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ROMANZO

Le vicende narrate in questo racconto si svolgono sul finire del 2013, in una Milano teatro di disordini sociali sempre più intensi causati da una crisi economica inarrestabile. Carlo, il protagonista, è un manager del settore marketing che si ritrova senza lavoro, e che vede crollare ad una ad una tutte le sue certezze. Nell'arco di una settimana, attraverso l'incontro con vecchi compagni con i quali non si vedeva da trenta anni, cambia completamente la sua visione del mondo, subendo una metamorfosi interiore che lo cambierà radicalmente.

La storia è suddivisa in sette capitoli, uno per ogni giorno della settimana, più un epilogo. Tempo medio di lettura: due ore.


VENERDI'

Quel giorno Carlo, senza una vera ragione, decise di ritornare nel quartiere della sua giovinezza. Al tempo in cui Carlo vi viveva era un quartiere di periferia, con i classici palazzoni popolari confusi tra capannoni, fabbriche e ciminiere. Con il tempo molte delle fabbriche furono spostate in altre zone, ed il loro posto fu occupato da nuovi condomini e da qualche centro commerciale.
Vi arrivò senza fretta, così come parcheggiò, non facendo caso al fatto che l'auto fosse in divieto di sosta. E così, mentre si allontanava fu richiamato dal fischio di un vigile urbano sbucato chissà da dove insieme al suo collega.
"Non ha visto il segnale?"
"Mi scusi, ero distratto, la sposto subito"
"Patente e libretto, per favore"
Carlo aprì la macchina e consegnò il libretto all'agente, mentre il collega entrò nell'auto di servizio per fare la classica verifica sulla targa. Ne uscì dopo un po, avvicinandosi al collega con il quale parlottò a bassa voce.
"Signore, lo sa che quest'auto non può circolare? C'è il fermo amministrativo. Dobbiamo sequestrargliela."
Carlo rimase pochi istanti in silenzio, combattuto tra la rabbia e la rassegnazione.
"Non ho pagato delle multe, è vero. Ma non c'è stata malafede, è che ho perso il lavoro. Appena riprenderò a lavorare pagherò tutto, ve lo assicuro. Intanto però senza auto mi è quasi impossibile cercare lavoro....per favore"
"Mi spiace, ma dobbiamo fare il nostro dovere."
Carlo, dopo un breve silenzio e guardando negli occhi il suo interlocutore, chiese: "avete dei figli? Io ne ho due" Fece una breve pausa," e non sanno che ho perso il lavoro. Non lo debbono sapere. Sono sicuro che troverò qualcosa. La macchina mi serve. Togliermi la macchina vuol dire togliermi la possibilità di trovare qualcosa, qualunque cosa. Per favore..."
I due agenti si guardarono negli occhi, e bastò poco ad intendersi. In fondo erano anche loro due disgraziati che vivevano i problemi di quest'Italia in bancarotta, ed avevano amici e parenti che vivevano il dramma della disoccupazione. Erano anche stanchi di dover sequestrare ogni giorno auto che circolavano senza assicurazione o con il fermo amministrativo. Oramai, chiudere un occhio, era diventata prassi.
"Sposti comunque la macchina, e buona fortuna." Riconsegnarono i documenti ed andarono via.

Il quartiere era cambiato dal tempo in cui Carlo vi abitava, ma non abbastanza da non consentirgli di riconoscere i luoghi della sua giovinezza. Vi mancava da trenta anni, da quando si trasferì in un'altra zona. Pensò spesso di ritornarvi per incontrare i vecchi amici, sapere di loro, dei loro destini, e raccontarne del proprio, di come si fosse realizzato, avesse trovato un buon lavoro, guadagnasse bene. Voleva tornarci da vincitore, con la sua bella auto ed i suoi abiti firmati. Ma si sa come succede: si rimanda, si rimanda, ed all'improvviso ci si accorge che sono passati decenni. Trenta anni sono tanti, oppure pochi; dipende.

Intanto il quartiere sembrava aver perso la vitalità di un tempo, così come l'aveva persa la generazione di Carlo. Tutto sembrava spento, decadente, precario. Sicuramente c'era più ordine, i palazzi erano più belli, il verde più curato. Mancavano, però, i bambini che giocavano in strada, i venditori ambulanti con le loro grida dall'improbabile accento, le mamme dai morbidi chili in eccesso che tornavano dal mercato rionale. Mancava la vita, con i suoi rumori ed i suoi odori. Oppure, più semplicemente, mancava quella vita che Carlo ricordava, la vita di una periferia abitata prevalentemente da una classe operaia che ancora sognava di andare in paradiso, ignara del fatto che, qualche anno più in la, la Milano da bere avrebbe inaugurato l'epoca dell'economia immateriale, e segnato il destino dell'industria.

"Carlo? Sei Carlo?"
Carlo si destò dai suoi pensieri e guardò, perplesso, l'uomo che aveva di fronte.
"Carlo, non mi riconosci? Sono Giovanni, Giovanni Rubini."
"Giovanni! Cazzo come sei cambiato."
I due si abbracciarono calorosamente e stettero in silenzio per qualche momento.
"Come stai?" Chiese Giovanni.
"Bene, e tu?"
"Insomma! Potrebbe andare meglio."
"Ma anche peggio" Replicò Carlo.
"Ma guarda che sorpresa stamattina! Andiamo a berci un caffè" Disse Giovanni. "Voglio che mi racconti di te. Ma chi avrebbe mai immaginato!"

"Andiamo al tazza d'oro" Disse Carlo. "Mi pare che sia dietro l'angolo, sempre che esista ancora"
"Il tazza d'oro esiste ancora, ma sai, non è più il bar di un tempo. Il proprietario, Arnaldo, te lo ricordi? Beh, Arnaldo morì, e la moglie vendette il bar. I nuovi proprietari hanno smantellato tutto il vecchio arredo, eliminando il biliardo ed i tavoli per giocare a carte. Ora è un bar alla moda, lo chiamano longe bar, e le consumazioni costano parecchio. No, non è un bar per operai. Quelli come me vanno al naviglio. E' meno elegante, ma il caffè costa poco e se ti siedi a leggere il giornale senza consumare nessuno ti guarda storto. Ma se preferisci andiamo al tazza d'oro"
"Va benissimo il naviglio. Sai, ho frequentato molto questi locali alla moda, e, francamente, mi hanno leggermente rotto il cazzo. Nessuno di loro è mai riuscito a farmi sentire a casa mia come riusciva a farlo il tazza d'oro. In fondo, sai la verità? Sono una grande presa per il culo. Come quei ristoranti di lusso dove paghi molto e mangi poco. Li ho frequentati, dovevo farlo, ma in nessuno di loro mi sono sentito appagato ed a mio agio come in una bella trattoria, dove si mangia bene, e si spende il giusto. E dove non sei obbligato a fingere di apprezzare un vino solo perché te lo fanno pagare un occhio della fronte, oppure a sopportare un cameriere fastidiosamente zelante. No, decisamente meglio la trattoria. Vada per il naviglio".

"Maria, due caffè" ordinò Giovanni appena varcò l'uscio del Naviglio. Presero posto al primo tavolo libero, ancora ingombro da un giornale sfogliato distrattamente e da un paio di tazze. "Allora, Carlo, raccontami di te".
"Mah, cosa posso dire: sono sposato, ho due figli, un mutuo ed una moglie stritolapalle."
"Se ti può consolare" interruppe Giovanni "posso garantirti che tutte le mogli sono uguali, nel senso che tutte, assolutamente tutte, hanno la capacità di fracassare i coglioni ai rispettivi mariti. E' nella loro natura, e non c'è verso di sottrarsi a questa continua tortura. Con il tempo ci si abitua. In fondo siamo nati per soffrire." Giovanni accenna una breve risata "Ed il lavoro? Di cosa ti occupi?"
"Sono dirigente in una società di marketing, anzi, lo ero, perché sono stato licenziato. Sono disoccupato, Giovanni, disoccupato."
"Beh, allora siamo colleghi, anzi, lo saremo tra breve. Io sono in cassa integrazione, ma sicuramente non rientrerò più al lavoro."
Maria poggia le due tazzine di caffè sul tavolo, raccoglie quelle vuote e va via veloce.
"Qui purtroppo è un macello. Tra le aziende che falliscono e quelle che trasferiscono la produzione all'estero, il lavoro sta sparendo, almeno per gli operai come me. Dicono che dobbiamo riqualificarci. Mah! A me sembra che ci stanno solo prendendo per il culo. Almeno tu hai studiato, hai una professione importante e ben pagata"
"Merda, Giovanni, merda. Quelli come me oggi sono solo merda. Se hai superato i '50 sei peggio di un appestato. Sapessi quante telefonate ho fatto! Niente, non c'è niente. La scusa più frequente è che sono troppo qualificato, che è un modo gentile per dire che sono vecchio. Intanto i soldi stanno finendo, ho Equitalia sul collo e tre rate del mutuo non pagate."
"Mi spiace Carlo. L'unica cosa che posso dirti, se ti può essere di qualche consolazione, è che tutta questa gente che vedi qui al bar è senza lavoro. Io riesco ancora a sopravvivere perché la casa è quella che mi lasciarono i miei genitori, e mia moglie si arrangia assistendo un paio di vecchietti che abitano nel mio palazzo, sperando che vivano a lungo," Giovanni fece una breve pausa, bevve il suo caffè, e continuò: "Ma il futuro...non so, davvero non so."
"Non lo sa nessuno" intervenne Carlo "La verità è che nessuno sa come andrà a finire questa faccenda, nessuno. I politici sparano le solite cazzate, cercando di far credere di avere la soluzione a portata di mano. In realtà anche loro navigano nel buio più profondo."

Stettero per un po’ in silenzio, a meditare sulle proprie miserie. Poi Giovanni disse:
" Senti, ti va di vedere qualche vecchio compagno? Te lo ricordi Marco Favara? Quello che il padre faceva l'idraulico?"
"Certo che lo ricordo, era l'unico ad avere sempre dei soldi in tasca."
"Ha messo su un'impresa edile. Sai, guadagna un sacco di soldi. Se vuoi possiamo trovarlo alla trattoria da Caterina, è qui vicino. Da quando si è separato il mezzogiorno mangia li. Sono sicuro che gli farebbe piacere rivederti,"
"Non saprei Giovanni, presentarsi così, all'improvviso".
"Ma dai! Non farti questi stupidi problemi. E poi, lui conosce tanta gente, può darsi che ti possa dare una mano. Hai la macchina?"
"Si, è qui vicina."
"Allora andiamo"

La macchina partì lentamente, seguendo le indicazioni di Giovanni. Lungo il tragitto Carlo notò lo stesso paesaggio di ogni altro quartiere della sua città: tantissimi negozi chiusi, tanti cartelli vendesi o affittasi, parcheggi dei centri commerciali semi deserti, fabbriche chiuse. Ed un'atmosfera strana, quasi inquietante. Non si trattava certamente dello spettacolo migliore per stimolare l'ottimismo. Dopo l'ennesimo incrocio svoltarono a sinistra, e si trovarono davanti alla trattoria “da Caterina”.


Nell'entrarvi, Giovanni fece strada a Carlo, muovendosi come fosse di casa. Si guardò un po’ intorno, fin quando vide Marco seduto al suo tavolo. Gli si avvicinò e disse: "Marco, guarda chi ti ho portato."
Marco alzò lo sguardo verso il compagno di Giovanni, fissandolo con attenzione. Non gli parve di riconoscerlo.
"Marco, non lo riconosci?"
"Veramente non saprei, mi sembra...no, mi spiace"
"E' Carlo, te lo ricordi? l'intellettuale"
"Porca miseria, Carlo, cazzo è vero, Carlo" Si alzò e lo abbracciò, ricambiato. "E come mai sei tornato all'ovile? Nostalgia, vero?"
"Molta" rispose Carlo "Avevo voglia di rivedere il mio vecchio quartiere ed i miei amici"
"Ma sedetevi" Marco spostò un paio di sedie "accomodatevi, mangiate insieme a me, siete miei ospiti. Signora Clara, aggiunga altri due coperti, ho ospiti"
La signora Clara si avvicinò, e quasi con timore disse " Signor Favara, le dispiace venire di la, dovrei parlarle"
Il sorriso di Marco si spense in una smorfia di leggera tristezza, si alzò e seguì la signora.
Riapparve dopo un paio di minuti, riguadagnando con indifferenza il proprio posto. "Allora" disse "Raccontami di te. Cosa hai fatto in questi trenta anni?"
"Sicuramente sono invecchiato" disse Carlo "Per il resto mi sono laureato, ho messo su famiglia, ho comprato casa. Sai, un po’ la vita di tutti, senza lode e senza infamia. Avevo grandi progetti per la vita, come tutti, credo, ma le cose, si sa, non vanno mai come uno le immagina."
"E' vero" interruppe Marco "le cose vanno sempre per conto loro, ma dimmi, che lavoro fai?"
"Mi occupavo di Marketing. Ero dirigente in una grossa società"
"Perché parli al passato?"
Intervenne Giovanni: "E' stato licenziato, sai, la crisi. Ma Carlo è uno davvero in gamba, e troverà subito un lavoro migliore"
"Glielo auguro con tutto il cuore. Ma la situazione è davvero brutta" disse Marco con tono serio "Qui sta saltando tutto, e non mi pare di vedere una via d'uscita, almeno al momento."
"Il tuo lavoro?" Chiese Carlo.
"Di merda ragazzi. Ma di quella grossa. Sapete perché la signora Luisa mi ha chiamato in disparte? Bene, è inutile raccontarci fesserie. La signora Luisa mi ha chiesto di saldarle il conto" All'improvviso Marco si mette le mani sulla faccia, quasi a volersi nascondere, e scoppia in un pianto sordo, discreto, quasi pudico. "Sto per fallire, ragazzi. Ho costruito 16 appartamenti e non riesco a venderne uno. Nell'operazione ci ho messo tutti i miei capitali e mi sono esposto con le banche per oltre un milione di euro. Non riesco più a pagare i contributi degli operai, i fornitori....neanche il conto della signora Luisa."

Carlo, che sperava di trovare conforto, fu costretto a confortare Marco, o almeno a provarci. Sembrava che tra i tre il meno disperato fosse Giovanni, benché non se la passasse proprio bene. Forse il dolore dipende dall'altezza dalla quale si cade, e sicuramente Giovanni, rispetto a Carlo e Marco, non aveva mai condotto una vita particolarmente agiata. Ai sacrifici ed alle ristrettezze vi era abituato da sempre, e sebbene i tempi fossero difficili, non lo erano molto di più del solito.

Ma per Carlo e Marco la caduta sarebbe stata davvero dolorosa. Abituati a vivere nell'agiatezza, a disporre di belle macchine, di una bella casa e di una vita sociale abbastanza dispendiosa, ritrovarsi senza alcun reddito sarebbe stata davvero dura. Ma Giovanni era un semplice, tenero di cuore e sempre pronto ad aiutare gli altri, nel limite delle sue misere possibilità. Perciò fu lui a tentare di confortare entrambi gli amici.
"Ragazzi" disse "Non vi disperate. Oggi siamo vivi, ed è già un buon punto di partenza. Ma ci pensate? Potevamo essere morti, ed allora si che erano cazzi amari".
Le parole di Giovanni strapparono una corale, liberatoria risata. Il buonumore tornò ad impadronirsi della compagnia, soprattutto all'arrivo delle tre belle porzioni di pizzoccheri alla valdostana. Poche cose, come il cibo, conciliano il buon umore, soprattutto se accompagnato da qualche bicchiere di rosso, di quello buono.
Quando ebbero finito di mangiare Carlo insistette per pagare il conto. Alla fine Marco acconsentì, con gran soddisfazione della signora Clara.
"Il caffè, però, lo pago io" disse Marco all'uscita del locale. "Vi offro un caffè con sorpresa: una vera sorpresa. Vi va di fare 10 minuti a piedi?"
"Certamente", disse Giovanni "In fondo non abbiamo un cazzo da fare".
Tra una chiacchiera e l'altra 10 minuti passarono in fretta. Arrivarono, finalmente, a destinazione. Fu grande la sorpresa di Carlo e di Giovanni nel constatare che non si trattava di un bar, ma di una libreria, o almeno così pareva dall'esterno.
La libreria non aveva insegna. Era conosciuta come "la galleria del pazzo", soprannome che il titolare portava quasi con orgoglio dalla più giovane età. Non che fosse realmente pazzo, naturalmente, ma sicuramente fuori dagli schemi lo era sempre stato. La "galleria del pazzo" faceva commercio di libri, prevalentemente usati, ed organizzava mostre d'arte e piccoli convegni. Più che un tradizionale negozio sembrava un grande e disordinato bazar. Quadri e sculture si alternavano tra pile di libri e qualche pezzo di modernariato. Oggetti strani occupavano i piani degli scaffali lasciati liberi dai libri. In questo casino infernale lo stesso titolare aveva difficoltà a trovare ciò che i clienti chiedevano, e forse proprio questo dava al locale un fascino ineguagliabile. La "galleria del pazzo" nel corso degli anni divenne una vera e propria istituzione, e molto spesso luogo di incontro e di intrattenimento per una cerchia di clienti abituali. Per questa ragione il Pazzo si organizzò creando un piccolissimo angolo caffetteria, dove, tra l'altro, era anche in grado di preparare una spaghettata. Il tutto, sia chiaro, in modo totalmente illegale.

Il Pazzo aveva una sua particolare visione del mondo, nella quale era contemplato il dovere di non rispettare qualunque legge che si ritenesse ingiusta. E qualunque legge limitasse la libertà di una persona, senza che l'esercizio di tale libertà danneggiasse qualcuno, era da considerarsi ingiusta. Ecco la ragione per la quale la caffetteria fosse totalmente fuori legge. Il pazzo non capiva per quale ragione non potesse esercitare il diritto di farsi una spaghettata con i clienti circondato da libri ed opere d'arte. Luca, questo il suo vero nome, era una persona di grande cultura e grande sensibilità. Si racconta che avesse letto quasi tutti i libri che passavano dal negozio, ed era in grado di fornire agli interessati ogni informazione su di essi.
La maggior parte dei clienti di Luca entrava nel negozio con il pretesto di acquistare qualche libro, ma si trattava, appunto, di un pretesto. La ragione vera consisteva nel partecipare ad una discussione che, in breve, coinvolgeva tutte le persone presenti. Non era raro che si facesse tardi, e che Luca proponesse ai presenti, sconosciuti compresi, una bella spaghettata. Il piacere di partecipare a questi informali simposi costava ai convenuti una piccola offerta, che veniva inserita in un grande salvadanaio. E' difficile dire se Luca fosse un genio del marketing o un entusiasta compagnone. Sta di fatto che le offerte, detratte le spese, gli procuravano almeno la metà del reddito che ricavava dall'attività. Esentasse, naturalmente.
Marco fu il primo del gruppo ad entrare nel negozio, seguito dagli altri. Appena Luca lo vide gli si avvicinò per salutarlo.
"Ciao, capitalista pezzo di merda, non dirmi che hai deciso di leggere un libro? Non farlo, ne potresti morire"
"Ciao, poeta del cazzo, non ti preoccupare, la lettura è un vizio dal quale mi son saputo guardare. Piuttosto, prepara 3 buoni caffè, per me e per i miei amici"
"Li preparo subito, ma non per te, ma per quei poveracci che debbono sopportarti" volse finalmente lo sguardo verso Carlo e Giovanni, che riconobbe dopo qualche attimo: "Ragazzi, ma siete davvero voi? Che bella sorpresa!" Abbraccio entrambi, mentre i suoi occhi si illuminarono. "Quanto tempo, quanto tempo è passato. Mai avrei immaginato che ci saremmo rivisti prima o poi. Li abbracciò di nuovo.
Il tempo di preparare il caffè fu sufficiente per scambiarsi le informazioni essenziali: la salute, la famiglia il lavoro. Poi sedettero sulle sgangherate poltrone con le tazze in mano.
"Ragazzi" Disse luca "permettetemi di recitarvi una poesia assolutamente pertinente alle circostanza che stiamo tutti vivendo"
"Ti ascoltiamo con piacere" disse Marco.
Luca si levò solenne, e cominciò.
"Ognuno fa quel che deve
alcuni fan ciò che possono
altri fan quel che sanno
ma tutti, in qualche modo
lo prenderanno in culo
quando? Beh, nessun lo sa"
L'applauso partì immediato, anche da parte degli altri avventori presenti nel locale.
"A proposito del quando" intervenne Carlo "mi pare che non occorra più aspettare. E' in questo momento che lo stiamo prendendo tutti in culo, siete d'accordo?"
"D'accordissimo" disse Giovanni
"Mi associo" Disse Marco, stringendo la mano a Carlo. "Anche se mi pare che una categoria si salvi sempre, e che, anzi, proprio in questo momento se la passi alla grande".
"A chi ti riferisci?" Chiese Luca.
"Ai grandi banchieri"
"Ti sbagli, mio caro. Forse dimentichi che anche loro, un bel giorno, andranno al creatore. Quel giorno lo prenderanno doverosamente in culo. Ma ci pensate quanto deve essere terribile morire sapendo di lasciare un patrimonio di miliardi di euro, e non poterli portare con se? Terribile, deve essere davvero terribile."
"Sarà anche terribile" interruppe Giovanni "Ma almeno loro in vita i soldi li hanno avuti. Noi sicuramente non avremo il rimorso di lasciare tanti soldi, ma quello ugualmente terribile di aver vissuto da morti di fame"
"Suvvia ragazzi, mi sembrate troppo pessimisti" sentenziò Luca "Una persona intelligente sa che, in qualunque circostanza, essere ottimisti e ridere è sempre più conveniente che essere pessimisti e disperarsi. Anzi, direi che ridere delle proprie miserie sia il più grande segno di intelligenza che una persona possa dare. E poi, ditemi, avete mai visto qualcuno risolvere i propri problemi disperandosi?"
"Mai" disse Giovanni "E poi, diciamocelo francamente, se proprio uno deve stare nella merda, è meglio starci con allegria"
Carlo annuì, si alzò ed iniziò la sua arringa: "Signori, ragazzi, o come cazzo volete essere chiamati, vorrei, in questa circostanza, ringraziarvi pubblicamente per avermi regalato, in questa giornata, momenti di allegria insperata, dopo giorni di vera e propria angoscia. Questa rimpatriata è stata molto più efficace di una serie di sedute dallo psicologo, che, tra l'altro, non mi potrei neanche permettere. Sapere che i miei amici d'infanzia sono, tutto sommato, dei disgraziati come me, mi fa sentire meglio. Quindi grazie, grazie di cuore per essere dei derelitti, degli emarginati, dei falliti, dei miserabili. Grazie ed ancora grazie"
Marco restò in dubbio se essere sbigottito o divertito. Optò per la seconda soluzione, e volle dire la sua:" Come si dice, mal comune mezzo gaudio. Effettivamente sapere che in questo momento in Italia la gran parte della popolazione è nella merda come noi, ci fa sentire meno colpevoli. E, così come si stanno mettendo le cose, la cosa più intelligente da fare è godersi la vita giorno per giorno. Come disse il poeta: del doman non v'è certezza"
"Bravo Marco" intervenne Luca "Sono felice di sentirti citare i poeti. Forse con l'età ti stai ravvedendo, ed hai deciso di acculturarti"
"Giammai, caro Luca, io sono orgoglioso della mia ignoranza, ne sono fiero ed intendo difenderla con le unghie. Per citare un altro poeta: beata ignoranza, quando se sta bene de capo, de core e de panza."

