.
"Come sempre"
intervenne Luca " La Simona dice cose di grande intelligenza.
Effettivamente smettere di sognare vuol dire smettere di vivere. E poi, se ci
pensiamo bene, tutte le grandi conquiste dell'umanità si sono verificate grazie
a persone che inseguivano un sogno"
Giovanni interruppe, si alzò in
piedi, chiese silenzio e disse: "Vede più cose chi sogna anche di giorno
rispetto a chi sogna solo la notte".
Le sue parole strapparono
l'ennesimo applauso, compreso quello degli avventori della galleria presenti in
quel momento. Tra di loro Luca scorse il signor Attiemme, così chiamato per via
del fatto di essere un ex conduttore di tram, oramai in pensione. Il signor
Attiemme non aveva mai letto un solo libro fin quando, divenuto pensionato, non
pensò di impiegare il proprio tempo libero nella lettura. Iniziò così, senza
convinzione. Ma i libri, per chi non lo sapesse, sono come una droga: una volta
iniziato diventa difficile smettere. Ecco la ragione per la quale il signor
Attiemme ogni settimana veniva alla galleria del pazzo per acquistarne uno.
"Buona sera Luca, hai
qualcosa per me?"
"Buona sera a te. Ascolta,
proprio ieri mi hanno portato un libro bellissimo: viaggio in Italia, di Guido
Piovene. Si tratta in pratica della descrizione dell'Italia di oltre mezzo
secolo fa che l'autore fa per conto di un giornale. Il libro è molto bello, e
l'autore è uno scrittore eccelso.
Leggilo, e mi ringrazierai"
"Luca, sai che mi fido di
te. Tra l'altro vorrei regalare un libro a mia nipote, una cosa adatta ad una
ragazza di 15 anni."
"Aspetta un attimo, dovrei
avere un bel libro di Luciano De Crescenzo, vediamo un po’, ah, eccolo. Così
parlò Bellavista. E' davvero piacevole da leggere ed è scritto benissimo. De
Crescenzo è un autore che consiglio sempre a chi vuol iniziare a leggere."
"Benissimo" disse il
signor Attiemme,"quanto ti devo?"
"Vediamo un po’"
Rispose Luca quasi soppesando i due libri "Dammi 12 Euro, e buona
lettura"
Il signor Attiemme pagò,
ringraziò ed andò via.
Carlo approfittò della pausa
della discussione per annunciare di avere degli impegni, e che, pur se
dispiaciuto, avrebbe dovuto andar via.
"Ascoltate ragazzi"
disse Luca "Non dobbiamo assolutamente perderci di vista. Domani sera,
verso le 20, ci ritroviamo con alcuni amici, tra i quali ci sarà la Luisa, che
porterà del formaggio buonissimo di sua produzione. Dovete assolutamente
esserci, mi farebbe davvero piacere e, sono sicuro, non ve ne pentirete."
"Simona, lei ci sarà?"
chiese Carlo con un po di imbarazzo.
"Non manco mai a questi
appuntamenti" Rispose Simona "E le consiglio di venire...mi farebbe
piacere"
"Ne sono lusingato"
Rispose Carlo "Ci sarò senz'altro"
"Io non ho nessun
impegno" disse Marco "per cui posso confermare la mia presenza. Anzi,
per il vino non vi preoccupate, ho delle bottiglie favolose."
"A me farebbe piacere
esserci" disse Giovanni "Ma dipende da come la prende mia moglie. Cercherò
di lavorarmela un po. Diciamo più di sì che di no"
"Allora ragazzi, vi aspetto
tutti." intervenne Luca " Vedrete che passerete una bella serata, e
poi, che cazzo, un po di divertimento in questo momento vi farà bene"
Il gruppo salutò e guadagnò l'uscita.
Giunti alla trattoria da Caterina ognuno di loro prese la propria strada,
riabbracciandosi per l'ennesima volta e scambiandosi parole di sincero affetto.
Nulla unisce le persone come l'esistenza di un comune nemico che in questo caso
veste gli abiti della crisi economica. Mentre il benessere alimenta l'egoismo,
le difficoltà spingono le persone ad essere solidali tra loro, forse coscienti
del fatto che si tratti del più efficiente strumento per mitigare le difficoltà
del momento.
SABATO
Quella mattina Carlo si alzò con
una certa ansia. Alle undici aveva un appuntamento importante con un suo amico,
ben introdotto negli ambienti che contano e con relazioni di alto livello.
Carlo sapeva di godere della sua stima, e confidava nella loro lunga amicizia
che nacque al tempo dell'università. Non si frequentavano molto, ma non
mancavano ad ogni Natale di telefonarsi per farsi gli auguri. Mentre indossava
il suo abito migliore non smetteva di guardarsi allo specchio. Desiderava
sincerarsi di avere un aspetto giovanile, dinamico ed ottimista, requisiti
fondamentali per un manager che si rispetti.
Alle undici in punto, non prima e
non dopo, Carlo si presentò al circolo del tennis, entrò nel bar e sedette con
discrezione. Fu subito raggiunto dal dottor Sironi, che gli strinse la mano con
vigore, come si conviene tra manager ben addestrati.
"Carissimo Carlo, è un
piacere incontrarti. Cosa prendi?"
"Gradirei un caffè,
grazie"
"Due caffè, per favore"
ordinò il dottor Sironi rivolto al barista, poi, a Carlo "Allora, a casa
tutto bene? I figli?"
"Bene grazie"
"Ho sentito della tua
azienda, mi dispiace. D'altronde era da tempo che nell'ambiente si parlava di
una grossa ristrutturazione. Quando nel capitale di una società entra qualche
fondo di investimento ci si debbono aspettare sempre grossi cambiamenti"
L'arrivo dei due caffè costrinse
il dottor Sironi ad una pausa, poi riprese:
"Ho saputo che sei tra
quelli messi fuori, e mi dispiace, davvero. Comunque sto sentendo un po in
giro, sto parlando con tutti quelli che potrebbero darci una mano. Ma è
difficile, sai, è un momento davvero balordo. Qui c'è un clima di
smantellamento generale. Tutti progettano di delocalizzare, di trasferire
l'azienda in altri paesi. Il baricentro dell'economia si sta spostando altrove,
ed il nostro paese sta diventando marginale. Le aziende che vendono
prevalentemente in Italia hanno fatturati che stanno crollando, mentre le
aziende che hanno un mercato prevalentemente internazionale non hanno più
alcuna convenienza a restare in questo paese."
"Purtroppo è così"
interruppe Carlo "Sono cose che avevamo previsto da tempo. Il dramma è che
sono avvenute con troppa rapidità, troppa"
"Sai quale è la vera causa
di questo disastro?" chiese Sironi "E' il fatto che la classe
politica italiana continua a pensare e ad agire secondo paradigmi validi in un
contesto che non esiste più. Il mondo, in questi ultimi 20 anni, è radicalmente
cambiato, senza che questi cialtroni se ne rendessero conto. Abbiamo perso 20
anni, ed ora ne paghiamo il conto."
"Sironi, non ti nascondo che
ho valutato anche l'idea di andare all'estero. Sarebbe una scelta davvero
difficile, per la famiglia, i figli..."
"Il problema non è la
famiglia, caro Carlo, il problema è l'età. E' amaro ammetterlo, ma dobbiamo
prendere atto che, per quanto possiamo essere bravi, le nostre posizioni non
sono più molto spendibili. Anch'io, se dovessi perdere il lavoro, difficilmente
ne troverei uno nuovo. E' per questo che ho cercato di prepararmi al
peggio."
"Come?" chiese Carlo
"Ho acquistato un piccolo
casolare con un paio di ettari di terra ed ho messo in vendita la casa di
Milano. Preferisco andare in affitto, ed impiegare quei soldi per ristrutturare
il casolare. Ci ricavo un appartamento per abitare ed un bel locale a pian
terreno per farci una piccola trattoria, una decina di tavoli in tutto. Nella
peggiore delle ipotesi mi ritiro in campagna, dove riuscirei a vivere con molto
meno che a Milano, e cercherei di sbarcare il lunario con la
ristorazione."
"Ed il tuo lavoro?"
chiese Carlo
"Il lavoro lo tengo fin che
dura. Ma se dovessi perderlo non mi affannerei troppo a cercarne uno nuovo.
Sbaraccherei e me ne andrei via. Francamente sono stanco di questa vita: troppo
stress, troppa competizione, troppa incertezza."
"Sironi" interruppe
Carlo "Non ti nascondo che negli ultimi tempi mi è capitato spesso di
odiare il lavoro che faccio, e di invidiare coloro che svolgono attività più
tranquille e più stabili, anche se meno retribuite. Ogni mese l'asticella degli
obiettivi viene spostata sempre più in alto, e questo mi ha usurato. Ho bisogno
di lavorare, ma non è detto che non mi piacerebbe fare qualcosa di diverso. Il
problema è che non so fare altro."
Sironi si guardò intorno, si
assicurò di non essere ascoltato da altri, e con tono quasi cospiratorio disse:
"Carlo, tu sai che ti considero come un fratello, altrimenti non ti direi
quel che sto per dirti: noi apparteniamo a quella foltissima schiera di
lavoratori sostanzialmente inutili, che devono i loro redditi ad un sistema
fasullo, fatto di fuffa, e che sta per schiantarsi. In realtà noi non sappiamo
fare nulla di realmente utile, a differenza di un chirurgo, di un idraulico, o
di un contadino. Abbiamo prosperato in un contesto economico che sta per
sgretolarsi. Alloro voglio darti un consiglio, e cerca di seguirlo, se puoi.
Inventati un lavoro diverso da quello che hai fatto fino ad ora. Guardati
intorno, e prova a capire dove sta andando il mondo. Sono sicuro che esistono
nuove opportunità, anche se non so dirti quali. Ma non fare troppo affidamento
sul fatto di riprendere il lavoro che facevi, perché sarà difficile, davvero
difficile."
Carlo restò un po’ in silenzio,
scosse leggermente il capo e disse: "Sironi, tu stai confermando i miei
timori. I colloqui di lavoro avuti in questo periodo mi hanno portato alle tue
stesse conclusioni. Purtroppo i soldi stanno per finire, ed ho tre rate del
mutuo da pagare. Per cui mi manca anche la liquidità per poter tentare una
nuova avventura"
"Per le rate del mutuo non
ti preoccupare, dimmi l'importo che ti faccio un assegno, me li darai con
calma" Disse Sironi "Però voglio dirti una cosa, ed ascoltami, come
ascolteresti un fratello: metti subito in vendita la casa. Innanzitutto con il
ricavato della vendita estingueresti il mutuo e ti resterebbe abbastanza per comprare
una casa meno prestigiosa ma non per questo meno comoda. Poi sappi, ed è una
certezza, che i valori immobiliari delle grandi città crolleranno. Quando
arriverà il collasso, ed arriverà, la gente cercherà di spostarsi in provincia
dove la vita costa meno e dove sarà più facile guadagnarsi da vivere. Se non
vendi la casa, oltre a dover trovare ogni mese i soldi per pagare il mutuo, ti
ritroveresti una proprietà con il valore dimezzato. Potresti poi utilizzare il
ricavato della vendita per avviare una attività che ti consentirà di vivere, ed
abitare in affitto. In fondo non è mai morto nessuno senza la casa di
proprietà. E Poi, dimmi, pensi che io sia un fesso? Se ho messo in vendita la
casa di Milano vuol dire che era la cosa più intelligente da fare".
"Ci penserò" disse
Carlo "Ma credo che seguirò il tuo consiglio. Per l'assegno ti ringrazio,
almeno per un po’ il direttore di banca non mi romperà i coglioni." Si
alzò i piedi e strinse la mano di Sironi. "Ci sentiamo, d'accordo?"
"Fammi sapere, mi raccomando,
e comunque: in bocca al lupo".
Carlo decise di non tornare a
casa per il pranzo. Provvide ad avvisare la moglie giustificandosi con un
pretesto. Iniziò a vagare, senza una meta precisa, fin quando non squillò il
telefonino.
"Pronto? Carlo, sono Marco"
"Ciao Marco, dimmi"
"Senti, sei libero a pranzo?
Vorrei invitarti. Sai ho avuto una bella notizia, e non mi va di pranzare da
solo"
"Si sono libero, dove ci
vediamo?"
"Sempre da Caterina, se a te
sta bene"
"Mi sta benissimo, cucinano
in modo delizioso"
"Allora ti aspetto, mi raccomando"
Quando Carlo arrivò Marco lo
aspettava seduto. Aveva già fatto apparecchiare per due, e si era preso la
libertà di ordinare per entrambi. Appena fu seduto chiese:
"Allora, quale bella notizia
hai avuto?"
"Stamattina mi hanno
confermato una proposta che feci ad una società di investimento immobiliare. In
pratica acquistano la mia società, così com'è, a 200.000 euro. Il prezzo è
davvero basso, ma senza una buona iniezione di liquidità, che io non sono in
grado di garantire, la società è destinata al fallimento, ed io perderei
davvero tutto. Così, almeno, mi resta qualcosa per poter ricominciare"
"Sono contento per te, caro
Marco, anche se immagino che da questa operazione ci hai perso parecchio"
"Ho perso tutto"
Rispose Marco "Ho perso 20 anni di lavoro. Ma non potevo immaginare che il
mercato immobiliare sarebbe crollato in modo tanto repentino."
"Riprenderai a
costruire?" Chiese Carlo.
"Non credo, almeno per
adesso. Il mercato è saturo. Ci sono molte più case che famiglie. Abbiamo
costruito troppo, senza avere il tempo di renderci conto che non poteva durare
all'infinito. A pensarci oggi, con il senno di poi, doveva essere evidente che
non si sarebbe potuto edificare l'intero territorio. Siamo stati tutti vittime
di un enorme abbaglio: quello di credere alla crescita infinita"
"Non siete stati i
soli" disse Carlo "Questo abbaglio ha accecato un po tutti, ed
infatti è tutto il sistema ad essere entrato in crisi" Carlo versò del
vino per entrambi, poi continuò: "Stamani mi sono incontrato con un mio
caro amico, uno davvero in gamba. Mi ha dato un consiglio che mi è parso
davvero saggio. Mi ha invitato a guardarmi intorno, ed a cercare di capire dove
sta andando il mondo, in modo da trovare nuove opportunità di lavoro. A suo parere
sarebbe stupido pensare che le cose torneranno uguali a prima. Questa crisi non
è un fatto passeggero ed accidentale, questa crisi è la fine di un'epoca."
"Il tuo amico ha
ragione" disse Marco "questa è la fine di un'epoca".
I due continuarono la chiacchierata
gustando due ottimi risotti ai funghi. Pareva che non si fossero mai persi di
vista, considerando l'affiatamento con il quale discorrevano. E' difficile dire
se questo fosse dovuto alla loro antica amicizia oppure alla loro comune
condizione di uomini di successo precipitati all'improvviso nell'aspro
territorio della disperazione. Il loro rapporto stava superando i limiti
dell'amicizia per trasformarsi in vera e propria complicità.
Alla fine del pranzo si
salutarono, dandosi appuntamento alle 20 alla galleria del pazzo.
Alle venti, quando Carlo, Marco e
Giovanni arrivarono alla galleria, la trovarono abbastanza affollata. Alcuni,
tra i presenti, avrebbero partecipato alla piccola cena informale di quella
sera, altri erano clienti che si attardavano, quasi fossero dispiaciuti di
abbandonare quel luogo così fuori dal mondo. Quando, finalmente, l'ultimo
cliente uscì, Luca si affrettò ad abbassare la serranda. Provvide a delle
veloci presentazioni, ed invitò un paio di amici a dargli una mano a sistemare
delle assi per formare un grande tavolo. Per sedersi ci si sarebbe arrangiati
con ciò che c'era: qualche poltrona, alcune sedie, ed un paio di panche di
fortuna realizzate posando delle tavole su pile di libri.
Appena ognuno prese il proprio
posto, Luca iniziò ed aprire le bottiglie portate da Marco, ed a distribuirle
sul tavolo. Luisa ed il marito provvidero ad affettare il pane, il salame ed il
formaggio, che posarono su grandi vassoi. Quando tutto fu pronto Luca, da buon
padrone di casa, si alzò e disse: "Amici, sono felice di sapere che questa
mia felicità sarà condivisa anche da voi. Solo gli stupidi dimenticano che la
buona compagnia rende migliore qualunque pasto, e che un buon pasto rinsalda
antiche amicizie, ne fa nascere di nuove, e sopisce qualunque rancore. Anche
perché, alla nostra età, il piacere del cibo spesso supera quello per il sesso.
Con la conseguenza che una buona mangiata spesso è come un orgasmo che non si
esaurisce in pochi momenti, ma può durare ore. Onoriamo, quindi, questo cibo, e
ringraziamo la Luisa che ci regala sempre questi stupendi e dimenticati sapori:
alla salute"
Luca alzò il bicchiere per un
brindisi al quale tutti si associarono.
Il cibo, per quanto semplice, era
decisamente squisito, o almeno così parve a Carlo, che mangiò di gusto e bevve
più del solito, allentando quei freni inibitori che la sua educazione teneva
sempre ben stretti. Al suo fianco sedeva Simona, più divertita che lusingata
dalle galanterie e dalle attenzioni che Carlo le riservava.
"Questo pane è davvero
buonissimo" disse Giovanni procurandosene l'ennesima fetta "E' così
saporito da non aver bisogno di nessun accompagnamento"
"Sicuramente non è il pane
che comprate al supermercato" rispose Luisa "la farina è diversa,
così come la lievitazione. Ma la cosa che lo rende davvero speciale è il fatto
di essere cotto in un forno a legna. Mentre il pane che mangiate abitualmente
il giorno dopo è da buttare, questo lo potete tenere tranquillamente una
settimana. E quando sarà troppo duro potrà essere impiegato in molti modi
diversi. Di questo pane non si butta via nulla, come è giusto che sia."
"Davvero squisito"
disse Marco "purtroppo qui a Milano dobbiamo accontentarci delle
michette"
"Non è detto" disse
Luca "La Luisa porta questo pane a Milano ogni sabato, insieme agli altri
prodotti"
"Quindi Lei ha una
panetteria?" chiese Carlo
"Non esattamente"
rispose Luisa "Mi occupo della ricerca di prodotti di altissima qualità
per conto di un numero limitato di clienti che, tra le altre cose, ottiene
notevoli risparmi rispetto ai normali prezzi di mercato"
"Scusi la mia
curiosità" intervenne Giovanni "Ma questo pane a quanto lo
vende?"
"2,50 al chilo" rispose
Luisa
A questo punto Carlo, forse per
una deformazione professionale, chiese: "Ma come fa a costare così poco?
La norma vorrebbe che, trattandosi di un prodotto di miglior qualità rispetto
allo standard, dovrebbe avere un prezzo più alto. Mi pare tutto molto
strano."
"Hai ragione, Carlo."
intervenne Luca. " Ma a questo punto sarebbe meglio che la Luisa ti raccontasse
la sua storia. Potrebbe essere molto illuminante, oltre che utile a tutti
coloro che in questo momento si sentono confusi e privi di precisi punti di
riferimento. Luisa, ci faresti questo onore?"
"L'onore è mio, caro Luca. E
poi, se la mia
esperienza può essere utile agli
altri, ed è mia convinzione che lo sia, è giusto che la racconti."
"Io e mio marito fino a tre
anni fa abitavamo qui a Milano, in un appartamentino di merda, di un condominio
di merda, di un quartiere di merda. Io ero impiegata in una agenzia di pulizie,
sbattuta a destra e a manca per 800 euro al mese. La mattina facevo due ore in
un posto e la sera mi sbattevano a fare altre due ore a 40 chilometri di
distanza. Mio marito faceva il muratore, e non guadagnava male, almeno fin
quando l'invasione delle imprese rumene non ha fatto crollare le paghe. Ma la
cosa ancora più grave era che il lavoro iniziava a scarseggiare, costringendolo
a lunghi periodi di inattività. Quando, ogni fine mese, dovevamo pagare le
settecento euro di affitto, le bollette e le spese, restava ben poco per
vivere, sempre che quella che facevamo potesse chiamarsi vita. Sempre più
spesso dovevamo chiedere un aiuto ai genitori, altrimenti non avremmo nemmeno
avuto i soldi per fare la spesa. Quando l'esasperazione e la depressione furono
padrone assolute delle nostre vite, avemmo la notizia della morte del fratello
di mio padre, che mi lasciò erede di una piccola proprietà in un paesino
dell'appennino ......... Si trattava di un piccolo appezzamento di terreno
coltivato a vigneto, e di una bellissima casa colonica, spaziosa, sobria ed
accogliente.
Una domenica andammo a conoscere
la nostra nuova proprietà, con l'intenzione di metterla in vendita, ed
acquistare un piccolo appartamento a Milano, magari accendendo anche un mutuo.
Quando fummo sul posto ne restammo affascinati. Il silenzio, i profumi, il
sapore dell'aria, la quiete, la gentilezza dei paesani. Seduti sull'aia, mentre
il sole iniziava a calare e le ombre ad allungarsi, io e mio marito ci guardammo
a lungo, senza dire niente. La nostra intesa non ebbe bisogno di parole:
decidemmo di tenerci la proprietà e di venirci a vivere. Fuggire la vita che
stavamo conducendo era così impellente che l'idea ci parve meravigliosa. I miei
genitori, che ci accompagnarono, furono più entusiasti di noi. E fu proprio il
loro entusiasmo che mi spinse a fare una proposta che nessuno si aspettava:
chiesi ai miei genitori se non avessero desiderato venire a vivere con noi. La
casa era molto grande, sarebbero stati vicini ai nipotini e il papà si sarebbe
dilettato con l'orto. Ma soprattutto sarebbero scappati anche loro da una città
che degradava a vista d'occhio. Avrebbero potuto vendere la casa di Milano ed
aiutarci per i lavori necessari in quella nuova, e, almeno all'inizio, avremmo
potuto fare affidamento sulle loro pensioni per superare le difficoltà
iniziali."
L'intera tavolata ascoltava in
silenzio, rapita dalla storia di Luisa come lo sono dei bambini che ascoltano
una favola. E così Luisa continuò il suo racconto:
"Dopo che ci fummo
trasferiti in paese iniziai a conoscere i luoghi e le persone. E fu così che mi
resi conto che esistevano tantissimi piccoli produttori di vere e proprie
prelibatezze che vendevano i loro prodotti a dei prezzi impensabili in città.
Iniziai quasi per gioco, procurando ai miei amici rimasti in città alcuni di
questi prodotti, Pian piano la voce si sparse e le richieste aumentarono, tanto
che decisi che fosse giunto il momento di trasformare questa attività in un
vero e proprio lavoro.
Acquistammo un furgone con il
quale ogni sabato mattina provvedevamo a consegnare la merce. Poi attivammo un
sito internet nel quale i clienti potevano conoscere le disponibilità ed i
prezzi della settimana, ed eseguire gli ordini. Ogni cliente ha una sua cassetta
nella quale mettiamo la merce ordinata. Il sabato consegniamo la cassetta nuova
ed il cliente ci rende quella vecchia. Tutti i prodotti sono di primissima
qualità, senza chimica e senza adulterazioni, ed il loro prezzo è inferiore a
quelli prodotti industrialmente. In qualunque momento il cliente può venire a
farci visita e conoscere i singoli produttori ed osservare dal vivo le
lavorazioni.
Oggi non siamo più in grado di
acquisire nuovi clienti, anche perché desideriamo mantenere una dimensione
familiare. Guadagniamo di che vivere bene, e tanto ci basta."
Le ultime parole di Luisa furono
come una frustata sulla coscienza di Carlo. Lui, educato dagli studi
universitari e dalla professione a considerare la crescita un valore assoluto
ed indiscutibile, fu scosso dal fatto che Luisa ed il marito, pur potendo
guadagnare di più, si limitassero a quanto ritenessero necessario. Ma la cosa
che maggiormente lo sorprese fu il fatto che la coppia appariva serena ed
appagata.
Carlo conosceva tantissime
persone che avevano redditi davvero alti, ma nessuno che si accontentasse.
Tutti vivevano nell'ansia di avere di più, sempre di più, anche se era evidente
che l'aumento dei loro redditi e dei loro patrimoni non li rendeva certamente
più felici. Furono queste considerazioni che instillarono nella mente di Carlo
il dubbio: e se nella vita avessi sbagliato tutto?
Intanto Luisa continuò:
"Oggi che viviamo in un piccolo paese ci chiediamo spesso come abbiamo
fatto a sopportare la vita della città. Spesso penso che noi, intesi come
popolazione, siamo stati praticamente drogati. Abbiamo vissuto contro le leggi
fondamentali della natura. Ma la natura, che è immensamente più forte di tutti
gli uomini, si sta vendicando. Questa crisi chiuderà un'epoca, e ne aprirà una
nuova in cui la gente riscoprirà i valori davvero importanti, quelli che la
nostra civiltà ha messo da parte. Questo passaggio sarà traumatico, e lo sarà
proprio perché la gran parte delle persone si ostinerà a credere che le cose
torneranno come prima: è una illusione. Tanto più si cercherà di resistere a
questo cambiamento, tanto più si soffrirà."
A questo punto intervenne
Francesco, professore di matematica presso un istituto tecnico e grande cultore
dell'arte contemporanea: "quindi tu ritieni che il progresso sia una
sciagura?"
"Affatto" rispose Luisa
"Il progresso è una cosa meravigliosa. A mio parere si può considerare
progresso tutto quanto migliora la vita delle persone. Ed è evidente che la
ricerca scientifica e la tecnologia sono cose assolutamente apprezzabili ed
auspicabili. Occorre però ricordare che si tratta di strumenti che possiamo
usare bene o male. Ecco, io credo che abbiamo fatto un cattivo uso del
progresso tecnologico: mentre avremmo potuto beneficiarne tutti, abbiamo creato
il disastro che ci circonda. Progresso vuol dire tutelare l'ambiente, rendere
più belle le nostre città, faticare meno per produrre quanto ci occorre, avere
più tempo da dedicare agli amici, alla cultura, al proprio benessere, ridurre
le disuguaglianze sociali, garantire a tutti una vita libera e dignitosa."
"Effettivamente"
intervenne Carlo "dobbiamo riconoscere che abbiamo avuto in mano delle
ottime carte, ma le abbiamo giocate male, direi malissimo." Volgendosi
verso Simona "Lei non trova?"
"E' talmente evidente"
disse Simona "che diventa difficile discuterne. Quando rifletto sulla
crisi che stiamo vivendo mi vengono spontanee alcune semplici considerazioni.
Considero, ad esempio, il PIL pro capite del nostro paese, e mi accorgo che in
effetti c'è ricchezza sufficiente perché tutti possano vivere più che
dignitosamente. Poi guardo il mondo vero, e vedo che sempre più persone vivono
in miseria. Ed allora concludo che il primo problema sia la distribuzione della
ricchezza. Pochi hanno troppo, e troppi hanno poco. Non voglio dire che tutti
debbano disporre degli stessi redditi, perché mi pare opportuno stimolare la
libera iniziativa e premiare il merito. Però la distanza tra i redditi alti e
quelli bassi dovrebbe ridursi. Ecco, il vero progresso dovrebbe ridurre queste
disparità."
"Il vero progresso"
intervenne Giovanni "non dovrebbe contemplare la disoccupazione. Io sono
ignorante, e non capisco nulla di economia. Però c'è un tarlo che mi tormenta
da parecchio tempo. Mi pare evidente che l'automazione stia distruggendo posti
di lavoro. E questo processo continuerà senza sosta. Pensate alle banche, ed
alle centinaia di migliaia di persone che vi lavorano. Ebbene, già oggi tutte
le filiali potrebbero essere chiuse, perché quel che fanno gli impiegati già
può essere fatto attraverso internet o gli sportelli automatici. E pensate alla
pubblica amministrazione. Anche lì dei buoni software possono gestire quel che
oggi gestiscono centinaia di migliaia di impiegati. Bisogna essere onesti ed
obiettivi. Tutte queste persone fanno un lavoro stupidissimo e ripetitivo. In
pratica abbiamo migliaia di impiegati inutili. Questo discorso si può estendere
a tutti i settori. Allora la domanda che mi pongo è questa: possiamo avere una
società dove l'80% della forza lavoro è disoccupata? E chi produce dei beni in
fabbriche completamente automatizzate, a chi venderà i beni che produce?"
"Il signor Giovanni ha colto
il nocciolo della questione" intervenne Luisa "Il fatto che le
macchine ci affrancano dal lavoro dovrebbe essere un fatto positivo. In fondo la
ricchezza vera è costituita dalla quantità di beni e servizi di cui possiamo
disporre. E se questi beni e questi servizi vengono prodotti dalle macchine, e
noi possiamo permetterci di lavorare una decina di ore a settimana, ed
utilizzare il resto del tempo a fare quel che più ci piace, non sarebbe
meraviglioso? Eppure un enorme vantaggio per l'umanità si trasforma in una
sciagura, per la semplice incapacità di comprendere il problema e di gestirlo
nel modo migliore".
"Se ci riflettiamo
bene" intervenne Francesco "il progresso tecnologico porterà al
comunismo. Pensateci bene: se le fabbriche automatizzate apparterranno a poche
multinazionali, la massa della popolazione non avrà lavoro ne reddito. E senza
reddito non potrà acquistare i beni prodotti da queste multinazionali. In
assenza di un mercato le fabbriche fallirebbero. L'unica soluzione possibile è
che le fabbriche appartengano alla collettività, e quindi che i beni prodotti
possano essere distribuiti a tutti. Sarebbe la fine del capitalismo."
A questo punto Luca si alzò in
piedi e chiese un brindisi "Brindiamo al capitalismo" disse
"ucciso dalla sua stessa brama di profitto. Hanno volute macchine sempre
più automatizzate, che eliminassero quegli scocciatori degli operai, e che consentissero
loro di guadagnare sempre di più. Ebbene, quelle macchine li hanno divorati,
distruggendo i redditi di quelli che un tempo furono consumatori." Bevve
un sorso, e poi continuò "Consentitemi di recitarvi una poesia che mi pare
pertinente al tema della discussione":
"Di più tu cerchi
e sempre più vorrai
e mai pago godrai
di ciò che già ti è dato
senza denaro e senza amaro
affanno
fermati e vivi
i giorni tuoi fugaci
capaci di donarti mille gioie
che stanno a te dintorno
e non lontano
allunga la tua mano
apri la mente
e vivi la tua vita
dolcemente"
L'applauso fu spontaneo, sincero
ed entusiasta.
La cena continuò, tra il serio ed
il faceto, fin quando l'ora tarda non consigliò tutti di sbaraccare. Carlo,
sapendo che Simona non era venuta in macchina, si offrì di accompagnarla.
Stettero in silenzio per una
buona parte del tragitto, fin quando Simona chiese:
"E sua moglie cosa fa?"
"Mia moglie è assistente di
direzione in una società finanziaria, e credo che sia l'amante del suo
capo"
"Ne è certo?" Chiese
Simona, stupita.
"No, non ne sono certo, ma
ne sono convinto"
"Mi spiace"
Stettero nuovamente in silenzio
fino all'arrivo. Simona ringraziò Carlo per il passaggio e gli diede il suo
numero di telefono.
" Se dovesse sentirsi solo,
mi chiami, ne sarò felice".
DOMENICA
Non c'è nulla di più deprimente
di una domenica piovosa in un anonimo quartiere della media borghesia di una
grande città. Le uniche presenze che di tanto in tanto facevano la loro fugace
comparsa in strada erano quelle dei proprietari di cani, costretti, loro
malgrado, a sfidare le intemperie.
Carlo guardava attraverso i vetri
sferzati dalla pioggia, che rendeva l'orizzonte confuso e rarefatto, così come
confusa e rarefatta era diventata la sua vita da quando aveva perso il lavoro.
C'è un tempo in cui ci si sente
padroni del mondo, ed unici artefici del proprio destino. Poi le cose cambiano,
e ci si rende conto di quanto precaria sia la nostra esistenza e di quanto
labili siano le nostre certezze. Carlo si era sempre preso molto sul serio, ed
aveva investito tutte le sue energie nella carriera. Si era a tal punto immerso
nel lavoro da aver accettato passivamente tutti i dogmi del mondo degli affari:
efficienza, profitto, immagine, competizione, lavoro di squadra, raggiungimento
degli obiettivi, e successo, successo ed ancora successo, come unica misure di
tutte le cose. Ripensando alle innumerevoli riunioni a cui era costretto a
partecipare, si rese conto di quanto fossero inutili, oltre che ridicole. Tutti
i partecipanti recitavano la loro parte, quella loro assegnata dal proprio
ruolo nell'azienda, ed ognuno prestando maniacale attenzione ad indossare
l'abito giusto, la cravatta giusta, l'orologio giusto. Una farsa, una grande
farsa dove ogni attore cercava di farsi notare dal regista, sperando di conquistarne
la benevolenza con atteggiamenti di ossequio e condiscendenza.
Si rese conto della sua
piccolezza, rispetto a Luisa o a Luca, che facevano qualcosa in cui davvero
credevano, e lo facevano con vera passione. La grande e sostanziale differenza con
loro consisteva nel fatto di avere invertito completamente il paradigma
lavoro-reddito. Mentre il suo obiettivo era il denaro, e per esso avrebbe
svolto qualunque lavoro, per i suoi nuovi amici l'obiettivo era fare qualcosa
che amavano ed in cui credevano, ed il denaro era una conseguenza del lavoro,
non fine, ma strumento.
D'un tratto le sue riflessioni
furono interrotte dal suono di una sirena che diveniva sempre più intenso. In
fondo alla strada, confuso nella pioggia, si intravvide dapprima un lampeggiante
blu, e poi pian piano la sagoma di un'auto della polizia che avanzava veloce
fino a fermarsi all'ingresso del palazzo di fronte. I due poliziotti si
infilarono veloci nel portone mentre altre auto ed un'ambulanza li raggiunsero.
Carlo, incuriosito, decise di scendere in strada. Infilò il suo cappotto, prese
l'ombrello, ed uscì.
Quando Carlo fu davanti al
portone si era già formato un capannello di curiosi. Si mormorava che qualcuno
si fosse suicidato, e sembra che si trattasse del commendator Cerutti. La
notizia fu presto confermata.
Il commendator Cerutti era un
piccolo industriale, di quelli che, partiti come garzoni in una piccola
officina, costruirono una delle tantissime aziende che compongono il tessuto
industriale italiano. Produceva, impiegando 80 operai, componenti per auto.
Appena prima dell'inizio della crisi rinnovò gli impianti, facendo un grosso
investimento e riempiendosi di debiti. Purtroppo nel volgere di pochi mesi gli
ordini scemarono a livelli impensabili. Il fax, che un tempo lavorava a pieno
ritmo, all'improvviso tacque, tra il panico e lo sgomento degli impiegati. Le
banche, appena sentirono aria di crisi, revocarono tutti gli affidamenti,
distruggendo ogni minima possibilità di salvare la situazione. E così venerdì
mattina il curatore fallimentare provvide a sigillare l'azienda.
Il colpo di pistola che pose fine
alla vita del commendator Cerutti deflagrò anche nella vita dei suoi ottanta
operai e delle loro famiglie. Carlo, che conosceva la vittima di questa
disgrazia, fu preso da un'angoscia profonda, soprattutto per il fatto che
questi drammi erano oramai all'ordine del giorno. Se l'atmosfera non fosse
stata abbastanza triste, provvide la pioggia battente a renderla quasi
surreale. Sembrava di stare in un film: era, invece, la vita reale.
Rientrò in casa per mangiucchiare
qualcosa. Era solo. La moglie sarebbe rientrata martedì da Londra, dov'era per
lavoro, mentre i figli stavano dai nonni.
La solitudine, nei momenti di
depressione, diventa un fardello dal peso insopportabile. Per questa ragione
Carlo decise di telefonare a Simona, nella speranza che fosse disponibile ad
incontrarlo: "Pronto, Simona? sono Carlo:"
"Ciao Carlo, mi fa piacere
sentirla"
"Senta, volevo chiederle se
le andrebbe di uscire"
"Carlo, non le sembra il
caso di darci del tu?"
"Hai ragione. Allora, passo
a prenderti?"
"E dove si va?"
"Dove vuoi"
"Ti aspetto fra un'ora,
Appena arrivi sotto casa fammi uno squillo"
"Fra un'ora sono da te"
"Ti aspetto"
Carlo attraversò una Milano
deserta sotto la pioggia battente. Quando Simona entrò in macchina,
inaspettatamente, salutò Carlo baciandolo sulla guancia. La cosa bastò a
metterlo di buon umore.
"Allora, dove si va?"
"Facciamo un giro, così,
senza una meta precisa. Poi vedremo"
"Sai, oggi si è suicidato un
mio vicino di casa, e la cosa mi ha sconvolto"
"Generalmente non sono
pessimista, ma questa volta la vedo davvero brutta. Sai che ho due locali dati
in affitto? Bene, uno degli inquilini mi ha disdetto il contratto: cessa
l'attività. L'altro è in arretrato con l'affitto di tre mesi. Ho un po’ di
soldi da parte, e riesco a tirare avanti per qualche mese, ma poi sarei nei
guai. La vedo brutta, brutta davvero"
"Hai idea di come se ne
possa uscire?"
"Beh, io credo che il nostro
sistema vada completamente ristrutturato. Ma nessuno, in questo momento, ha la
forza ed il coraggio per farlo. Per cui crollerà tutto, e solo allora, sulle
macerie ancora fumanti, sarà possibile ricostruire un sistema nuovo, che tenga
conto di una serie di elementi profondamente mutati rispetto al passato. Nel
frattempo alcuni soccomberanno, altri sopravvivranno. Ecco, io credo che la
cosa più intelligente da fare sia organizzarsi per sopravvivere alla
catastrofe. Dopo, quelli ancora vivi, potranno partecipare alla ricostruzione.
Gli altri rischieranno di restare per sempre ai margini della nuova società che
si andrà a costruire."
"Sopravvivere? E come?"
"Innanzitutto occorre
diventare leggeri"
"E cosa intendi per
leggerezza?"
"Intendo non avere strutture
materiali ed immateriali che possano limitare la capacità di adattamento. Ti
faccio un esempio: un tempo avere un capannone, degli impianti, degli operai,
era considerato un vantaggio. Oggi è diventato un fardello che rischia di
assorbire tutte le risorse economiche e morali di una persona. Mantenere una
struttura del genere costa moltissimo, con la conseguenza che se il lavoro
dovesse calare le spese fisse cannibalizzerebbero il capitale. E' quello che
già sta succedendo a molti imprenditori. Abbattere al massimo tutte le spese
fisse è la priorità"
"La seconda cosa?"
"La seconda cosa è possedere
un capitale importantissimo che non ti può essere rubato, pignorato, distrutto:
la conoscenza. Avere un mestiere, ovvero saper fare le cose, è fondamentale.
Anche se può sembrare strano, ti posso assicurare che la gran parte delle
persone non sa fare praticamente nulla. Cosa sa fare un impiegato di banca?
Poche stupidissime operazioni. E tutte le persone impiegate nella burocrazia?
Praticamente nulla. Ed un casellante autostradale? Ed un addetto al call center?
Ed un parcheggiatore? Il mondo è pieno di mestieri inutili che tra breve
spariranno.
Ma uno che sa fare il pane,
riparare un'auto, progettare un circuito elettronico, allestire un negozio,
scrivere un software, beh, queste persone saranno sempre utili."
"Quindi tu ritieni che la
mia professione non abbia futuro?"
"Si, credo che nessuno, nel
prossimo futuro, avrà bisogno di un dirigente nel settore marketing."
"La terza cosa?"
"La terza cosa è avere una
rete di relazioni quanto più vasta possibile. E' attraverso le relazioni che si
moltiplica la possibilità di far incontrare la propria offerta con la possibile
domanda. Lavorare sulle relazioni è molto importante:"
"La quarta cosa?"
"La quarta ed ultima cosa è
mantenersi liquidi. Non avere debiti, pagare solo in contanti, escludere le
banche dalla propria vita. Disporre di liquidità, anche se limitata, consente
grande libertà di movimento. Quando si è liquidi diventa più semplice dire di
no. E poter dire di no è il segreto per vincere la sfida della vita. Guai a
coloro che non possono dire NO. Per quanto riguarda le banche non ne parliamo.
Disfarsi degli assegni, carte di credito, bancomat."
"Quando ti sento
parlare" disse Carlo "Mi rendo conto che l'intelligenza e la cultura
valgono più di moltissime lauree, compresa la mia. Abbiamo studiato un sacco di
cose inutili, e sostenuto i relativi esami, credendo che questo ci avrebbe dato
maggiori possibilità rispetto ad altri. Poi ti accorgi che con la tua laurea in
economia aziendale non saresti capace di creare un'attività che possa
consentirti di vivere, mentre un persona priva di istruzione spesso riesce a
farlo con successo. La nostra società ha sottovalutato l'intelligenza, il genio
ed il talento, sopravvalutando i titoli accademici, dietro ai quali, molto spesso,
c'è solo mediocrità."
"E' esatto" disse
Simona "Basta pensare al carico di studio a cui costringiamo i nostri
bambini delle elementari rispetto a cinquanta anni fa. Allora ai bambini si
insegnavano moltissime cose in meno rispetto ad oggi, ma nel contempo avevano
tantissime ore al giorno da dedicare al gioco. Ed era proprio il gioco a
sviluppare la loro intelligenza, tant'è che da quelle scuole comunque sono
venuti fuori tantissimi geni. La scuola di oggi è strutturata in modo tale da
creare imbecilli, questa è la verità. Lo studio è importante per valorizzare il
talento, ma se il talento manca studiare è inutile. Abbiamo creato una società
di laureati, e questo ha prodotto gli stessi disastri del suffragio
universale."
Carlo ascoltò con avidità le
parole di Simona, e fu felice di aver incontrato una interlocutrice tanto
intelligente. Sembrava che la pioggia che continuava a cadere con insistenza
avesse lo scopo di mondare la mente di Carlo da tutta la serie di dogmi sui
quali aveva costruito la sua esistenza. Decisero di fermarsi a bere qualcosa,
così Simona lo guidò verso un locale che conosceva bene, e che apprezzava.
Il locale era praticamente
nascosto all'interno di un cortile. Occupava lo spazio che un tempo doveva
essere un'officina. Era stretto e lungo, con muri in mattoni e capriate in
legno. Sul fondo era stato ricavato un palcoscenico, con tanto di drappeggi in
velluto rosso, mentre sul lato sinistro un lungo bancone di legno scuro fungeva
da bar. Una moltitudine di tavoli di diversa dimensione e foggia riempiva lo
spazio che restava. Sulle pareti grandi quadri in stile pop davano colore
all'insieme.
Non si trattava di un vero e
proprio locale pubblico, ma di un circolo privato aperto praticamente a tutti.
La formula del circolo privato ne consentiva l'esistenza, che sarebbe stata
impossibile se si fossero dovute pagare le tasse. Benché si esibissero
gratuitamente gli stessi avventori, l'obbligo di pagare la SIAE permaneva. Si
racconta che la seconda volta che i funzionari della SIAE si presentarono per
pretendere gli adempimenti d'obbligo, furono trattati in malo modo. Quando
uscirono dal locale non solo trovarono l'auto distrutta, ma anche un gruppo di
uomini con il volto coperto da sciarpe che li convinsero a desistere dal
ripresentarsi nel locale. Evidentemente usarono gli argomenti giusti, perché da
allora nessun funzionario si è più presentato.
I frequentatori del locale
appartenevano tutti al mondo della creatività, o ne erano ammiratori. Pittori,
stilisti, grafici, musicisti, designer, scrittori, poeti, attori, cabarettisti,
costituivano la clientela abituale. Ognuno di loro utilizzava il locale per
esibirsi gratuitamente, ricevere gli apprezzamenti del pubblico e godere di
qualche minuto di gloria.