Proprio in quel momento la porta del negozio si aprì, ed entrò Simona.
Luca l'accolse con calore: "Cara Simona, capiti a proposito, voglio farti conoscere alcuni miei amici di gioventù"
"Ne sarei onorata" rispose Simona.
"Lui è Giovanni, inesauribile fonte di saggezza popolare. Carlo, detto l'intellettuale per via del fatto che era un secchione saccente, e Marco, costruttore, pieno di soldi e povero di cultura."
"Io sono Simona, piacere"
"Accomodati, ti preparo subito un caffè"
Simona è una donna che porta bene i suoi anni, dai modi signorili e dolci e dotata di una naturale eleganza. Proviene da una famiglia della ricca borghesia meneghina di fine ottocento, che nel corso degli anni ha dissolto il proprio patrimonio tra una moltitudine di eredi. Suo padre occupò buona parte della sua vita nella ricerca e nella raccolta di libri antichi rari, cosa che quasi prosciugò il suo patrimonio. Alla sua morte l'intera raccolta fu donata al Comune di Milano, ed a Simona non restarono che un bell'appartamento dalle parti di San Babila, ed una buona educazione. Fece un ottimo matrimonio con un avvocato avviato ad una brillante carriera, che però fu interrotta dalla sua prematura morte a causa di un incidente d'auto. Simona restò presto vedova, senza figli e con un paio di locali in centro, il cui affitto le consente di vivere senza particolari affanni. La sua assidua frequenza della galleria del pazzo è dovuta al suo amore per i libri, per l'arte, e per il convivio al quale, con una certa frequenza, partecipa gente davvero interessante.
"Simona" disse Luca "Oltre ad essere una cara amica, è una persona davvero eccezionale, di grande cultura e di grande intelligenza, oltre ad essere anche molto attraente, cosa che non guasta mai"
"Effettivamente" intervenne Giovanni " la bellezza è sempre apprezzabile, incute ottimismo e rende meno amara la vita"
"Sono lusingata, e ve ne ringrazio" disse Simona "Ma sono anche abbastanza intelligente da capire che nelle vostre parole c'è una buona dose di galanteria. Sono oramai prossima ai '50, e sono cosciente di non poter competere con donne più giovani, nel pieno del loro splendore. D'altronde c'è un tempo per ogni cosa, ed occorre vivere il proprio tempo senza rimorsi. Sosteneva mio padre, persona di grande sensibilità, che man mano che si invecchia aumenta il tempo impiegato a rimpiangere tutti i peccati che non si sono commessi"
Carlo ascoltò, affascinato dalle parole di Simona e dal suo tono decisamente suadente, poi volle dire la sua: "inizio a preoccuparmi: sempre più spesso mi capitano questi rimpianti. Vuol dire che sto davvero invecchiando?"
"Ne dubitavi?" disse Giovanni
"Oddio, non ci pensavo" rispose Carlo
"E' ora che inizi a pensarci" intervenne Marco "Inizia a guardarti allo specchio, e guarda come sei ridotto. Con quella faccia seriosa ed il tuo abito costoso che indossi come una divisa. Sei stato omologato, standardizzato, inquadrato. Giovinezza è libertà, e tu la libertà l'hai persa nel momento in cui hai deciso di vestirti secondo i canoni della tua azienda. Tu, insieme a milioni di soldatini ubbidienti, tutti vestiti uguali, tutti con lo stesso linguaggio infarcito di parole inglesi: mission, brand, business, cash, rating, brunch, happy hour, tutti con le stesse carte di credito negli stessi locali alla moda. Sei stato inquadrato, caro Carlo, e porti delle grosse catene, anche se non te ne rendi conto."
"Carlo mi sembra ancora un bell'uomo, e non è affatto vecchio" disse Simona "Anche se è vero che sia stato omologato, e quindi abbia perso l'essenza della giovinezza: un sana incoscienza. Ma questo è il destino al quale solo pochi riescono a sottrarsi, ed è sempre stato così. Solo chi continua a sognare non invecchia mai. Credo che iniziamo davvero ad invecchiare nel momento in cui smettiamo di fare progetti per il futuro.
"Come sempre" intervenne Luca " La Simona dice cose di grande intelligenza. Effettivamente smettere di sognare vuol dire smettere di vivere. E poi, se ci pensiamo bene, tutte le grandi conquiste dell'umanità si sono verificate grazie a persone che inseguivano un sogno"
Giovanni interruppe, si alzò in piedi, chiese silenzio e disse: "Vede più cose chi sogna anche di giorno rispetto a chi sogna solo la notte".
Le sue parole strapparono l'ennesimo applauso, compreso quello degli avventori della galleria presenti in quel momento. Tra di loro Luca scorse il signor Attiemme, così chiamato per via del fatto di essere un ex conduttore di tram, oramai in pensione. Il signor Attiemme non aveva mai letto un solo libro fin quando, divenuto pensionato, non pensò di impiegare il proprio tempo libero nella lettura. Iniziò così, senza convinzione. Ma i libri, per chi non lo sapesse, sono come una droga: una volta iniziato diventa difficile smettere. Ecco la ragione per la quale il signor Attiemme ogni settimana veniva alla galleria del pazzo per acquistarne uno.
"Buona sera Luca, hai qualcosa per me?"
"Buona sera a te. Ascolta, proprio ieri mi hanno portato un libro bellissimo: viaggio in Italia, di Guido Piovene. Si tratta in pratica della descrizione dell'Italia di oltre mezzo secolo fa che l'autore fa per conto di un giornale. Il libro è molto bello, e l'autore è uno scrittore eccelso.
Leggilo, e mi ringrazierai"
"Luca, sai che mi fido di te. Tra l'altro vorrei regalare un libro a mia nipote, una cosa adatta ad una ragazza di 15 anni."
"Aspetta un attimo, dovrei avere un bel libro di Luciano De Crescenzo, vediamo un po’, ah, eccolo. Così parlò Bellavista. E' davvero piacevole da leggere ed è scritto benissimo. De Crescenzo è un autore che consiglio sempre a chi vuol iniziare a leggere."
"Benissimo" disse il signor Attiemme,"quanto ti devo?"
"Vediamo un po’" Rispose Luca quasi soppesando i due libri "Dammi 12 Euro, e buona lettura"
Il signor Attiemme pagò, ringraziò ed andò via.
Carlo approfittò della pausa della discussione per annunciare di avere degli impegni, e che, pur se dispiaciuto, avrebbe dovuto andar via.
"Ascoltate ragazzi" disse Luca "Non dobbiamo assolutamente perderci di vista. Domani sera, verso le 20, ci ritroviamo con alcuni amici, tra i quali ci sarà la Luisa, che porterà del formaggio buonissimo di sua produzione. Dovete assolutamente esserci, mi farebbe davvero piacere e, sono sicuro, non ve ne pentirete."
"Simona, lei ci sarà?" chiese Carlo con un po di imbarazzo.
"Non manco mai a questi appuntamenti" Rispose Simona "E le consiglio di venire...mi farebbe piacere"
"Ne sono lusingato" Rispose Carlo "Ci sarò senz'altro"
"Io non ho nessun impegno" disse Marco "per cui posso confermare la mia presenza. Anzi, per il vino non vi preoccupate, ho delle bottiglie favolose."
"A me farebbe piacere esserci" disse Giovanni "Ma dipende da come la prende mia moglie. Cercherò di lavorarmela un po. Diciamo più di sì che di no"
"Allora ragazzi, vi aspetto tutti." intervenne Luca " Vedrete che passerete una bella serata, e poi, che cazzo, un po di divertimento in questo momento vi farà bene"

Il gruppo salutò e guadagnò l'uscita. Giunti alla trattoria da Caterina ognuno di loro prese la propria strada, riabbracciandosi per l'ennesima volta e scambiandosi parole di sincero affetto. Nulla unisce le persone come l'esistenza di un comune nemico che in questo caso veste gli abiti della crisi economica. Mentre il benessere alimenta l'egoismo, le difficoltà spingono le persone ad essere solidali tra loro, forse coscienti del fatto che si tratti del più efficiente strumento per mitigare le difficoltà del momento.













SABATO

Quella mattina Carlo si alzò con una certa ansia. Alle undici aveva un appuntamento importante con un suo amico, ben introdotto negli ambienti che contano e con relazioni di alto livello. Carlo sapeva di godere della sua stima, e confidava nella loro lunga amicizia che nacque al tempo dell'università. Non si frequentavano molto, ma non mancavano ad ogni Natale di telefonarsi per farsi gli auguri. Mentre indossava il suo abito migliore non smetteva di guardarsi allo specchio. Desiderava sincerarsi di avere un aspetto giovanile, dinamico ed ottimista, requisiti fondamentali per un manager che si rispetti.
Alle undici in punto, non prima e non dopo, Carlo si presentò al circolo del tennis, entrò nel bar e sedette con discrezione. Fu subito raggiunto dal dottor Sironi, che gli strinse la mano con vigore, come si conviene tra manager ben addestrati.
"Carissimo Carlo, è un piacere incontrarti. Cosa prendi?"
"Gradirei un caffè, grazie"
"Due caffè, per favore" ordinò il dottor Sironi rivolto al barista, poi, a Carlo "Allora, a casa tutto bene? I figli?"
"Bene grazie"
"Ho sentito della tua azienda, mi dispiace. D'altronde era da tempo che nell'ambiente si parlava di una grossa ristrutturazione. Quando nel capitale di una società entra qualche fondo di investimento ci si debbono aspettare sempre grossi cambiamenti"
L'arrivo dei due caffè costrinse il dottor Sironi ad una pausa, poi riprese:
"Ho saputo che sei tra quelli messi fuori, e mi dispiace, davvero. Comunque sto sentendo un po in giro, sto parlando con tutti quelli che potrebbero darci una mano. Ma è difficile, sai, è un momento davvero balordo. Qui c'è un clima di smantellamento generale. Tutti progettano di delocalizzare, di trasferire l'azienda in altri paesi. Il baricentro dell'economia si sta spostando altrove, ed il nostro paese sta diventando marginale. Le aziende che vendono prevalentemente in Italia hanno fatturati che stanno crollando, mentre le aziende che hanno un mercato prevalentemente internazionale non hanno più alcuna convenienza a restare in questo paese."
"Purtroppo è così" interruppe Carlo "Sono cose che avevamo previsto da tempo. Il dramma è che sono avvenute con troppa rapidità, troppa"
"Sai quale è la vera causa di questo disastro?" chiese Sironi "E' il fatto che la classe politica italiana continua a pensare e ad agire secondo paradigmi validi in un contesto che non esiste più. Il mondo, in questi ultimi 20 anni, è radicalmente cambiato, senza che questi cialtroni se ne rendessero conto. Abbiamo perso 20 anni, ed ora ne paghiamo il conto."
"Sironi, non ti nascondo che ho valutato anche l'idea di andare all'estero. Sarebbe una scelta davvero difficile, per la famiglia, i figli..."
"Il problema non è la famiglia, caro Carlo, il problema è l'età. E' amaro ammetterlo, ma dobbiamo prendere atto che, per quanto possiamo essere bravi, le nostre posizioni non sono più molto spendibili. Anch'io, se dovessi perdere il lavoro, difficilmente ne troverei uno nuovo. E' per questo che ho cercato di prepararmi al peggio."
"Come?" chiese Carlo
"Ho acquistato un piccolo casolare con un paio di ettari di terra ed ho messo in vendita la casa di Milano. Preferisco andare in affitto, ed impiegare quei soldi per ristrutturare il casolare. Ci ricavo un appartamento per abitare ed un bel locale a pian terreno per farci una piccola trattoria, una decina di tavoli in tutto. Nella peggiore delle ipotesi mi ritiro in campagna, dove riuscirei a vivere con molto meno che a Milano, e cercherei di sbarcare il lunario con la ristorazione."
"Ed il tuo lavoro?" chiese Carlo
"Il lavoro lo tengo fin che dura. Ma se dovessi perderlo non mi affannerei troppo a cercarne uno nuovo. Sbaraccherei e me ne andrei via. Francamente sono stanco di questa vita: troppo stress, troppa competizione, troppa incertezza."
"Sironi" interruppe Carlo "Non ti nascondo che negli ultimi tempi mi è capitato spesso di odiare il lavoro che faccio, e di invidiare coloro che svolgono attività più tranquille e più stabili, anche se meno retribuite. Ogni mese l'asticella degli obiettivi viene spostata sempre più in alto, e questo mi ha usurato. Ho bisogno di lavorare, ma non è detto che non mi piacerebbe fare qualcosa di diverso. Il problema è che non so fare altro."
Sironi si guardò intorno, si assicurò di non essere ascoltato da altri, e con tono quasi cospiratorio disse: "Carlo, tu sai che ti considero come un fratello, altrimenti non ti direi quel che sto per dirti: noi apparteniamo a quella foltissima schiera di lavoratori sostanzialmente inutili, che devono i loro redditi ad un sistema fasullo, fatto di fuffa, e che sta per schiantarsi. In realtà noi non sappiamo fare nulla di realmente utile, a differenza di un chirurgo, di un idraulico, o di un contadino. Abbiamo prosperato in un contesto economico che sta per sgretolarsi. Alloro voglio darti un consiglio, e cerca di seguirlo, se puoi. Inventati un lavoro diverso da quello che hai fatto fino ad ora. Guardati intorno, e prova a capire dove sta andando il mondo. Sono sicuro che esistono nuove opportunità, anche se non so dirti quali. Ma non fare troppo affidamento sul fatto di riprendere il lavoro che facevi, perché sarà difficile, davvero difficile."

Carlo restò un po’ in silenzio, scosse leggermente il capo e disse: "Sironi, tu stai confermando i miei timori. I colloqui di lavoro avuti in questo periodo mi hanno portato alle tue stesse conclusioni. Purtroppo i soldi stanno per finire, ed ho tre rate del mutuo da pagare. Per cui mi manca anche la liquidità per poter tentare una nuova avventura"
"Per le rate del mutuo non ti preoccupare, dimmi l'importo che ti faccio un assegno, me li darai con calma" Disse Sironi "Però voglio dirti una cosa, ed ascoltami, come ascolteresti un fratello: metti subito in vendita la casa. Innanzitutto con il ricavato della vendita estingueresti il mutuo e ti resterebbe abbastanza per comprare una casa meno prestigiosa ma non per questo meno comoda. Poi sappi, ed è una certezza, che i valori immobiliari delle grandi città crolleranno. Quando arriverà il collasso, ed arriverà, la gente cercherà di spostarsi in provincia dove la vita costa meno e dove sarà più facile guadagnarsi da vivere. Se non vendi la casa, oltre a dover trovare ogni mese i soldi per pagare il mutuo, ti ritroveresti una proprietà con il valore dimezzato. Potresti poi utilizzare il ricavato della vendita per avviare una attività che ti consentirà di vivere, ed abitare in affitto. In fondo non è mai morto nessuno senza la casa di proprietà. E Poi, dimmi, pensi che io sia un fesso? Se ho messo in vendita la casa di Milano vuol dire che era la cosa più intelligente da fare".
"Ci penserò" disse Carlo "Ma credo che seguirò il tuo consiglio. Per l'assegno ti ringrazio, almeno per un po’ il direttore di banca non mi romperà i coglioni." Si alzò i piedi e strinse la mano di Sironi. "Ci sentiamo, d'accordo?"
"Fammi sapere, mi raccomando, e comunque: in bocca al lupo".
Carlo decise di non tornare a casa per il pranzo. Provvide ad avvisare la moglie giustificandosi con un pretesto. Iniziò a vagare, senza una meta precisa, fin quando non squillò il telefonino.

"Pronto? Carlo, sono Marco"
"Ciao Marco, dimmi"
"Senti, sei libero a pranzo? Vorrei invitarti. Sai ho avuto una bella notizia, e non mi va di pranzare da solo"
"Si sono libero, dove ci vediamo?"
"Sempre da Caterina, se a te sta bene"
"Mi sta benissimo, cucinano in modo delizioso"
"Allora ti aspetto, mi raccomando"
Quando Carlo arrivò Marco lo aspettava seduto. Aveva già fatto apparecchiare per due, e si era preso la libertà di ordinare per entrambi. Appena fu seduto chiese:
"Allora, quale bella notizia hai avuto?"
"Stamattina mi hanno confermato una proposta che feci ad una società di investimento immobiliare. In pratica acquistano la mia società, così com'è, a 200.000 euro. Il prezzo è davvero basso, ma senza una buona iniezione di liquidità, che io non sono in grado di garantire, la società è destinata al fallimento, ed io perderei davvero tutto. Così, almeno, mi resta qualcosa per poter ricominciare"
"Sono contento per te, caro Marco, anche se immagino che da questa operazione ci hai perso parecchio"
"Ho perso tutto" Rispose Marco "Ho perso 20 anni di lavoro. Ma non potevo immaginare che il mercato immobiliare sarebbe crollato in modo tanto repentino."
"Riprenderai a costruire?" Chiese Carlo.
"Non credo, almeno per adesso. Il mercato è saturo. Ci sono molte più case che famiglie. Abbiamo costruito troppo, senza avere il tempo di renderci conto che non poteva durare all'infinito. A pensarci oggi, con il senno di poi, doveva essere evidente che non si sarebbe potuto edificare l'intero territorio. Siamo stati tutti vittime di un enorme abbaglio: quello di credere alla crescita infinita"
"Non siete stati i soli" disse Carlo "Questo abbaglio ha accecato un po tutti, ed infatti è tutto il sistema ad essere entrato in crisi" Carlo versò del vino per entrambi, poi continuò: "Stamani mi sono incontrato con un mio caro amico, uno davvero in gamba. Mi ha dato un consiglio che mi è parso davvero saggio. Mi ha invitato a guardarmi intorno, ed a cercare di capire dove sta andando il mondo, in modo da trovare nuove opportunità di lavoro. A suo parere sarebbe stupido pensare che le cose torneranno uguali a prima. Questa crisi non è un fatto passeggero ed accidentale, questa crisi è la fine di un'epoca."
"Il tuo amico ha ragione" disse Marco "questa è la fine di un'epoca".
I due continuarono la chiacchierata gustando due ottimi risotti ai funghi. Pareva che non si fossero mai persi di vista, considerando l'affiatamento con il quale discorrevano. E' difficile dire se questo fosse dovuto alla loro antica amicizia oppure alla loro comune condizione di uomini di successo precipitati all'improvviso nell'aspro territorio della disperazione. Il loro rapporto stava superando i limiti dell'amicizia per trasformarsi in vera e propria complicità.
Alla fine del pranzo si salutarono, dandosi appuntamento alle 20 alla galleria del pazzo.

Alle venti, quando Carlo, Marco e Giovanni arrivarono alla galleria, la trovarono abbastanza affollata. Alcuni, tra i presenti, avrebbero partecipato alla piccola cena informale di quella sera, altri erano clienti che si attardavano, quasi fossero dispiaciuti di abbandonare quel luogo così fuori dal mondo. Quando, finalmente, l'ultimo cliente uscì, Luca si affrettò ad abbassare la serranda. Provvide a delle veloci presentazioni, ed invitò un paio di amici a dargli una mano a sistemare delle assi per formare un grande tavolo. Per sedersi ci si sarebbe arrangiati con ciò che c'era: qualche poltrona, alcune sedie, ed un paio di panche di fortuna realizzate posando delle tavole su pile di libri.
Appena ognuno prese il proprio posto, Luca iniziò ed aprire le bottiglie portate da Marco, ed a distribuirle sul tavolo. Luisa ed il marito provvidero ad affettare il pane, il salame ed il formaggio, che posarono su grandi vassoi. Quando tutto fu pronto Luca, da buon padrone di casa, si alzò e disse: "Amici, sono felice di sapere che questa mia felicità sarà condivisa anche da voi. Solo gli stupidi dimenticano che la buona compagnia rende migliore qualunque pasto, e che un buon pasto rinsalda antiche amicizie, ne fa nascere di nuove, e sopisce qualunque rancore. Anche perché, alla nostra età, il piacere del cibo spesso supera quello per il sesso. Con la conseguenza che una buona mangiata spesso è come un orgasmo che non si esaurisce in pochi momenti, ma può durare ore. Onoriamo, quindi, questo cibo, e ringraziamo la Luisa che ci regala sempre questi stupendi e dimenticati sapori: alla salute"
Luca alzò il bicchiere per un brindisi al quale tutti si associarono.
Il cibo, per quanto semplice, era decisamente squisito, o almeno così parve a Carlo, che mangiò di gusto e bevve più del solito, allentando quei freni inibitori che la sua educazione teneva sempre ben stretti. Al suo fianco sedeva Simona, più divertita che lusingata dalle galanterie e dalle attenzioni che Carlo le riservava.

"Questo pane è davvero buonissimo" disse Giovanni procurandosene l'ennesima fetta "E' così saporito da non aver bisogno di nessun accompagnamento"
"Sicuramente non è il pane che comprate al supermercato" rispose Luisa "la farina è diversa, così come la lievitazione. Ma la cosa che lo rende davvero speciale è il fatto di essere cotto in un forno a legna. Mentre il pane che mangiate abitualmente il giorno dopo è da buttare, questo lo potete tenere tranquillamente una settimana. E quando sarà troppo duro potrà essere impiegato in molti modi diversi. Di questo pane non si butta via nulla, come è giusto che sia."
"Davvero squisito" disse Marco "purtroppo qui a Milano dobbiamo accontentarci delle michette"
"Non è detto" disse Luca "La Luisa porta questo pane a Milano ogni sabato, insieme agli altri prodotti"
"Quindi Lei ha una panetteria?" chiese Carlo
"Non esattamente" rispose Luisa "Mi occupo della ricerca di prodotti di altissima qualità per conto di un numero limitato di clienti che, tra le altre cose, ottiene notevoli risparmi rispetto ai normali prezzi di mercato"
"Scusi la mia curiosità" intervenne Giovanni "Ma questo pane a quanto lo vende?"
"2,50 al chilo" rispose Luisa
A questo punto Carlo, forse per una deformazione professionale, chiese: "Ma come fa a costare così poco? La norma vorrebbe che, trattandosi di un prodotto di miglior qualità rispetto allo standard, dovrebbe avere un prezzo più alto. Mi pare tutto molto strano."

"Hai ragione, Carlo." intervenne Luca. " Ma a questo punto sarebbe meglio che la Luisa ti raccontasse la sua storia. Potrebbe essere molto illuminante, oltre che utile a tutti coloro che in questo momento si sentono confusi e privi di precisi punti di riferimento. Luisa, ci faresti questo onore?"
"L'onore è mio, caro Luca. E poi, se la mia
esperienza può essere utile agli altri, ed è mia convinzione che lo sia, è giusto che la racconti."

"Io e mio marito fino a tre anni fa abitavamo qui a Milano, in un appartamentino di merda, di un condominio di merda, di un quartiere di merda. Io ero impiegata in una agenzia di pulizie, sbattuta a destra e a manca per 800 euro al mese. La mattina facevo due ore in un posto e la sera mi sbattevano a fare altre due ore a 40 chilometri di distanza. Mio marito faceva il muratore, e non guadagnava male, almeno fin quando l'invasione delle imprese rumene non ha fatto crollare le paghe. Ma la cosa ancora più grave era che il lavoro iniziava a scarseggiare, costringendolo a lunghi periodi di inattività. Quando, ogni fine mese, dovevamo pagare le settecento euro di affitto, le bollette e le spese, restava ben poco per vivere, sempre che quella che facevamo potesse chiamarsi vita. Sempre più spesso dovevamo chiedere un aiuto ai genitori, altrimenti non avremmo nemmeno avuto i soldi per fare la spesa. Quando l'esasperazione e la depressione furono padrone assolute delle nostre vite, avemmo la notizia della morte del fratello di mio padre, che mi lasciò erede di una piccola proprietà in un paesino dell'appennino ......... Si trattava di un piccolo appezzamento di terreno coltivato a vigneto, e di una bellissima casa colonica, spaziosa, sobria ed accogliente.
Una domenica andammo a conoscere la nostra nuova proprietà, con l'intenzione di metterla in vendita, ed acquistare un piccolo appartamento a Milano, magari accendendo anche un mutuo. Quando fummo sul posto ne restammo affascinati. Il silenzio, i profumi, il sapore dell'aria, la quiete, la gentilezza dei paesani. Seduti sull'aia, mentre il sole iniziava a calare e le ombre ad allungarsi, io e mio marito ci guardammo a lungo, senza dire niente. La nostra intesa non ebbe bisogno di parole: decidemmo di tenerci la proprietà e di venirci a vivere. Fuggire la vita che stavamo conducendo era così impellente che l'idea ci parve meravigliosa. I miei genitori, che ci accompagnarono, furono più entusiasti di noi. E fu proprio il loro entusiasmo che mi spinse a fare una proposta che nessuno si aspettava: chiesi ai miei genitori se non avessero desiderato venire a vivere con noi. La casa era molto grande, sarebbero stati vicini ai nipotini e il papà si sarebbe dilettato con l'orto. Ma soprattutto sarebbero scappati anche loro da una città che degradava a vista d'occhio. Avrebbero potuto vendere la casa di Milano ed aiutarci per i lavori necessari in quella nuova, e, almeno all'inizio, avremmo potuto fare affidamento sulle loro pensioni per superare le difficoltà iniziali."
L'intera tavolata ascoltava in silenzio, rapita dalla storia di Luisa come lo sono dei bambini che ascoltano una favola. E così Luisa continuò il suo racconto:
"Dopo che ci fummo trasferiti in paese iniziai a conoscere i luoghi e le persone. E fu così che mi resi conto che esistevano tantissimi piccoli produttori di vere e proprie prelibatezze che vendevano i loro prodotti a dei prezzi impensabili in città. Iniziai quasi per gioco, procurando ai miei amici rimasti in città alcuni di questi prodotti, Pian piano la voce si sparse e le richieste aumentarono, tanto che decisi che fosse giunto il momento di trasformare questa attività in un vero e proprio lavoro.
Acquistammo un furgone con il quale ogni sabato mattina provvedevamo a consegnare la merce. Poi attivammo un sito internet nel quale i clienti potevano conoscere le disponibilità ed i prezzi della settimana, ed eseguire gli ordini. Ogni cliente ha una sua cassetta nella quale mettiamo la merce ordinata. Il sabato consegniamo la cassetta nuova ed il cliente ci rende quella vecchia. Tutti i prodotti sono di primissima qualità, senza chimica e senza adulterazioni, ed il loro prezzo è inferiore a quelli prodotti industrialmente. In qualunque momento il cliente può venire a farci visita e conoscere i singoli produttori ed osservare dal vivo le lavorazioni.
Oggi non siamo più in grado di acquisire nuovi clienti, anche perché desideriamo mantenere una dimensione familiare. Guadagniamo di che vivere bene, e tanto ci basta."
Le ultime parole di Luisa furono come una frustata sulla coscienza di Carlo. Lui, educato dagli studi universitari e dalla professione a considerare la crescita un valore assoluto ed indiscutibile, fu scosso dal fatto che Luisa ed il marito, pur potendo guadagnare di più, si limitassero a quanto ritenessero necessario. Ma la cosa che maggiormente lo sorprese fu il fatto che la coppia appariva serena ed appagata.
Carlo conosceva tantissime persone che avevano redditi davvero alti, ma nessuno che si accontentasse. Tutti vivevano nell'ansia di avere di più, sempre di più, anche se era evidente che l'aumento dei loro redditi e dei loro patrimoni non li rendeva certamente più felici. Furono queste considerazioni che instillarono nella mente di Carlo il dubbio: e se nella vita avessi sbagliato tutto?
Intanto Luisa continuò: "Oggi che viviamo in un piccolo paese ci chiediamo spesso come abbiamo fatto a sopportare la vita della città. Spesso penso che noi, intesi come popolazione, siamo stati praticamente drogati. Abbiamo vissuto contro le leggi fondamentali della natura. Ma la natura, che è immensamente più forte di tutti gli uomini, si sta vendicando. Questa crisi chiuderà un'epoca, e ne aprirà una nuova in cui la gente riscoprirà i valori davvero importanti, quelli che la nostra civiltà ha messo da parte. Questo passaggio sarà traumatico, e lo sarà proprio perché la gran parte delle persone si ostinerà a credere che le cose torneranno come prima: è una illusione. Tanto più si cercherà di resistere a questo cambiamento, tanto più si soffrirà."

A questo punto intervenne Francesco, professore di matematica presso un istituto tecnico e grande cultore dell'arte contemporanea: "quindi tu ritieni che il progresso sia una sciagura?"
"Affatto" rispose Luisa "Il progresso è una cosa meravigliosa. A mio parere si può considerare progresso tutto quanto migliora la vita delle persone. Ed è evidente che la ricerca scientifica e la tecnologia sono cose assolutamente apprezzabili ed auspicabili. Occorre però ricordare che si tratta di strumenti che possiamo usare bene o male. Ecco, io credo che abbiamo fatto un cattivo uso del progresso tecnologico: mentre avremmo potuto beneficiarne tutti, abbiamo creato il disastro che ci circonda. Progresso vuol dire tutelare l'ambiente, rendere più belle le nostre città, faticare meno per produrre quanto ci occorre, avere più tempo da dedicare agli amici, alla cultura, al proprio benessere, ridurre le disuguaglianze sociali, garantire a tutti una vita libera e dignitosa."
"Effettivamente" intervenne Carlo "dobbiamo riconoscere che abbiamo avuto in mano delle ottime carte, ma le abbiamo giocate male, direi malissimo." Volgendosi verso Simona "Lei non trova?"
"E' talmente evidente" disse Simona "che diventa difficile discuterne. Quando rifletto sulla crisi che stiamo vivendo mi vengono spontanee alcune semplici considerazioni. Considero, ad esempio, il PIL pro capite del nostro paese, e mi accorgo che in effetti c'è ricchezza sufficiente perché tutti possano vivere più che dignitosamente. Poi guardo il mondo vero, e vedo che sempre più persone vivono in miseria. Ed allora concludo che il primo problema sia la distribuzione della ricchezza. Pochi hanno troppo, e troppi hanno poco. Non voglio dire che tutti debbano disporre degli stessi redditi, perché mi pare opportuno stimolare la libera iniziativa e premiare il merito. Però la distanza tra i redditi alti e quelli bassi dovrebbe ridursi. Ecco, il vero progresso dovrebbe ridurre queste disparità."

"Il vero progresso" intervenne Giovanni "non dovrebbe contemplare la disoccupazione. Io sono ignorante, e non capisco nulla di economia. Però c'è un tarlo che mi tormenta da parecchio tempo. Mi pare evidente che l'automazione stia distruggendo posti di lavoro. E questo processo continuerà senza sosta. Pensate alle banche, ed alle centinaia di migliaia di persone che vi lavorano. Ebbene, già oggi tutte le filiali potrebbero essere chiuse, perché quel che fanno gli impiegati già può essere fatto attraverso internet o gli sportelli automatici. E pensate alla pubblica amministrazione. Anche lì dei buoni software possono gestire quel che oggi gestiscono centinaia di migliaia di impiegati. Bisogna essere onesti ed obiettivi. Tutte queste persone fanno un lavoro stupidissimo e ripetitivo. In pratica abbiamo migliaia di impiegati inutili. Questo discorso si può estendere a tutti i settori. Allora la domanda che mi pongo è questa: possiamo avere una società dove l'80% della forza lavoro è disoccupata? E chi produce dei beni in fabbriche completamente automatizzate, a chi venderà i beni che produce?"
"Il signor Giovanni ha colto il nocciolo della questione" intervenne Luisa "Il fatto che le macchine ci affrancano dal lavoro dovrebbe essere un fatto positivo. In fondo la ricchezza vera è costituita dalla quantità di beni e servizi di cui possiamo disporre. E se questi beni e questi servizi vengono prodotti dalle macchine, e noi possiamo permetterci di lavorare una decina di ore a settimana, ed utilizzare il resto del tempo a fare quel che più ci piace, non sarebbe meraviglioso? Eppure un enorme vantaggio per l'umanità si trasforma in una sciagura, per la semplice incapacità di comprendere il problema e di gestirlo nel modo migliore".
"Se ci riflettiamo bene" intervenne Francesco "il progresso tecnologico porterà al comunismo. Pensateci bene: se le fabbriche automatizzate apparterranno a poche multinazionali, la massa della popolazione non avrà lavoro ne reddito. E senza reddito non potrà acquistare i beni prodotti da queste multinazionali. In assenza di un mercato le fabbriche fallirebbero. L'unica soluzione possibile è che le fabbriche appartengano alla collettività, e quindi che i beni prodotti possano essere distribuiti a tutti. Sarebbe la fine del capitalismo."

A questo punto Luca si alzò in piedi e chiese un brindisi "Brindiamo al capitalismo" disse "ucciso dalla sua stessa brama di profitto. Hanno volute macchine sempre più automatizzate, che eliminassero quegli scocciatori degli operai, e che consentissero loro di guadagnare sempre di più. Ebbene, quelle macchine li hanno divorati, distruggendo i redditi di quelli che un tempo furono consumatori." Bevve un sorso, e poi continuò "Consentitemi di recitarvi una poesia che mi pare pertinente al tema della discussione":
"Di più tu cerchi
e sempre più vorrai
e mai pago godrai
di ciò che già ti è dato
senza denaro e senza amaro affanno
fermati e vivi
i giorni tuoi fugaci
capaci di donarti mille gioie
che stanno a te dintorno
e non lontano
allunga la tua mano
apri la mente
e vivi la tua vita
dolcemente"
L'applauso fu spontaneo, sincero ed entusiasta.
La cena continuò, tra il serio ed il faceto, fin quando l'ora tarda non consigliò tutti di sbaraccare. Carlo, sapendo che Simona non era venuta in macchina, si offrì di accompagnarla.
Stettero in silenzio per una buona parte del tragitto, fin quando Simona chiese:
"E sua moglie cosa fa?"
"Mia moglie è assistente di direzione in una società finanziaria, e credo che sia l'amante del suo capo"
"Ne è certo?" Chiese Simona, stupita.
"No, non ne sono certo, ma ne sono convinto"
"Mi spiace"
Stettero nuovamente in silenzio fino all'arrivo. Simona ringraziò Carlo per il passaggio e gli diede il suo numero di telefono.
" Se dovesse sentirsi solo, mi chiami, ne sarò felice".






DOMENICA

Non c'è nulla di più deprimente di una domenica piovosa in un anonimo quartiere della media borghesia di una grande città. Le uniche presenze che di tanto in tanto facevano la loro fugace comparsa in strada erano quelle dei proprietari di cani, costretti, loro malgrado, a sfidare le intemperie.
Carlo guardava attraverso i vetri sferzati dalla pioggia, che rendeva l'orizzonte confuso e rarefatto, così come confusa e rarefatta era diventata la sua vita da quando aveva perso il lavoro.
C'è un tempo in cui ci si sente padroni del mondo, ed unici artefici del proprio destino. Poi le cose cambiano, e ci si rende conto di quanto precaria sia la nostra esistenza e di quanto labili siano le nostre certezze. Carlo si era sempre preso molto sul serio, ed aveva investito tutte le sue energie nella carriera. Si era a tal punto immerso nel lavoro da aver accettato passivamente tutti i dogmi del mondo degli affari: efficienza, profitto, immagine, competizione, lavoro di squadra, raggiungimento degli obiettivi, e successo, successo ed ancora successo, come unica misure di tutte le cose. Ripensando alle innumerevoli riunioni a cui era costretto a partecipare, si rese conto di quanto fossero inutili, oltre che ridicole. Tutti i partecipanti recitavano la loro parte, quella loro assegnata dal proprio ruolo nell'azienda, ed ognuno prestando maniacale attenzione ad indossare l'abito giusto, la cravatta giusta, l'orologio giusto. Una farsa, una grande farsa dove ogni attore cercava di farsi notare dal regista, sperando di conquistarne la benevolenza con atteggiamenti di ossequio e condiscendenza.

Si rese conto della sua piccolezza, rispetto a Luisa o a Luca, che facevano qualcosa in cui davvero credevano, e lo facevano con vera passione. La grande e sostanziale differenza con loro consisteva nel fatto di avere invertito completamente il paradigma lavoro-reddito. Mentre il suo obiettivo era il denaro, e per esso avrebbe svolto qualunque lavoro, per i suoi nuovi amici l'obiettivo era fare qualcosa che amavano ed in cui credevano, ed il denaro era una conseguenza del lavoro, non fine, ma strumento.
D'un tratto le sue riflessioni furono interrotte dal suono di una sirena che diveniva sempre più intenso. In fondo alla strada, confuso nella pioggia, si intravvide dapprima un lampeggiante blu, e poi pian piano la sagoma di un'auto della polizia che avanzava veloce fino a fermarsi all'ingresso del palazzo di fronte. I due poliziotti si infilarono veloci nel portone mentre altre auto ed un'ambulanza li raggiunsero. Carlo, incuriosito, decise di scendere in strada. Infilò il suo cappotto, prese l'ombrello, ed uscì.
Quando Carlo fu davanti al portone si era già formato un capannello di curiosi. Si mormorava che qualcuno si fosse suicidato, e sembra che si trattasse del commendator Cerutti. La notizia fu presto confermata.
Il commendator Cerutti era un piccolo industriale, di quelli che, partiti come garzoni in una piccola officina, costruirono una delle tantissime aziende che compongono il tessuto industriale italiano. Produceva, impiegando 80 operai, componenti per auto. Appena prima dell'inizio della crisi rinnovò gli impianti, facendo un grosso investimento e riempiendosi di debiti. Purtroppo nel volgere di pochi mesi gli ordini scemarono a livelli impensabili. Il fax, che un tempo lavorava a pieno ritmo, all'improvviso tacque, tra il panico e lo sgomento degli impiegati. Le banche, appena sentirono aria di crisi, revocarono tutti gli affidamenti, distruggendo ogni minima possibilità di salvare la situazione. E così venerdì mattina il curatore fallimentare provvide a sigillare l'azienda.

Il colpo di pistola che pose fine alla vita del commendator Cerutti deflagrò anche nella vita dei suoi ottanta operai e delle loro famiglie. Carlo, che conosceva la vittima di questa disgrazia, fu preso da un'angoscia profonda, soprattutto per il fatto che questi drammi erano oramai all'ordine del giorno. Se l'atmosfera non fosse stata abbastanza triste, provvide la pioggia battente a renderla quasi surreale. Sembrava di stare in un film: era, invece, la vita reale.
Rientrò in casa per mangiucchiare qualcosa. Era solo. La moglie sarebbe rientrata martedì da Londra, dov'era per lavoro, mentre i figli stavano dai nonni.
La solitudine, nei momenti di depressione, diventa un fardello dal peso insopportabile. Per questa ragione Carlo decise di telefonare a Simona, nella speranza che fosse disponibile ad incontrarlo: "Pronto, Simona? sono Carlo:"
"Ciao Carlo, mi fa piacere sentirla"
"Senta, volevo chiederle se le andrebbe di uscire"
"Carlo, non le sembra il caso di darci del tu?"
"Hai ragione. Allora, passo a prenderti?"
"E dove si va?"
"Dove vuoi"
"Ti aspetto fra un'ora, Appena arrivi sotto casa fammi uno squillo"
"Fra un'ora sono da te"
"Ti aspetto"