Quando Carlo e Simona vi
arrivarono il locale era già pieno, ed a stento trovarono due posti a sedere.
Appena la cameriera gli servì i due Irish Coffe che avevano ordinato si
presentò al loro cospetto un signore sulla settantina. Indossava un vestito che
sicuramente aveva conosciuto tempi migliori, ed un vistoso papillon colorato.
Dopo un leggero inchino disse: "Carissima principessa, è un vero piacere
rivederla. Non mi neghi l'onore di recitarle una poesia assolutamente adatta a
questa giornata uggiosissima."
"L'onore" rispose
Simona "Sarà mio. Prego maestro, l'ascolto"
Il poeta si sgranchì la voce ed
iniziò:
"Piove di quella pioggia
sottile ed insistente
che indefinito rende
il mio dintorno
e vago l'orizzonte
e rarefatto il tempo
e sento mille gocce
battere il selciato
ed il fato trascinare
i miei stanchi pensieri
che ieri mi parevano certezze
ed oggi caduche foglie
alle autunnali brezze"
"Complimenti maestro"
disse Simona
Il poeta tirò fuori dalla tasca
della giacca un foglio e lo porse a Simona. "Principessa, qui c'è il testo
della poesia scritto a mano e da me autografato. Lo accetti come omaggio per la
sua bellezza".
A quel punto Simona tirò fuori 10
euro e le consegnò al poeta, che disse: "Principessa, accetto questo vile
denaro solo perché anche i poeti mangiano, ed in genere hanno fame, tanta fame.
Fece un nuovo inchino ed andò via.
"Ma lo conosci?" Chiese
Carlo.
"Certamente. E' una presenza
costante in questo locale, quasi una istituzione. E' un poeta davvero bravo, e
sopravvive in questo modo."
Intanto sul palco salì un trio
jazz, che iniziò a suonare pezzi oramai classici. La loro musica accompagnò
l'intera serata, che scorse via veloce. Carlo, che non aveva mai frequentato
questo genere di locali, si sentì davvero a suo agio, e, almeno per quella
sera, dimenticò tutti i suoi problemi.
LUNEDI
Quella mattina Carlo si alzò con
la convinzione che la settimana che iniziava sarebbe stata cruciale per la sua
vita, perché in qualche modo avrebbe preso delle decisioni importanti. Il suo
primo pensiero fu di recarsi in banca per versare l'assegno che il suo amico
Sironi gli aveva fatto. Uscì a piedi, e raggiunse subito il bar dove era solito
prendere il caffè. All'interno vi notò un fermento insolito, con gruppi di
avventori che parlavano concitatamente. Rivolgendosi a Deborah, la giovane
barista rumena, chiese: "Ma è successo qualcosa?"
"Molte cose" disse
Deborah "Questa notte hanno incendiato parecchie sedi di Equitalia, anche
quella qui vicina, e poi stamattina, all'apertura degli uffici, un gruppo molto
numeroso di persone che aspettava di fronte alla sede dell'agenzia delle
entrate, all'arrivo degli impiegati ha iniziato a lanciare cartocci di carta
pieni di merda. Quando è arrivata la polizia erano già tutti scappati"
Carlo, mentre sorseggiava il suo
caffè, immaginò la scena, e si compiacque di vedere il direttore dell'agenzia
coperto di merda. Il suo sogno ad occhi aperti fu interrotto dall'arrivo di un
altro cliente che, appena varcato l'uscio, disse ad alta voce "Allora
ragazzi, ci siamo quasi. Avete saputo cosa è successo?"
"Le molotov alle sedi
Equitalia?"
"Ma quali Molotov. Hanno
paralizzato la tangenziale. Vari gruppi di disoccupati bloccano alcuni accessi.
Ma la cosa bella è che appena arriva la polizia vanno via, e nel contempo altri
gruppi bloccano altri accessi. La polizia sta impazzendo, e corre da una parte
all'altra. Intanto tutto il traffico è paralizzato."
"Eppure in televisione non
dicono nulla" intervenne Deborah
"E' naturale. La situazione
è tale che basta una scintilla per far esplodere l'ira della popolazione. Per
cui cercano di far credere che tutto vada per il meglio. Comunque, se non sarà
oggi, non manca molto alla rivolta totale."
Carlo uscì dal bar per
raggiungere la banca, e sistemare la questione delle rate del mutuo. Con sua
grande sorpresa vide che all'ingresso della filiale stazionavano due
carabinieri. Quando entrò chiese all'impiegato il motivo di quella presenza, e
gli fu risposto che si temevano atti di vandalismo. Conclusa l'operazione fu
notato dal direttore, che lo invitò nel suo ufficio, ostentando il suo sorriso
standard a 32 denti.
"Si accomodi, la prego.
Volevo raccomandarle di essere puntuale con il pagamento delle rate del mutuo.
Sa, certi comportamenti fanno scattare la segnalazione al criff, e questo le
potrebbe procurare grandi problemi. Quando una banca valuta la moralità di un
cliente controlla innanzitutto se vi sono segnalazioni."
"Scusi" Interruppe
Carlo "stava parlando di moralità? Vediamo un po se ho capito bene:
secondo i vostri canoni non è immorale chi stupra dei bambini, chi picchia la
moglie, chi spaccia stupefacenti, chi truffa, no, è immorale chi ha problemi
economici e paga con ritardo? Benissimo, avete un bel concetto di
moralità."
"Non si scaldi, lei deve
capire la nostra posizione.."
"Io non capisco un cazzo,
egregio direttore dei miei stivali. In questi giorni alcune persone mi hanno
aperto la mente, ed oggi mi sento di sostenere senza riserve quelli che vi
indicano come il male assoluto, e che vorrebbero appendervi per i piedi nella
pubblica piazza."
"Ma lei non si deve permettere
di parlare in questo modo."
"Si? E chi me lo impedisce,
lei? Mi faccia la cortesia, non mi telefoni mai più, altrimenti la prossima
volta vengo qui e la prendo a calci in culo. Moralità! Una banca che si
permette di parlare di moralità! Vergognatevi, dovreste solo vergognarvi."
"Ragionier Fanti, chiami i
carabinieri" ordinò il direttore ad un suo impiegato.
"Non è necessario, vado via,
ma si ricordi quello che le ho detto" Carlo guadagnò l'uscita mandando a
fare in culo anche il povero impiegato che ebbe l'infelice idea di salutarlo.
Quando fu fuori, si compiacque
con se stesso per quello che aveva fatto, e pensò che forse stava finalmente
guarendo dalla dabbenaggine da cui era affetto. Quando fu all'altezza del
mercato rionale vide un grande assembramento di persone, ed alcune pattuglie
delle forze dell'ordine. Si avvicinò per vedere cosa stesse accadendo.
I commercianti del mercato e
quelli delle strade adiacenti, esasperati dalle pretestuose vessazioni dei
vigili urbani, che oramai quotidianamente elevavano contravvenzioni per ogni
minima sciocchezza, inscenarono una manifestazione improvvisata. Da tempo il
comune cercava di fare cassa attraverso multe e contravvenzioni, con la stessa
violenza predatoria di un drogato in crisi di astinenza.
"Non si può andare avanti in
questo modo" gridava uno della folla, "ci hanno tolto tutto il
possibile ed ora vogliono anche l'impossibile. Siamo diventati il bancomat di
una schiera di parassiti che ogni giorno calano come sciacalli al mercato per racimolare
tutto il possibile: ispettori del lavoro, vigili urbani, finanzieri, ufficio
d'igiene, ingegneri della sicurezza. Basta, i soldi sono finiti. Che vadano a
lavorare e smettano di romperci i coglioni. Ma questi farabutti capiscono che
stanno tirando troppo la corda?"
"Dovete fare tutti come
me" intervenne un altro manifestante "io non pago più nulla, tanto
quel che avevo me lo hanno già tolto. E se mi impediranno di lavorare mi
metterò a fare rapine." Mostrò a tutti una cartella esattoriale e le diede
fuoco, tra gli applausi della folla.
"Dobbiamo diventare tutti
abusivi" gridò un terzo oratore "tanto è difficile stare peggio di
come stiamo. Per chi vuole lavorare onestamente non c'è nessun futuro."
La gente annuiva ed applaudiva
l'oratore. Qualche facinoroso iniziò ad inveire contro le forze dell'ordine,
che si guardarono bene dal reagire, ma si limitarono ad invitare alla calma. Ad
un certo punto qualcuno iniziò a tirare calci alle auto della polizia, subito
seguito da una massa inferocita ed esasperata. I pochi poliziotti cercarono di
fermare la folla, ma furono impotenti di fronte a tanta furia. Non poterono che
allontanarsi, terrorizzati, per chiedere rinforzi. Anche l'oratore invitò tutti
alla calma, e a non prendersela con i poliziotti che erano dei disgraziati come
loro. Sopraggiunsero due pattuglie che, a distanza, furono fatte bersaglio di
lancio di pietre e bottiglie, impedendo ai poliziotti di uscire dalle auto, e
costringendoli, anzi, ad allontanarsi. Non fu possibile ricevere ulteriori
rinforzi, non essendoci più un solo uomo disponibile. I capi di questa piccola
rivolta ebbero l'intelligenza di entrare nelle attività che disponevano di
telecamere e farsi consegnare le cassette registrate. Nessuno oppose
resistenza, e non per paura, ma per totale solidarietà.
Dopo circa mezz'ora la folla si
dissolse e la calma tornò a regnare. Ma si trattava di una calma inquietante,
foriera di nefasti presagi.
Con sua grande sorpresa Carlo si
scoprì contento di come si stavano mettendo le cose. Aveva capito che solo distruggendo
tutto si poteva ricostruire la società su nuove basi. Ed allora, piuttosto che
una lenta agonia, era meglio una rapida morte, premessa per la resurrezione.
Prese il telefonino e chiamò Marco:
"Pronto, Marco? sono
Carlo."
"Ciao Carlo, stavo per chiamarti,
ci vediamo da Caterina?"
"Certamente, stavo per
chiederti la stessa cosa. Hai sentito cosa sta succedendo?"
"Qualcosa. Sai ero dal
Notaio per la cessione della società"
"Hai concluso?"
"Si, e mi sento rinato"
"Beh, allora ci vediamo da
Caterina, così festeggiamo"
"Ci vediamo, ciao"
Carlo tornò a casa, prese la
macchina, e si avviò verso la trattoria. Lungo il tragitto accese la radio per
aggiornarsi sulla situazione:
"Scontri a Milano fra forze
dell'ordine e movimenti antagonisti. Atti di teppismo in varie zone della
città. Il ministro dell'interno promette severità nel contrastare i disordini
provocati da pochi facinorosi, quasi sicuramente provenienti dai centri
sociali. Attaccate alcune sedi di Equitalia. Sentiamo il direttore dell'agenzia
delle entrate: "Equitalia agisce nel massimo rispetto della legge ed al
servizio dei contribuenti onesti. La nostra lotta di contrasto dell'evasione è
un dovere nei confronti degli italiani.
Il primo ministro, parlando ad un
gruppo di imprenditori, ha sostenuto che la ripresa è dietro l'angolo, e che
presto saranno varate misure per il lavoro.
Il consiglio dei ministri sta
preparando la nuova manovra finanziaria per coprire il buco provocato dal
repentino crollo delle entrate tributarie. Tra le altre cose si parla di una
tassa una tantum sul possesso di auto, di un contributo di solidarietà di 1000
euro a carico di tutte le partite IVA, di un aumento del 30% dell'importo delle
multe.
Allo studio una misura per
istituire un registro obbligatorio presso il ministero dell'economia al quale
gli italiani dovranno comunicare la quantità di oggetti preziosi in loro
possesso. La norma si rende necessaria per contrastare l'evasione fiscale e le
attività della criminalità organizzata.
Carlo spense la radio, nauseato,
e pensò a come anche lui, che si riteneva intelligente ed istruito, si sia
fatto abbindolare per decenni dalla propaganda del governo, ed avesse creduto
sinceramente nello stato e nelle istituzioni.
Quando arrivò alla trattoria
Marco non era ancora arrivato, decise, quindi, di aspettarlo all'esterno.
"Non avete capito un
cazzo" disse ad alta voce un signore seduto poco distante. "Siete
stupidi, ignoranti, e fessi, così come vi vogliono coloro che ve lo stanno
mettendo in culo da sempre."
La veemenza con la quale
l'oratore pronunciò le sue parole attrasse l'attenzione di Carlo, che si
avvicinò per ascoltare meglio.
"Provate, una volta tanto,
ad usare il cervello: un mafioso viene da voi e vi chiede di pagargli il pizzo.
In cambio vi offre un servizio: la sicurezza. Voi non avete la facoltà di
decidere se accettare o meno quel servizio, siete obbligati ad accettarlo nei
termini ad al prezzo che il mafioso ha stabilito. Il mafioso usa la sua forza
per costringervi, minacciando danni ai vostri beni ed alla vostra persona.
Ora immaginate lo stato che vi
obbliga a pagare il canone per la televisione. Voi siete obbligati ad accettare
quel servizio, anche se ne vorreste fare a meno, ed a pagarlo al prezzo che lui
ha stabilito. Se non lo fate lo stato usa la sua forza per danneggiarvi. Ora,
sapete dirmi la differenza tra i due comportamenti?"
"Nessuna" rispose uno
del gruppo che ascoltava.
"Infatti" continuò
l'oratore "lo stato non è altro che una organizzazione mafiosa
particolarmente evoluta e sofisticata. E potremmo dire che la mafia è una forma
di stato al suo stadio primitivo.
Nessuno si chiede come nasca e si
formi uno stato. Ed allora, poiché siete dei caproni ignoranti, voglio rendervi
edotti."
"Grazie" gridò uno del
gruppo con una certa ironia.
"Vi siete mai chiesti
l'origine della nobiltà? Non credo. Allora sappiate che tutta la nobiltà ha
origine dal mestiere delle armi. Ed il mestiere delle armi era tipico dei
briganti, ovvero di coloro che disponevano della forza per obbligare gli altri
a fornire loro una parte dei frutti del proprio lavoro. In cambio di questo
obolo questi briganti si impegnavano a garantire la sicurezza dei loro sudditi
e ad amministrare la giustizia, ovvero a garantire un certo ordine.
Questi briganti combattevano tra
loro per impossessarsi di altri domini, così da accrescere le loro ricchezze ed
il loro prestigio. E' così che si formano i regni e gli imperi. La storia si
può riassumere nella lotta continua tra potenti per depredarsi a vicenda. In
tutto questo il popolo non ha mai contato nulla."
"Come oggi,
praticamente" disse qualcuno tra il
pubblico.
"Bravo, esattamente come
oggi. Solo che con il tempo il potere si è trasferito dalle armi al denaro.
Dalla rivoluzione francese in poi il potere è esercitato dai banchieri, molto
più scaltri degli uomini d'arme. Tanto scaltri da aver inventato la moderna
democrazia, che è un raffinato sistema per far credere al popolo di essere
l'artefice del proprio destino, mentre nella realtà il destino di tutti è nelle
mani di questa minoranza di usurai. I politici che noi votiamo non sono che
burattini nelle loro mani, e capri espiatori delle loro malefatte. Nella
sostanza i parlamenti hanno un potere limitato a certi ambiti, e possono
muoversi esclusivamente entro i paletti che i banchieri hanno messo."
"E sono tutti collusi?"
Chiese una signora in fondo al gruppo.
"No, la gran parte di loro è
semplicemente stupida, e si limita ad eseguire gli ordini dei loro capi, in
cambio di privilegi e potere. Solo una minoranza dei parlamentari è collusa con
gli usurai, e sono quelli che davvero comandano nel parlamento. Se poi qualcuno
dovesse avere strane idee, e creare dei problemi, verrebbe fatto fuori,
attraverso la magistratura, la stampa, e, in casi estremi, con la morte."
"Ci vorrebbe una bella
rivoluzione" disse qualcuno tra i presenti.
"Si, ci vorrebbe una vera
rivoluzione. Ma la rivoluzione non si fa nel modo che voi credete. Quello che
voi chiamate rivoluzione non è che una rivolta, al termine della quale tutto
resta come prima. Ovvero, cambia la composizione del potere, ma voi, miserabili
sudditi, continuerete ad essere schiavi. La vera rivoluzione si fa in ognuno di
noi, utilizzando il più potente degli strumenti : la consapevolezza. I piccoli
comportamenti quotidiani di ognuno di noi rappresentano un'arma devastante se
moltiplicati per milioni di individui. Nessuna forza può opporsi con efficacia,
infatti i grandi usurai concentrano la loro opera sull'imbroglio e
sull'inganno, utilizzando la scuola, i media, il cinema. Milioni di persone che
scelgono in un modo piuttosto che in un'altro hanno la possibilità di cambiare
radicalmente le cose, senza usare le bombe, la violenza, la distruzione.
Pensate che una multinazionale si comporti male? Smettete di acquistare i suoi
prodotti, e l'avrete distrutta. Pensate che le banche siano associazioni
criminali? Usate solo i contanti e non fate debiti. Consapevolezza: questa è la
vera rivoluzione."
Proprio in quel momento
sopraggiunse Marco, che salutò Carlo e gli si avvicinò. "Cosa è
successo?"
"E' successo" rispose
Carlo "che ho appena assistito ad una lezione che nessun professore
dell'università è stato mai capace di fare. Entriamo, che oggi ho un certo
appetito."
Appena i due amici presero posto
Marco chiamò la signora Clara, che si avvicinò con la solita gentilezza: "Oggi
abbiamo degli gnocchetti con fagiolini e cozze, e per secondo del petto di
pollo all'aceto balsamico con verdure grigliate."
"Faccia lei, Clara. Inoltre
prepari il mio conto, così saldiamo" disse Marco.
Il volto della signora Clara si
illuminò, sorrise e disse "Beh, allora le regalo una bella bottiglia di
Bonarda, una cosa di lusso"
"Clara, ma lei è
sposata?" chiese Carlo.
"Si, da 20 anni"
"Peccato, altrimenti avrei
chiesto la sua mano"
"Sarà per la prossima
volta" Rispose Clara, congedandosi con un grande sorriso.
Durante il pranzo Carlo raccontò
di aver concluso la cessione della società e di aver ricevuto il bonifico sul
suo conto in svizzera. Tutto regolare, naturalmente. Tutto alla luce del sole.
Il fatto è che il suo commercialista lo ha messo in guardia sulla situazione
delle finanze italiane, e sul rischio che lo stato faccia un prelievo forzoso
su tutti i conti. Oppure sulla possibilità che vengano impediti prelievi
superiori ad una certa somma mensile. Data la situazione era saggio aprire un conto
all'estero, cosa che Carlo autorizzò.
Finalmente chiese a Marco:
"E tu, hai trovato qualcosa?"
"Niente" rispose
"Ma francamente non sto più cercando. Ho un progetto che mi frulla nella
mente, e sto valutando alcune cose. Credo comunque che entro questa settimana
prenderò una decisione. A questo proposito domani vorrei andare a trovare
Luisa, su in collina. Ti va di venire?"
"Certamente" Rispose
Marco "Non ho un cazzo da fare, e poi anch'io ho bisogno di riflettere.
Avvisiamo anche Giovanni?"
"Senz'altro" disse
Carlo "E lo dico anche alla Simona. Allontanarci da Milano per un po’
dovrebbe farci bene. Anzi, la chiamo adesso."
"Pronto, Simona?, ciao sono
Carlo. Bene grazie. Ascolta, domani, insieme a Marco e Giovanni volevamo fare
una capatina su in collina, dalla Luisa. Ti andrebbe di venire? Si, va bene, ci
vediamo stasera alla galleria del pazzo, così ci mettiamo d'accordo. Va bene,
ciao, ti saluto."
Finalmente i due amici si
salutarono, dandosi appuntamento per l'indomani alle 9, proprio davanti alla trattoria
da Caterina. Carlo rientrò a casa, si liberò dell'abito buono e si fece una
doccia. Dopo di che si stese sul letto a riflettere su tutto quel che gli era
capitato in questi ultimi giorni, sui vecchi amici, sui nuovi, su Simona. E
sulla varietà del mondo, che non si esauriva nel ristretto ambito dell'azienda,
degli affari, della carriera. Esisteva un altro mondo, dal quale era stato
escluso per 30 anni, fatto di poesia, di arte, di leggerezza, di umanità, in
cui ognuno godeva della licenza di essere se stesso. Ma qualcosa di veramente
nuovo stava scombussolando le sue certezze ed il suo equilibrio. Carlo si stava
innamorando.
Provava sensazioni dimenticate
dal tempo della sua giovinezza, sentendosi stupido come lo può essere un
adolescente, ed essendone comunque felice.
Allora si alzò, cercò un vecchio
LP di Lucio Battisti e lo mise sullo stereo inattivo da anni. Si rimise steso
sul letto per godersi anche il fruscio del vecchio e caro disco, e quando
iniziò il primo brano gli parve di avere 16 anni, e pianse.
Appena iniziò a fare buio Carlo,
armato di uno spirito nuovo, si recò da Luca, alla galleria del pazzo. Entrò,
salutò, e si mise a curiosare in quel disordinato bazar. Tutto gli parve
diverso rispetto alle volte precedenti. In realtà era lui ad essere diverso,
quasi libero dalle invisibili catene che lo tenevano inconsapevolmente legato a
certe convenzioni. Sfogliò qualche libro, ammirò i quadri, tocco i pezzi di
design: tutto gli parve affascinante. Ebbe la sensazione che tutte le cose
presenti nella galleria emanassero una magica energia.
"Carlo, gradisci un
caffè?" chiese Luca
"Grazie, volentieri"
rispose Carlo "Sto aspettando la Simona, dovrebbe essere qui tra
breve"
"eh! Voi due non e la
raccontate giusta. Comunque sono contento, Simona è una donna meravigliosa. Se
non fossi stato sposato le avrei fatto una corte spietata. Quanto
zucchero?"
"Amaro grazie"
Simona entrò, richiudendo la
porta alle sue spalle, ed aprendo il cuore di Carlo. Si baciarono pudicamente,
da buoni amici.
"Allora domani ti vengo a
prendere alle 8,30, va bene per te?" Domandò Carlo.