Carlo attraversò una Milano deserta sotto la pioggia battente. Quando Simona entrò in macchina, inaspettatamente, salutò Carlo baciandolo sulla guancia. La cosa bastò a metterlo di buon umore.
"Allora, dove si va?"
"Facciamo un giro, così, senza una meta precisa. Poi vedremo"
"Sai, oggi si è suicidato un mio vicino di casa, e la cosa mi ha sconvolto"
"Generalmente non sono pessimista, ma questa volta la vedo davvero brutta. Sai che ho due locali dati in affitto? Bene, uno degli inquilini mi ha disdetto il contratto: cessa l'attività. L'altro è in arretrato con l'affitto di tre mesi. Ho un po’ di soldi da parte, e riesco a tirare avanti per qualche mese, ma poi sarei nei guai. La vedo brutta, brutta davvero"
"Hai idea di come se ne possa uscire?"
"Beh, io credo che il nostro sistema vada completamente ristrutturato. Ma nessuno, in questo momento, ha la forza ed il coraggio per farlo. Per cui crollerà tutto, e solo allora, sulle macerie ancora fumanti, sarà possibile ricostruire un sistema nuovo, che tenga conto di una serie di elementi profondamente mutati rispetto al passato. Nel frattempo alcuni soccomberanno, altri sopravvivranno. Ecco, io credo che la cosa più intelligente da fare sia organizzarsi per sopravvivere alla catastrofe. Dopo, quelli ancora vivi, potranno partecipare alla ricostruzione. Gli altri rischieranno di restare per sempre ai margini della nuova società che si andrà a costruire."
"Sopravvivere? E come?"
"Innanzitutto occorre diventare leggeri"
"E cosa intendi per leggerezza?"
"Intendo non avere strutture materiali ed immateriali che possano limitare la capacità di adattamento. Ti faccio un esempio: un tempo avere un capannone, degli impianti, degli operai, era considerato un vantaggio. Oggi è diventato un fardello che rischia di assorbire tutte le risorse economiche e morali di una persona. Mantenere una struttura del genere costa moltissimo, con la conseguenza che se il lavoro dovesse calare le spese fisse cannibalizzerebbero il capitale. E' quello che già sta succedendo a molti imprenditori. Abbattere al massimo tutte le spese fisse è la priorità"
"La seconda cosa?"
"La seconda cosa è possedere un capitale importantissimo che non ti può essere rubato, pignorato, distrutto: la conoscenza. Avere un mestiere, ovvero saper fare le cose, è fondamentale. Anche se può sembrare strano, ti posso assicurare che la gran parte delle persone non sa fare praticamente nulla. Cosa sa fare un impiegato di banca? Poche stupidissime operazioni. E tutte le persone impiegate nella burocrazia? Praticamente nulla. Ed un casellante autostradale? Ed un addetto al call center? Ed un parcheggiatore? Il mondo è pieno di mestieri inutili che tra breve spariranno.
Ma uno che sa fare il pane, riparare un'auto, progettare un circuito elettronico, allestire un negozio, scrivere un software, beh, queste persone saranno sempre utili."
"Quindi tu ritieni che la mia professione non abbia futuro?"
"Si, credo che nessuno, nel prossimo futuro, avrà bisogno di un dirigente nel settore marketing."
"La terza cosa?"
"La terza cosa è avere una rete di relazioni quanto più vasta possibile. E' attraverso le relazioni che si moltiplica la possibilità di far incontrare la propria offerta con la possibile domanda. Lavorare sulle relazioni è molto importante:"
"La quarta cosa?"
"La quarta ed ultima cosa è mantenersi liquidi. Non avere debiti, pagare solo in contanti, escludere le banche dalla propria vita. Disporre di liquidità, anche se limitata, consente grande libertà di movimento. Quando si è liquidi diventa più semplice dire di no. E poter dire di no è il segreto per vincere la sfida della vita. Guai a coloro che non possono dire NO. Per quanto riguarda le banche non ne parliamo. Disfarsi degli assegni, carte di credito, bancomat."
"Quando ti sento parlare" disse Carlo "Mi rendo conto che l'intelligenza e la cultura valgono più di moltissime lauree, compresa la mia. Abbiamo studiato un sacco di cose inutili, e sostenuto i relativi esami, credendo che questo ci avrebbe dato maggiori possibilità rispetto ad altri. Poi ti accorgi che con la tua laurea in economia aziendale non saresti capace di creare un'attività che possa consentirti di vivere, mentre un persona priva di istruzione spesso riesce a farlo con successo. La nostra società ha sottovalutato l'intelligenza, il genio ed il talento, sopravvalutando i titoli accademici, dietro ai quali, molto spesso, c'è solo mediocrità."
"E' esatto" disse Simona "Basta pensare al carico di studio a cui costringiamo i nostri bambini delle elementari rispetto a cinquanta anni fa. Allora ai bambini si insegnavano moltissime cose in meno rispetto ad oggi, ma nel contempo avevano tantissime ore al giorno da dedicare al gioco. Ed era proprio il gioco a sviluppare la loro intelligenza, tant'è che da quelle scuole comunque sono venuti fuori tantissimi geni. La scuola di oggi è strutturata in modo tale da creare imbecilli, questa è la verità. Lo studio è importante per valorizzare il talento, ma se il talento manca studiare è inutile. Abbiamo creato una società di laureati, e questo ha prodotto gli stessi disastri del suffragio universale."
Carlo ascoltò con avidità le parole di Simona, e fu felice di aver incontrato una interlocutrice tanto intelligente. Sembrava che la pioggia che continuava a cadere con insistenza avesse lo scopo di mondare la mente di Carlo da tutta la serie di dogmi sui quali aveva costruito la sua esistenza. Decisero di fermarsi a bere qualcosa, così Simona lo guidò verso un locale che conosceva bene, e che apprezzava.
Il locale era praticamente nascosto all'interno di un cortile. Occupava lo spazio che un tempo doveva essere un'officina. Era stretto e lungo, con muri in mattoni e capriate in legno. Sul fondo era stato ricavato un palcoscenico, con tanto di drappeggi in velluto rosso, mentre sul lato sinistro un lungo bancone di legno scuro fungeva da bar. Una moltitudine di tavoli di diversa dimensione e foggia riempiva lo spazio che restava. Sulle pareti grandi quadri in stile pop davano colore all'insieme.
Non si trattava di un vero e proprio locale pubblico, ma di un circolo privato aperto praticamente a tutti. La formula del circolo privato ne consentiva l'esistenza, che sarebbe stata impossibile se si fossero dovute pagare le tasse. Benché si esibissero gratuitamente gli stessi avventori, l'obbligo di pagare la SIAE permaneva. Si racconta che la seconda volta che i funzionari della SIAE si presentarono per pretendere gli adempimenti d'obbligo, furono trattati in malo modo. Quando uscirono dal locale non solo trovarono l'auto distrutta, ma anche un gruppo di uomini con il volto coperto da sciarpe che li convinsero a desistere dal ripresentarsi nel locale. Evidentemente usarono gli argomenti giusti, perché da allora nessun funzionario si è più presentato.

I frequentatori del locale appartenevano tutti al mondo della creatività, o ne erano ammiratori. Pittori, stilisti, grafici, musicisti, designer, scrittori, poeti, attori, cabarettisti, costituivano la clientela abituale. Ognuno di loro utilizzava il locale per esibirsi gratuitamente, ricevere gli apprezzamenti del pubblico e godere di qualche minuto di gloria.
Quando Carlo e Simona vi arrivarono il locale era già pieno, ed a stento trovarono due posti a sedere. Appena la cameriera gli servì i due Irish Coffe che avevano ordinato si presentò al loro cospetto un signore sulla settantina. Indossava un vestito che sicuramente aveva conosciuto tempi migliori, ed un vistoso papillon colorato. Dopo un leggero inchino disse: "Carissima principessa, è un vero piacere rivederla. Non mi neghi l'onore di recitarle una poesia assolutamente adatta a questa giornata uggiosissima."
"L'onore" rispose Simona "Sarà mio. Prego maestro, l'ascolto"
Il poeta si sgranchì la voce ed iniziò:
"Piove di quella pioggia
sottile ed insistente
che indefinito rende
il mio dintorno
e vago l'orizzonte
e rarefatto il tempo
e sento mille gocce
battere il selciato
ed il fato trascinare
i miei stanchi pensieri
che ieri mi parevano certezze
ed oggi caduche foglie
alle autunnali brezze"

"Complimenti maestro" disse Simona
Il poeta tirò fuori dalla tasca della giacca un foglio e lo porse a Simona. "Principessa, qui c'è il testo della poesia scritto a mano e da me autografato. Lo accetti come omaggio per la sua bellezza".
A quel punto Simona tirò fuori 10 euro e le consegnò al poeta, che disse: "Principessa, accetto questo vile denaro solo perché anche i poeti mangiano, ed in genere hanno fame, tanta fame. Fece un nuovo inchino ed andò via.
"Ma lo conosci?" Chiese Carlo.
"Certamente. E' una presenza costante in questo locale, quasi una istituzione. E' un poeta davvero bravo, e sopravvive in questo modo."
Intanto sul palco salì un trio jazz, che iniziò a suonare pezzi oramai classici. La loro musica accompagnò l'intera serata, che scorse via veloce. Carlo, che non aveva mai frequentato questo genere di locali, si sentì davvero a suo agio, e, almeno per quella sera, dimenticò tutti i suoi problemi.


LUNEDI
Quella mattina Carlo si alzò con la convinzione che la settimana che iniziava sarebbe stata cruciale per la sua vita, perché in qualche modo avrebbe preso delle decisioni importanti. Il suo primo pensiero fu di recarsi in banca per versare l'assegno che il suo amico Sironi gli aveva fatto. Uscì a piedi, e raggiunse subito il bar dove era solito prendere il caffè. All'interno vi notò un fermento insolito, con gruppi di avventori che parlavano concitatamente. Rivolgendosi a Deborah, la giovane barista rumena, chiese: "Ma è successo qualcosa?"
"Molte cose" disse Deborah "Questa notte hanno incendiato parecchie sedi di Equitalia, anche quella qui vicina, e poi stamattina, all'apertura degli uffici, un gruppo molto numeroso di persone che aspettava di fronte alla sede dell'agenzia delle entrate, all'arrivo degli impiegati ha iniziato a lanciare cartocci di carta pieni di merda. Quando è arrivata la polizia erano già tutti scappati"
Carlo, mentre sorseggiava il suo caffè, immaginò la scena, e si compiacque di vedere il direttore dell'agenzia coperto di merda. Il suo sogno ad occhi aperti fu interrotto dall'arrivo di un altro cliente che, appena varcato l'uscio, disse ad alta voce "Allora ragazzi, ci siamo quasi. Avete saputo cosa è successo?"
"Le molotov alle sedi Equitalia?"
"Ma quali Molotov. Hanno paralizzato la tangenziale. Vari gruppi di disoccupati bloccano alcuni accessi. Ma la cosa bella è che appena arriva la polizia vanno via, e nel contempo altri gruppi bloccano altri accessi. La polizia sta impazzendo, e corre da una parte all'altra. Intanto tutto il traffico è paralizzato."
"Eppure in televisione non dicono nulla" intervenne Deborah
"E' naturale. La situazione è tale che basta una scintilla per far esplodere l'ira della popolazione. Per cui cercano di far credere che tutto vada per il meglio. Comunque, se non sarà oggi, non manca molto alla rivolta totale."
Carlo uscì dal bar per raggiungere la banca, e sistemare la questione delle rate del mutuo. Con sua grande sorpresa vide che all'ingresso della filiale stazionavano due carabinieri. Quando entrò chiese all'impiegato il motivo di quella presenza, e gli fu risposto che si temevano atti di vandalismo. Conclusa l'operazione fu notato dal direttore, che lo invitò nel suo ufficio, ostentando il suo sorriso standard a 32 denti.
"Si accomodi, la prego. Volevo raccomandarle di essere puntuale con il pagamento delle rate del mutuo. Sa, certi comportamenti fanno scattare la segnalazione al criff, e questo le potrebbe procurare grandi problemi. Quando una banca valuta la moralità di un cliente controlla innanzitutto se vi sono segnalazioni."
"Scusi" Interruppe Carlo "stava parlando di moralità? Vediamo un po se ho capito bene: secondo i vostri canoni non è immorale chi stupra dei bambini, chi picchia la moglie, chi spaccia stupefacenti, chi truffa, no, è immorale chi ha problemi economici e paga con ritardo? Benissimo, avete un bel concetto di moralità."
"Non si scaldi, lei deve capire la nostra posizione.."
"Io non capisco un cazzo, egregio direttore dei miei stivali. In questi giorni alcune persone mi hanno aperto la mente, ed oggi mi sento di sostenere senza riserve quelli che vi indicano come il male assoluto, e che vorrebbero appendervi per i piedi nella pubblica piazza."
"Ma lei non si deve permettere di parlare in questo modo."
"Si? E chi me lo impedisce, lei? Mi faccia la cortesia, non mi telefoni mai più, altrimenti la prossima volta vengo qui e la prendo a calci in culo. Moralità! Una banca che si permette di parlare di moralità! Vergognatevi, dovreste solo vergognarvi."
"Ragionier Fanti, chiami i carabinieri" ordinò il direttore ad un suo impiegato.
"Non è necessario, vado via, ma si ricordi quello che le ho detto" Carlo guadagnò l'uscita mandando a fare in culo anche il povero impiegato che ebbe l'infelice idea di salutarlo.
Quando fu fuori, si compiacque con se stesso per quello che aveva fatto, e pensò che forse stava finalmente guarendo dalla dabbenaggine da cui era affetto. Quando fu all'altezza del mercato rionale vide un grande assembramento di persone, ed alcune pattuglie delle forze dell'ordine. Si avvicinò per vedere cosa stesse accadendo.
I commercianti del mercato e quelli delle strade adiacenti, esasperati dalle pretestuose vessazioni dei vigili urbani, che oramai quotidianamente elevavano contravvenzioni per ogni minima sciocchezza, inscenarono una manifestazione improvvisata. Da tempo il comune cercava di fare cassa attraverso multe e contravvenzioni, con la stessa violenza predatoria di un drogato in crisi di astinenza.
"Non si può andare avanti in questo modo" gridava uno della folla, "ci hanno tolto tutto il possibile ed ora vogliono anche l'impossibile. Siamo diventati il bancomat di una schiera di parassiti che ogni giorno calano come sciacalli al mercato per racimolare tutto il possibile: ispettori del lavoro, vigili urbani, finanzieri, ufficio d'igiene, ingegneri della sicurezza. Basta, i soldi sono finiti. Che vadano a lavorare e smettano di romperci i coglioni. Ma questi farabutti capiscono che stanno tirando troppo la corda?"

"Dovete fare tutti come me" intervenne un altro manifestante "io non pago più nulla, tanto quel che avevo me lo hanno già tolto. E se mi impediranno di lavorare mi metterò a fare rapine." Mostrò a tutti una cartella esattoriale e le diede fuoco, tra gli applausi della folla.
"Dobbiamo diventare tutti abusivi" gridò un terzo oratore "tanto è difficile stare peggio di come stiamo. Per chi vuole lavorare onestamente non c'è nessun futuro."
La gente annuiva ed applaudiva l'oratore. Qualche facinoroso iniziò ad inveire contro le forze dell'ordine, che si guardarono bene dal reagire, ma si limitarono ad invitare alla calma. Ad un certo punto qualcuno iniziò a tirare calci alle auto della polizia, subito seguito da una massa inferocita ed esasperata. I pochi poliziotti cercarono di fermare la folla, ma furono impotenti di fronte a tanta furia. Non poterono che allontanarsi, terrorizzati, per chiedere rinforzi. Anche l'oratore invitò tutti alla calma, e a non prendersela con i poliziotti che erano dei disgraziati come loro. Sopraggiunsero due pattuglie che, a distanza, furono fatte bersaglio di lancio di pietre e bottiglie, impedendo ai poliziotti di uscire dalle auto, e costringendoli, anzi, ad allontanarsi. Non fu possibile ricevere ulteriori rinforzi, non essendoci più un solo uomo disponibile. I capi di questa piccola rivolta ebbero l'intelligenza di entrare nelle attività che disponevano di telecamere e farsi consegnare le cassette registrate. Nessuno oppose resistenza, e non per paura, ma per totale solidarietà.
Dopo circa mezz'ora la folla si dissolse e la calma tornò a regnare. Ma si trattava di una calma inquietante, foriera di nefasti presagi.
Con sua grande sorpresa Carlo si scoprì contento di come si stavano mettendo le cose. Aveva capito che solo distruggendo tutto si poteva ricostruire la società su nuove basi. Ed allora, piuttosto che una lenta agonia, era meglio una rapida morte, premessa per la resurrezione. Prese il telefonino e chiamò Marco:
"Pronto, Marco? sono Carlo."
"Ciao Carlo, stavo per chiamarti, ci vediamo da Caterina?"
"Certamente, stavo per chiederti la stessa cosa. Hai sentito cosa sta succedendo?"
"Qualcosa. Sai ero dal Notaio per la cessione della società"
"Hai concluso?"
"Si, e mi sento rinato"
"Beh, allora ci vediamo da Caterina, così festeggiamo"
"Ci vediamo, ciao"
Carlo tornò a casa, prese la macchina, e si avviò verso la trattoria. Lungo il tragitto accese la radio per aggiornarsi sulla situazione:
"Scontri a Milano fra forze dell'ordine e movimenti antagonisti. Atti di teppismo in varie zone della città. Il ministro dell'interno promette severità nel contrastare i disordini provocati da pochi facinorosi, quasi sicuramente provenienti dai centri sociali. Attaccate alcune sedi di Equitalia. Sentiamo il direttore dell'agenzia delle entrate: "Equitalia agisce nel massimo rispetto della legge ed al servizio dei contribuenti onesti. La nostra lotta di contrasto dell'evasione è un dovere nei confronti degli italiani.
Il primo ministro, parlando ad un gruppo di imprenditori, ha sostenuto che la ripresa è dietro l'angolo, e che presto saranno varate misure per il lavoro.
Il consiglio dei ministri sta preparando la nuova manovra finanziaria per coprire il buco provocato dal repentino crollo delle entrate tributarie. Tra le altre cose si parla di una tassa una tantum sul possesso di auto, di un contributo di solidarietà di 1000 euro a carico di tutte le partite IVA, di un aumento del 30% dell'importo delle multe.
Allo studio una misura per istituire un registro obbligatorio presso il ministero dell'economia al quale gli italiani dovranno comunicare la quantità di oggetti preziosi in loro possesso. La norma si rende necessaria per contrastare l'evasione fiscale e le attività della criminalità organizzata.
Carlo spense la radio, nauseato, e pensò a come anche lui, che si riteneva intelligente ed istruito, si sia fatto abbindolare per decenni dalla propaganda del governo, ed avesse creduto sinceramente nello stato e nelle istituzioni.
Quando arrivò alla trattoria Marco non era ancora arrivato, decise, quindi, di aspettarlo all'esterno.
"Non avete capito un cazzo" disse ad alta voce un signore seduto poco distante. "Siete stupidi, ignoranti, e fessi, così come vi vogliono coloro che ve lo stanno mettendo in culo da sempre."
La veemenza con la quale l'oratore pronunciò le sue parole attrasse l'attenzione di Carlo, che si avvicinò per ascoltare meglio.
"Provate, una volta tanto, ad usare il cervello: un mafioso viene da voi e vi chiede di pagargli il pizzo. In cambio vi offre un servizio: la sicurezza. Voi non avete la facoltà di decidere se accettare o meno quel servizio, siete obbligati ad accettarlo nei termini ad al prezzo che il mafioso ha stabilito. Il mafioso usa la sua forza per costringervi, minacciando danni ai vostri beni ed alla vostra persona.
Ora immaginate lo stato che vi obbliga a pagare il canone per la televisione. Voi siete obbligati ad accettare quel servizio, anche se ne vorreste fare a meno, ed a pagarlo al prezzo che lui ha stabilito. Se non lo fate lo stato usa la sua forza per danneggiarvi. Ora, sapete dirmi la differenza tra i due comportamenti?"
"Nessuna" rispose uno del gruppo che ascoltava.
"Infatti" continuò l'oratore "lo stato non è altro che una organizzazione mafiosa particolarmente evoluta e sofisticata. E potremmo dire che la mafia è una forma di stato al suo stadio primitivo.
Nessuno si chiede come nasca e si formi uno stato. Ed allora, poiché siete dei caproni ignoranti, voglio rendervi edotti."
"Grazie" gridò uno del gruppo con una certa ironia.
"Vi siete mai chiesti l'origine della nobiltà? Non credo. Allora sappiate che tutta la nobiltà ha origine dal mestiere delle armi. Ed il mestiere delle armi era tipico dei briganti, ovvero di coloro che disponevano della forza per obbligare gli altri a fornire loro una parte dei frutti del proprio lavoro. In cambio di questo obolo questi briganti si impegnavano a garantire la sicurezza dei loro sudditi e ad amministrare la giustizia, ovvero a garantire un certo ordine.
Questi briganti combattevano tra loro per impossessarsi di altri domini, così da accrescere le loro ricchezze ed il loro prestigio. E' così che si formano i regni e gli imperi. La storia si può riassumere nella lotta continua tra potenti per depredarsi a vicenda. In tutto questo il popolo non ha mai contato nulla."
"Come oggi, praticamente" disse  qualcuno tra il pubblico.
"Bravo, esattamente come oggi. Solo che con il tempo il potere si è trasferito dalle armi al denaro. Dalla rivoluzione francese in poi il potere è esercitato dai banchieri, molto più scaltri degli uomini d'arme. Tanto scaltri da aver inventato la moderna democrazia, che è un raffinato sistema per far credere al popolo di essere l'artefice del proprio destino, mentre nella realtà il destino di tutti è nelle mani di questa minoranza di usurai. I politici che noi votiamo non sono che burattini nelle loro mani, e capri espiatori delle loro malefatte. Nella sostanza i parlamenti hanno un potere limitato a certi ambiti, e possono muoversi esclusivamente entro i paletti che i banchieri hanno messo."
"E sono tutti collusi?" Chiese una signora in fondo al gruppo.
"No, la gran parte di loro è semplicemente stupida, e si limita ad eseguire gli ordini dei loro capi, in cambio di privilegi e potere. Solo una minoranza dei parlamentari è collusa con gli usurai, e sono quelli che davvero comandano nel parlamento. Se poi qualcuno dovesse avere strane idee, e creare dei problemi, verrebbe fatto fuori, attraverso la magistratura, la stampa, e, in casi estremi, con la morte."
"Ci vorrebbe una bella rivoluzione" disse qualcuno tra i presenti.
"Si, ci vorrebbe una vera rivoluzione. Ma la rivoluzione non si fa nel modo che voi credete. Quello che voi chiamate rivoluzione non è che una rivolta, al termine della quale tutto resta come prima. Ovvero, cambia la composizione del potere, ma voi, miserabili sudditi, continuerete ad essere schiavi. La vera rivoluzione si fa in ognuno di noi, utilizzando il più potente degli strumenti : la consapevolezza. I piccoli comportamenti quotidiani di ognuno di noi rappresentano un'arma devastante se moltiplicati per milioni di individui. Nessuna forza può opporsi con efficacia, infatti i grandi usurai concentrano la loro opera sull'imbroglio e sull'inganno, utilizzando la scuola, i media, il cinema. Milioni di persone che scelgono in un modo piuttosto che in un'altro hanno la possibilità di cambiare radicalmente le cose, senza usare le bombe, la violenza, la distruzione. Pensate che una multinazionale si comporti male? Smettete di acquistare i suoi prodotti, e l'avrete distrutta. Pensate che le banche siano associazioni criminali? Usate solo i contanti e non fate debiti. Consapevolezza: questa è la vera rivoluzione."

Proprio in quel momento sopraggiunse Marco, che salutò Carlo e gli si avvicinò. "Cosa è successo?"
"E' successo" rispose Carlo "che ho appena assistito ad una lezione che nessun professore dell'università è stato mai capace di fare. Entriamo, che oggi ho un certo appetito."
Appena i due amici presero posto Marco chiamò la signora Clara, che si avvicinò con la solita gentilezza: "Oggi abbiamo degli gnocchetti con fagiolini e cozze, e per secondo del petto di pollo all'aceto balsamico con verdure grigliate."
"Faccia lei, Clara. Inoltre prepari il mio conto, così saldiamo" disse Marco.
Il volto della signora Clara si illuminò, sorrise e disse "Beh, allora le regalo una bella bottiglia di Bonarda, una cosa di lusso"
"Clara, ma lei è sposata?" chiese Carlo.
"Si, da 20 anni"
"Peccato, altrimenti avrei chiesto la sua mano"
"Sarà per la prossima volta" Rispose Clara, congedandosi con un grande sorriso.
Durante il pranzo Carlo raccontò di aver concluso la cessione della società e di aver ricevuto il bonifico sul suo conto in svizzera. Tutto regolare, naturalmente. Tutto alla luce del sole. Il fatto è che il suo commercialista lo ha messo in guardia sulla situazione delle finanze italiane, e sul rischio che lo stato faccia un prelievo forzoso su tutti i conti. Oppure sulla possibilità che vengano impediti prelievi superiori ad una certa somma mensile. Data la situazione era saggio aprire un conto all'estero, cosa che Carlo autorizzò.
Finalmente chiese a Marco: "E tu, hai trovato qualcosa?"

"Niente" rispose "Ma francamente non sto più cercando. Ho un progetto che mi frulla nella mente, e sto valutando alcune cose. Credo comunque che entro questa settimana prenderò una decisione. A questo proposito domani vorrei andare a trovare Luisa, su in collina. Ti va di venire?"
"Certamente" Rispose Marco "Non ho un cazzo da fare, e poi anch'io ho bisogno di riflettere. Avvisiamo anche Giovanni?"
"Senz'altro" disse Carlo "E lo dico anche alla Simona. Allontanarci da Milano per un po’ dovrebbe farci bene. Anzi, la chiamo adesso."
"Pronto, Simona?, ciao sono Carlo. Bene grazie. Ascolta, domani, insieme a Marco e Giovanni volevamo fare una capatina su in collina, dalla Luisa. Ti andrebbe di venire? Si, va bene, ci vediamo stasera alla galleria del pazzo, così ci mettiamo d'accordo. Va bene, ciao, ti saluto."
Finalmente i due amici si salutarono, dandosi appuntamento per l'indomani alle 9, proprio davanti alla trattoria da Caterina. Carlo rientrò a casa, si liberò dell'abito buono e si fece una doccia. Dopo di che si stese sul letto a riflettere su tutto quel che gli era capitato in questi ultimi giorni, sui vecchi amici, sui nuovi, su Simona. E sulla varietà del mondo, che non si esauriva nel ristretto ambito dell'azienda, degli affari, della carriera. Esisteva un altro mondo, dal quale era stato escluso per 30 anni, fatto di poesia, di arte, di leggerezza, di umanità, in cui ognuno godeva della licenza di essere se stesso. Ma qualcosa di veramente nuovo stava scombussolando le sue certezze ed il suo equilibrio. Carlo si stava innamorando.
Provava sensazioni dimenticate dal tempo della sua giovinezza, sentendosi stupido come lo può essere un adolescente, ed essendone comunque felice.

Allora si alzò, cercò un vecchio LP di Lucio Battisti e lo mise sullo stereo inattivo da anni. Si rimise steso sul letto per godersi anche il fruscio del vecchio e caro disco, e quando iniziò il primo brano gli parve di avere 16 anni, e pianse.
Appena iniziò a fare buio Carlo, armato di uno spirito nuovo, si recò da Luca, alla galleria del pazzo. Entrò, salutò, e si mise a curiosare in quel disordinato bazar. Tutto gli parve diverso rispetto alle volte precedenti. In realtà era lui ad essere diverso, quasi libero dalle invisibili catene che lo tenevano inconsapevolmente legato a certe convenzioni. Sfogliò qualche libro, ammirò i quadri, tocco i pezzi di design: tutto gli parve affascinante. Ebbe la sensazione che tutte le cose presenti nella galleria emanassero una magica energia.
"Carlo, gradisci un caffè?" chiese Luca
"Grazie, volentieri" rispose Carlo "Sto aspettando la Simona, dovrebbe essere qui tra breve"
"eh! Voi due non e la raccontate giusta. Comunque sono contento, Simona è una donna meravigliosa. Se non fossi stato sposato le avrei fatto una corte spietata. Quanto zucchero?"
"Amaro grazie"
Simona entrò, richiudendo la porta alle sue spalle, ed aprendo il cuore di Carlo. Si baciarono pudicamente, da buoni amici.
"Allora domani ti vengo a prendere alle 8,30, va bene per te?" Domandò Carlo.
"Benissimo" rispose Simona. "Sarò puntuale. Ma come mai hai avuto questa idea?"
"Voglio valutare alcune cose, sai, ho qualche idea interessante, e voglio valutarne la fattibilità."
"Sono contenta" disse Simona "Anch'io sto cercando una nuova strada per il mio futuro. Chissà che le nostre strade non si incontrino prima o poi!"
"E' possibile" disse Carlo "E ne sarei davvero felice".
Intanto Luca cercava di convincere due clienti interessati ad una coppia di poltrone degli anni 50. "Queste due poltrone hanno una storia" disse con enfasi "e la loro usura è un valore. Nessuna macchina può fare quel che ha fatto il tempo. Ed è il tempo che le ha caricate di energia, la stessa energia positiva che emaneranno nella vostra casa. Sedetevi, provate la loro comodità, prego, in questa galleria i clienti sono invitati a toccare, a leggere, a sedersi."
La coppia di clienti sedette nelle poltrone, ne constatò l'effettiva comodità, e concluse l'acquisto.
Simona e Carlo assistettero alla trattativa, e furono soddisfatti dell'esito positivo non meno dello stesso Luca.
"Stasera" disse Simona "Al teatro dei pidocchiosi, sai, il locale dove siamo stati ieri, c'è un mio amico che si esibisce in un monologo sulle donne, una cosa molto divertente mi hanno detto. Ti andrebbe di andarlo a vedere?"
"Con te" si sbilanciò Carlo "verrei anche in capo al mondo"
Luca, che da lontano sentì tutto, scosse il capo, divertito. Poi, salito su di una sedia, chiese silenzio ed iniziò:
"Se l'orizzonte
d'altro destino schiude il divenire
e sul finire di mia giovinezza
ad esso volgo lo sguardo
lasciate che io navighi nel sogno
di ciò che poteva essere
e non fu
e tu
non censurare questo capriccio
lasciami stare
perché m'è dolce questo sognare"
Immancabile fu l'applauso dei presenti, divertiti da queste improvvise performance poetiche a cui Luca aveva abituato i suoi clienti. Giunse, comunque, l'ora di andare, ed i due nuovi piccioncini salutarono Luca che, a sua volta, si raccomandò si portare i  suoi saluti alla Luisa.
Quando Carlo e Simona arrivarono al teatro dei pidocchiosi non c'era ancora molta gente, e fu facile trovare un tavolo vicino al palco. Mentre ordinavano 2 birre, Andrea, uno degli innumerevoli amici di Simona, si avvicinò al tavolo per salutarla.
"Principessa!" esclamò Andrea "che piacere vederti. Anzi, se davvero devo essere sincero ti cercavo."
"Come mai?" Chiese Simona.
"Sai, volevo avvisarti che ho chiuso il negozio, e che lavoro solo a domicilio, quindi, se hai bisogno puoi chiamarmi. Hai ancora il mio numero?"
"Si, ce l'ho. Ma come mai hai chiuso?"
"Cara Simona, quel pezzente del padrone di casa mi ha chiesto un aumento immorale, neanche se fossimo in via Monte Napoleone. Le tasse poi! Sai, gli studi di settore. Più sono alte le spese e più presumono alto il tuo reddito. Alla fine mi sarei fatto un culo a lavorare molto per portarmi a casa una miseria. Allora ho pensato: debbo guadagnare poco? Va bene, pazienza. Però debbo anche lavorare poco. Allora ho sbaraccato e lavoro a domicilio, tutto in nero, alla faccia del fisco"
"Hai fatto bene. L'unico problema è che piano piano tutti stanno chiudendo, e le tasse, chi le pagherà?"
"Cara Simona, chi troppo vuole nulla stringe. Hanno esagerato, diciamo la verità. E comunque, la nave Italia sta affondando, ed ognuno cerca di salvare i culo, giustamente. Io sono stanco, ogni settimana c'è qualcosa da pagare, e pur pagando c'è sempre il rischio di subire un accertamento folle fatto da qualche malato dell'agenzia delle entrate. Ad una mia amica hanno mandato un accertamento di oltre 80 mila euro, una cosa assurda basata su presunzioni da psicopatici. Intanto, però, per fare ricorso, deve pagarne quasi trentamila, che lei non ha. Con la conseguenza che non potendo fare ricorso il debito diventa esecutivo, e perde la casa che le hanno lasciato i genitori. Ma ti pare possibile essere arrivati a questo punto?"
"Veramente" disse Simona "Io credo che abbiamo superato il punto di non ritorno. Salterà tutto, ne sono certa. Non saprei dirti quando, ma basta conoscere un po’ di aritmetica elementare per capire che non se ne esce."
"Proprio ieri" Disse Andrea "Una mia cliente, grossa funzionaria di banca, mi ha confidato che le persone più intelligenti non pagano più niente a nessuno. Fanno sparire tutto quel che possono, e lasciano che gli pignorino il resto. Lo fanno perché c'è la certezza che dopo il collasso il nuovo governo, qualunque sia, dovrà fare tabula rasa di tutto il passato. Una specie di condono totale e generale senza oneri. E Questo perché la quantità di persone con problemi di debiti, protesti, pignoramenti, insolvenze di varia natura, è così vasta che renderebbe impossibile una qualsiasi ripresa economica. Così come avviene dopo una guerra, perchè, cara Simona, questa è peggio di una guerra."
"Sono d'accordo Andrea." Rispose Simona.
"Beh, vi lascio soli. Comunque mi raccomando, chiamami."
"Ho l'impressione che il tuo amico abbia fatto bene" disse Carlo
"Lo credo anch'io"
Nel frattempo il locale si era riempito, e sul palco salì il proprietario che presentò lo spettacolo: "Amici, sono felice di presentarvi il siciliano, integerrimo impiegato di banca di giorno, e geniale cabarettista di sera. Accogliamolo con un bell'applauso....."
"Buona sera a tutti. Stasera voglio parlarvi di un argomento davvero difficile: la donna.
Il destino ineludibile di ognuno di noi è quello di invecchiare. Per quanti sforzi possiamo fare il nostro vigore perderà pian piano consistenza, mentre lo scorrere del tempo apporterà nuova linfa alla nostra saggezza.
Questo non ci consola; semplicemente ne prendiamo atto. Ed è proprio grazie alla saggezza che abbiamo acquisito che possiamo affermare, oltre ogni dubbio, che preferiremmo essere giovani e stupidi, piuttosto che vecchi e saggi.
Ma tant'è. Il Padreterno, nella sua infinita saggezza, avrà avuto le sue buone ragioni.  Non le comprendiamo, soprattutto quando ci guardiamo allo specchio, oppure guardiamo compiaciuti una bella e giovane ragazza. Allora vorremmo gettare al vento la nostra saggezza, armarci di stupidità ed incoscienza, e partire all'assalto del mondo. Ma c'è un tempo per ogni cosa: ed il nostro è passato.

Parafrasando il titolo di un celebre film: non ci resta che piangere. Oppure fare partecipi i più giovani di una parte della nostra saggezza, anche se non potremo essere ricambiati dal ricevere parte della loro giovinezza. E' uno scambio iniquo che trova giustificazione nel fatto che non abbiamo un cazzo da fare, e rompere i coglioni ai giovani ci fa sentire meno vecchi.
Ecco la ragione per la quale voglio fare una lezione sul mondo femminile, frutto di quell'esperienza di cui farei benissimo a meno, in cambio dei miei vent'anni.
Occorre sfatare uno dei più miserabili miti della nostra maldestra modernità, che tanti danni ha prodotto nella società. Parlo dell'uguaglianza dei sessi.
Guardate una donna ignuda: vi pare uguale ad un uomo? No, in alcuni punti manca qualcosa, in altri vi è qualcosa in più. Ma soprattutto, particolarmente se la ragazza è giovane e bella, produce in voi quei turbamenti dai visibili risvolti fisici che difficilmente la vista di un uomo ignudo vi procura. Direi anzi che, in genere, un uomo ignudo vi fa anche piuttosto schifo.
Se poi la ragazza ignuda, oltre ad essere giovane e bella, ha anche la faccia da gran zoccola, l'effetto su di voi sarà devastante. Questa diversità, di cui la donna è ben consapevole, è la migliore arma di cui la femmina dell'uomo dispone per raggiungere il suo principale obiettivo: sottomettere l'uomo al proprio dominio.
Esistono uomini tanto stupidi da credere di poter resistere al dominio femminile. Non sanno, gli stolti, che una delle migliori tecniche che le donne utilizzano nella loro strategia, è proprio quella di far credere all'uomo di non essere dominato, quando in realtà si è alla loro totale mercé. Questi uomini, poveretti, credono di poter decidere liberamente, e le donne, furbacchione, glielo fanno credere. In realtà tali uomini decidono esclusivamente quello che le donne hanno già deciso. Si tratta di una finzione, dell'eterna commedia della vita di coppia. E l'uomo, inconsapevolmente, segue il copione scritto dalla donna.
Anche se a molti sembrerà incredibile, anche le donne hanno un cervello. Si tratta di un cervello all'apparenza uguale a quello degli uomini, ma in realtà programmato in modo molto diverso.
Esiste un celebre dipinto di Raffaello, "la scuola di Atene" in cui tra vari personaggi celebri spiccano i filosofi Aristotele e Platone. Mentre discorrono scendendo i gradini di una scenografica scalinata, il primo, con il dito, indica il terreno, mentre il secondo indica il cielo. Aristotele, indicando la terra, rappresenta il pensiero concreto, il mondo fisico e la natura, mentre Platone, indicando il cielo, rappresenta il mondo astratto, la metafisica.
Ecco, possiamo sostenere che il cervello femminile sia aristotelico, votato, in pratica, alle cose concrete, pratiche, tangibili. Il cervello maschile, invece, è platonico, cioè predisposto maggiormente al pensiero astratto.
Questa è la ragione per la quale tutti i grandi filosofi, gli artisti, i matematici, siano uomini. Le poche donne che possono essere annoverate in queste categorie sono, semplicemente, degli errori di natura. In pratica, per puro errore, è stato posto un cervello maschile in un corpo femminile.
Data questa premessa è facile comprendere come sia praticamente impossibile una sana comunicazione tra un uomo ed una donna. Sembra che parlino la stessa lingua, mentre in realtà la formulazione dei pensieri e la loro elaborazione avvengono attraverso programmi diversi.
E così qualunque discussione vi condurrà inevitabilmente alla frustrazione, chiedendovi come mai non riuscite a farvi capire. Eppure vi parrà di essere chiari, coerenti, pertinenti, logici. Ed è proprio questo il punto. Voi ragionate secondo la logica, la donna no.

Qualunque pensiero femminile non riesce a prescindere da alcuni assiomi presenti nel programma mentale di cui le donne sono congenitamente dotate: l'uomo non capisce un cazzo; il marito è un incapace ed un imbecille; l'uomo è un eterno immaturo che non può fare a meno della guida della donna; tutti gli uomini sono degli stupidi, ma mio marito lo è il doppio; è mio dovere proteggerlo dalle insidie del mondo, anche spappolandogli i coglioni.
Quando ero giovane ed inesperto credevo che mia moglie avesse una particolare abilità nel fracassarmi costantemente i coglioni. Vi riusciva talmente bene da convincermi che avesse frequentato qualche corso specifico di altissimo livello, dove matrone in disarmo svelavano ad ingenue fanciulle tutti i segreti del "dominio distruttivo". Naturalmente mi sbagliavo, e me ne resi conto dopo molti anni.
Compresi, con il tempo, che la capacità di rompere il cazzo incessantemente, utilizzando qualunque occasione e qualunque pretesto, fosse inscritta nel DNA femminile, e venisse utilizzata in proporzione diretta alla personalità del marito.
Praticamente accade questo: se in una coppia la femmina è naturalmente dominante, ed il marito è naturalmente soccombente, lo stritolamento di coglioni avviene in modo morbido e saltuario. Giusto quanto occorre perché il marito non si monti la testa.
Se, invece, il marito è anch'egli dominante, la moglie utilizzerà tutto l'armamentario di cui dispone al fine di distruggerne l'autostima. Si tratta della condizione essenziale per poter dominare il partner, cosa che la donna trova giusta e naturale.

Ecco quindi che mostrerà sempre una smorfia di disprezzo per qualunque cosa facciate, sempre che non abbiate eseguito sue precise disposizioni. Utilizzerà ogni occasione per rimproverarvi di qualcosa: se comperate delle mele vi dirà che sarebbe stato meglio che aveste comprato delle arance, e se aveste comprato delle arance, vi dirà il contrario. Non ha importanza quel che fate, l'importante è che vi faccia capire che sbagliate.
All'inizio i mariti si lasciano ingannare, assaliti dal dubbio. Occorre tempo affinché ci si renda conto che le lamentele, le invettive, le smorfie di disprezzo e di disgusto, non dipendono da ciò che si fa, ma dalla incontenibile necessità che le mogli hanno di distruggervi moralmente.
Lo fanno, beninteso, convinte che sia loro dovere, per il bene della famiglia e vostro.
Di tutto questo l'uomo, quando ancora è all'oscuro delle infinite "gioie" del matrimonio, non sospetta nulla. Si innamorerà di quella ragazza che " tanto gentile e tanto onesta pare..." sognando coccole e tenerezze, oltre ad una sana, sfrenata  e libera attività sessuale.
Basteranno pochi giorni di vita matrimoniale perché il dubbio vi assalga: dov'è finita quella ragazza dai modi garbati, così remissiva e disponibile? Quella che vi chiamava "caro" e vi parlava con dolcezza, cinguettando come un usignolo? Dov'è finita quella creatura aulica ed aulente, pudicamente disponibile alle vostre morbose brame sessuali?
La metamorfosi della vostra compagna vi parrà incredibile. La sua voce saudente diverrà lentamente simile al gracchiare di un corvo, mentre il suo discorrere pacato acquisterà il tono perentorio di un ufficiale nazista. E quando vorrà contraddirvi, ovvero sempre, non dirà più "ma cosa dici caro?" ma semplicemente " zitt strunz".
Vostra madre, che fino al giorno prima del matrimonio era stata oggetto di attenzioni e riguardi, diverrà l'onnipresente oggetto delle invettive della vostra amata consorte.
E il sesso? Cosa accade con il sesso?
Anche sul sesso uomini e donne hanno visioni completamente diverse.
Mentre per l'uomo il sesso è essenzialmente uno strumento di piacere, che, tra le altre cose, essendo gratuito, va praticato con una certa frequenza, per la donna le cose sono più complesse.
La donna è convinta che il sesso sia innanzitutto uno strumento di dominio, il cui uso principale consiste nel suo utilizzo come premio o come punizione, in ragione della remissività del marito.
Se fate i bravi scopate, altrimenti ciccia. E poiché per le mogli i mariti non si comportano mai come dovrebbero, ovvero alle volte pretendono di fare di testa loro, ecco che la sfrenata attività sessuale diventa una semplice illusione, un auspicio regolarmente disatteso.
Accade spesso che, di fronte alla vostra più o meno evidente voglia di scopare, la moglie si ritragga disturbata, facendovi notare che per fare sesso occorre quel desiderio che il vostro atteggiamento le preclude. In pratica il messaggio è questo: lurido stronzo, vuoi trombare? Allora impara a non contraddirmi ed a fare tutto quello che ti chiedo.
Ma anche quando dovesse rendersi disponibile, la sua partecipazione all'amplesso trova grandi limitazioni di tipo culturale, limitando quelle fantasie erotiche e quei giochi perversi che tanto piacciono a noi maschietti, forse costretti dal vincolo dell'erezione.