"Benissimo" rispose
Simona. "Sarò puntuale. Ma come mai hai avuto questa idea?"
"Voglio valutare alcune
cose, sai, ho qualche idea interessante, e voglio valutarne la
fattibilità."
"Sono contenta" disse
Simona "Anch'io sto cercando una nuova strada per il mio futuro. Chissà
che le nostre strade non si incontrino prima o poi!"
"E' possibile" disse
Carlo "E ne sarei davvero felice".
Intanto Luca cercava di
convincere due clienti interessati ad una coppia di poltrone degli anni 50.
"Queste due poltrone hanno una storia" disse con enfasi "e la
loro usura è un valore. Nessuna macchina può fare quel che ha fatto il tempo.
Ed è il tempo che le ha caricate di energia, la stessa energia positiva che
emaneranno nella vostra casa. Sedetevi, provate la loro comodità, prego, in
questa galleria i clienti sono invitati a toccare, a leggere, a sedersi."
La coppia di clienti sedette
nelle poltrone, ne constatò l'effettiva comodità, e concluse l'acquisto.
Simona e Carlo assistettero alla
trattativa, e furono soddisfatti dell'esito positivo non meno dello stesso
Luca.
"Stasera" disse Simona
"Al teatro dei pidocchiosi, sai, il locale dove siamo stati ieri, c'è un
mio amico che si esibisce in un monologo sulle donne, una cosa molto divertente
mi hanno detto. Ti andrebbe di andarlo a vedere?"
"Con te" si sbilanciò
Carlo "verrei anche in capo al mondo"
Luca, che da lontano sentì tutto,
scosse il capo, divertito. Poi, salito su di una sedia, chiese silenzio ed
iniziò:
"Se l'orizzonte
d'altro destino schiude il
divenire
e sul finire di mia giovinezza
ad esso volgo lo sguardo
lasciate che io navighi nel sogno
di ciò che poteva essere
e non fu
e tu
non censurare questo capriccio
lasciami stare
perché m'è dolce questo sognare"
Immancabile fu l'applauso dei
presenti, divertiti da queste improvvise performance poetiche a cui Luca aveva
abituato i suoi clienti. Giunse, comunque, l'ora di andare, ed i due nuovi
piccioncini salutarono Luca che, a sua volta, si raccomandò si portare i suoi saluti alla Luisa.
Quando Carlo e Simona arrivarono
al teatro dei pidocchiosi non c'era ancora molta gente, e fu facile trovare un
tavolo vicino al palco. Mentre ordinavano 2 birre, Andrea, uno degli
innumerevoli amici di Simona, si avvicinò al tavolo per salutarla.
"Principessa!" esclamò
Andrea "che piacere vederti. Anzi, se davvero devo essere sincero ti
cercavo."
"Come mai?" Chiese
Simona.
"Sai, volevo avvisarti che
ho chiuso il negozio, e che lavoro solo a domicilio, quindi, se hai bisogno puoi
chiamarmi. Hai ancora il mio numero?"
"Si, ce l'ho. Ma come mai
hai chiuso?"
"Cara Simona, quel pezzente
del padrone di casa mi ha chiesto un aumento immorale, neanche se fossimo in
via Monte Napoleone. Le tasse poi! Sai, gli studi di settore. Più sono alte le
spese e più presumono alto il tuo reddito. Alla fine mi sarei fatto un culo a
lavorare molto per portarmi a casa una miseria. Allora ho pensato: debbo
guadagnare poco? Va bene, pazienza. Però debbo anche lavorare poco. Allora ho
sbaraccato e lavoro a domicilio, tutto in nero, alla faccia del fisco"
"Hai fatto bene. L'unico
problema è che piano piano tutti stanno chiudendo, e le tasse, chi le
pagherà?"
"Cara Simona, chi troppo
vuole nulla stringe. Hanno esagerato, diciamo la verità. E comunque, la nave
Italia sta affondando, ed ognuno cerca di salvare i culo, giustamente. Io sono
stanco, ogni settimana c'è qualcosa da pagare, e pur pagando c'è sempre il
rischio di subire un accertamento folle fatto da qualche malato dell'agenzia
delle entrate. Ad una mia amica hanno mandato un accertamento di oltre 80 mila
euro, una cosa assurda basata su presunzioni da psicopatici. Intanto, però, per
fare ricorso, deve pagarne quasi trentamila, che lei non ha. Con la conseguenza
che non potendo fare ricorso il debito diventa esecutivo, e perde la casa che
le hanno lasciato i genitori. Ma ti pare possibile essere arrivati a questo
punto?"
"Veramente" disse
Simona "Io credo che abbiamo superato il punto di non ritorno. Salterà
tutto, ne sono certa. Non saprei dirti quando, ma basta conoscere un po’ di
aritmetica elementare per capire che non se ne esce."
"Proprio ieri" Disse
Andrea "Una mia cliente, grossa funzionaria di banca, mi ha confidato che
le persone più intelligenti non pagano più niente a nessuno. Fanno sparire tutto
quel che possono, e lasciano che gli pignorino il resto. Lo fanno perché c'è la
certezza che dopo il collasso il nuovo governo, qualunque sia, dovrà fare
tabula rasa di tutto il passato. Una specie di condono totale e generale senza
oneri. E Questo perché la quantità di persone con problemi di debiti, protesti,
pignoramenti, insolvenze di varia natura, è così vasta che renderebbe
impossibile una qualsiasi ripresa economica. Così come avviene dopo una guerra,
perchè, cara Simona, questa è peggio di una guerra."
"Sono d'accordo
Andrea." Rispose Simona.
"Beh, vi lascio soli. Comunque
mi raccomando, chiamami."
"Ho l'impressione che il tuo
amico abbia fatto bene" disse Carlo
"Lo credo anch'io"
Nel frattempo il locale si era
riempito, e sul palco salì il proprietario che presentò lo spettacolo:
"Amici, sono felice di presentarvi il siciliano, integerrimo impiegato di
banca di giorno, e geniale cabarettista di sera. Accogliamolo con un
bell'applauso....."
"Buona sera a tutti. Stasera
voglio parlarvi di un argomento davvero difficile: la donna.
Il destino ineludibile di ognuno
di noi è quello di invecchiare. Per quanti sforzi possiamo fare il nostro
vigore perderà pian piano consistenza, mentre lo scorrere del tempo apporterà
nuova linfa alla nostra saggezza.
Questo non ci consola;
semplicemente ne prendiamo atto. Ed è proprio grazie alla saggezza che abbiamo
acquisito che possiamo affermare, oltre ogni dubbio, che preferiremmo essere
giovani e stupidi, piuttosto che vecchi e saggi.
Ma tant'è. Il Padreterno, nella
sua infinita saggezza, avrà avuto le sue buone ragioni. Non le comprendiamo, soprattutto quando ci
guardiamo allo specchio, oppure guardiamo compiaciuti una bella e giovane
ragazza. Allora vorremmo gettare al vento la nostra saggezza, armarci di
stupidità ed incoscienza, e partire all'assalto del mondo. Ma c'è un tempo per
ogni cosa: ed il nostro è passato.
Parafrasando il titolo di un
celebre film: non ci resta che piangere. Oppure fare partecipi i più giovani di
una parte della nostra saggezza, anche se non potremo essere ricambiati dal
ricevere parte della loro giovinezza. E' uno scambio iniquo che trova
giustificazione nel fatto che non abbiamo un cazzo da fare, e rompere i coglioni
ai giovani ci fa sentire meno vecchi.
Ecco la ragione per la quale voglio
fare una lezione sul mondo femminile, frutto di quell'esperienza di cui farei
benissimo a meno, in cambio dei miei vent'anni.
Occorre sfatare uno dei più
miserabili miti della nostra maldestra modernità, che tanti danni ha prodotto
nella società. Parlo dell'uguaglianza dei sessi.
Guardate una donna ignuda: vi
pare uguale ad un uomo? No, in alcuni punti manca qualcosa, in altri vi è
qualcosa in più. Ma soprattutto, particolarmente se la ragazza è giovane e
bella, produce in voi quei turbamenti dai visibili risvolti fisici che
difficilmente la vista di un uomo ignudo vi procura. Direi anzi che, in genere,
un uomo ignudo vi fa anche piuttosto schifo.
Se poi la ragazza ignuda, oltre
ad essere giovane e bella, ha anche la faccia da gran zoccola, l'effetto su di
voi sarà devastante. Questa diversità, di cui la donna è ben consapevole, è la
migliore arma di cui la femmina dell'uomo dispone per raggiungere il suo
principale obiettivo: sottomettere l'uomo al proprio dominio.
Esistono uomini tanto stupidi da
credere di poter resistere al dominio femminile. Non sanno, gli stolti, che una
delle migliori tecniche che le donne utilizzano nella loro strategia, è proprio
quella di far credere all'uomo di non essere dominato, quando in realtà si è
alla loro totale mercé. Questi uomini, poveretti, credono di poter decidere
liberamente, e le donne, furbacchione, glielo fanno credere. In realtà tali
uomini decidono esclusivamente quello che le donne hanno già deciso. Si tratta
di una finzione, dell'eterna commedia della vita di coppia. E l'uomo,
inconsapevolmente, segue il copione scritto dalla donna.
Anche se a molti sembrerà
incredibile, anche le donne hanno un cervello. Si tratta di un cervello
all'apparenza uguale a quello degli uomini, ma in realtà programmato in modo molto
diverso.
Esiste un celebre dipinto di
Raffaello, "la scuola di Atene" in cui tra vari personaggi celebri
spiccano i filosofi Aristotele e Platone. Mentre discorrono scendendo i gradini
di una scenografica scalinata, il primo, con il dito, indica il terreno, mentre
il secondo indica il cielo. Aristotele, indicando la terra, rappresenta il
pensiero concreto, il mondo fisico e la natura, mentre Platone, indicando il
cielo, rappresenta il mondo astratto, la metafisica.
Ecco, possiamo sostenere che il
cervello femminile sia aristotelico, votato, in pratica, alle cose concrete,
pratiche, tangibili. Il cervello maschile, invece, è platonico, cioè
predisposto maggiormente al pensiero astratto.
Questa è la ragione per la quale
tutti i grandi filosofi, gli artisti, i matematici, siano uomini. Le poche
donne che possono essere annoverate in queste categorie sono, semplicemente,
degli errori di natura. In pratica, per puro errore, è stato posto un cervello
maschile in un corpo femminile.
Data questa premessa è facile
comprendere come sia praticamente impossibile una sana comunicazione tra un
uomo ed una donna. Sembra che parlino la stessa lingua, mentre in realtà la
formulazione dei pensieri e la loro elaborazione avvengono attraverso programmi
diversi.
E così qualunque discussione vi
condurrà inevitabilmente alla frustrazione, chiedendovi come mai non riuscite a
farvi capire. Eppure vi parrà di essere chiari, coerenti, pertinenti, logici.
Ed è proprio questo il punto. Voi ragionate secondo la logica, la donna no.
Qualunque pensiero femminile non
riesce a prescindere da alcuni assiomi presenti nel programma mentale di cui le
donne sono congenitamente dotate: l'uomo non capisce un cazzo; il marito è un
incapace ed un imbecille; l'uomo è un eterno immaturo che non può fare a meno
della guida della donna; tutti gli uomini sono degli stupidi, ma mio marito lo
è il doppio; è mio dovere proteggerlo dalle insidie del mondo, anche
spappolandogli i coglioni.
Quando ero giovane ed inesperto
credevo che mia moglie avesse una particolare abilità nel fracassarmi
costantemente i coglioni. Vi riusciva talmente bene da convincermi che avesse
frequentato qualche corso specifico di altissimo livello, dove matrone in
disarmo svelavano ad ingenue fanciulle tutti i segreti del "dominio distruttivo".
Naturalmente mi sbagliavo, e me ne resi conto dopo molti anni.
Compresi, con il tempo, che la
capacità di rompere il cazzo incessantemente, utilizzando qualunque occasione e
qualunque pretesto, fosse inscritta nel DNA femminile, e venisse utilizzata in
proporzione diretta alla personalità del marito.
Praticamente accade questo: se in
una coppia la femmina è naturalmente dominante, ed il marito è naturalmente
soccombente, lo stritolamento di coglioni avviene in modo morbido e saltuario.
Giusto quanto occorre perché il marito non si monti la testa.
Se, invece, il marito è anch'egli
dominante, la moglie utilizzerà tutto l'armamentario di cui dispone al fine di
distruggerne l'autostima. Si tratta della condizione essenziale per poter
dominare il partner, cosa che la donna trova giusta e naturale.
Ecco quindi che mostrerà sempre
una smorfia di disprezzo per qualunque cosa facciate, sempre che non abbiate
eseguito sue precise disposizioni. Utilizzerà ogni occasione per rimproverarvi
di qualcosa: se comperate delle mele vi dirà che sarebbe stato meglio che
aveste comprato delle arance, e se aveste comprato delle arance, vi dirà il
contrario. Non ha importanza quel che fate, l'importante è che vi faccia capire
che sbagliate.
All'inizio i mariti si lasciano
ingannare, assaliti dal dubbio. Occorre tempo affinché ci si renda conto che le
lamentele, le invettive, le smorfie di disprezzo e di disgusto, non dipendono
da ciò che si fa, ma dalla incontenibile necessità che le mogli hanno di
distruggervi moralmente.
Lo fanno, beninteso, convinte che
sia loro dovere, per il bene della famiglia e vostro.
Di tutto questo l'uomo, quando
ancora è all'oscuro delle infinite "gioie" del matrimonio, non
sospetta nulla. Si innamorerà di quella ragazza che " tanto gentile e
tanto onesta pare..." sognando coccole e tenerezze, oltre ad una sana,
sfrenata e libera attività sessuale.
Basteranno pochi giorni di vita
matrimoniale perché il dubbio vi assalga: dov'è finita quella ragazza dai modi
garbati, così remissiva e disponibile? Quella che vi chiamava "caro"
e vi parlava con dolcezza, cinguettando come un usignolo? Dov'è finita quella
creatura aulica ed aulente, pudicamente disponibile alle vostre morbose brame
sessuali?
La metamorfosi della vostra
compagna vi parrà incredibile. La sua voce saudente diverrà lentamente simile
al gracchiare di un corvo, mentre il suo discorrere pacato acquisterà il tono
perentorio di un ufficiale nazista. E quando vorrà contraddirvi, ovvero sempre,
non dirà più "ma cosa dici caro?" ma semplicemente " zitt
strunz".
Vostra madre, che fino al giorno
prima del matrimonio era stata oggetto di attenzioni e riguardi, diverrà
l'onnipresente oggetto delle invettive della vostra amata consorte.
E il sesso? Cosa accade con il
sesso?
Anche sul sesso uomini e donne
hanno visioni completamente diverse.
Mentre per l'uomo il sesso è
essenzialmente uno strumento di piacere, che, tra le altre cose, essendo
gratuito, va praticato con una certa frequenza, per la donna le cose sono più
complesse.
La donna è convinta che il sesso
sia innanzitutto uno strumento di dominio, il cui uso principale consiste nel
suo utilizzo come premio o come punizione, in ragione della remissività del
marito.
Se fate i bravi scopate,
altrimenti ciccia. E poiché per le mogli i mariti non si comportano mai come
dovrebbero, ovvero alle volte pretendono di fare di testa loro, ecco che la
sfrenata attività sessuale diventa una semplice illusione, un auspicio
regolarmente disatteso.
Accade spesso che, di fronte alla
vostra più o meno evidente voglia di scopare, la moglie si ritragga disturbata,
facendovi notare che per fare sesso occorre quel desiderio che il vostro
atteggiamento le preclude. In pratica il messaggio è questo: lurido stronzo,
vuoi trombare? Allora impara a non contraddirmi ed a fare tutto quello che ti
chiedo.
Ma anche quando dovesse rendersi
disponibile, la sua partecipazione all'amplesso trova grandi limitazioni di
tipo culturale, limitando quelle fantasie erotiche e quei giochi perversi che
tanto piacciono a noi maschietti, forse costretti dal vincolo dell'erezione.
La donna teme di essere
considerata una zoccola, con la conseguenza che se anch'ella fosse appagata da
una più fantasiosa attività sessuale, vi rinuncia, limitando la propria
partecipazione a quanto una certa morale consente.
La stessa donna, allorquando
avesse una avventura al di fuori del matrimonio, darebbe sfogo alle più
strampalate fantasie sessuali, per la semplice ragione che verrebbero meno le
due nefaste limitazioni alla sua totale disinibizione: non dovrebbe usare il
sesso per educarvi o punirvi, non avrebbe il timore di essere considerata una
zoccola, essendo evidente che lo sia. Ecco allora che ci darebbe sotto come mai
farebbe con il marito.
La conseguenza di tutto questo è
che, dopo alcuni anni di matrimonio, la voglia di scopare con vostra moglie
scemi drasticamente, e cresca di conseguenza il desiderio di avventure
extraconiugali. Anche perché, nel frattempo, la natura fa il suo corso,
trasformando il giovane corpo di quella ragazza in cui "beltà splendea
negli occhi suoi ridenti e fuggitivi..." in qualcosa di molto diverso e
poco appetibile. Vi accorgete, pian piano, che di quello che era un bel culo
non è rimasto che l'odore della merda.
Sempre per sottolineare la grande
differenza che esiste tra l'uomo e la donna, è emblematico il diverso approccio
che i due sessi mostrano nella pratica dello shopping.
L'uomo che deve acquistare un
paio di scarpe entra nel primo negozio, vede il modello, sceglie il numero, va
alla cassa, paga e porta via. Tempo massimo impiegato 4 minuti.
La donna difficilmente troverà le
scarpe che desidera prima di aver attentamente perlustrato una decina di
negozi. Più spesso pretenderà di essere accompagnata il giorno successivo per
un ulteriore giro di perlustrazione, dove proverà qualche altra decina di
scarpe, e chiedendovi se pensate che il colore di quei mocassini vadano bene
con quel pantalone blu ottanio che comprò a Praga. Alla vostra risposta di non
ricordare di quale pantalone si tratti, verrete fulminati da uno sguardo di disprezzo
e dalla fatidica frase: embè, tu non mi guardi mai...
Effettivamente avrete smesso di
guardare vostra moglie da lungo tempo, concentrando le vostre attenzioni sulla
nuova collega di lavoro, di venti anni più giovane e con la faccia da troia, il
che giustifica ampiamente ogni vostra distrazione. Ma questo, a vostra moglie,
non potete dirlo. Così imparate ad annuire sempre e comunque, tanto non ve ne
frega un cazzo.
Si tratta di uno di quegli
espedienti di autodifesa che i mariti, dopo anni di matrimonio, mettono in
atto. Un altro, ad esempio, consiste in un meccanismo mentale attraverso il
quale riusciamo a togliere l'audio. Praticamente quando la moglie parla il
marito non sente nulla, vede solo muovere la bocca ed annuisce di tanto in
tanto.
L'uomo ha capito: è inutile
combattere, si consumerebbero energie in una guerra che non ci vedrà mai
vincitori. E così, stanchi, accettiamo le cose come si accetta una malattia
incurabile, con stoicismo e rassegnazione.
Intanto continuerete a chiedervi
cosa se ne farà mai vostra moglie di tante borse. Pur avendone riempito un
armadio è probabile sentirle dire: mi serve una borsa per quel completino
arancione che ho preso a Roma. Ecco quindi la impellente necessità di iniziare
un nuovo tour de force tra strade dello shopping e centri commerciali, non
disdegnando il mega outlet aperto a 120 chilometri da casa vostra.
Nell'improbabile ipotesi in cui fosse riuscita a trovare la borsa che
desiderava, esclamerà orgogliosa di aver risparmiato ben 20 euro rispetto al negozio
vicino casa vostra. Nel conteggio, naturalmente, non sono comprese le 40 euro
di benzina ed autostrada, la multa da 120 euro del solito autovelox, la mezza
giornata persa e, soprattutto, l'immensa rottura di palle a cui vi siete
sottoposti. Ma questo, si sa, non ha prezzo.
Se l'uomo, mediamente, ha una
naturale dipendenza da figa, la donna non dipende dall'uccello allo stesso
modo. La vera dipendenza della donna, quella capace di creare vere e proprie
crisi di astinenza, è quella per lo shopping, particolarmente di cose inutili.
Non è indispensabile che acquisti qualcosa, ma le basta immergersi in un grande
negozio per entrare in un vero e proprio stato di estasi. All'improvviso cambia
l'espressione del suo viso, perdendo quei toni arcigni che da troppo tempo le
appartengono. E se poi, con un gesto di grande incoscienza, le consegnate la
carta di credito, ve ne sarà talmente riconoscente da consentirvi, in via del tutto
eccezionale, di trombarla.
Una delle domande alle quali la
scienza non ha ancora trovato una risposta è questa: per quale ragione la
donna, trovandosi in una grande capitale europea piena di capolavori da
conoscere, perde ore tra bancarelle che vendono inutili cianfrusaglie, sempre
uguali da Pechino a Napoli, da Londra a Lisbona, da Canicattì a Miami?
Si tratta, al momento, di un
insondabile mistero.
Due volte l'anno, più puntuale di
una cartella di Equitalia, si presenta uno dei momenti più drammatici della
vita matrimoniale: il cambio di stagione.
Questa attività rende la donna
più intrattabile del solito, per cui in quei giorni è consigliabile usare la
massima cautela.
Ad ogni cambio di stagione la
moglie si lamenterà della inadeguatezza degli armadi disponibili, sostenendo la
necessità di ulteriori contenitori. Il momento più terrificante è quando
pronuncia la frase fatidica: dobbiamo andare all'IKEA.
Appare del tutto inutile farle
notare che l'ottanta per cento dello spazio è occupato da indumenti ed
accessori che lei non indosserà più, anche perché nel frattempo avrà preso 4
taglie di troppo. Forse, sostenete, sarebbe opportuno regalare un po’ di abiti
alla Caritas.
Evitate di pronunciare questa
frase, se non volete essere trafitti dal solito gelido sguardo di disprezzo
unito a palese disgusto. Gli abiti, sostiene vostra moglie, sono praticamente
nuovi. Se perdo una decina di chili li posso indossare nuovamente.
Ora, a parte il fatto che i chili
di troppo sono più di dieci, voi avete la certezza matematica che non li
perderà mai, ma avete anche l'intelligenza di non farglielo notare; pena un
paio di settimane di astensione sessuale.
E' vero che la sua disponibilità
sessuale è praticamente svanita. Quando torna dal lavoro inizia le faccende di
casa, e pulisce, pulisce, pulisce. Mentre a voi la casa sembra già pulitissima,
la donna, forse dotata di microscopio a scansione elettronica, vede lo sporco
dappertutto. La conseguenza di tutto questo è che la sera, quando dopo la cena
si siede sul divano per guardare la tivù, cade in letargo, in un sonno profondo
dal quale è sconsigliabile destarla. Il sesso? Ma va là!
Il “paliatone” è una tradizione
di antica origine, la cui istituzione si perde nella notte dei tempi. La sua
funzione è stata quella di saldare i legami familiari, consentendo alla coppia
di scaricare quell'accumulo di frustrazioni e di rancori che inevitabilmente
con il tempo avrebbero minato la stabilità della famiglia.
Viviamo in tempi strani, dove
ogni buona tradizione sta cadendo in disuso. E così anche il rito del
sacrosanto paliatone viene celebrato in una sparuta minoranza di coppie, con il
rischio che cada completamente in oblio.
In pratica accade questo: dopo un
certo numero di anni di matrimonio l'autostima del marito raggiunge livelli
infimi, mentre la rottura di palle raggiunge l'apoteosi. A questo punto il
marito, giusto per riguadagnare qualche punto di quella dignità oramai persa,
all'ennesimo trituramento di koglioni che la moglie metterà in atto, si
imbestialirà, battendo la moglie con vigore e, diciamocelo, entusiasmo.
La moglie, appena dopo le prime
resistenze, inizierà a piangere, maledicendo il giorno che vi ha incontrati, la
vostra famiglia, con ascendenti, discendenti, affini e collaterali fino al
terzo grado, e la propria stupidità, che consiste nell'abnegazione che ha sempre
avuto per la famiglia.
Ma in cuor suo ve ne sarà grata,
perché il paliatone le consente di scaricare quel senso di colpa che ha
accumulato con il tempo, essendo ben cosciente di avervi fracassato i coglioni
senza ritegno. Ricevendo il paliatone sentirà di aver espiato le proprie colpe,
sentendosi mondata da ogni peccato, ad avrà, anzi, guadagnato un motivo in più
per farvi sentire dei pezzi di merda; e di questo se ne compiace.
Dopo il paliatone entrambi i
coniugi si sentono più leggeri, liberati, quasi appagati, pronti, quindi, ad affrontare
nuovamente il periglioso menage familiare.
Sono fermamente convinto che
l'abbandono della pratica del paliatone sia uno dei motivi dell'altissimo
numero di separazioni.
Arriva un momento in cui ogni
donna si sente appagata in modo totale, ed è quando si diventa vecchi. Le
donne, quelle stronze, hanno la fibra molto più resistente della nostra, e
nonostante il lavoro, i figli, la casa, mostrano una vitalità a noi maschietti
preclusa.
Quando invecchiamo siamo alla
totale mercé delle donne, le quali ci accudiscono, ci curano, ci rimproverano
come bambini e come tali ci trattano. Ci portano anche a fare la passeggiata,
allo stesso modo con il quale portiamo a pisciare il nostro cane.
Occorre dire che fanno tutto
questo con vero amore e grande abnegazione, anche perché, finalmente, possono
dare sfogo completo alla loro vera natura: quella di mamme. Il fatto di essere
completamente indifesi, e dipendere da loro per ogni cosa, le gratifica oltre
ogni modo, sentendo di aver raggiunto la vittoria finale nella lunga guerra
matrimoniale.
Ci tratteranno come rimbambiti,
anche quando non lo saremo, ma ci ameranno, ci ameranno davvero, di quell'amore
materno a noi totalmente sconosciuto.
MARTEDI'
Alle dieci il gruppo di amici era
già in autostrada, diretto verso i colli piacentini. La giornata era splendida,
anche se fredda. Il traffico era meno intenso del solito, soprattutto quello
dei mezzi pesanti, conseguenza naturale del crollo della produzione industriale
e dei consumi che da troppo tempo caratterizzavano l'economia italiana.
"Sapete che un mio
cugino" disse Giovanni "che fa il trasportatore, sta valutando l'idea
di ritornare al suo paese, in Salento? Mi raccontava ieri che non lavora che
saltuariamente, e non è più in grado di mantenere in piedi l'attività. Prima di
fallire, mi ha detto, è meglio fermarsi. Ha messo in vendita il camion, ma non
c'è mercato. Comunque pur di liberarsene lo svenderà a qualche commerciante che
traffica con i paesi dell'est."
"E cosa farà in Salento? Non
c'è anche li la crisi?" Chiese Marco.
"Si, la crisi morde in tutta
Italia. Ma lui al suo paese, pensando di ritornarvi una volta in pensione,
qualche anno fa ha comprato un piccolo podere con ulivi, una vigna ed un po di
terra incolta. Ha la vecchia casa dei suoi genitori che ha rilevato liquidando
i fratelli. Poiché i figli sono autonomi, deve preoccuparsi di campare lui e la
moglie. Così, non dovendo pagare l'affitto, riuscirebbe a vivere
tranquillamente, anche se modestamente, tornando a fare il contadino."
"Effettivamente"
intervenne Simona "La grande città è bella, ed offre molto. Ma se non si
dispone di un buon reddito, diventa un inferno."
"Infatti" riprese
Giovanni "Moltissimi miei vicini di casa stanno tornando nei loro paesi al
Sud. Mi dicono che se uno deve morire di fame, tanto vale farlo nel proprio
paese. Milano non è più quella di una volta!"
"E' tutta l'Italia a non
essere più quella di una volta" disse Marco.
"Sapete ragazzi"
intervenne Carlo "ho riflettuto molto in questi giorni, e mi sono chiesto
se una economia diversa non fosse possibile. Voglio dire, forse stiamo tutti
sbagliando nell'ostinarci a puntellare un sistema che, oggettivamente, non ha
futuro. La globalizzazione, lo sviluppo tecnologico, il costo dell'energia, la
composizione demografica, l'informatica e la digitalizzazione, hanno mutato in
modo profondo ed irreversibile il contesto generale. E questa mutazione è
avvenuta così rapidamente da aver prodotto una sfasatura rispetto ai tempi di
adattamento della società, che sono molto più lenti. Questa crisi è il prodotto
di questa sfasatura. Credo che il suo scopo sia quello di consentire alla
società di colmare questa distanza, e per farlo è necessario che l'economia
rallenti la sua corsa, ovvero che ci si fermi un attimo."
"Effettivamente" intervenne
Marco "La corsa all'innovazione, causata dalla competizione sfrenata, ha
prodotto delle cose assurde. Basti pensare ai telefonini. Un prodotto
eccellente, in grado di soddisfare le esigenze degli utilizzatori per parecchi
anni, diventa obsoleto in pochi mesi. E così un software, e così un nuovo
macchinario per l'industria. Ricordo che una volta un'industria poteva
acquistare degli impianti ed utilizzarli tranquillamente per 20 anni, ed anche
più. Adesso un impianto diventa obsoleto in 5 anni, con la conseguenza che
occorre farlo lavorare al massimo, per ammortizzarlo adeguatamente. E'
necessario, quindi, vendere tanto, e per farlo si abbassano i prezzi, gli utili
si assottigliano, i salari perdono potere d'acquisto. L'erosione del potere
d'acquisto dei salari costringe i produttori ad abbassare ulteriormente i
prezzi, ed oltre un certo limite a spostare la produzione in paesi come la
Cina. Quando i primi furbi iniziano a delocalizzare costringono i concorrenti a
seguirli, con il risultato che il vantaggio iniziale sparisce, producendo
miseria in occidente e non portando ricchezza nei paesi poveri, dove pochi
diventano molto ricchi, e gli altri restano miserabili."
"Esiste" disse Simona
"un altro effetto devastante di questa corsa forsennata all'innovazione.
Dal momento che gli utili derivanti dalla produzione si assottigliano, gli
imprenditori sono spinti a trovare impieghi più remunerativi ai propri
capitali, e li trovano nella speculazione finanziaria. E così l'attività
finanziaria è diventata tanto vasta da prevaricare ogni altra attività. Oramai
tutto si muove intorno alla finanza. Ciò che doveva semplicemente essere uno
degli elementi di un sano sistema economico è diventato il cardine di tutto. Ma
la sua dimensione è diventata tale da soffocare l'economia reale, gli stati, le
famiglie. Abbiamo creato un mostro che ci sta divorando."
"Giorni fa" intervenne
Giovanni "Ho letto da qualche parte l'importo di tutti i debiti esistenti
nel pianeta. Era un numero che non sono stato capace di leggere, ma ho capito
che era grandissimo, molte volte il PIL mondiale. Allora io, che come sapete
sono ignorante, mi sono chiesto: ma se ad ogni debito esiste necessariamente un
credito, ma chi cazzo sono i creditori di una somma così gigantesca, e,
soprattutto, dove li hanno presi tutti quei soldi?"
"Sono quasi tutti soldi
inventati" rispose Carlo "Devi sapere che la moneta nasce dal nulla,
viene creata dalle banche centrali e da quelle commerciali semplicemente con
una scrittura contabile. Il problema è che questa moneta inventata nasce come
debito. Mi spiego meglio: se lo stato ha bisogno di immettere soldi
nell'economia non può crearli dal nulla, ma deve chiederli ad una banca che a
sua volta li crea dal nulla e li presta allo stato. E così lo stato si trova
indebitato e paga gli interessi. Se la banca che crea la moneta è dello stato,
allora il gioco funziona, nel senso che lo stato sarebbe indebitato verso se
stesso, e quindi in realtà non avrebbe debito. Ma se la banca è privata il
debito diventa vero. Per estinguere questo debito lo stato dovrebbe restituire
la moneta che ha preso in prestito, ma questo è impossibile per la semplice
ragione che un'economia non può fare a meno della moneta. Mettiamo l'ipotesi
che lo stato volesse ripagare tutto il proprio debito, dovrebbe eliminare tutta
la moneta esistente e restituirla alle banche. Ma tutta la moneta esistente non
basterebbe perché nel frattempo gli interessi hanno aumentato il debito. In
pratica il debito è perpetuo ed inestinguibile."
"Ma è una truffa" disse
Giovanni visibilmente stupito.
"Gigantesca" rispose
Simona, che non era solita parlare molto, ma la sapeva lunga su molte cose. Il
effetti, di qualunque cosa si parlasse, non appariva mai impreparata. "La
cosa assurda di tutta questa faccenda" continuò "è il fatto che tanto
più un'economia è ricca, tanto più è grande la massa del debito. In pratica, se
dopo un cero numero di anni un'economia raddoppia la sua dimensione, anche la
massa debitoria sarà raddoppiata. E questo avviene perché la massa di moneta
necessaria in un'economia dipende dalla sua dimensione. Un'economia più grande
necessita di maggiore moneta, e se la moneta nasce come debito, il debito
aumenta".
"Se lo sentisse quella santa
donna di mia madre, buonanima" disse Giovanni "Direbbe che siamo
tutti pazzi. A parte il fatto che lei sosteneva che il debito è sempre una
brutta cosa, resterebbe incredula per il fatto che tanto più si è ricchi, tanti
più debiti si hanno. Questo fatto della moneta debito non lo capirebbe mai, e
neanche io, veramente"
Intanto, tra una chiacchiera e
l'altra, raggiunsero la loro meta. Appena furono entrati in paese accostarono
davanti ad un bar per chiedere informazioni. Simona aprì il finestrino e
chiese: "Scusi, mi saprebbe dire come arrivare da Luisa, la milanese?"
"Cercate la milanese?
Allora, vede quella stradina che sale sulla sinistra. Faccia un paio di
chilometri e arriverà alla frazione di Bellavista. C'è una casa rossa di fronte
ad una chiesetta, è li"
"Grazie, gentilissimo"
Appena arrivati davanti alla casa
rossa parcheggiarono alla buona e scesero finalmente dall'auto. Il loro arrivo
fu subito notato da Luisa che uscì ad accogliere gli ospiti. Baciò tutti, come
se fossero amici di vecchia data, e li accompagnò dentro casa. Nella grande
cucina una enorme stufa in ghisa provvedeva a riscaldare l'ambiente,
rendendolo, in quella giornata freddissima, più accogliente del solito. Gli
ospiti si misero a loro agio e si accomodarono intorno al grande tavolo, mentre
Luisa preparava un buon tè che avrebbe servito con dei biscotti fatti in casa.
Sulla cucina un pentolone di coccio contenente una zuppa di legumi ribolliva
con una sua dignità, sbuffando di tanto in tanto, quasi volesse farsi notare.
"E' molto accogliente questo
ambiente" disse Carlo, "Ed anche molto grande. A Milano in questo
spazio ci ricavano un piccolo appartamento e te lo affittano a mille euro al
mese.
"Infatti a Milano si evita
di invitare amici a pranzo, non ci sarebbe lo spazio sufficiente" Rispose
Luisa. "In questa cucina, volendo, si può mangiare in trenta."
"E i tuoi?" chiese
Simona.
"Sono andati a prendere il
pane, dovrebbero essere già qui. Sicuramente si sono fermati a chiacchierare
con qualcuno. Sapete, qui non si va mai di fretta, non ve ne è alcuna ragione.
E così magari si va a comprare il pane e si resta a chiacchierare un'ora nella
bottega del fornaio."
Proprio in quel momento si sentì
aprire la porta, ed entrarono i genitori di Luisa, circondati dal profumo del
pane appena sfornato. Ci furono le consuete presentazioni, e quando anche i
bambini tornarono da scuola insieme al loro papà, arrivò il momento di
apparecchiare la tavola.
Il pranzo, pare superfluo dirlo,
fu molto apprezzato, benché fosse composto da pietanze cosiddette povere: zuppa
di legumi, frittata di erbe selvatiche, salame e formaggio, il tutto
accompagnato dall'ottimo pane e da abbondante rosso delle valli piacentine.
Se Carlo avesse pranzato in uno
dei ristoranti che era solito frequentare insieme ai colleghi o ai clienti,
avrebbe sicuramente mangiato meno bene, e non avrebbe speso meno di 70 euro a
testa, mentre Luisa aveva fatto da mangiare per otto spendendo molto meno della
metà. Anche questo fece riflettere Carlo, e lo spinse con più forza verso le
sue decisioni.
Quando finalmente arrivarono al
caffè Luisa si rivolse a Carlo "Mi ha detto Luca che sei qui per valutare
la fattibilità di una tua idea. Di cosa si tratta?"
"Ho ascoltato la tua
storia" disse Carlo "e ne sono rimasto affascinato. Ma la cosa che
maggiormente mi ha colpito è il lavoro che ti sei inventata. Effettivamente
l'idea è geniale, ed è fattibile senza un eccessivo capitale iniziale. Mi
chiedevo se non potesse diventare la mia nuova attività, considerando che
conosco tantissime persone, e che la gran parte di loro apprezzerebbe
sicuramente la possibilità di essere rifornita di prodotti di qualità ad un
prezzo assolutamente conveniente. Tu cosa ne pensi?"
"Io penso che dovresti
farlo, ed anche subito. Per quanto mi riguarda ti darei senz'altro una mano,
presentandoti ai miei fornitori. Credo, però, che sarebbe indispensabile che tu
vivessi qui, perchè il contatto con i fornitori dovrebbe essere quasi
quotidiano, e venire ogni giorno da Milano mi pare che non sia
sostenibile."
"Infatti, Luisa, ci ho
pensato. Si trovano case in affitto? E a quali prezzi?"
"Credo che con 200 euro al
mese puoi affittare una casa dignitosa, massimo 250."
"Addirittura?" Chiese
stupito Carlo, abituato agli affitti della città.
"Oppure" intervenne Simona
"si potrebbe acquistare"
"Impossibile" Disse
Carlo "Non posso. Già per recuperare i soldi necessari ad iniziare
l'attività debbo fare una certa operazione. No, non sono assolutamente in grado
di comprare nulla."
"Luisa, non sai se ci sia la
possibilità di acquistare un casolare abbastanza grande?" chiese Simona
tra lo stupore generale.
"Si, c'è un bel casolare in
vendita alla fine della strada. Necessita, però, di una buona ristrutturazione.
Si trova in una posizione bellissima, con alle spalle il bosco e sul davanti un
bellissimo panorama della vallata. Ma mi pare di aver capito che Carlo non
possa comprarlo."
"Carlo no, ma io si."
disse Simona "Potrei vendere i due locali di Milano, e ricavarci i soldi
per l'acquisto e per la ristrutturazione, forse. E' tutto da valutare"
"E cosa ne faresti?"
Chiese Giovanni.
"Ci farei un bel bed &
breakfast. Anch'io ho un bel giro di relazioni a Milano, tutta gente piena di
soldi, e la clientela non mi mancherebbe. Anche perché mi basterebbe di
guadagnare di che vivere. Potrei gestirlo insieme a Carlo, anzi, potremmo
abbinare le due attività. Credo che sarebbe un'idea vincente."
"Certo che sarebbe una bella
idea" disse Carlo con entusiasmo "la qualità della vita sarà il
cardine di un nuovo modello di sviluppo economico, e mi azzardo a sostenere che
la rinascita dell'Italia post collasso partirà proprio dalla provincia
italiana, dai suoi innumerevoli e meravigliosi piccoli borghi. Alla velocità
parossistica del mondo dovremo rispondere con la lentezza, alle gigantesche
multinazionali dovremo contrapporre la bellezza e l'efficienza del piccolo,
all'omologazione dei modelli dovremo difenderci con la ricchezza della
diversità, alla bruttezza ed alla sciatteria imperanti dovremo porre un argine
con la riscoperta della bellezza, perché, come disse qualcuno, la bellezza
salverà il mondo."
"Carlo for president"
gridò Giovanni, che iniziò ad applaudire, seguito da tutti gli altri, con gran
divertimento dei figli di Luisa, che non capivano, ma partecipavano comunque
dell'entusiasmo generale.
"Cosa ne dite di farci una
passeggiata al casolare?" Disse Simona "Potremmo approfittare della
presenza di Marco per valutare la fattibilità dell'idea".
"D'accordo, il tempo di
sparecchiare ed usciamo" disse Luisa
"Non preoccuparti"
intervenne la madre "Qui ci penso io. Voi andate pure."
Il casolare si presentava in
stato di abbandono, circondato da erbacce e con molte persiane divelte. Aveva
una struttura simmetrica, con una bellissima scalinata al centro. Un corridoio
centrale lambiva la scala e lo attraversava longitudinalmente. Su questo
corridoio si affacciavano le stanze, 8 per piano, oltre a piccoli vani di
servizio. Al primo piano, da una porta seminascosta, attraverso una rampa di
scale si accedeva al sottotetto, ampio e quasi tutto calpestabile. In fondo ad
uno dei corridoi si accedeva ad una torretta, che a sua volta era collegata ad
un ampio locale ad un solo piano che forse, un tempo, doveva essere la stalla.
La torretta conteneva una scala a chiocciola che, oltre a collegare i piani,
portava ad una sorta di belvedere, dal quale si poteva ammirare il bellissimo
panorama della valle sottostante. Il portone era aperto, così il gruppo si
prese la licenza di entrare per meglio rendersi conto delle condizioni
generali.
"La struttura" disse
Marco "Mi sembra in buono stato. Naturalmente va rifatta la copertura
oltre ad alcuni interventi per aumentarne la tenuta sismica. Qualche rinforzo
alle fondazioni, alcuni tiranti, e, dovendo rifare la copertura, un bel cordolo
in cemento sull'intera muratura portante. I bellissimi pavimenti si possono
recuperare, così come le porte interne. Vanno invece sostituiti tutti gli
infissi esterni. Gli impianti si debbono fare da zero, idraulico, termico,
elettrico. La scalinata richiede una buona pulitura, compresa la ringhiera
liberty in ferro battuto. Per l'esterno io direi che occorrerebbe eliminare il
vecchio intonaco, applicarvi un cappotto di polistirolo, e intonacarvi sopra.
La zoccolatura in pietra va solo pulita, così come il portale d'ingresso."
"E quanto si
spenderebbe?" chiese Simona.
"E' difficile dirlo così,
potrei dire una cazzata. Comunque secondo la mia esperienza siamo tra le 200 e
le 300 mila euro. Tenete presente che si tratta di 600 metri di superficie
calpestabile, più o meno."
"Adesso bisognerebbe
conoscere la richiesta dei proprietari" disse Simona "Luisa, sei in
grado di mettermi in contatto con loro?"
"Certamente" rispose
Luisa "Giù in paese abita un loro parente che ha un bar, possiamo andare a
chiedere"
"Andiamo allora, la cosa mi
interessa davvero, e la casa mi affascina"
Quando ebbero il numero di
telefono dei proprietari del casolare Simona chiamò immediatamente:
"Pronto? Buonasera, senta
chiamo per il casolare di bellavista. Ho saputo che è in vendita, e sarei
interessata all'acquisto. Prima che ci incontriamo sarebbe tanto gentile da
farmi sapere all'incirca la sua richiesta? Non per altro, ma se esula dalle mie
possibilità è inutile che le faccia perdere tempo. Si, ho capito, va bene, la
chiamo in questi giorni, arrivederci."
Il volto di Simona si illuminò. I
proprietari chiedevano 200 mila euro, compresi i tre ettari di terreno di
pertinenza. Secondo i suoi calcoli i locali di Milano dovevano valere
all'incirca 500 mila euro. In ogni caso era così entusiasta e convinta del suo
progetto che sarebbe stata disposta a vendere anche l'appartamento, che ne
valeva altrettanti. Decisero di festeggiare, e tornarono a casa dove aprirono
una buona bottiglia, che accompagnarono con i dolci che la mamma di Luisa non
faceva mai mancare in casa. Ah! Le mamme.