La donna teme di essere considerata una zoccola, con la conseguenza che se anch'ella fosse appagata da una più fantasiosa attività sessuale, vi rinuncia, limitando la propria partecipazione a quanto una certa morale consente.
La stessa donna, allorquando avesse una avventura al di fuori del matrimonio, darebbe sfogo alle più strampalate fantasie sessuali, per la semplice ragione che verrebbero meno le due nefaste limitazioni alla sua totale disinibizione: non dovrebbe usare il sesso per educarvi o punirvi, non avrebbe il timore di essere considerata una zoccola, essendo evidente che lo sia. Ecco allora che ci darebbe sotto come mai farebbe con il marito.
La conseguenza di tutto questo è che, dopo alcuni anni di matrimonio, la voglia di scopare con vostra moglie scemi drasticamente, e cresca di conseguenza il desiderio di avventure extraconiugali. Anche perché, nel frattempo, la natura fa il suo corso, trasformando il giovane corpo di quella ragazza in cui "beltà splendea negli occhi suoi ridenti e fuggitivi..." in qualcosa di molto diverso e poco appetibile. Vi accorgete, pian piano, che di quello che era un bel culo non è rimasto che l'odore della merda.
Sempre per sottolineare la grande differenza che esiste tra l'uomo e la donna, è emblematico il diverso approccio che i due sessi mostrano nella pratica dello shopping.
L'uomo che deve acquistare un paio di scarpe entra nel primo negozio, vede il modello, sceglie il numero, va alla cassa, paga e porta via. Tempo massimo impiegato 4 minuti.
La donna difficilmente troverà le scarpe che desidera prima di aver attentamente perlustrato una decina di negozi. Più spesso pretenderà di essere accompagnata il giorno successivo per un ulteriore giro di perlustrazione, dove proverà qualche altra decina di scarpe, e chiedendovi se pensate che il colore di quei mocassini vadano bene con quel pantalone blu ottanio che comprò a Praga. Alla vostra risposta di non ricordare di quale pantalone si tratti, verrete fulminati da uno sguardo di disprezzo e dalla fatidica frase: embè, tu non mi guardi mai...
Effettivamente avrete smesso di guardare vostra moglie da lungo tempo, concentrando le vostre attenzioni sulla nuova collega di lavoro, di venti anni più giovane e con la faccia da troia, il che giustifica ampiamente ogni vostra distrazione. Ma questo, a vostra moglie, non potete dirlo. Così imparate ad annuire sempre e comunque, tanto non ve ne frega un cazzo.
Si tratta di uno di quegli espedienti di autodifesa che i mariti, dopo anni di matrimonio, mettono in atto. Un altro, ad esempio, consiste in un meccanismo mentale attraverso il quale riusciamo a togliere l'audio. Praticamente quando la moglie parla il marito non sente nulla, vede solo muovere la bocca ed annuisce di tanto in tanto.
L'uomo ha capito: è inutile combattere, si consumerebbero energie in una guerra che non ci vedrà mai vincitori. E così, stanchi, accettiamo le cose come si accetta una malattia incurabile, con stoicismo e rassegnazione.
Intanto continuerete a chiedervi cosa se ne farà mai vostra moglie di tante borse. Pur avendone riempito un armadio è probabile sentirle dire: mi serve una borsa per quel completino arancione che ho preso a Roma. Ecco quindi la impellente necessità di iniziare un nuovo tour de force tra strade dello shopping e centri commerciali, non disdegnando il mega outlet aperto a 120 chilometri da casa vostra. Nell'improbabile ipotesi in cui fosse riuscita a trovare la borsa che desiderava, esclamerà orgogliosa di aver risparmiato ben 20 euro rispetto al negozio vicino casa vostra. Nel conteggio, naturalmente, non sono comprese le 40 euro di benzina ed autostrada, la multa da 120 euro del solito autovelox, la mezza giornata persa e, soprattutto, l'immensa rottura di palle a cui vi siete sottoposti. Ma questo, si sa, non ha prezzo.

Se l'uomo, mediamente, ha una naturale dipendenza da figa, la donna non dipende dall'uccello allo stesso modo. La vera dipendenza della donna, quella capace di creare vere e proprie crisi di astinenza, è quella per lo shopping, particolarmente di cose inutili. Non è indispensabile che acquisti qualcosa, ma le basta immergersi in un grande negozio per entrare in un vero e proprio stato di estasi. All'improvviso cambia l'espressione del suo viso, perdendo quei toni arcigni che da troppo tempo le appartengono. E se poi, con un gesto di grande incoscienza, le consegnate la carta di credito, ve ne sarà talmente riconoscente da consentirvi, in via del tutto eccezionale, di trombarla.
Una delle domande alle quali la scienza non ha ancora trovato una risposta è questa: per quale ragione la donna, trovandosi in una grande capitale europea piena di capolavori da conoscere, perde ore tra bancarelle che vendono inutili cianfrusaglie, sempre uguali da Pechino a Napoli, da Londra a Lisbona, da Canicattì a Miami?
Si tratta, al momento, di un insondabile mistero.
Due volte l'anno, più puntuale di una cartella di Equitalia, si presenta uno dei momenti più drammatici della vita matrimoniale: il cambio di stagione.
Questa attività rende la donna più intrattabile del solito, per cui in quei giorni è consigliabile usare la massima cautela.
Ad ogni cambio di stagione la moglie si lamenterà della inadeguatezza degli armadi disponibili, sostenendo la necessità di ulteriori contenitori. Il momento più terrificante è quando pronuncia la frase fatidica: dobbiamo andare all'IKEA.
Appare del tutto inutile farle notare che l'ottanta per cento dello spazio è occupato da indumenti ed accessori che lei non indosserà più, anche perché nel frattempo avrà preso 4 taglie di troppo. Forse, sostenete, sarebbe opportuno regalare un po’ di abiti alla Caritas.
Evitate di pronunciare questa frase, se non volete essere trafitti dal solito gelido sguardo di disprezzo unito a palese disgusto. Gli abiti, sostiene vostra moglie, sono praticamente nuovi. Se perdo una decina di chili li posso indossare nuovamente.
Ora, a parte il fatto che i chili di troppo sono più di dieci, voi avete la certezza matematica che non li perderà mai, ma avete anche l'intelligenza di non farglielo notare; pena un paio di settimane di astensione sessuale.
E' vero che la sua disponibilità sessuale è praticamente svanita. Quando torna dal lavoro inizia le faccende di casa, e pulisce, pulisce, pulisce. Mentre a voi la casa sembra già pulitissima, la donna, forse dotata di microscopio a scansione elettronica, vede lo sporco dappertutto. La conseguenza di tutto questo è che la sera, quando dopo la cena si siede sul divano per guardare la tivù, cade in letargo, in un sonno profondo dal quale è sconsigliabile destarla. Il sesso? Ma va là!
Il “paliatone” è una tradizione di antica origine, la cui istituzione si perde nella notte dei tempi. La sua funzione è stata quella di saldare i legami familiari, consentendo alla coppia di scaricare quell'accumulo di frustrazioni e di rancori che inevitabilmente con il tempo avrebbero minato la stabilità della famiglia.
Viviamo in tempi strani, dove ogni buona tradizione sta cadendo in disuso. E così anche il rito del sacrosanto paliatone viene celebrato in una sparuta minoranza di coppie, con il rischio che cada completamente in oblio.
In pratica accade questo: dopo un certo numero di anni di matrimonio l'autostima del marito raggiunge livelli infimi, mentre la rottura di palle raggiunge l'apoteosi. A questo punto il marito, giusto per riguadagnare qualche punto di quella dignità oramai persa, all'ennesimo trituramento di koglioni che la moglie metterà in atto, si imbestialirà, battendo la moglie con vigore e, diciamocelo, entusiasmo.

La moglie, appena dopo le prime resistenze, inizierà a piangere, maledicendo il giorno che vi ha incontrati, la vostra famiglia, con ascendenti, discendenti, affini e collaterali fino al terzo grado, e la propria stupidità, che consiste nell'abnegazione che ha sempre avuto per la famiglia.
Ma in cuor suo ve ne sarà grata, perché il paliatone le consente di scaricare quel senso di colpa che ha accumulato con il tempo, essendo ben cosciente di avervi fracassato i coglioni senza ritegno. Ricevendo il paliatone sentirà di aver espiato le proprie colpe, sentendosi mondata da ogni peccato, ad avrà, anzi, guadagnato un motivo in più per farvi sentire dei pezzi di merda; e di questo se ne compiace.
Dopo il paliatone entrambi i coniugi si sentono più leggeri, liberati, quasi appagati, pronti, quindi, ad affrontare nuovamente il periglioso menage familiare.
Sono fermamente convinto che l'abbandono della pratica del paliatone sia uno dei motivi dell'altissimo numero di separazioni.
Arriva un momento in cui ogni donna si sente appagata in modo totale, ed è quando si diventa vecchi. Le donne, quelle stronze, hanno la fibra molto più resistente della nostra, e nonostante il lavoro, i figli, la casa, mostrano una vitalità a noi maschietti preclusa.
Quando invecchiamo siamo alla totale mercé delle donne, le quali ci accudiscono, ci curano, ci rimproverano come bambini e come tali ci trattano. Ci portano anche a fare la passeggiata, allo stesso modo con il quale portiamo a pisciare il nostro cane.
Occorre dire che fanno tutto questo con vero amore e grande abnegazione, anche perché, finalmente, possono dare sfogo completo alla loro vera natura: quella di mamme. Il fatto di essere completamente indifesi, e dipendere da loro per ogni cosa, le gratifica oltre ogni modo, sentendo di aver raggiunto la vittoria finale nella lunga guerra matrimoniale.
Ci tratteranno come rimbambiti, anche quando non lo saremo, ma ci ameranno, ci ameranno davvero, di quell'amore materno a noi totalmente sconosciuto.















MARTEDI'

Alle dieci il gruppo di amici era già in autostrada, diretto verso i colli piacentini. La giornata era splendida, anche se fredda. Il traffico era meno intenso del solito, soprattutto quello dei mezzi pesanti, conseguenza naturale del crollo della produzione industriale e dei consumi che da troppo tempo caratterizzavano l'economia italiana.
"Sapete che un mio cugino" disse Giovanni "che fa il trasportatore, sta valutando l'idea di ritornare al suo paese, in Salento? Mi raccontava ieri che non lavora che saltuariamente, e non è più in grado di mantenere in piedi l'attività. Prima di fallire, mi ha detto, è meglio fermarsi. Ha messo in vendita il camion, ma non c'è mercato. Comunque pur di liberarsene lo svenderà a qualche commerciante che traffica con i paesi dell'est."
"E cosa farà in Salento? Non c'è anche li la crisi?" Chiese Marco.
"Si, la crisi morde in tutta Italia. Ma lui al suo paese, pensando di ritornarvi una volta in pensione, qualche anno fa ha comprato un piccolo podere con ulivi, una vigna ed un po di terra incolta. Ha la vecchia casa dei suoi genitori che ha rilevato liquidando i fratelli. Poiché i figli sono autonomi, deve preoccuparsi di campare lui e la moglie. Così, non dovendo pagare l'affitto, riuscirebbe a vivere tranquillamente, anche se modestamente, tornando a fare il contadino."
"Effettivamente" intervenne Simona "La grande città è bella, ed offre molto. Ma se non si dispone di un buon reddito, diventa un inferno."

"Infatti" riprese Giovanni "Moltissimi miei vicini di casa stanno tornando nei loro paesi al Sud. Mi dicono che se uno deve morire di fame, tanto vale farlo nel proprio paese. Milano non è più quella di una volta!"
"E' tutta l'Italia a non essere più quella di una volta" disse Marco.
"Sapete ragazzi" intervenne Carlo "ho riflettuto molto in questi giorni, e mi sono chiesto se una economia diversa non fosse possibile. Voglio dire, forse stiamo tutti sbagliando nell'ostinarci a puntellare un sistema che, oggettivamente, non ha futuro. La globalizzazione, lo sviluppo tecnologico, il costo dell'energia, la composizione demografica, l'informatica e la digitalizzazione, hanno mutato in modo profondo ed irreversibile il contesto generale. E questa mutazione è avvenuta così rapidamente da aver prodotto una sfasatura rispetto ai tempi di adattamento della società, che sono molto più lenti. Questa crisi è il prodotto di questa sfasatura. Credo che il suo scopo sia quello di consentire alla società di colmare questa distanza, e per farlo è necessario che l'economia rallenti la sua corsa, ovvero che ci si fermi un attimo."
"Effettivamente" intervenne Marco "La corsa all'innovazione, causata dalla competizione sfrenata, ha prodotto delle cose assurde. Basti pensare ai telefonini. Un prodotto eccellente, in grado di soddisfare le esigenze degli utilizzatori per parecchi anni, diventa obsoleto in pochi mesi. E così un software, e così un nuovo macchinario per l'industria. Ricordo che una volta un'industria poteva acquistare degli impianti ed utilizzarli tranquillamente per 20 anni, ed anche più. Adesso un impianto diventa obsoleto in 5 anni, con la conseguenza che occorre farlo lavorare al massimo, per ammortizzarlo adeguatamente. E' necessario, quindi, vendere tanto, e per farlo si abbassano i prezzi, gli utili si assottigliano, i salari perdono potere d'acquisto. L'erosione del potere d'acquisto dei salari costringe i produttori ad abbassare ulteriormente i prezzi, ed oltre un certo limite a spostare la produzione in paesi come la Cina. Quando i primi furbi iniziano a delocalizzare costringono i concorrenti a seguirli, con il risultato che il vantaggio iniziale sparisce, producendo miseria in occidente e non portando ricchezza nei paesi poveri, dove pochi diventano molto ricchi, e gli altri restano miserabili."
"Esiste" disse Simona "un altro effetto devastante di questa corsa forsennata all'innovazione. Dal momento che gli utili derivanti dalla produzione si assottigliano, gli imprenditori sono spinti a trovare impieghi più remunerativi ai propri capitali, e li trovano nella speculazione finanziaria. E così l'attività finanziaria è diventata tanto vasta da prevaricare ogni altra attività. Oramai tutto si muove intorno alla finanza. Ciò che doveva semplicemente essere uno degli elementi di un sano sistema economico è diventato il cardine di tutto. Ma la sua dimensione è diventata tale da soffocare l'economia reale, gli stati, le famiglie. Abbiamo creato un mostro che ci sta divorando."
"Giorni fa" intervenne Giovanni "Ho letto da qualche parte l'importo di tutti i debiti esistenti nel pianeta. Era un numero che non sono stato capace di leggere, ma ho capito che era grandissimo, molte volte il PIL mondiale. Allora io, che come sapete sono ignorante, mi sono chiesto: ma se ad ogni debito esiste necessariamente un credito, ma chi cazzo sono i creditori di una somma così gigantesca, e, soprattutto, dove li hanno presi tutti quei soldi?"
"Sono quasi tutti soldi inventati" rispose Carlo "Devi sapere che la moneta nasce dal nulla, viene creata dalle banche centrali e da quelle commerciali semplicemente con una scrittura contabile. Il problema è che questa moneta inventata nasce come debito. Mi spiego meglio: se lo stato ha bisogno di immettere soldi nell'economia non può crearli dal nulla, ma deve chiederli ad una banca che a sua volta li crea dal nulla e li presta allo stato. E così lo stato si trova indebitato e paga gli interessi. Se la banca che crea la moneta è dello stato, allora il gioco funziona, nel senso che lo stato sarebbe indebitato verso se stesso, e quindi in realtà non avrebbe debito. Ma se la banca è privata il debito diventa vero. Per estinguere questo debito lo stato dovrebbe restituire la moneta che ha preso in prestito, ma questo è impossibile per la semplice ragione che un'economia non può fare a meno della moneta. Mettiamo l'ipotesi che lo stato volesse ripagare tutto il proprio debito, dovrebbe eliminare tutta la moneta esistente e restituirla alle banche. Ma tutta la moneta esistente non basterebbe perché nel frattempo gli interessi hanno aumentato il debito. In pratica il debito è perpetuo ed inestinguibile."
"Ma è una truffa" disse Giovanni visibilmente stupito.
"Gigantesca" rispose Simona, che non era solita parlare molto, ma la sapeva lunga su molte cose. Il effetti, di qualunque cosa si parlasse, non appariva mai impreparata. "La cosa assurda di tutta questa faccenda" continuò "è il fatto che tanto più un'economia è ricca, tanto più è grande la massa del debito. In pratica, se dopo un cero numero di anni un'economia raddoppia la sua dimensione, anche la massa debitoria sarà raddoppiata. E questo avviene perché la massa di moneta necessaria in un'economia dipende dalla sua dimensione. Un'economia più grande necessita di maggiore moneta, e se la moneta nasce come debito, il debito aumenta".
"Se lo sentisse quella santa donna di mia madre, buonanima" disse Giovanni "Direbbe che siamo tutti pazzi. A parte il fatto che lei sosteneva che il debito è sempre una brutta cosa, resterebbe incredula per il fatto che tanto più si è ricchi, tanti più debiti si hanno. Questo fatto della moneta debito non lo capirebbe mai, e neanche io, veramente"
Intanto, tra una chiacchiera e l'altra, raggiunsero la loro meta. Appena furono entrati in paese accostarono davanti ad un bar per chiedere informazioni. Simona aprì il finestrino e chiese: "Scusi, mi saprebbe dire come arrivare da Luisa, la milanese?"

"Cercate la milanese? Allora, vede quella stradina che sale sulla sinistra. Faccia un paio di chilometri e arriverà alla frazione di Bellavista. C'è una casa rossa di fronte ad una chiesetta, è li"
"Grazie, gentilissimo"
Appena arrivati davanti alla casa rossa parcheggiarono alla buona e scesero finalmente dall'auto. Il loro arrivo fu subito notato da Luisa che uscì ad accogliere gli ospiti. Baciò tutti, come se fossero amici di vecchia data, e li accompagnò dentro casa. Nella grande cucina una enorme stufa in ghisa provvedeva a riscaldare l'ambiente, rendendolo, in quella giornata freddissima, più accogliente del solito. Gli ospiti si misero a loro agio e si accomodarono intorno al grande tavolo, mentre Luisa preparava un buon tè che avrebbe servito con dei biscotti fatti in casa. Sulla cucina un pentolone di coccio contenente una zuppa di legumi ribolliva con una sua dignità, sbuffando di tanto in tanto, quasi volesse farsi notare.
"E' molto accogliente questo ambiente" disse Carlo, "Ed anche molto grande. A Milano in questo spazio ci ricavano un piccolo appartamento e te lo affittano a mille euro al mese.
"Infatti a Milano si evita di invitare amici a pranzo, non ci sarebbe lo spazio sufficiente" Rispose Luisa. "In questa cucina, volendo, si può mangiare in trenta."
"E i tuoi?" chiese Simona.
"Sono andati a prendere il pane, dovrebbero essere già qui. Sicuramente si sono fermati a chiacchierare con qualcuno. Sapete, qui non si va mai di fretta, non ve ne è alcuna ragione. E così magari si va a comprare il pane e si resta a chiacchierare un'ora nella bottega del fornaio."
Proprio in quel momento si sentì aprire la porta, ed entrarono i genitori di Luisa, circondati dal profumo del pane appena sfornato. Ci furono le consuete presentazioni, e quando anche i bambini tornarono da scuola insieme al loro papà, arrivò il momento di apparecchiare la tavola.
Il pranzo, pare superfluo dirlo, fu molto apprezzato, benché fosse composto da pietanze cosiddette povere: zuppa di legumi, frittata di erbe selvatiche, salame e formaggio, il tutto accompagnato dall'ottimo pane e da abbondante rosso delle valli piacentine.
Se Carlo avesse pranzato in uno dei ristoranti che era solito frequentare insieme ai colleghi o ai clienti, avrebbe sicuramente mangiato meno bene, e non avrebbe speso meno di 70 euro a testa, mentre Luisa aveva fatto da mangiare per otto spendendo molto meno della metà. Anche questo fece riflettere Carlo, e lo spinse con più forza verso le sue decisioni.
Quando finalmente arrivarono al caffè Luisa si rivolse a Carlo "Mi ha detto Luca che sei qui per valutare la fattibilità di una tua idea. Di cosa si tratta?"
"Ho ascoltato la tua storia" disse Carlo "e ne sono rimasto affascinato. Ma la cosa che maggiormente mi ha colpito è il lavoro che ti sei inventata. Effettivamente l'idea è geniale, ed è fattibile senza un eccessivo capitale iniziale. Mi chiedevo se non potesse diventare la mia nuova attività, considerando che conosco tantissime persone, e che la gran parte di loro apprezzerebbe sicuramente la possibilità di essere rifornita di prodotti di qualità ad un prezzo assolutamente conveniente. Tu cosa ne pensi?"
"Io penso che dovresti farlo, ed anche subito. Per quanto mi riguarda ti darei senz'altro una mano, presentandoti ai miei fornitori. Credo, però, che sarebbe indispensabile che tu vivessi qui, perchè il contatto con i fornitori dovrebbe essere quasi quotidiano, e venire ogni giorno da Milano mi pare che non sia sostenibile."

"Infatti, Luisa, ci ho pensato. Si trovano case in affitto? E a quali prezzi?"
"Credo che con 200 euro al mese puoi affittare una casa dignitosa, massimo 250."
"Addirittura?" Chiese stupito Carlo, abituato agli affitti della città.
"Oppure" intervenne Simona "si potrebbe acquistare"
"Impossibile" Disse Carlo "Non posso. Già per recuperare i soldi necessari ad iniziare l'attività debbo fare una certa operazione. No, non sono assolutamente in grado di comprare nulla."
"Luisa, non sai se ci sia la possibilità di acquistare un casolare abbastanza grande?" chiese Simona tra lo stupore generale.
"Si, c'è un bel casolare in vendita alla fine della strada. Necessita, però, di una buona ristrutturazione. Si trova in una posizione bellissima, con alle spalle il bosco e sul davanti un bellissimo panorama della vallata. Ma mi pare di aver capito che Carlo non possa comprarlo."
"Carlo no, ma io si." disse Simona "Potrei vendere i due locali di Milano, e ricavarci i soldi per l'acquisto e per la ristrutturazione, forse. E' tutto da valutare"
"E cosa ne faresti?" Chiese Giovanni.
"Ci farei un bel bed & breakfast. Anch'io ho un bel giro di relazioni a Milano, tutta gente piena di soldi, e la clientela non mi mancherebbe. Anche perché mi basterebbe di guadagnare di che vivere. Potrei gestirlo insieme a Carlo, anzi, potremmo abbinare le due attività. Credo che sarebbe un'idea vincente."