Giunse finalmente l'ora di
rientrare a Milano, ed appena iniziò ad imbrunire ripartirono. Quando furono
prossimi alla città notarono lunghe colonne di mezzi militari, anch'essi
diretti a Milano. La cosa inquietò abbastanza, così accesero la radio per
sapere se fosse accaduto qualcosa.
"Sì, direttore, anche qui a
Napoli una serie numerosa di disordini e di atti vandalici ha caratterizzato la
giornata. La prefettura è praticamente assediata dai manifestanti, tenuti a
bada da un impressionante cordone di polizia. Varie banche sono state prese
d'assalto ed incendiate. Si consiglia la popolazione di restare a casa."
"Sentiamo gli aggiornamenti
da Genova. Mariani, ci sei?"
"Si direttore, dietro di me
c'è il centro commerciale devastato. Alcuni focolai di incendio sono ancora
attivi. L'intera città è presidiata dalle forze dell'ordine e da alcuni reparti
dell'esercito. Il sindaco ha invitato i cittadini a non farsi trascinare dai
facinorosi."
"Aspetta in linea Mariani,
abbiamo in diretta il presidente che parlerà al paese"
"Italiane e italiani,
sebbene possiamo comprendere l'esasperazione alla quale la crisi ha condotto
molti di voi, non possiamo giustificare gli atti di violenza di una minoranza
di facinorosi che non rappresentano la parte sana del paese. Mantenete la
calma, e sappiate che stimo lavorando per voi. Il consiglio dei ministri sta
studiando misure urgenti per tutelare le fasce più deboli della società.
Intanto ho appena firmato un decreto di urgenza per sospendere l'attività di
equitalia, tutti gli atti esecutivi da chiunque proposti, gli sfratti e le
sospensioni delle forniture elettriche e del gas per morosità. Voglio comunque
avvisare che lo stato agirà con fermezza contro coloro che turberanno l'ordine
pubblico."
"Mi chiedono la linea da
Milano, Milano, ci sei?"
"Si, qui a Milano continua
ad aumentare il numero di manifestanti che assedia il quartiere della Borsa e
delle maggiori istituzioni finanziarie. Dopo le manifestazioni di questa
giornata il prefetto ha ordinato la chiusure degli uffici pubblici, delle
banche e delle scuole per la giornata di domani. Intanto stanno confluendo in
città reparti militari che dovranno presidiare i luoghi strategici, dal
tribunale alla prefettura, dal palazzo comunale alle stazioni ferroviarie e
della metropolitana. Domani la borsa resterà chiusa.
Il silenzio fu interrotto da
Giovanni che disse:" Carlo, per cortesia, lasciami alla prima fermata del
metrò."
"Posso accompagnarti a
casa" rispose Carlo.
"Non debbo andare a casa.
Vado ad unirmi ai manifestanti. Non si può stare sempre a guardare, e che
cazzo! Se siamo arrivati a questo punto è perché siamo stati dei codardi. In
cambio di un po di benessere e dell'ultimo telefonino, abbiamo permesso che
pochi farabutti si impadronissero della nostra vita. Abbiamo sempre permesso
tutto, e non ci siamo mai ribellati, seduti comodamente davanti alla tivù che
ci ha completamente rincoglioniti. Basta, adesso è arrivato il momento di
agire, costi quel che costi."
"Hai ragione Giovanni."
interruppe Marco "Vengo con te".
Alla prima fermata del metrò
Carlo e Simona restarono soli. Quando arrivarono a destinazione Carlo spense la
macchina, si volse verso Simona ed iniziò a parlare: "Stasera voglio
parlare a mia moglie. Il nostro rapporto non ha più ragione di esistere. E' da
tempo che siamo praticamente due estranei, ed è quindi inutile continuare
questa stupida commedia. Le proporrò di tenersi la casa, e le cederei la mia
quota per una fesseria: 30 mila euro. Quanto mi basta per ricominciare. Sono
certo che accetterà."
Un silenzio che parve
interminabile calò tra i due. Poi Simona prese la mano di Carlo, la strinse e
guardandolo negli occhi gli disse: "Se nel frattempo avrai bisogno di un
tetto conta sulla mia casa, non mi darai alcun fastidio." Lo baciò sulla
guancia ed andò via.
MERCOLEDI'
Carlo si alzò di buon umore. La
moglie aveva accettato la sua proposta, e nel pomeriggio sarebbero andati dal
notaio per formalizzare la cosa. I soldi li avrebbero tirati fuori i suoceri,
che avrebbero estinto anche il mutuo con la banca, ed intestato la metà della
casa ai nipoti. Accese la radio per conoscere l'evoluzione della situazione.
Tumulti e manifestazioni si stavano propagando in tutta Europa dove, al grido
di finanza assassina, erano prese particolarmente di mira le banche. Nella
notte fu indetta una riunione urgente dei capi di stato e di governo per varare
misure urgentissime che potessero placare l'ira popolare. Subito dopo pensò di
telefonare a Giovanni, per sapere dal vivo cosa stesse accadendo a Milano.
"Pronto, Giovanni? Ciao sono
Carlo. Tutto bene? Non ti hanno ancora arrestato?"
"Non ancora" rispose
Giovanni"
"Com'è la situazione?"
"A parte il freddo boia,
tutta la zona è paralizzata. Ci saranno almeno 100 mila persone, tutte
incazzatissime. Stanotte la polizia ha cercato di sgomberare la folla, ma
stavolta non si è trovata di fronte studenti annoiati che hanno voglia di
qualche scarica di adrenalina. Stavolta si è trovata di fronte padri di
famiglia disperati e disposti a tutto; gente che dorme in macchina, per
capirci. Praticamente le hanno prese di santa ragione. Adesso sono arrivati
vari reparti dell'esercito, ma la gente si sta organizzando. Ci disperderemo in
centinaia di gruppi di 4 o 500 persone, e creeremo casini un po ovunque.
Attaccheremo e ci disperderemo in pochi minuti, per ricomparire su un nuovo
obiettivo. Li dobbiamo fare impazzire, con la stessa tecnica che hanno usato
l'altro giorno per bloccare la tangenziale. Speriamo solo che il governo
capisca e prenda provvedimenti tali da soddisfare le richieste minime della
gente, altrimenti stavolta si arriva davvero alla guerra civile."
"Stai attento Giovanni, abbi
cura di te"
"Tranquillo Carlo, succeda
quel che deve succedere, ma uno, nella vita, qualche soddisfazione deve pure
averla, e che cazzo!"
"Ciao, ti saluto"
Carlo uscì poco più tardi, e come
prima tappa andò al bar per fare colazione. Deborah, appena lo vide , preparò
il solito caffè. Gli avventori del bar erano incollati davanti alla tivù, per
seguire l'evolversi della situazione. Le borse di tutta Europa erano chiuse, e
probabilmente sarebbero restate chiuse tutte le maggiori borse mondiali. Il
ragionier Bonetti, appena arrivato, salutò Carlo e, scuotendo la testa, disse:
"Solo gli stupidi non potevano immaginare che sarebbe finita in questo
modo. Io l'avevo capito da molto, e sa da cosa lo avevo capito?"
"Da cosa?" chiese
Carlo.
"Guardi li di fronte, sotto
il palazzo rosso. Sa quali attività c'erano nei locali a pian terreno fino a 10
anni fa? All'angolo un artigiano vetraio, subito dopo il signor Antonio, che
riparava elettrodomestici, poi la drogheria della signora Isabella, ancora dopo
una ferramenta, poi la lavanderia e alla fine Marcello, che vendeva e riparava
biciclette. Guardi ora cosa c'è: una banca, una società finanziaria, una sala
scommesse, un compro oro, un'agenzia immobiliare, una sala di slot
machine."
"Effettivamente non ci avevo
mai pensato" disse Carlo.
"nessuno" riprese il
ragionier Bonetti "riesce a cogliere certi segnali. Ma a saperli leggere
sono meglio di un libro aperto"
"Le posso offrire un caffè,
ragioniere?" chiese Carlo
"La ringrazio. Vede, quando
ancora lavoravo in banca noi impiegati conoscevamo tutti i nostri clienti, e le
valutazioni le facevamo innanzitutto sulla conoscenza personale delle persone,
mentre le carte contavano relativamente. Poi hanno deciso che le piccole banche
del territorio dovessero sparire, perché solo le grandi banche sarebbero state
efficienti, ed il risultato è che i clienti sono diventati semplici numeri, e
le decisioni vengono prese da un computer che magari sta ad Hong Kong. Le
conseguenze di queste scelte sono sotto i nostri occhi: un grande, gigantesco,
galattico patatrak finanziario. E la cosa più assurda è che le banche hanno
convinto i governi a far pagare ai cittadini le loro sciagurate speculazioni.
Ecco perché sta saltando tutto. Per l'avidità di pochi e la complicità di
molti. Se la gente capisse davvero le cause della crisi non esiterebbe ad
impiccare tutti i banchieri. Ma la gente viene costantemente imbrogliata, ed il
rischio è che se la prendano solo con i politici, e non con i loro mandanti.
Mah, grazie del caffè."
"Purtroppo" intervenne
Carlo "stiamo usando male la democrazia, eleggendo le persone
sbagliate"
"La democrazia" rispose
il ragionier Bonetti "Sta funzionando egregiamente, nel senso che sta funzionando
esattamente nel modo previsto dalle oligarchie che l'hanno creata. Loro
sapevano benissimo che la gran parte della popolazione è costituita da emeriti
coglioni, facilmente manipolabili. In questa finta democrazia il governo va in
mano ad una maggioranza che quasi sempre non rappresenta più del 20% della
popolazione. Praticamente il 20% degli elettori, quelli più ignoranti, incapaci
e parassiti, determinano la composizione del governo. Provi a riflettere: il
voto di un analfabeta che vive di espedienti vale come quello di un
imprenditore che paga montagne di tasse, o come quello di un ricercatore di
alto livello. Le pare un sistema efficiente?
"Effettivamente"
rispose Carlo " La democrazia non ha prodotto grandi risultati. Molti
credono che il nostro benessere sia dovuto proprio al sistema democratico,
mentre in realtà il merito va tutto all'enorme aumento della produttività,
grazie ai progressi scientifici e tecnologici. Forse, anche nel medio evo, se
avessero avuto a disposizione i mezzi di oggi, ci sarebbe stato lo stesso
benessere di cui godiamo noi."
"Bravo, vedo che ha
capito" disse il ragionier Bonetti "Il rispetto dei diritti umani ed
il benessere non sono necessariamente legati al suffragio universale, ovvero a
quella che noi chiamiamo democrazia. Il nostro è un sistema rappresentativo, ma
non democratico, per la semplice ragione che la sovranità appartiene ad una
oligarchia che agisce da secoli dietro le quinte. Il resto sono
chiacchiere."
Quando il ragionier Bonetti si
congedò, Carlo uscì dal bar e si diresse a piedi verso la galleria del pazzo.
Fino al pomeriggio non aveva alcun impegno, e così pensò di fare una lunga
passeggiata a piedi, lusso che non si concedeva da tantissimi anni. Camminò
senza fretta, guardandosi intorno. Alla fermata del metrò vide che
vi stazionava un mezzo
dell'esercito con alcuni militari annoiati, che cercavano di darsi un decoro,
ostentando una inutile professionalità. Più avanti un nutrito numero di
famiglie sfrattate aveva occupato i locali di un ex grande magazzino che aveva
chiuso da pochi mesi. Ci fu un primo sgombero, ma lo spazio venne rioccupato
due giorni dopo.
Carlo percorse alcune strade che
fino a pochi anni prima erano gremite di negozi di ogni tipo, con i marciapiedi
illuminati da una moltitudine di insegne che parevano contendersi lo spazio
disponibile, e gente che li percorreva a tutte le ore. I bar erano sempre
affollati dai commercianti dal volto soddisfatto che offrivano da bere ai
clienti.
Oggi le stesse strade erano
desolate. Una quantità enorme di saracinesche abbassate sulle quali, quasi come
una supplica, erano affissi cartelli "affittasi" o
"vendesi", nella speranza di trovare nuovi improbabili inquilini.
Sull'uscio dei pochi negozi rimasti, commercianti dal volto funereo scrutavano
i concorrenti, trovando una miserabile consolazione nella comune mancanza di
clienti. I bar limitavano al massimo l'accensione delle luci, per contenere le
spese. Uno squallore che veniva amplificato dallo stato disastroso del manto
stradale, dallo stato di abbandono in cui versava il verde pubblico , e dalla
sporcizia diffusa.
Carlo, chiuso nel suo ovattato
ufficio, o nei luoghi alla moda che normalmente frequentava, non si era reso
conto del declino che la città aveva subito in questi ultimi anni. Mentre
faceva la spesa nei grandi centri commerciali, la città lentamente moriva, e
lui non se ne accorgeva, come la gran parte degli italiani. Questa lenta agonia
non era solo il frutto della crisi economica, ma di una serie di scelte
scellerate insite nell'idea stessa di una certa modernità. Come, ad esempio,
una certa pianificazione urbanistica che ha determinato la zonizzazione del
territorio urbano. Separare le varie funzioni e relegarle in zone ben definite
ha prodotto un risultato disastroso, e cioè quello della desertificazione umana
di interi quartieri per buona parte della giornata.
Camminare in certi quartieri dopo
le diciotto incuteva paura. Non vi si incontrava anima viva, ne un bar aperto,
ne alcun segno di vita sociale. E cosa restava di un centro commerciale dopo la
sua chiusura? Solo lo squallore un po inquietante di un grandissimo parcheggio
deserto, e forse, a confermare che l'umanità non si era ancora estinta, qualche
puttana in attesa di clienti. Ma la tradizione della città italiana era ben
diversa, e dimostrava, se ancora fosse necessario, che probabilmente i nostri
antenati erano più intelligenti di noi.
Prima delle follie urbanistiche
in una città le funzioni erano confuse, e così si trovava il palazzo del
signore in mezzo alle case del popolo, le botteghe degli artigiani e le
attività commerciali sotto le abitazioni, i palazzi del potere, il mercato, la
chiesa, sempre immersi nel tessuto urbano, senza cercare un innaturale
isolamento. E questo faceva si che la città fosse sempre viva in ogni suo luogo,
con un senso di sicurezza garantito dalla presenza attiva di tutta la comunità.
Naturalmente anche l'assenza della televisione costringeva le persone ad una
maggiore socializzazione, così come la presenza costante dei bambini nelle strade.
Mentre Carlo faceva queste
considerazioni si ritrovò davanti alla galleria del pazzo. Appena Luca lo vide
gli andò incontro, lo salutò, e gli disse:
"Mi sono sentito con la
Luisa. Mi ha detto dell'idea che avete avuto tu e la Simona: sai che vi
invidio? Se potessi fare il lavoro che faccio in una piccola città scapperei
anch'io da Milano. Purtroppo il mio lavoro vive di una clientela di nicchia, e
solo in una grande città si riesce ad avere i numeri per sopravvivere."
"Effettivamente"
rispose Carlo "Non sono molte le persone che amano i libri, o l'arte, o il
design, mentre tutti, in qualche modo, debbono mangiare. Comunque oggi ho
appuntamento dal notaio e dovrei incassare un assegno di trentamila euro.
Domani lo verso in banca, e poi corro ad affittare una casa a Bellavista. Sperando
che le banche riaprano."
"Credo di si"
intervenne Luca "Hai sentito le decisioni che hanno preso? La BCE diventa
banca di ultima istanza, ed acquisterà i titoli di stato al tasso dello 0,5%
fino ad un massimo del 50% del PIL di ogni paese. In questo modo la pressione
fiscale verrà drasticamente ridotta, ed il deficit sarà coperto dall'emissione
di titoli pubblici. Inoltre gli stati vareranno grandi piani di lavori pubblici
per garantire un reddito a tutti i disoccupati, che verranno pian piano
riassorbiti dalle aziende a seguito della ripresa economica. Sarà garantito a
tutti il diritto all'abitazione, con interventi dello stato per coloro che non
saranno in grado di pagare l'affitto. Le grandi banche verranno tutte
nazionalizzate, e verrà imposto il pareggio della bilancia commerciale nei
confronti dei paesi esterni all'Europa, ad esclusione delle materie prime. Nel
frattempo viene sospesa l'attività di Equitalia, e si sta preparando un condono
tombale di tutti i debiti pregressi verso lo stato."
"Mi pare una vera
rivoluzione" disse Carlo "E mi chiedo perché abbiano aspettato tanto
per fare cose che potevano essere fatte qualche anno fa, limitando la
sofferenza della gente"
Proprio in quel momento squillò
il telefonino di Carlo: "Pronto? Oh, ciao Sironi, si, dimmi" Carlo
ascoltò un paio di minuti poi riprese "ti ringrazio Sironi, sei un vero
amico, ma sai, ho preso altre decisioni, non mi interessa più il lavoro che
facevo, ti ringrazio di cuore. In questi giorni ci vediamo che ti rendo i soldi
che mi hai prestato. Di nuovo grazie, ciao."
"Immagino che ti abbiano
offerto un lavoro" disse Luca.
"Si, ma è troppo tardi"
rispose Carlo "In questi giorni il Carlo di una volta è morto. Sono un
uomo nuovo, ed ho intenzione di iniziare una vita nuova"
"Sono contento per te"
disse Luca, che proprio in quel momento fu chiamato da una coppia che curiosava
nella galleria:
"Mi scusi, mi può dire il
prezzo di questa libreria?"
"Questa viene 800 euro, un
vero regalo. Tenete presente che è tutta in legno massello decapato bianco con
vernici all'acqua. E' ispirata alle opere di Ceroli. Vedete le due figure
sagomate che fungono da ante? Bene, l'artista è in grado di personalizzare la
libreria con le vostre siluette. In pratica vi fa le foto, e ricava i disegni per
le ante. Vuole un piccolo sovrapprezzo, diciamo 200 euro"
"In pratica i due personaggi
potremmo essere io e mio marito?"
"Esattamente. Un vero lusso
ad un prezzo da mercatone. Naturalmente senza fattura"
"Bellissima idea. Per noi va
bene. Come dovremmo procedere?"
"Semplice, adesso prendo la
macchina digitale e vi scatto una serie di foto, dalle quali l'artista
realizzerà i disegni che vi manderà tramite e-mail per la conferma. Dopo un
paio di settimane la libreria sarà pronta."
"Vi dobbiamo lasciare un acconto?"
"Dovete darmi un acconto,
l'indirizzo e l'e-mail"
"Contanti
naturalmente?"
"Naturalmente".
Carlo assistette alla trattativa,
contento che Luca anche quel giorno portasse la pagnotta a casa. Appena i
clienti andarono via Luca propose un bel caffè. Poi chiese: "Carlo, dove
vai a mangiare?"
"Veramente non so"
rispose Carlo "Credo che mangerò qualcosa in un bar"
"Allora resta qui con me,
ordino qualcosa alla rosticceria all'angolo. Ti va bene pollo con patate?"
"Benissimo, ma tu non chiudi
a mezzogiorno?"
"No, faccio orario
continuato. Tanto, in fondo, questa è la mia casa. Ora vado a prendere le
munizioni da bocca, Dammi un'occhiata alla galleria"
Luca uscì, e proprio allora entrò
una signora che cercava dei quadri per il proprio ufficio.
Rivolta a Carlo, chiese:"
avrei bisogno di qualche quadro per abbellire lo studio, ma non ne capisco
niente. Mi saprebbe dire cosa è adatto per un ufficio?"
Carlo, improvvisando una
competenza che non aveva, rispose: "I quadri più indicati in ogni luogo
sono quelli che vi emozionano. Non ha importanza la tecnica, lo stile o il
soggetto. Quello che conta è che guardandoli vi procurino una emozione
piacevole. L'arte, signora, non va capita, l'arte va sentita. Con la
conseguenza che il quadro migliore è quello che più vi piace."
"Dice davvero? Perché a me
piacciono questi due verticali e quello grande quadrato, pieno di colore. Solo
che mi chiedevo se fossero indicati per lo studio. Quindi lei dice che non
sbaglio?"
"No signora" rispose
Carlo "Quando si fa ciò che piace, e non si danneggia il prossimo, non si
sbaglia mai"
"E mi farebbe un po’ di
sconto?"
"Se ha la pazienza di
aspettare, tra breve sarà qui il titolare, sono sicuro che la terrà
contenta"
Appena Luca rientrò Carlo lo mise
al corrente della trattativa. "Signora, innanzitutto complimenti per la
scelta. Se non le occorre la fattura le posso fare un ottimo sconto. Guardi
tutti e tre vengono 1000 euro. Senza fattura le tolgo duecento euro. Con quei
soldi si va a comprare delle bellissime scarpe, alla faccia dei parassiti del
governo."
"Va bene lo sconto. Me li
può consegnare lei? Le lascio l'indirizzo e un acconto."
La signora andò via, e Luca parve
particolarmente contento per come andava la giornata. Sedettero in un angolo
appartato della galleria, aprirono una bottiglia di vino e consumarono il loro
pasto. Discorsero da buoni amici, con ironia e leggerezza, come si conviene tra
persone intelligenti.
Nel pomeriggio, all'ora
stabilita, Carlo fu dal notaio. Tutto si svolse rapidamente, e così, dopo aver
firmato un po di carte, salutò tutti con una certa freddezza, ed uscì con
l'assegno.
Si sentì finalmente liberato, e
decise di festeggiare con i suoi amici. Telefonò prima a Marco, poi a Giovanni,
per invitarli alla galleria del pazzo dove, in serata, avrebbe voluto festeggiare
la libertà riconquistata. Finalmente telefonò a Simona:
"Pronto? Simona? Ciao sono
Carlo. Senti volevo invitarti per stasera da Luca, per festeggiare."
"Cosa devi
festeggiare?" chiese Simona.
"La libertà. Sai sono stato
dal notaio per formalizzare l'accordo con mia moglie. Mi sento rinato, e pronto
per affrontare una nuova vita."
"Sono contenta per te.
Stamattina sono stata in agenzia per dare il mandato per vendere i due locali.
Speriamo che riescano a trovare subito degli acquirenti. Voglio vendere subito,
e sono anche disposta a scendere con il prezzo."
"Quindi sei proprio
decisa?" Chiese Carlo.
"Ci ho riflettuto a
sufficienza, e sono assolutamente determinata."
"allora vengo a prenderti,
ti va bene alle 19?"
"Sarò pronta, ti
aspetto."
All'ora stabilita Carlo passò da
Simona, la prese in macchina e si avviò verso la galleria. Il freddo si era
fatto più intenso, e si prevedevano nevicate anche a bassa quota. I pochi
pedoni che si vedevano avevano il passo più veloce del solito, mentre le serrande
dei negozi ancora aperti iniziavano ad abbassarsi. La città si stava spegnendo,
acquistando quell'aspetto spettrale che hanno tutte le grandi città dopo la
chiusura dei negozi, quando i suoi abitanti si chiudono in casa per cenare ed
incollarsi dinanzi alla tivù, a farsi rimbambire a dovere ed a ricevere la quotidiana
dose di disinformazione.
Quando Carlo e Simona arrivarono
alla galleria gli ultimi clienti stavano uscendo. Giovanni era già presente,
accompagnato dalla moglie che iniziava ad essere sospettosa per le ripetute ed
inusuali assenze del marito. Appena dopo le presentazioni di rito arrivò anche
Marco, portando alcune bottiglie prelevate dalla sua copiosa scorta. A quel
punto Carlo disse: "Bene, ci siamo tutti?"
"Non proprio" rispose
Luca. "Dovrebbe arrivare mia moglie, che oggi non è di turno in ospedale,
insieme ad un'amica. Sapete, ho pensato che non fosse bello che Marco non
avesse una compagnia femminile, visto che siamo tutti accoppiati."
"Luca" intervenne Marco
"Sei un vero amico. Ma non è che mi appioppi una racchiona?"
"Stai tranquillo.
Sicuramente non è una ragazzina di primo pelo, ma, nonostante l'età, è ancora
una bella donna. Vedrai, sarà una sorpresa, per tutti."
"Allora" disse Giovanni
"Iniziamo a preparare per otto. Piuttosto, cosa mangeremo?"
"Beh, adesso preparo una
cosa squisita, che forse molti di voi non hanno mai mangiato. Conoscete l'acqua
e sale?"
"Io la conosco" disse
Marco "La mangiavo spesso quando andavo in ferie giù in puglia, ed è
squisita"
"Ho il pane che mi porta la
Luisa, ed è diventato duro. Vi faccio vedere come si recupera per fare una
prelibatezza. Innanzitutto si bagna così che si reidrati. Poi si prendono dei
bei pomodorini rossi e maturi al punto giusto, si tagliano a metà e si spremono
sul pane, lasciando le bucce. Si innaffia tutto con eccellente olio
extravergine e si sala. Per completare si affetta la cipolla cruda e si sparge
sul pane."
Proprio in quel momento arrivò la
moglie di Luca, accompagnata dall'amica. Marco si affrettò a guardarla per
assicurarsi che l'amico non gli avesse tirato un bidone. Poi, all'improvviso,
gli parve di conoscerla. Rimase qualche momento in dubbio fin quando non
esclamò: "Chiara, sei chiara?"
"Si, sono proprio io"
"Ma guarda che bella
sorpresa!" disse Marco, abbracciandola, seguito da Giovanni e da Carlo.
Trent'anni fa, Chiara faceva
parte della loro comitiva, poi all'improvviso scomparve. La sua famiglia si
trasferì dalla parte opposta di Milano, e si persero di vista. Un paio di anni
prima Luca la incontrò per caso in ospedale, e da allora si tennero in contatto.
Era una collega della moglie.
"Ragazzi,
accomodiamoci." Ordinò Luca, premurandosi, senza farsi notare, di far
sedere vicini Marco e Chiara. Posò i vassoi con l'acqua e sale sulla tavola,
aprì il vino, e diede il buon appetito a tutti. Carlo si guardò intorno, e notò
la felicità di tutti i commensali. Non aveva mai notato la stessa felicità a la
stessa armonia nelle tantissime cene a cui, nel corso degli anni, aveva
partecipato, insieme alla moglie o ai colleghi. Eppure aveva frequentato i
ristoranti più costosi insieme alla gente "giusta", dove ognuno si
sentiva obbligato a recitare la propria parte, e ad indossare un abito che non
gli apparteneva. E si rese conto della grande differenza tra un sorriso di
circostanza ed un sorriso spontaneo, tra una gentilezza formale e un bel vaffanculo
detto con il cuore da un amico. Ognuno, quella sera, era se stesso, e questo
rendeva gli animi più leggeri e l'atmosfera decisamente gradevole.
Mangiarono di gusto, com'era
naturale in quelle circostanze, apprezzando la semplicità del cibo ed
innaffiando di buon vino le proprie inibizioni, che pian piano andavano
allentandosi.
Luca, com'era solito, ad un certo
punto volle indossare i panni che più gli erano congeniali: quelli del poeta.
"Amici, permettetevi di recitarvi una poesia che dedico a Carlo e Simona,
che mi paiono come due adolescenti innamorati:
Se tu m'appartenessi totalmente
e finalmente sciogliessi
le rugginose catene
che tanta parte di te rendono
schiava
ti prenderei per mano
e verso i mondi ai quali
apparteniamo
ti porterei.
Ti porterei con me
dolce compagna
ti porterei con me lontano
lasciando piano piano
gli antichi fardelli e le
frustrazioni
e le amarezze andate
e le vane illusioni.
Ti porterei con me
ove io da tanto bramo d'esservi
immerso
e lascerei lontano ciò che è
stato
e lascerei lontano
ciò che fummo nostro malgrado
E mano nella mano
con passo dolce e lento andremmo
come unico corpo
da spirito nuovo avvolto.
Tutti applaudirono entusiasti,
guardando con ironia i due passerotti piuttosto imbarazzati. Nel frattempo
anche tra Marco e Chiara parve che si stesse instaurando una certa complicità,
foriera di imprevedibili sviluppi.
Giovanni, un po’ per l'atmosfera,
un po’ aiutato dall'ottimo vino che bevve di gusto, fu particolarmente
affettuoso con la moglie, la quale apprezzò questo ritrovato entusiasmo da
parte del marito. "Dovremmo incontrarci più spesso" disse ridendo
"se queste serate servono a ricordare a mio marito di avere una moglie, e
non solo una cameriera".
"Purtroppo" intervenne
la moglie di Luca "Tutti i mariti, dopo 20 anni di matrimonio, si
dimenticano che ci piacerebbe, ogni tanto, essere corteggiate, o ricevere
qualche gentilezza. Invece preferiscono fare i galletti con donne molto più giovani,
come se loro non fossero invecchiati. Evidentemente si guardano poco allo
specchio."
Tutte le donne risero, molto meno
gli uomini.
"Il mio ex marito"
disse Chiara "mi ha lasciata per una ragazza che ha quasi l'età di nostra
figlia: una cosa patetica. Adesso, dopo essere stato abbondantemente
cornificato, è stato a sua volta lasciato, e si è ripresentato da me.
Evidentemente gli serviva una badante per la vecchiaia. Gli ho detto di non
farsi mai più vedere, e mi sono tolta la soddisfazione di chiamarlo cornuto. E'
stata un'esperienza liberatoria poterglielo dire in faccia: cornuto, vai a
dormire sotto i ponti."
Tutti risero, uomini e donne,
mentre Marco, approfittando del frangente, abbraccio Chiara, con il pretesto di
complimentarsi; pare che a Chiara la cosa non dispiacque.
Fu così che trascorse quella
serata, destinata a fissarsi nella memoria di tutti i partecipanti per gli anni
a venire: seduti intorno ad un tavolo di fortuna, su sedie e poltrone che
attendevano ben altri destini, mangiando del cibo quasi spartano. E fu così che
Carlo imparò un'altra lezione: nel mercato della felicità il denaro non è
l'unica valuta accettata.
Mangiarono, bevvero, risero,
cantarono. Quando Luca prese la sua vecchia chitarra ed iniziò a strimpellare
le canzoni che furono la colonna sonora della loro adolescenza, tutti si
unirono al coro, e tutti credettero, per qualche momento, che il tempo
scorresse all'incontrario. Non mancarono di intonare canzoni come
"contessa", o "la locomotiva" ed altri brani di quella
generazione in eschimo che si illudeva di cambiare il mondo, e che invece fu
cambiata dal mondo.
Quando giunse l'ora di andare si
accorsero che una timida nevicata cercava, senza riuscirci, di imbiancare il
paesaggio, aggiungendo un tocco di magia a quella serata indimenticabile.
Ognuno prese la sua strada, e Marco si offrì di accompagnare chiara, che
accettò di buon grado.
GIOVEDI'
Quando Carlo si alzò si accorse
che, all'improvviso, si sentiva estraneo in quella che fu per anni "la sua
casa", e che fosse quindi giunto il momento di fare le valigie. Pensò di
accettare l'ospitalità di Simona, almeno fin quando non si fosse trasferito a
Bellavista. Ne avrebbe parlato con Simona quella stessa sera. Intanto, quella
mattina, pensò di incontrare il suo amico Sironi, sia per saldare il debito,
che per parlargli delle sue decisioni.
"Pronto Sironi? Ciao sono
Carlo. Senti, è possibile incontrarci?
Certamente, puoi venire in
azienda. Ti aspetto."
L'azienda in cui Sironi lavorava
occupava uno dei tanti anonimi palazzoni dalle facciate in vetro che costellano
la periferia Milanese, tra svincoli stradali, frammenti di archeologia
industriale, qualche residuo palazzo popolare che imperterrito resiste alla
furia della speculazione edilizia, e l'ennesimo anonimo centro commerciale.
Quando Carlo vi giunse, si rivolse alla reception, dove una delle ragazze, la
solita stagista laureata con il massimo dei voti, lo accolse con un bel sorriso
standard. Il suo misero stipendio di 400 euro al mese era giustificato dal
fatto di potersi mettere in mostra in un luogo trafficato da una moltitudine di
persone che contano. E così, ben conscia del fatto che la sua improbabile
carriera dipendeva più dalla sua avvenenza e disponibilità, che non dalla
preparazione professionale, vestiva da gran puttana, come si conviene a chi
voglia aumentare le proprie chance.
"Sono atteso dal dottor
Sironi" disse Carlo.
"Un attimo" rispose la
ragazza mentre provvedeva a chiamare chi di dovere. "Il dottor Sironi
l'attende. Vada al sesto piano, in fondo al corridoio a destra"
"Grazie" rispose Carlo
"E complimenti per la mise"
La ragazza sorrise, lusingata,
mentre seguiva Carlo che guadagnava l'ascensore.
Arrivato all'ufficio del suo
amico, Carlo bussò, e fu lo stesso Sironi ad aprirgli la porta. Si salutarono
senza formalità e si accomodarono.
"Lo prendi il caffè?"
chiese Sironi, che senza attendere la risposta si rivolse alla segretaria
"Daniela, ci faccia due buoni caffè; Grazie."
"Sironi" disse Carlo
"innanzi tutto voglio saldare il mio debito: ecco l'assegno".
"Carlo" iniziò Sironi
"guarda che non c'era nessuna fretta. Se quei soldi possono esserti utili
li puoi tenere, al momento non mi servono"
"Sironi, so che sei un
amico, e ti ringrazio." Rispose Carlo "ma preferisco togliermi il
debito. So che, nel caso ne avessi bisogno, potrò contare su di te"
"Contaci" interruppe
Sironi. "Ma dimmi: cos'hai in programma? Mi pare di aver capito che hai
trovato una soluzione per il lavoro, di cosa si tratta?"
Carlo raccontò a Sironi
l'esperienza di Luisa, e di come questa esperienza potesse trasformarsi in un
lavoro abbastanza soddisfacente. "Io credo" disse Carlo "che ci
sia una tendenza in atto tale da esaltare alcuni valori che, in questi decenni
di affannosa corsa alla crescita ed all'innovazione, abbiamo trascurato. Tra
questi valori vi è la qualità del cibo, tanto a livello di gusto che di
salubrità. La gente, soprattutto le classi più agiate, apprezzerà sempre di più
i cibi quanto più possibile naturali. Se poi si riesce ad offrire questi cibi
allo stesso prezzo dei prodotti normalmente reperibili sul mercato, non
dovrebbe essere difficile creare un portafoglio di clienti abituali. La mia
idea è quella di farli sentire come se appartenessero ad un club esclusivo,
anche organizzando manifestazioni culturali a Bellavista.
"Carlo" intervenne
Sironi "Hai avuto una idea geniale, da vero mago del marketing. Ascolta,
dobbiamo assolutamente approfondire. Come già ti ho detto mi sono
irreversibilmente rotto i coglioni di questo lavoro, e della pressione continua
che sto ricevendo per raggiungere risultati sempre in crescita. Non ho più
trent'anni, e l'energia inizia a scemare, per non parlare dell'entusiasmo per
il lavoro che faccio, che è praticamente a zero. Vedi, stamattina sono qui, ed
ho appena parlato con il mio capo. Avrei voluto mandarlo a fare in culo, lui e
l'azienda. La cosa che maggiormente desidero in questo momento è uscire da
questo ufficio, staccare il telefonino, ed andare in giro, senza nessuna
meta."
"Fallo" disse Carlo
"Metti il cappotto ed usciamo. Cazzo, Sironi, se non possiamo permetterci
di fare qualche piccola follia vuol dire che la nostra vita è diventata vuota,
o, come dicono i miei amici, omologata. Tu sei in prigione, come lo ero io fino
ad una settimana fa, legato con le invisibili catene delle convenzioni, degli
obblighi, del successo, dello stipendio, dell'immagine. Tu non stai più
vivendo, ma stai semplicemente esistendo. Fai una cosa che non ti piace, e non
ti puoi permettere nemmeno una piccola follia. In questi giorni ho conosciuto
delle grandi persone, e la loro grandezza è dovuta alla loro capacità di essere
felici con poco, e di saper cogliere tutti gli aspetti positivi della vita,
anche e sopratutto quelli che abbiamo davanti a noi ma che non riusciamo più a
vedere, per la semplice ragione che non si acquistano con la carta di credito.
Abbiamo perso di vista tutto ciò che è gratis, e dato valore solo a ciò che ha
un prezzo, e tanto più il prezzo è alto, tanto più valore gli diamo.
Abbiamo vissuto da stupidi,
Sironi, questa è la verità."
Sironi si alzò di scatto, indossò
il suo cappotto, e disse alla segretaria: "Daniela, io esco e non so
quando torno, e, a dire la verità, non so neanche se torno."
"E se chiama il direttore?
Cosa gli dico?"
"Lo mandi a fare in culo da
parte mia"
"Ma dottor Sironi......e se
chiama sua moglie?"
"Mandi a fare in culo pure
lei"
Carlo e Sironi uscirono insieme,
armati dell'entusiasmo della giovinezza, ovvero di quel tempo in cui si è
ancora capaci di sognare. Che non fossero più giovani era evidente, e ne erano
consapevoli. Ma forse proprio per questo, rendendosi conto della fugacità del
tempo e della vita, parevano decisi a fare semplicemente quel che amavano, e
vivere il resto della loro esistenza con una sana leggerezza. Così Carlo decise
di svelare a Sironi la prima regola della felicità: non prendersi mai troppo
sul serio; e ridere, ridere, ridere.
Entrarono in macchina, e si
diressero fuori Milano. Puntarono verso Mantova, cercando di evitare le arterie
principali e praticando soprattutto le poco trafficate strade della campagna
lombarda, imbiancata da un sottile strato di neve. Una leggera nebbia rendeva
il paesaggio quasi surreale, aiutandoli nel loro scopo: quello di perdersi. Si
ritrovarono nella piazza di uno dei tanti borghi che costellano la pianura,
dove, con loro grande stupore, scorsero una piccola bottega di alimentari.
Pensavano che si fossero estinte, fagocitate dal proliferare dei centri
commerciali. Colsero l'occasione per rifornirsi di alcuni panini con la
mortadella e di un fiasco di barbera. Poi uscirono dal paese, fin quando non
trovarono un posto abbastanza isolato. Vi si fermarono, scesero dalla macchina,
e consumarono il loro frugale e nobile pasto.
"Da quando non senti il
suono del silenzio?" chiese Carlo. "Non il silenzio di Milano,
perennemente accompagnato da un ininterrotto brusio di sottofondo. Intendo
questo silenzio, il vero silenzio."
"Ne avevo dimenticato il
suono" Rispose Sironi "E' magnifico"
"E' più che magnifico, è
magico. Nella nostra arroganza razionalista abbiamo perso il senso della magia,
che, in fondo, è il vero senso della vita"
"Hai ragione Carlo. Siamo
stati stupidi ed arroganti."
"E adesso dimmi: come ti
sembra questo pranzo?"
"Meraviglioso. E' da molto
che non mangiavo con tanto gusto. Ma non dire niente: ho capito tutto."
Stettero per un po’ in silenzio,
mangiando e bevendo dell'ottima Barbera. La bianca campagna, interrotta da
lunghi filari di pioppi che sfumavano nella nebbia man mano che si
allontanavano, pareva volesse, con il suo candore, mondare i peccati del mondo.
Furono felici, di quella felicità irrazionale che non trova spiegazione nei
canoni della modernità, ma solo nell'insondabile natura dell'animo umano.
Non appena ebbero finito il loro
semplice pasto rientrarono in macchina, godendo del tepore che l'abitacolo
aveva in parte conservato. Ripartirono senza fretta, continuando la loro
chiacchierata. "Questo paesaggio" disse Sironi "mi ricorda
l'infanzia, e la periferia in cui abitavo. Allora nevicava molto più di ora, e
la nebbia, in inverno, era una presenza costante. Mi sovviene una poesia che
lessi da qualche parte, e che mi è rimasta impressa tanto mi ricordava certe
atmosfere:
Milano, Milano
le tue periferie
grigie e nebbiose
e fascinose e lievi
quando candide nevi
su campi ed officine
smorzano i suoni antichi
e la tristezza
svanisce con la brezza
del mattino."
"E' bellissima" disse
Carlo "Ed effettivamente ascoltandola pare di rivivere certe atmosfere
dell'infanzia. A proposito di poesia, voglio farti conoscere un mio amico
poeta. Si chiama Luca, ed ha una specie di libreria. Una persona di grande
cultura, intelligenza e sensibilità."
"Scommetto che non ha un
euro" disse Sironi "La mia esperienza mi ha insegnato che cultura,
intelligenza e sensibilità sono elementi negativi per chi voglia fare business.
Occorrono ben altri valori per ottenere il successo economico: ambizione,
egoismo, cinismo, e molto spesso anche una buona dose di mediocrità."
"Hai ragione" rispose
Carlo " Se noi misurassimo tutto con il metro del successo economico,
dovremmo sostenere che Luca, e quelli come lui, abbiano fallito. Ma il denaro,
a differenza di quello che hanno voluto farci credere, non è l'unico strumento
di misura. Direi, anzi, che sia il più fallace. Credo che uno degli strumenti
più affidabili per valutare il successo di una persona sia la sua felicità,
ovvero la leggerezza e la serenità con le quali affronta la vita. E posso
garantirti che, messa in questi termini, ho conosciuto più gente di successo
tra persone dai redditi modesti che tra coloro che dispongono di redditi molto
più alti. Chi riesce a fare quel che ama, e comunque a procurarsi un reddito
che gli consenta una vita dignitosa, è una persona di successo. Il mondo ci
offre una quantità enorme di cose capaci di darci piacere, e si tratta quasi
sempre di cose gratuite, che sono a disposizione di tutti, basta prenderle.
Eppure ci affanniamo per accumulare denaro, ed accumularne sempre di più. Siamo
diventati una società grigia, rancorosa, invidiosa, incapace di solidarietà che
non sia spettacolo. La nostra, caro Sironi, è una società in bancarotta."
"Ogni giorno che passa"
riprese Sironi "si fa sempre più forte in me la convinzione che il sistema
salterà, e nessuno, per quanto possa essere capace, riuscirà a tenere in piedi
questa costruzione tanto complessa quanto fragile. Fino a pochi decenni fa le
guerre, le carestie e le epidemie, provvedevano a riportare in equilibrio il
mondo. L'intervento dell'uomo ha alterato il corso naturale delle cose. E così
la popolazione ha iniziato a crescere oltre le possibilità del pianeta di darle
sostentamento. Così come, allungando la vita delle persone, abbiamo alterato il
giusto rapporto tra i giovani e i vecchi. Si è fatto credere che la perenne
giovinezza fosse un diritto di tutti. E così ogni vecchio non riesce più ad
accettare la malattia ed il deterioramento fisico, e pretende di essere curato
nel migliore dei modi. Di questo passo tutti i paesi occidentali collasseranno
sotto il peso della spesa pensionistica e sanitaria necessaria a soddisfare le
aspettative di una percentuale innaturale di vecchi in rapporto ai giovani. E
così mi capita sempre più spesso di chiedermi se non fosse giusto che una
persona, vecchia e non più in grado di badare a se stessa, non avesse il dovere
di togliersi dai coglioni. Mi vergogno di quel che penso, ma non riesco a farne
a meno."
"Non devi
vergognartene" disse Carlo " sono pensieri che nascono naturali in
una persona intelligente che si fermi a riflettere. Dobbiamo accettare la morte
come parte essenziale della vita. Ed è proprio nel momento in cui facciamo
questo che cambia tutta la nostra visione delle cose. Accettando la morte,
apprezziamo meglio le cose importanti della vita, come guardare un cielo
stellato su una montagna isolata, il suono del silenzio, il profumo del mare,
lo stare insieme agli amici, mangiare pane e mortadella nella bianca campagna
padana. Tutto il resto è vanità."
Continuarono a discorrere della
vita, e del suo senso, semmai l'uomo fosse in grado di comprenderlo. E
parlarono del mondo, e di come tutto andasse in malora semplicemente per
l'avidità di una minoranza.