"Certo che sarebbe una bella idea" disse Carlo con entusiasmo "la qualità della vita sarà il cardine di un nuovo modello di sviluppo economico, e mi azzardo a sostenere che la rinascita dell'Italia post collasso partirà proprio dalla provincia italiana, dai suoi innumerevoli e meravigliosi piccoli borghi. Alla velocità parossistica del mondo dovremo rispondere con la lentezza, alle gigantesche multinazionali dovremo contrapporre la bellezza e l'efficienza del piccolo, all'omologazione dei modelli dovremo difenderci con la ricchezza della diversità, alla bruttezza ed alla sciatteria imperanti dovremo porre un argine con la riscoperta della bellezza, perché, come disse qualcuno, la bellezza salverà il mondo."
"Carlo for president" gridò Giovanni, che iniziò ad applaudire, seguito da tutti gli altri, con gran divertimento dei figli di Luisa, che non capivano, ma partecipavano comunque dell'entusiasmo generale.
"Cosa ne dite di farci una passeggiata al casolare?" Disse Simona "Potremmo approfittare della presenza di Marco per valutare la fattibilità dell'idea".
"D'accordo, il tempo di sparecchiare ed usciamo" disse Luisa
"Non preoccuparti" intervenne la madre "Qui ci penso io. Voi andate pure."
Il casolare si presentava in stato di abbandono, circondato da erbacce e con molte persiane divelte. Aveva una struttura simmetrica, con una bellissima scalinata al centro. Un corridoio centrale lambiva la scala e lo attraversava longitudinalmente. Su questo corridoio si affacciavano le stanze, 8 per piano, oltre a piccoli vani di servizio. Al primo piano, da una porta seminascosta, attraverso una rampa di scale si accedeva al sottotetto, ampio e quasi tutto calpestabile. In fondo ad uno dei corridoi si accedeva ad una torretta, che a sua volta era collegata ad un ampio locale ad un solo piano che forse, un tempo, doveva essere la stalla. La torretta conteneva una scala a chiocciola che, oltre a collegare i piani, portava ad una sorta di belvedere, dal quale si poteva ammirare il bellissimo panorama della valle sottostante. Il portone era aperto, così il gruppo si prese la licenza di entrare per meglio rendersi conto delle condizioni generali.
"La struttura" disse Marco "Mi sembra in buono stato. Naturalmente va rifatta la copertura oltre ad alcuni interventi per aumentarne la tenuta sismica. Qualche rinforzo alle fondazioni, alcuni tiranti, e, dovendo rifare la copertura, un bel cordolo in cemento sull'intera muratura portante. I bellissimi pavimenti si possono recuperare, così come le porte interne. Vanno invece sostituiti tutti gli infissi esterni. Gli impianti si debbono fare da zero, idraulico, termico, elettrico. La scalinata richiede una buona pulitura, compresa la ringhiera liberty in ferro battuto. Per l'esterno io direi che occorrerebbe eliminare il vecchio intonaco, applicarvi un cappotto di polistirolo, e intonacarvi sopra. La zoccolatura in pietra va solo pulita, così come il portale d'ingresso."
"E quanto si spenderebbe?" chiese Simona.
"E' difficile dirlo così, potrei dire una cazzata. Comunque secondo la mia esperienza siamo tra le 200 e le 300 mila euro. Tenete presente che si tratta di 600 metri di superficie calpestabile, più o meno."
"Adesso bisognerebbe conoscere la richiesta dei proprietari" disse Simona "Luisa, sei in grado di mettermi in contatto con loro?"
"Certamente" rispose Luisa "Giù in paese abita un loro parente che ha un bar, possiamo andare a chiedere"
"Andiamo allora, la cosa mi interessa davvero, e la casa mi affascina"
Quando ebbero il numero di telefono dei proprietari del casolare Simona chiamò immediatamente:
"Pronto? Buonasera, senta chiamo per il casolare di bellavista. Ho saputo che è in vendita, e sarei interessata all'acquisto. Prima che ci incontriamo sarebbe tanto gentile da farmi sapere all'incirca la sua richiesta? Non per altro, ma se esula dalle mie possibilità è inutile che le faccia perdere tempo. Si, ho capito, va bene, la chiamo in questi giorni, arrivederci."
Il volto di Simona si illuminò. I proprietari chiedevano 200 mila euro, compresi i tre ettari di terreno di pertinenza. Secondo i suoi calcoli i locali di Milano dovevano valere all'incirca 500 mila euro. In ogni caso era così entusiasta e convinta del suo progetto che sarebbe stata disposta a vendere anche l'appartamento, che ne valeva altrettanti. Decisero di festeggiare, e tornarono a casa dove aprirono una buona bottiglia, che accompagnarono con i dolci che la mamma di Luisa non faceva mai mancare in casa. Ah! Le mamme.
Giunse finalmente l'ora di rientrare a Milano, ed appena iniziò ad imbrunire ripartirono. Quando furono prossimi alla città notarono lunghe colonne di mezzi militari, anch'essi diretti a Milano. La cosa inquietò abbastanza, così accesero la radio per sapere se fosse accaduto qualcosa.
"Sì, direttore, anche qui a Napoli una serie numerosa di disordini e di atti vandalici ha caratterizzato la giornata. La prefettura è praticamente assediata dai manifestanti, tenuti a bada da un impressionante cordone di polizia. Varie banche sono state prese d'assalto ed incendiate. Si consiglia la popolazione di restare a casa."
"Sentiamo gli aggiornamenti da Genova. Mariani, ci sei?"
"Si direttore, dietro di me c'è il centro commerciale devastato. Alcuni focolai di incendio sono ancora attivi. L'intera città è presidiata dalle forze dell'ordine e da alcuni reparti dell'esercito. Il sindaco ha invitato i cittadini a non farsi trascinare dai facinorosi."
"Aspetta in linea Mariani, abbiamo in diretta il presidente che parlerà al paese"
"Italiane e italiani, sebbene possiamo comprendere l'esasperazione alla quale la crisi ha condotto molti di voi, non possiamo giustificare gli atti di violenza di una minoranza di facinorosi che non rappresentano la parte sana del paese. Mantenete la calma, e sappiate che stimo lavorando per voi. Il consiglio dei ministri sta studiando misure urgenti per tutelare le fasce più deboli della società. Intanto ho appena firmato un decreto di urgenza per sospendere l'attività di equitalia, tutti gli atti esecutivi da chiunque proposti, gli sfratti e le sospensioni delle forniture elettriche e del gas per morosità. Voglio comunque avvisare che lo stato agirà con fermezza contro coloro che turberanno l'ordine pubblico."
"Mi chiedono la linea da Milano, Milano, ci sei?"
"Si, qui a Milano continua ad aumentare il numero di manifestanti che assedia il quartiere della Borsa e delle maggiori istituzioni finanziarie. Dopo le manifestazioni di questa giornata il prefetto ha ordinato la chiusure degli uffici pubblici, delle banche e delle scuole per la giornata di domani. Intanto stanno confluendo in città reparti militari che dovranno presidiare i luoghi strategici, dal tribunale alla prefettura, dal palazzo comunale alle stazioni ferroviarie e della metropolitana. Domani la borsa resterà chiusa.
Il silenzio fu interrotto da Giovanni che disse:" Carlo, per cortesia, lasciami alla prima fermata del metrò."
"Posso accompagnarti a casa" rispose Carlo.
"Non debbo andare a casa. Vado ad unirmi ai manifestanti. Non si può stare sempre a guardare, e che cazzo! Se siamo arrivati a questo punto è perché siamo stati dei codardi. In cambio di un po di benessere e dell'ultimo telefonino, abbiamo permesso che pochi farabutti si impadronissero della nostra vita. Abbiamo sempre permesso tutto, e non ci siamo mai ribellati, seduti comodamente davanti alla tivù che ci ha completamente rincoglioniti. Basta, adesso è arrivato il momento di agire, costi quel che costi."
"Hai ragione Giovanni." interruppe Marco "Vengo con te".
Alla prima fermata del metrò Carlo e Simona restarono soli. Quando arrivarono a destinazione Carlo spense la macchina, si volse verso Simona ed iniziò a parlare: "Stasera voglio parlare a mia moglie. Il nostro rapporto non ha più ragione di esistere. E' da tempo che siamo praticamente due estranei, ed è quindi inutile continuare questa stupida commedia. Le proporrò di tenersi la casa, e le cederei la mia quota per una fesseria: 30 mila euro. Quanto mi basta per ricominciare. Sono certo che accetterà."
Un silenzio che parve interminabile calò tra i due. Poi Simona prese la mano di Carlo, la strinse e guardandolo negli occhi gli disse: "Se nel frattempo avrai bisogno di un tetto conta sulla mia casa, non mi darai alcun fastidio." Lo baciò sulla guancia ed andò via.










MERCOLEDI'

Carlo si alzò di buon umore. La moglie aveva accettato la sua proposta, e nel pomeriggio sarebbero andati dal notaio per formalizzare la cosa. I soldi li avrebbero tirati fuori i suoceri, che avrebbero estinto anche il mutuo con la banca, ed intestato la metà della casa ai nipoti. Accese la radio per conoscere l'evoluzione della situazione. Tumulti e manifestazioni si stavano propagando in tutta Europa dove, al grido di finanza assassina, erano prese particolarmente di mira le banche. Nella notte fu indetta una riunione urgente dei capi di stato e di governo per varare misure urgentissime che potessero placare l'ira popolare. Subito dopo pensò di telefonare a Giovanni, per sapere dal vivo cosa stesse accadendo a Milano.
"Pronto, Giovanni? Ciao sono Carlo. Tutto bene? Non ti hanno ancora arrestato?"
"Non ancora" rispose Giovanni"
"Com'è la situazione?"
"A parte il freddo boia, tutta la zona è paralizzata. Ci saranno almeno 100 mila persone, tutte incazzatissime. Stanotte la polizia ha cercato di sgomberare la folla, ma stavolta non si è trovata di fronte studenti annoiati che hanno voglia di qualche scarica di adrenalina. Stavolta si è trovata di fronte padri di famiglia disperati e disposti a tutto; gente che dorme in macchina, per capirci. Praticamente le hanno prese di santa ragione. Adesso sono arrivati vari reparti dell'esercito, ma la gente si sta organizzando. Ci disperderemo in centinaia di gruppi di 4 o 500 persone, e creeremo casini un po ovunque. Attaccheremo e ci disperderemo in pochi minuti, per ricomparire su un nuovo obiettivo. Li dobbiamo fare impazzire, con la stessa tecnica che hanno usato l'altro giorno per bloccare la tangenziale. Speriamo solo che il governo capisca e prenda provvedimenti tali da soddisfare le richieste minime della gente, altrimenti stavolta si arriva davvero alla guerra civile."
"Stai attento Giovanni, abbi cura di te"
"Tranquillo Carlo, succeda quel che deve succedere, ma uno, nella vita, qualche soddisfazione deve pure averla, e che cazzo!"
"Ciao, ti saluto"
Carlo uscì poco più tardi, e come prima tappa andò al bar per fare colazione. Deborah, appena lo vide , preparò il solito caffè. Gli avventori del bar erano incollati davanti alla tivù, per seguire l'evolversi della situazione. Le borse di tutta Europa erano chiuse, e probabilmente sarebbero restate chiuse tutte le maggiori borse mondiali. Il ragionier Bonetti, appena arrivato, salutò Carlo e, scuotendo la testa, disse: "Solo gli stupidi non potevano immaginare che sarebbe finita in questo modo. Io l'avevo capito da molto, e sa da cosa lo avevo capito?"
"Da cosa?" chiese Carlo.
"Guardi li di fronte, sotto il palazzo rosso. Sa quali attività c'erano nei locali a pian terreno fino a 10 anni fa? All'angolo un artigiano vetraio, subito dopo il signor Antonio, che riparava elettrodomestici, poi la drogheria della signora Isabella, ancora dopo una ferramenta, poi la lavanderia e alla fine Marcello, che vendeva e riparava biciclette. Guardi ora cosa c'è: una banca, una società finanziaria, una sala scommesse, un compro oro, un'agenzia immobiliare, una sala di slot machine."
"Effettivamente non ci avevo mai pensato" disse Carlo.
"nessuno" riprese il ragionier Bonetti "riesce a cogliere certi segnali. Ma a saperli leggere sono meglio di un libro aperto"
"Le posso offrire un caffè, ragioniere?" chiese Carlo
"La ringrazio. Vede, quando ancora lavoravo in banca noi impiegati conoscevamo tutti i nostri clienti, e le valutazioni le facevamo innanzitutto sulla conoscenza personale delle persone, mentre le carte contavano relativamente. Poi hanno deciso che le piccole banche del territorio dovessero sparire, perché solo le grandi banche sarebbero state efficienti, ed il risultato è che i clienti sono diventati semplici numeri, e le decisioni vengono prese da un computer che magari sta ad Hong Kong. Le conseguenze di queste scelte sono sotto i nostri occhi: un grande, gigantesco, galattico patatrak finanziario. E la cosa più assurda è che le banche hanno convinto i governi a far pagare ai cittadini le loro sciagurate speculazioni. Ecco perché sta saltando tutto. Per l'avidità di pochi e la complicità di molti. Se la gente capisse davvero le cause della crisi non esiterebbe ad impiccare tutti i banchieri. Ma la gente viene costantemente imbrogliata, ed il rischio è che se la prendano solo con i politici, e non con i loro mandanti. Mah, grazie del caffè."
"Purtroppo" intervenne Carlo "stiamo usando male la democrazia, eleggendo le persone sbagliate"
"La democrazia" rispose il ragionier Bonetti "Sta funzionando egregiamente, nel senso che sta funzionando esattamente nel modo previsto dalle oligarchie che l'hanno creata. Loro sapevano benissimo che la gran parte della popolazione è costituita da emeriti coglioni, facilmente manipolabili. In questa finta democrazia il governo va in mano ad una maggioranza che quasi sempre non rappresenta più del 20% della popolazione. Praticamente il 20% degli elettori, quelli più ignoranti, incapaci e parassiti, determinano la composizione del governo. Provi a riflettere: il voto di un analfabeta che vive di espedienti vale come quello di un imprenditore che paga montagne di tasse, o come quello di un ricercatore di alto livello. Le pare un sistema efficiente?
"Effettivamente" rispose Carlo " La democrazia non ha prodotto grandi risultati. Molti credono che il nostro benessere sia dovuto proprio al sistema democratico, mentre in realtà il merito va tutto all'enorme aumento della produttività, grazie ai progressi scientifici e tecnologici. Forse, anche nel medio evo, se avessero avuto a disposizione i mezzi di oggi, ci sarebbe stato lo stesso benessere di cui godiamo noi."
"Bravo, vedo che ha capito" disse il ragionier Bonetti "Il rispetto dei diritti umani ed il benessere non sono necessariamente legati al suffragio universale, ovvero a quella che noi chiamiamo democrazia. Il nostro è un sistema rappresentativo, ma non democratico, per la semplice ragione che la sovranità appartiene ad una oligarchia che agisce da secoli dietro le quinte. Il resto sono chiacchiere."
Quando il ragionier Bonetti si congedò, Carlo uscì dal bar e si diresse a piedi verso la galleria del pazzo. Fino al pomeriggio non aveva alcun impegno, e così pensò di fare una lunga passeggiata a piedi, lusso che non si concedeva da tantissimi anni. Camminò senza fretta, guardandosi intorno. Alla fermata del metrò vide che
vi stazionava un mezzo dell'esercito con alcuni militari annoiati, che cercavano di darsi un decoro, ostentando una inutile professionalità. Più avanti un nutrito numero di famiglie sfrattate aveva occupato i locali di un ex grande magazzino che aveva chiuso da pochi mesi. Ci fu un primo sgombero, ma lo spazio venne rioccupato due giorni dopo.
Carlo percorse alcune strade che fino a pochi anni prima erano gremite di negozi di ogni tipo, con i marciapiedi illuminati da una moltitudine di insegne che parevano contendersi lo spazio disponibile, e gente che li percorreva a tutte le ore. I bar erano sempre affollati dai commercianti dal volto soddisfatto che offrivano da bere ai clienti.
Oggi le stesse strade erano desolate. Una quantità enorme di saracinesche abbassate sulle quali, quasi come una supplica, erano affissi cartelli "affittasi" o "vendesi", nella speranza di trovare nuovi improbabili inquilini. Sull'uscio dei pochi negozi rimasti, commercianti dal volto funereo scrutavano i concorrenti, trovando una miserabile consolazione nella comune mancanza di clienti. I bar limitavano al massimo l'accensione delle luci, per contenere le spese. Uno squallore che veniva amplificato dallo stato disastroso del manto stradale, dallo stato di abbandono in cui versava il verde pubblico , e dalla sporcizia diffusa.
Carlo, chiuso nel suo ovattato ufficio, o nei luoghi alla moda che normalmente frequentava, non si era reso conto del declino che la città aveva subito in questi ultimi anni. Mentre faceva la spesa nei grandi centri commerciali, la città lentamente moriva, e lui non se ne accorgeva, come la gran parte degli italiani. Questa lenta agonia non era solo il frutto della crisi economica, ma di una serie di scelte scellerate insite nell'idea stessa di una certa modernità. Come, ad esempio, una certa pianificazione urbanistica che ha determinato la zonizzazione del territorio urbano. Separare le varie funzioni e relegarle in zone ben definite ha prodotto un risultato disastroso, e cioè quello della desertificazione umana di interi quartieri per buona parte della  giornata.
Camminare in certi quartieri dopo le diciotto incuteva paura. Non vi si incontrava anima viva, ne un bar aperto, ne alcun segno di vita sociale. E cosa restava di un centro commerciale dopo la sua chiusura? Solo lo squallore un po inquietante di un grandissimo parcheggio deserto, e forse, a confermare che l'umanità non si era ancora estinta, qualche puttana in attesa di clienti. Ma la tradizione della città italiana era ben diversa, e dimostrava, se ancora fosse necessario, che probabilmente i nostri antenati erano più intelligenti di noi.
Prima delle follie urbanistiche in una città le funzioni erano confuse, e così si trovava il palazzo del signore in mezzo alle case del popolo, le botteghe degli artigiani e le attività commerciali sotto le abitazioni, i palazzi del potere, il mercato, la chiesa, sempre immersi nel tessuto urbano, senza cercare un innaturale isolamento. E questo faceva si che la città fosse sempre viva in ogni suo luogo, con un senso di sicurezza garantito dalla presenza attiva di tutta la comunità. Naturalmente anche l'assenza della televisione costringeva le persone ad una maggiore socializzazione, così come la presenza costante dei bambini nelle strade.
Mentre Carlo faceva queste considerazioni si ritrovò davanti alla galleria del pazzo. Appena Luca lo vide gli andò incontro, lo salutò, e gli disse:
"Mi sono sentito con la Luisa. Mi ha detto dell'idea che avete avuto tu e la Simona: sai che vi invidio? Se potessi fare il lavoro che faccio in una piccola città scapperei anch'io da Milano. Purtroppo il mio lavoro vive di una clientela di nicchia, e solo in una grande città si riesce ad avere i numeri per sopravvivere."
"Effettivamente" rispose Carlo "Non sono molte le persone che amano i libri, o l'arte, o il design, mentre tutti, in qualche modo, debbono mangiare. Comunque oggi ho appuntamento dal notaio e dovrei incassare un assegno di trentamila euro. Domani lo verso in banca, e poi corro ad affittare una casa a Bellavista. Sperando che le banche riaprano."
"Credo di si" intervenne Luca "Hai sentito le decisioni che hanno preso? La BCE diventa banca di ultima istanza, ed acquisterà i titoli di stato al tasso dello 0,5% fino ad un massimo del 50% del PIL di ogni paese. In questo modo la pressione fiscale verrà drasticamente ridotta, ed il deficit sarà coperto dall'emissione di titoli pubblici. Inoltre gli stati vareranno grandi piani di lavori pubblici per garantire un reddito a tutti i disoccupati, che verranno pian piano riassorbiti dalle aziende a seguito della ripresa economica. Sarà garantito a tutti il diritto all'abitazione, con interventi dello stato per coloro che non saranno in grado di pagare l'affitto. Le grandi banche verranno tutte nazionalizzate, e verrà imposto il pareggio della bilancia commerciale nei confronti dei paesi esterni all'Europa, ad esclusione delle materie prime. Nel frattempo viene sospesa l'attività di Equitalia, e si sta preparando un condono tombale di tutti i debiti pregressi verso lo stato."

"Mi pare una vera rivoluzione" disse Carlo "E mi chiedo perché abbiano aspettato tanto per fare cose che potevano essere fatte qualche anno fa, limitando la sofferenza della gente"
Proprio in quel momento squillò il telefonino di Carlo: "Pronto? Oh, ciao Sironi, si, dimmi" Carlo ascoltò un paio di minuti poi riprese "ti ringrazio Sironi, sei un vero amico, ma sai, ho preso altre decisioni, non mi interessa più il lavoro che facevo, ti ringrazio di cuore. In questi giorni ci vediamo che ti rendo i soldi che mi hai prestato. Di nuovo grazie, ciao."
"Immagino che ti abbiano offerto un lavoro" disse Luca.
"Si, ma è troppo tardi" rispose Carlo "In questi giorni il Carlo di una volta è morto. Sono un uomo nuovo, ed ho intenzione di iniziare una vita nuova"
"Sono contento per te" disse Luca, che proprio in quel momento fu chiamato da una coppia che curiosava nella galleria:
"Mi scusi, mi può dire il prezzo di questa libreria?"
"Questa viene 800 euro, un vero regalo. Tenete presente che è tutta in legno massello decapato bianco con vernici all'acqua. E' ispirata alle opere di Ceroli. Vedete le due figure sagomate che fungono da ante? Bene, l'artista è in grado di personalizzare la libreria con le vostre siluette. In pratica vi fa le foto, e ricava i disegni per le ante. Vuole un piccolo sovrapprezzo, diciamo 200 euro"
"In pratica i due personaggi potremmo essere io e mio marito?"
"Esattamente. Un vero lusso ad un prezzo da mercatone. Naturalmente senza fattura"
"Bellissima idea. Per noi va bene. Come dovremmo procedere?"
"Semplice, adesso prendo la macchina digitale e vi scatto una serie di foto, dalle quali l'artista realizzerà i disegni che vi manderà tramite e-mail per la conferma. Dopo un paio di settimane la libreria sarà pronta."
"Vi dobbiamo lasciare un acconto?"
"Dovete darmi un acconto, l'indirizzo e l'e-mail"
"Contanti naturalmente?"
"Naturalmente".
Carlo assistette alla trattativa, contento che Luca anche quel giorno portasse la pagnotta a casa. Appena i clienti andarono via Luca propose un bel caffè. Poi chiese: "Carlo, dove vai a mangiare?"
"Veramente non so" rispose Carlo "Credo che mangerò qualcosa in un bar"
"Allora resta qui con me, ordino qualcosa alla rosticceria all'angolo. Ti va bene pollo con patate?"
"Benissimo, ma tu non chiudi a mezzogiorno?"
"No, faccio orario continuato. Tanto, in fondo, questa è la mia casa. Ora vado a prendere le munizioni da bocca, Dammi un'occhiata alla galleria"
Luca uscì, e proprio allora entrò una signora che cercava dei quadri per il proprio ufficio.
Rivolta a Carlo, chiese:" avrei bisogno di qualche quadro per abbellire lo studio, ma non ne capisco niente. Mi saprebbe dire cosa è adatto per un ufficio?"