"Esistono persone"
disse Sironi "che hanno una tale quantità di denaro da consentire a loro
ed ai loro discendenti, per parecchie generazioni, di vivere nel lusso senza
più lavorare. Ma ciò nonostante continuano ad accumulare denaro, e per farlo
non si curano delle conseguenze terribili che le loro scelte procurano a
milioni di persone. E' chiaro che si tratta di malati mentali. Una persona
normale cerca di guadagnare denaro per godersi la vita, per avere successo con
le donne, per fare lo sborrone. Ma questi malati vogliono il denaro per il
denaro. La cosa più inquietante è che sono proprio queste persone a decidere le
sorti del mondo. In parole povere il mondo è in mano a degli psicopatici. Ecco
come si spiega il fatto che pur essendoci potenzialmente benessere per tutti,
la gran parte della popolazione soffre la miseria."
"Infatti" rispose Carlo
" il mondo è malato. Un cancro si è sviluppato nel suo organismo, e lo sta
distruggendo con le sue metastasi. Questo cancro si chiama debito, ed è stato
generato proprio da quella minoranza che controlla il mondo, essendo lo
strumento più efficace per sottrarre ricchezza a chi la produce. Tutto il
pianeta è vittima di un immenso raggiro, che consiste nel far credere che il
debito sia indispensabile al benessere di tutti, e che senza debito non
potrebbe esistere un sano sistema economico. La moneta nasce come debito, le
famiglie hanno debiti, e così le imprese, gli enti pubblici, gli stati. Esiste
una massa gigantesca di debiti, equivalente a molte volte il PIL mondiale, il
cui scopo è quello di depredare la ricchezza di chi lavora, attraverso gli
interessi. Si tratta di una massa talmente grande da essere impagabile, e tale
da costringere tutti ad una sostanziale perpetua schiavitù."
"E come se ne esce?" Chiese
Sironi scuotendo il capo.
"Uscendo dal sistema"
Continuò Carlo "cercando un modello di vita fuori dagli schemi imposti ed
accettati. Il sistema esiste, ma è difficile convincere le persone a pensare in
modo diverso. Ed allora è inutile lottare per cambiare ciò che trova il
consenso della maggioranza della popolazione. La cosa più semplice e più
intelligente è quella di concentrare le proprie energie esclusivamente su se
stessi, attraverso una serie di scelte tali da liberarci il più possibile dalle
invisibili catene che ci tengono schiavi. E' quello che sto cercando di fare, e
che già fanno tante altre persone."
Rientrarono a Milano che era già
buio, e notarono subito un grande movimento di mezzi delle forze dell'ordine.
Carlo, incontrando parecchie strade chiuse al traffico, fu costretto ad un
lungo giro per arrivare alla galleria. Appena vi entrò salutò Luca, gli
presentò il suo amico, e gli chiese cosa stesse accadendo.
"Un grande casino"
rispose Luca. "Ci sono disordini, manifestazioni e tumulti in varie zone
della città. Tutto è iniziato stamattina, quando una pattuglia della guardia di
finanza, controllando un ambulante che vendeva frutta, ha disposto il sequestro
del mezzo perché sottoposto a fermo amministrativo. A quel punto l'ambulante,
esasperato dalla prospettiva di non poter più lavorare, è salito sul camion, ha
messo in moto, ad ha investito a tutta velocità l'auto di servizio dei
finanzieri, distruggendola. Gli agenti, naturalmente, provvedevano ad arrestare
l'ambulante. Quando arrivarono rinforzi si era già radunata una folla
inferocita, che inveiva contro i finanzieri e contro lo stato. Ci furono
scontri, sassaiole e lancio di molotov, che incendiarono due altre auto di
servizio. Dopo oltre un'ora gli agenti riuscirono ad eseguire l'arresto. A quel
punto, non so come, si sparse la voce in tutta la città. Una folla di oltre 100
mila persone si ritrovò dinanzi alla caserma in cui era stato condotto l'ambulante,
chiedendone il rilascio. Le forze dell'ordine che sopraggiunsero trovarono una
folla inferocita ed esasperata, che attaccò senza esitazione le forze in tenuta
antisommossa. Questa determinazione sorprese coloro che comandavano le forze di
polizia, mettendole in condizione di non poter resistere agli attacchi dei
manifestanti con i mezzi tradizionalmente in uso. Le forze dell'ordine venivano
attaccate e disarmate dei manganelli da una massa decisa a non farsi bastonare
senza resistere. A quel punto non restavano che due alternative: o usare le
armi da fuoco, oppure ritirarsi, liberando l'ambulante. Dall'alto, dopo
concitate consultazioni, si decise per la seconda ipotesi. Il prigioniero fu
liberato, fra gli applausi dei manifestanti.
La miccia, comunque, era stata
accesa. E così in varie zone della città gruppi ben organizzati lanciavano
molotov contro le banche, le agenzie di equitalia, e gli uffici pubblici."
"Un bel casino" disse
Sironi.
"Questi imbecilli"
intervenne Carlo "non hanno capito che il vaso è colmo. La loro politica
idiota ha prodotto una massa di disperati che non ha nulla da perdere. E questo
è davvero pericoloso. Non credo che finirà bene..."
Nel frattempo Luca scorse le
ultime notizie su internet: il governo aveva appena rassegnato le dimissioni.
Nel centro di Milano, tra Corso Vittorio Emanuele e Via Montenapoleone una
folla esasperata stava saccheggiando i negozi, e moltissimi incendi stavano
mettendo in seria difficoltà i Vigili del Fuoco. Disordini stavano divampando
in tutte le grandi città italiane.
Il presidente della repubblica
stava per dichiarare lo stato di emergenza, con l'introduzione della legge
marziale ed il coprifuoco.
"Ragazzi" disse Sironi
"a questo punto mi conviene rientrare a casa."
"Ti accompagno" rispose
Carlo.
"No, è meglio che uso i
mezzi pubblici. Sicuramente la circolazione delle auto sarà problematica.
Comunque ci sentiamo domani"
Sironi andò via, lasciando Carlo
e Luca inchiodati davanti al computer. All'improvviso internet cessò di
funzionare. Luca uscì per chiedere ai vicini se avessero la linea, ma nessuno
di loro riusciva più a connettersi. A quel punto Carlo pensò di telefonare a
Simona: "Pronto, Simona? Ciao sono Carlo, dove sei?
"Sto andando alla galleria
del pazzo" rispose Simona "E tu dove sei?"
"Sono in galleria"
"Benissimo, sarò da te fra
cinque minuti"
Appena Simona arrivò Carlo le
andò incontro, baciandola sulle guance. Fuori nevicava, e tutte le attività
avevano abbassato le serrande. Anche Luca pensò che fosse opportuno chiudere e rientrare
a casa. E così fece.
Carlo e Simona si incamminarono a
piedi, in una città imbiancata e spettrale. La neve cessò di cadere, lasciando
il posto ad una nebbia che si faceva sempre più fitta. Quando si ritrovarono
nel mezzo di un parco Simona chiese a Carlo di fermarsi. Sgombrò della neve una
panchina e si sedette, invitando Carlo a fare altrettanto.
Stette per un po’ in silenzio,
poi disse: "questa atmosfera mi riporta alla mia adolescenza quando,
seduta come ora su una panchina di un parco innevato, con la nebbia che mi
avvolgeva quasi a proteggermi dal resto del mondo, mi beavo della mia felicità,
innamorata di quell'amore che solo l'incoscienza di quell'età consente. Dopo
oltre trent'anni sto riprovando quelle stesse meravigliose sensazioni, e mi pare
anche di sentire il suono lontano della fisarmonica che proveniva da una vicina
osteria. Credo che il paradiso, se esiste, debba essere così"
"Anche a me pare di sentire
la nenia malinconica di una lontana fisarmonica. E mi sembra di essere
precipitato in un altro tempo ed in un altro luogo. Ecco, forse in paradiso ci
sentiremo come se avessimo sempre vent'anni."
Carlo baciò Simona, bagnandosi
della lacrima che le solcava il viso. Poi fu il silenzio.
Questa storia finisce qui. Ma se
siete curiosi potete leggere l'ultimo capitolo, per sapere cosa è accaduto
nell'anno successivo.
UN ANNO DOPO
Il 24 Dicembre Carlo e Simona si
alzarono di buon'ora, nel magico silenzio di una Bellavista imbiancata dalla
neve. Quel giorno sarebbero arrivati tutti i loro amici, con i quali avrebbero
trascorso insieme il primo Natale della loro nuova vita.
Nell'anno appena trascorso Simona
acquistò il casolare, ed a tempo di record riuscì a completare i lavori di
ristrutturazione, che furono eseguiti da Marco.
Nel sottotetto ricavarono
l'appartamento principale, mentre al primo piano le otto camere furono
destinate agli eventuali clienti.
Luca ebbe l'idea geniale di
arredare ogni camera in base ad un tema specifico.
Così fu realizzata la camera del
'900, che aveva l'intera parete del letto con una struttura tridimensionale che
riproduceva il palazzo della civiltà italiana dell'EUR, e la parete di fronte
con una grande pittura murale nello stile di Sironi, materico e terroso,
realizzata da un amico di Luca. Due poltrone anni '30, in stile art deco’,
scovate da qualche parte dallo stesso Luca, completavano il tutto.
La seconda camera era ispirata
alla metafisica. La parete del letto riproduceva una piazza d'Italia nello
stile di De Chirico, mentre di fronte un grande pannello scorrevole, su cui
erano realizzati con legni di recupero i suoi famosi manichini, nascondeva un
armadio. Due sedie, realizzate in metallo ossidato e traforato al laser,
riproducenti altri due manichini, completavano l'arredo.
La terza camera era ispirata al
futurismo. Sulla parete del letto fu realizzata una grande scritta con lettere
a rilievo, tratta da un brano del manifesto futurista di Marinetti. Gli arredi
erano libere interpretazioni di quelli disegnati da Depero, con colori caldi e
saturi.
La quarta camera era ispirata
all'arte concettuale ed allo spazialismo. La parete del letto, in blu scuro,
era percorsa da una luce al neon dalla forma curvilinea e di colore bianco. Un
altro neon mistilineo di colore blu pendeva dal soffitto bianco. L'armadio
aveva le ante nel classico rosso di Fontana, con gli immancabili tagli. Due
sgabelli, riproduzioni in grande dei famosi barattoli "merda
d'artista" di Manzoni, completavano la camera.
La quinta camera era ispirata
all'arte povera ed alla scuola romana. Gli arredi erano in abete traforati nel
classico stile di Mario Ceroli. La parete del letto aveva un grande specchio
con le immagini di spalle di Carlo e Simona, nello stile di Pistoletto.
La quinta camera era ispirata al
post moderno. Gli arredi, realizzati in laminato serigrafato, erano ispirati ai
mobili di Alessandro Mendini. Sulla parete del letto una grande pittura
ispirata alle famose "città" di Emilio Tadini. L'armadio aveva le
ante bianche su cui era riprodotta un'opera di Eugenio Carmi.
La sesta camera era ispirata alla
pop art. L'insieme assunse l'aspetto di un loft, con pareti in mattoni a vista,
travi in acciaio arrugginito, pavimento in tavolato di larice. Alle pareti
grandi pannelli alla Andy Wharol e poltrone gonfiabili.
La settima camera era ispirata
agli anni '60, con arredi originali di quegli anni, e grandi manifesti dei film
dell'epoca.
L'ottava camera era un omaggio ai
libri. La parete del letto fu realizzata tagliando diagonalmente alcuni libri,
ed incollandoli in modo tale che parevano nascere dl muro. Il tutto fu trattato
ad effetto pietra, in modo tale da dare l'idea che si trattasse di un unico
grande blocco di marmo. Sulla parete frontale, utilizzando delle lettere in
forex dallo spessore di 1 centimetro, si compose una poesia di Leopardi. Due
poltrone, realizzate in polistirolo ad alta consistenza, furono rivestite a
decoupage con pagine di libre antichi.
Al piano terra si ricavò una
grande cucina a destra della scalinata, ed una sala da pranzo alla sua
sinistra. In quella che un tempo fu la stalla, si ricavò un soggiorno, con bar,
pianoforte e una grande libreria.
La passione e la competenza di
Simona per l'arte, e la preziosa collaborazione di Luca e di tantissimi suoi
amici artisti, avevano prodotto un risultato davvero notevole. L'originalità
delle soluzioni fu uno strepitoso strumento pubblicitario.
Per fortuna le strade erano già
state sgomberate dalla neve che quella notte cadde copiosa. Così gli amici di
Carlo e Simona non avrebbero avuto difficoltà a raggiungerli. La decisione di
trascorrere il natale insieme fu accolta da tutti con grande entusiasmo, e si
sarebbe rivelata anche l'occasione per fare il punto sulla situazione di
ognuno.
Le prime ad arrivare furono Luisa
e la madre che, come sappiamo, abitavano poco più in la. Presero immediato
possesso della cucina, dove avrebbero dato una mano a Simona nella preparazione
della cena; anzi, più che una mano, sarebbero state loro a fare il grosso del
lavoro, data l'inesperienza di Simona.
Poco prima di mezzogiorno arrivò
il primo gruppo, composto da Luca, sua moglie, Marco e Chiara.
Tra Marco e Chiara, dopo
l'incontro di quella sera alla galleria, nacque una relazione che pareva
funzionare, almeno fino a quel momento.
Subito dopo arrivò il secondo
gruppo, composto da Sironi, Giovanni, e le rispettive mogli. Sironi si offrì di
dare un passaggio a Giovanni, che disponeva di una macchina molto poco
affidabile.
Ogni coppia prese possesso della
propria camera, sistemò le proprie cose, e si mise a proprio agio. Poi scese
nella sala da pranzo, dove ci si ritrovò tutti insieme per consumare uno
spuntino leggero, in attesa della copiosa cena che Luisa e la madre stavano
preparando per la sera.
Sironi, che si licenziò
dall'azienda nella quale lavorava, riuscendo a spuntare una buona liquidazione,
sviluppò insieme a Carlo il progetto della
distribuzione di alimenti di alta qualità. Carlo si occupava di
selezionare i fornitori, controllarne la produzione, e consegnare la merce al
deposito di Milano, che fu ricavato nel casolare di campagna che Sironi
acquistò. Questi, a sua volta, si occupava di acquistare clienti, mettendo a
frutto le sue estese relazioni. Giovanni, che al termine della cassa
integrazione fu licenziato, fu assunto da Carlo e Sironi, ed incaricato delle
consegne a domicilio dei prodotti acquistati. L'idea sembrava funzionare,
almeno fino a quel momento. La loro offerta di prodotti andava man mano
ampliandosi, arricchendosi di alimenti provenienti anche da altre regioni,
tutti, comunque, di altissima qualità.
Il metodo di distribuzione
garantiva l'eliminazione di alcuni passaggi che, insieme all'assenza delle
spese di packing e di pubblicità, consentiva di mantenere i prezzi ben al di
sotto di quelli della normale distribuzione. I loro clienti accedevano al sito
internet, dove potevano visionare tutte le offerte disponibili, con esaurienti
descrizioni degli alimenti, delle zone di provenienza e dei produttori. Una
volta selezionati i prodotti indicavano il giorno e l'ora per la consegna. Il
pagamento avveniva ogni fine mese, con il sistema che il cliente preferiva.
Anche Marco, in questo anno
appena trascorso, diede avvio ad una
nuova attività. Essendo un artigiano, ed essendo dotato di grande intelligenza,
non ebbe difficoltà a praticare altri mestieri che non gli erano propri. Ebbe
un'idea che si rivelò vincente.
Poiché esisteva una quantità
enorme di esercizi commerciali bisognosi di rinnovare gli arredi, ma nel
contempo la crisi sconsigliava di investirvi cifre elevate, Marco, su
suggerimento di Luca, pensò di proporre agli eventuali clienti un bel lavoro di
restyling. In pratica, spendendo cifre notevolmente inferiori a quelle
necessarie per un rinnovo totale, il cliente poteva ristrutturare il proprio
esercizio, dandogli una immagine completamente nuova, semplicemente con pochi
interventi intelligenti.
Per trasformare un bar, ad
esempio, bastava cambiare il fronte del bancone, tinteggiare le pareti in un
altro colore, intervenire con installazioni decorative dal costo contenuto. Per
fare questo, naturalmente, occorreva una mente creativa abituata ad ottenere
molto dal poco. Ecco perchè Luca e Marco iniziarono a collaborare. Il primo
offriva la sua esperienza e la sua creatività, il secondo il suo pragmatismo e
la sua capacità manuale.
Se il mercato edile era oramai
saturo, il mercato delle ristrutturazioni e del restyling offriva grandi
opportunità. Marco le colse, e fu il suo sistema per sopravvivere alla crisi
che continuava a mordere più che mai.
In effetti le cose, in Italia,
erano precipitate. Lo stato aveva fatto praticamente bancarotta. L'idea di sanare
la situazione aumentando le tasse aveva prodotto il risultato contrario. Ogni
mese morivano migliaia di aziende, impossibilitate ad operare tra l'incudine ed
il martello, ovvero tra i fatturati in calo e le tasse in aumento. I più
fortunati mettevano in liquidazione l'attività, saldavano i debiti e cercando
di salvare quel po che restava. Quasi sempre non restava nulla, perchè gli
impianti ed i capannoni non avevano praticamente mercato. Gli immobili, che non
si riuscivano a vendere neanche con ribassi del 50%, diventavano un fardello
insopportabile per i proprietari, avendo lo stato applicato una aliquota IMU
del 3% sul valore catastale, ben superiore a quello di mercato.
Anche le aste degli immobili
pignorati andavano deserte. Chiunque poteva, cercava di liquidare il patrimonio
e trasferire i soldi su un conto estero. Ma era già troppo tardi. Lo stato
bloccò tutti i conti bancari consentendo solo minimi prelievi mensili.
I disoccupati erano arrivati a 6
milioni, e lo stato dovette provvedere ad istituire innumerevoli mense
pubbliche, oltre a bloccare tutti gli sfratti. Il pagamento del debito pubblico
fu sospeso, le pensioni e gli stipendi tagliati del 30% sulla parte eccedente
600 euro. Il lavoro nero e l'evasione totale dilagarono, e tutte le misure
messe in atto dal governo risultarono vane. Si minacciò anche il carcere per
chi evadeva le tasse, ma ci si rese presto conto che era una misura inattuabile
perchè avrebbero dovuto arrestare milioni di italiani disperati.
Intanto le grandi città
industriali iniziarono a svuotarsi. La gente cercava di trasferirsi in
campagna, dove la vita costava meno, oltre ad esserci più sicurezza. Coltivando
un piccolo orto, allevando un po di galline, a facendo piccoli lavori, magari
usando il baratto, in qualche modo si riusciva a vivere meglio che nelle città.
Nelle piccole comunità fu facile organizzarsi per gestire la sicurezza. Mentre
nelle città la criminalità dilagava, ed era diventato rischioso frequentare
posti isolati o andare in giro oltre una certa ora da soli, nei piccoli centri
la popolazione, non facendo alcun affidamento sulle forze dell'ordine e usando
metodi molto spiccioli, riusciva a tenere a bada la deriva criminale.
Intanto la BCE, dopo una lunga
resistenza, fu costretta ad immettere moneta acquistando direttamente titoli di
stato ad un tasso simbolico dello 0,1%. La misura si rese indispensabile nel
momento in cui quasi tutti i paesi aderenti alla moneta unica si trovarono in
una situazione non molto dissimile da quella italiana. La stessa Germania cadde
in recessione. Esportare divenne difficile. La crisi europea trascinò con se
tutti i grandi paesi industriali del mondo, compresa la Cina.
Apparve sempre più evidente che il
sistema economico basato sul debito era saltato. Ci si aspettava ovunque, quasi
fosse inevitabile, una deriva autoritaria nazionalista, nella convinzione che
fosse l'unica possibilità di arginare lo strapotere della grande finanza. Le
democrazie si erano dimostrate il terreno migliore per le scorribande delle
oligarchie usuraie.
In tutti i paesi movimenti
populisti, nel senso migliore del termine, andavano ingrossandosi, ed i governi
parevano incapaci di porvi un argine, avendo perso ogni credibilità. I leader
di questi movimenti redassero un documento comune in cui era steso un programma
generico da tutti condiviso: stop alla globalizzazione, ripristino dei dazi e
delle quote alle importazioni, stop all'immigrazione, ripristino delle banche
centrali nazionali popolari, uniche autorizzate ad emettere moneta, giubileo
del debito a livello mondiale, controllo dei movimenti finanziari e vincoli
alla loro pratica, messa al bando dei derivati, una certa dose di autarchia.
La tesi di questi movimenti era
che se anche queste misure avessero prodotto un rallentamento della crescita,
avrebbero garantito una migliore armonia sociale, e quindi aumentato il
benessere delle persone. Le nazioni industrializzate, anche con bassa crescita,
avrebbero prodotto una ricchezza più che sufficiente per consentire un certo
benessere alla popolazione, sempre che si fosse intervenuti sulla sua
distribuzione. Ricchezza, dicevano, ve ne era a sufficienza per tutti. Il
compito di ogni stato sarebbe stato quello di stringere la forbice tra ricchi e
poveri.
Carlo ed i suoi amici
festeggiarono il Natale in quel luogo che pareva, almeno in quel frangente,
così lontano dai problemi che affliggevano buona parte degli italiani. Nessuno
di loro era più la persona di un anno prima, e forse fu per questo che prima
della mezzanotte tutti insieme si recarono alla chiesa del paese per assistere
alla nascita del Bambin Gesù.
Quando uscirono si scambiarono
gli auguri con tutti gli sconosciuti presenti. Carlo, vedendo la felicità nei
volti di tutti i suoi amici, pensò: forse, il modo migliore per andare avanti,
è tornare un po’ indietro.
Complimenti! Letto d'un fiato . Danìele..
RispondiEliminaBravo! Non era facile tenere in equilibrio allo stesso tempo denunce, suggerimenti, suggestioni poetiche e la trama di un romanzo breve.
RispondiEliminagp
Ora è mezzanotte, fuori piove e domani devo andare in ufficio.
Forse.
Bravo molto bello, sembra una favola anche se c'è molta realtà dentro
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