Carlo, improvvisando una competenza che non aveva, rispose: "I quadri più indicati in ogni luogo sono quelli che vi emozionano. Non ha importanza la tecnica, lo stile o il soggetto. Quello che conta è che guardandoli vi procurino una emozione piacevole. L'arte, signora, non va capita, l'arte va sentita. Con la conseguenza che il quadro migliore è quello che più vi piace."
"Dice davvero? Perché a me piacciono questi due verticali e quello grande quadrato, pieno di colore. Solo che mi chiedevo se fossero indicati per lo studio. Quindi lei dice che non sbaglio?"
"No signora" rispose Carlo "Quando si fa ciò che piace, e non si danneggia il prossimo, non si sbaglia mai"
"E mi farebbe un po’ di sconto?"
"Se ha la pazienza di aspettare, tra breve sarà qui il titolare, sono sicuro che la terrà contenta"
Appena Luca rientrò Carlo lo mise al corrente della trattativa. "Signora, innanzitutto complimenti per la scelta. Se non le occorre la fattura le posso fare un ottimo sconto. Guardi tutti e tre vengono 1000 euro. Senza fattura le tolgo duecento euro. Con quei soldi si va a comprare delle bellissime scarpe, alla faccia dei parassiti del governo."
"Va bene lo sconto. Me li può consegnare lei? Le lascio l'indirizzo e un acconto."
La signora andò via, e Luca parve particolarmente contento per come andava la giornata. Sedettero in un angolo appartato della galleria, aprirono una bottiglia di vino e consumarono il loro pasto. Discorsero da buoni amici, con ironia e leggerezza, come si conviene tra persone intelligenti.

Nel pomeriggio, all'ora stabilita, Carlo fu dal notaio. Tutto si svolse rapidamente, e così, dopo aver firmato un po di carte, salutò tutti con una certa freddezza, ed uscì con l'assegno.
Si sentì finalmente liberato, e decise di festeggiare con i suoi amici. Telefonò prima a Marco, poi a Giovanni, per invitarli alla galleria del pazzo dove, in serata, avrebbe voluto festeggiare la libertà riconquistata. Finalmente telefonò a Simona:
"Pronto? Simona? Ciao sono Carlo. Senti volevo invitarti per stasera da Luca, per festeggiare."
"Cosa devi festeggiare?" chiese Simona.
"La libertà. Sai sono stato dal notaio per formalizzare l'accordo con mia moglie. Mi sento rinato, e pronto per affrontare una nuova vita."
"Sono contenta per te. Stamattina sono stata in agenzia per dare il mandato per vendere i due locali. Speriamo che riescano a trovare subito degli acquirenti. Voglio vendere subito, e sono anche disposta a scendere con il prezzo."
"Quindi sei proprio decisa?" Chiese Carlo.
"Ci ho riflettuto a sufficienza, e sono assolutamente determinata."
"allora vengo a prenderti, ti va bene alle 19?"
"Sarò pronta, ti aspetto."
All'ora stabilita Carlo passò da Simona, la prese in macchina e si avviò verso la galleria. Il freddo si era fatto più intenso, e si prevedevano nevicate anche a bassa quota. I pochi pedoni che si vedevano avevano il passo più veloce del solito, mentre le serrande dei negozi ancora aperti iniziavano ad abbassarsi. La città si stava spegnendo, acquistando quell'aspetto spettrale che hanno tutte le grandi città dopo la chiusura dei negozi, quando i suoi abitanti si chiudono in casa per cenare ed incollarsi dinanzi alla tivù, a farsi rimbambire a dovere ed a ricevere la quotidiana dose di disinformazione.
Quando Carlo e Simona arrivarono alla galleria gli ultimi clienti stavano uscendo. Giovanni era già presente, accompagnato dalla moglie che iniziava ad essere sospettosa per le ripetute ed inusuali assenze del marito. Appena dopo le presentazioni di rito arrivò anche Marco, portando alcune bottiglie prelevate dalla sua copiosa scorta. A quel punto Carlo disse: "Bene, ci siamo tutti?"
"Non proprio" rispose Luca. "Dovrebbe arrivare mia moglie, che oggi non è di turno in ospedale, insieme ad un'amica. Sapete, ho pensato che non fosse bello che Marco non avesse una compagnia femminile, visto che siamo tutti accoppiati."
"Luca" intervenne Marco "Sei un vero amico. Ma non è che mi appioppi una racchiona?"
"Stai tranquillo. Sicuramente non è una ragazzina di primo pelo, ma, nonostante l'età, è ancora una bella donna. Vedrai, sarà una sorpresa, per tutti."
"Allora" disse Giovanni "Iniziamo a preparare per otto. Piuttosto, cosa mangeremo?"
"Beh, adesso preparo una cosa squisita, che forse molti di voi non hanno mai mangiato. Conoscete l'acqua e sale?"
"Io la conosco" disse Marco "La mangiavo spesso quando andavo in ferie giù in puglia, ed è squisita"
"Ho il pane che mi porta la Luisa, ed è diventato duro. Vi faccio vedere come si recupera per fare una prelibatezza. Innanzitutto si bagna così che si reidrati. Poi si prendono dei bei pomodorini rossi e maturi al punto giusto, si tagliano a metà e si spremono sul pane, lasciando le bucce. Si innaffia tutto con eccellente olio extravergine e si sala. Per completare si affetta la cipolla cruda e si sparge sul pane."
Proprio in quel momento arrivò la moglie di Luca, accompagnata dall'amica. Marco si affrettò a guardarla per assicurarsi che l'amico non gli avesse tirato un bidone. Poi, all'improvviso, gli parve di conoscerla. Rimase qualche momento in dubbio fin quando non esclamò: "Chiara, sei chiara?"
"Si, sono proprio io"
"Ma guarda che bella sorpresa!" disse Marco, abbracciandola, seguito da Giovanni e da Carlo.
Trent'anni fa, Chiara faceva parte della loro comitiva, poi all'improvviso scomparve. La sua famiglia si trasferì dalla parte opposta di Milano, e si persero di vista. Un paio di anni prima Luca la incontrò per caso in ospedale, e da allora si tennero in contatto. Era una collega della moglie.
"Ragazzi, accomodiamoci." Ordinò Luca, premurandosi, senza farsi notare, di far sedere vicini Marco e Chiara. Posò i vassoi con l'acqua e sale sulla tavola, aprì il vino, e diede il buon appetito a tutti. Carlo si guardò intorno, e notò la felicità di tutti i commensali. Non aveva mai notato la stessa felicità a la stessa armonia nelle tantissime cene a cui, nel corso degli anni, aveva partecipato, insieme alla moglie o ai colleghi. Eppure aveva frequentato i ristoranti più costosi insieme alla gente "giusta", dove ognuno si sentiva obbligato a recitare la propria parte, e ad indossare un abito che non gli apparteneva. E si rese conto della grande differenza tra un sorriso di circostanza ed un sorriso spontaneo, tra una gentilezza formale e un bel vaffanculo detto con il cuore da un amico. Ognuno, quella sera, era se stesso, e questo rendeva gli animi più leggeri e l'atmosfera decisamente gradevole.

Mangiarono di gusto, com'era naturale in quelle circostanze, apprezzando la semplicità del cibo ed innaffiando di buon vino le proprie inibizioni, che pian piano andavano allentandosi.
Luca, com'era solito, ad un certo punto volle indossare i panni che più gli erano congeniali: quelli del poeta. "Amici, permettetevi di recitarvi una poesia che dedico a Carlo e Simona, che mi paiono come due adolescenti innamorati:
Se tu m'appartenessi totalmente
e finalmente sciogliessi
le rugginose catene
che tanta parte di te rendono schiava
ti prenderei per mano
e verso i mondi ai quali apparteniamo
ti porterei.
Ti porterei con me
dolce compagna
ti porterei con me lontano
lasciando piano piano
gli antichi fardelli e le frustrazioni
e le amarezze andate
e le vane illusioni.
Ti porterei con me
ove io da tanto bramo d'esservi immerso
e lascerei lontano ciò che è stato
e lascerei lontano
ciò che fummo nostro malgrado
E mano nella mano
con passo dolce e lento andremmo
come unico corpo
da spirito nuovo avvolto.
Tutti applaudirono entusiasti, guardando con ironia i due passerotti piuttosto imbarazzati. Nel frattempo anche tra Marco e Chiara parve che si stesse instaurando una certa complicità, foriera di imprevedibili sviluppi.
Giovanni, un po’ per l'atmosfera, un po’ aiutato dall'ottimo vino che bevve di gusto, fu particolarmente affettuoso con la moglie, la quale apprezzò questo ritrovato entusiasmo da parte del marito. "Dovremmo incontrarci più spesso" disse ridendo "se queste serate servono a ricordare a mio marito di avere una moglie, e non solo una cameriera".
"Purtroppo" intervenne la moglie di Luca "Tutti i mariti, dopo 20 anni di matrimonio, si dimenticano che ci piacerebbe, ogni tanto, essere corteggiate, o ricevere qualche gentilezza. Invece preferiscono fare i galletti con donne molto più giovani, come se loro non fossero invecchiati. Evidentemente si guardano poco allo specchio."
Tutte le donne risero, molto meno gli uomini.
"Il mio ex marito" disse Chiara "mi ha lasciata per una ragazza che ha quasi l'età di nostra figlia: una cosa patetica. Adesso, dopo essere stato abbondantemente cornificato, è stato a sua volta lasciato, e si è ripresentato da me. Evidentemente gli serviva una badante per la vecchiaia. Gli ho detto di non farsi mai più vedere, e mi sono tolta la soddisfazione di chiamarlo cornuto. E' stata un'esperienza liberatoria poterglielo dire in faccia: cornuto, vai a dormire sotto i ponti."
Tutti risero, uomini e donne, mentre Marco, approfittando del frangente, abbraccio Chiara, con il pretesto di complimentarsi; pare che a Chiara la cosa non dispiacque.
Fu così che trascorse quella serata, destinata a fissarsi nella memoria di tutti i partecipanti per gli anni a venire: seduti intorno ad un tavolo di fortuna, su sedie e poltrone che attendevano ben altri destini, mangiando del cibo quasi spartano. E fu così che Carlo imparò un'altra lezione: nel mercato della felicità il denaro non è l'unica valuta accettata.
Mangiarono, bevvero, risero, cantarono. Quando Luca prese la sua vecchia chitarra ed iniziò a strimpellare le canzoni che furono la colonna sonora della loro adolescenza, tutti si unirono al coro, e tutti credettero, per qualche momento, che il tempo scorresse all'incontrario. Non mancarono di intonare canzoni come "contessa", o "la locomotiva" ed altri brani di quella generazione in eschimo che si illudeva di cambiare il mondo, e che invece fu cambiata dal mondo.

Quando giunse l'ora di andare si accorsero che una timida nevicata cercava, senza riuscirci, di imbiancare il paesaggio, aggiungendo un tocco di magia a quella serata indimenticabile. Ognuno prese la sua strada, e Marco si offrì di accompagnare chiara, che accettò di buon grado.
















GIOVEDI'

Quando Carlo si alzò si accorse che, all'improvviso, si sentiva estraneo in quella che fu per anni "la sua casa", e che fosse quindi giunto il momento di fare le valigie. Pensò di accettare l'ospitalità di Simona, almeno fin quando non si fosse trasferito a Bellavista. Ne avrebbe parlato con Simona quella stessa sera. Intanto, quella mattina, pensò di incontrare il suo amico Sironi, sia per saldare il debito, che per parlargli delle sue decisioni.
"Pronto Sironi? Ciao sono Carlo. Senti, è possibile incontrarci?
Certamente, puoi venire in azienda. Ti aspetto."
L'azienda in cui Sironi lavorava occupava uno dei tanti anonimi palazzoni dalle facciate in vetro che costellano la periferia Milanese, tra svincoli stradali, frammenti di archeologia industriale, qualche residuo palazzo popolare che imperterrito resiste alla furia della speculazione edilizia, e l'ennesimo anonimo centro commerciale. Quando Carlo vi giunse, si rivolse alla reception, dove una delle ragazze, la solita stagista laureata con il massimo dei voti, lo accolse con un bel sorriso standard. Il suo misero stipendio di 400 euro al mese era giustificato dal fatto di potersi mettere in mostra in un luogo trafficato da una moltitudine di persone che contano. E così, ben conscia del fatto che la sua improbabile carriera dipendeva più dalla sua avvenenza e disponibilità, che non dalla preparazione professionale, vestiva da gran puttana, come si conviene a chi voglia aumentare le proprie chance.
"Sono atteso dal dottor Sironi" disse Carlo.
"Un attimo" rispose la ragazza mentre provvedeva a chiamare chi di dovere. "Il dottor Sironi l'attende. Vada al sesto piano, in fondo al corridoio a destra"
"Grazie" rispose Carlo "E complimenti per la mise"
La ragazza sorrise, lusingata, mentre seguiva Carlo che guadagnava l'ascensore.
Arrivato all'ufficio del suo amico, Carlo bussò, e fu lo stesso Sironi ad aprirgli la porta. Si salutarono senza formalità e si accomodarono.
"Lo prendi il caffè?" chiese Sironi, che senza attendere la risposta si rivolse alla segretaria "Daniela, ci faccia due buoni caffè; Grazie."
"Sironi" disse Carlo "innanzi tutto voglio saldare il mio debito: ecco l'assegno".
"Carlo" iniziò Sironi "guarda che non c'era nessuna fretta. Se quei soldi possono esserti utili li puoi tenere, al momento non mi servono"
"Sironi, so che sei un amico, e ti ringrazio." Rispose Carlo "ma preferisco togliermi il debito. So che, nel caso ne avessi bisogno, potrò contare su di te"
"Contaci" interruppe Sironi. "Ma dimmi: cos'hai in programma? Mi pare di aver capito che hai trovato una soluzione per il lavoro, di cosa si tratta?"
Carlo raccontò a Sironi l'esperienza di Luisa, e di come questa esperienza potesse trasformarsi in un lavoro abbastanza soddisfacente. "Io credo" disse Carlo "che ci sia una tendenza in atto tale da esaltare alcuni valori che, in questi decenni di affannosa corsa alla crescita ed all'innovazione, abbiamo trascurato. Tra questi valori vi è la qualità del cibo, tanto a livello di gusto che di salubrità. La gente, soprattutto le classi più agiate, apprezzerà sempre di più i cibi quanto più possibile naturali. Se poi si riesce ad offrire questi cibi allo stesso prezzo dei prodotti normalmente reperibili sul mercato, non dovrebbe essere difficile creare un portafoglio di clienti abituali. La mia idea è quella di farli sentire come se appartenessero ad un club esclusivo, anche organizzando manifestazioni culturali a Bellavista.

"Carlo" intervenne Sironi "Hai avuto una idea geniale, da vero mago del marketing. Ascolta, dobbiamo assolutamente approfondire. Come già ti ho detto mi sono irreversibilmente rotto i coglioni di questo lavoro, e della pressione continua che sto ricevendo per raggiungere risultati sempre in crescita. Non ho più trent'anni, e l'energia inizia a scemare, per non parlare dell'entusiasmo per il lavoro che faccio, che è praticamente a zero. Vedi, stamattina sono qui, ed ho appena parlato con il mio capo. Avrei voluto mandarlo a fare in culo, lui e l'azienda. La cosa che maggiormente desidero in questo momento è uscire da questo ufficio, staccare il telefonino, ed andare in giro, senza nessuna meta."
"Fallo" disse Carlo "Metti il cappotto ed usciamo. Cazzo, Sironi, se non possiamo permetterci di fare qualche piccola follia vuol dire che la nostra vita è diventata vuota, o, come dicono i miei amici, omologata. Tu sei in prigione, come lo ero io fino ad una settimana fa, legato con le invisibili catene delle convenzioni, degli obblighi, del successo, dello stipendio, dell'immagine. Tu non stai più vivendo, ma stai semplicemente esistendo. Fai una cosa che non ti piace, e non ti puoi permettere nemmeno una piccola follia. In questi giorni ho conosciuto delle grandi persone, e la loro grandezza è dovuta alla loro capacità di essere felici con poco, e di saper cogliere tutti gli aspetti positivi della vita, anche e sopratutto quelli che abbiamo davanti a noi ma che non riusciamo più a vedere, per la semplice ragione che non si acquistano con la carta di credito. Abbiamo perso di vista tutto ciò che è gratis, e dato valore solo a ciò che ha un prezzo, e tanto più il prezzo è alto, tanto più valore gli diamo.
Abbiamo vissuto da stupidi, Sironi, questa è la verità."
Sironi si alzò di scatto, indossò il suo cappotto, e disse alla segretaria: "Daniela, io esco e non so quando torno, e, a dire la verità, non so neanche se torno."
"E se chiama il direttore? Cosa gli dico?"
"Lo mandi a fare in culo da parte mia"
"Ma dottor Sironi......e se chiama sua moglie?"
"Mandi a fare in culo pure lei"
Carlo e Sironi uscirono insieme, armati dell'entusiasmo della giovinezza, ovvero di quel tempo in cui si è ancora capaci di sognare. Che non fossero più giovani era evidente, e ne erano consapevoli. Ma forse proprio per questo, rendendosi conto della fugacità del tempo e della vita, parevano decisi a fare semplicemente quel che amavano, e vivere il resto della loro esistenza con una sana leggerezza. Così Carlo decise di svelare a Sironi la prima regola della felicità: non prendersi mai troppo sul serio; e ridere, ridere, ridere.
Entrarono in macchina, e si diressero fuori Milano. Puntarono verso Mantova, cercando di evitare le arterie principali e praticando soprattutto le poco trafficate strade della campagna lombarda, imbiancata da un sottile strato di neve. Una leggera nebbia rendeva il paesaggio quasi surreale, aiutandoli nel loro scopo: quello di perdersi. Si ritrovarono nella piazza di uno dei tanti borghi che costellano la pianura, dove, con loro grande stupore, scorsero una piccola bottega di alimentari. Pensavano che si fossero estinte, fagocitate dal proliferare dei centri commerciali. Colsero l'occasione per rifornirsi di alcuni panini con la mortadella e di un fiasco di barbera. Poi uscirono dal paese, fin quando non trovarono un posto abbastanza isolato. Vi si fermarono, scesero dalla macchina, e consumarono il loro frugale e nobile pasto.
"Da quando non senti il suono del silenzio?" chiese Carlo. "Non il silenzio di Milano, perennemente accompagnato da un ininterrotto brusio di sottofondo. Intendo questo silenzio, il vero silenzio."

"Ne avevo dimenticato il suono" Rispose Sironi "E' magnifico"
"E' più che magnifico, è magico. Nella nostra arroganza razionalista abbiamo perso il senso della magia, che, in fondo, è il vero senso della vita"
"Hai ragione Carlo. Siamo stati stupidi ed arroganti."
"E adesso dimmi: come ti sembra questo pranzo?"
"Meraviglioso. E' da molto che non mangiavo con tanto gusto. Ma non dire niente: ho capito tutto."
Stettero per un po’ in silenzio, mangiando e bevendo dell'ottima Barbera. La bianca campagna, interrotta da lunghi filari di pioppi che sfumavano nella nebbia man mano che si allontanavano, pareva volesse, con il suo candore, mondare i peccati del mondo. Furono felici, di quella felicità irrazionale che non trova spiegazione nei canoni della modernità, ma solo nell'insondabile natura dell'animo umano.
Non appena ebbero finito il loro semplice pasto rientrarono in macchina, godendo del tepore che l'abitacolo aveva in parte conservato. Ripartirono senza fretta, continuando la loro chiacchierata. "Questo paesaggio" disse Sironi "mi ricorda l'infanzia, e la periferia in cui abitavo. Allora nevicava molto più di ora, e la nebbia, in inverno, era una presenza costante. Mi sovviene una poesia che lessi da qualche parte, e che mi è rimasta impressa tanto mi ricordava certe atmosfere:
Milano, Milano
le tue periferie
grigie e nebbiose
e fascinose e lievi
quando candide nevi
su campi ed officine
smorzano i suoni antichi
e la tristezza
svanisce con la brezza
del mattino."
"E' bellissima" disse Carlo "Ed effettivamente ascoltandola pare di rivivere certe atmosfere dell'infanzia. A proposito di poesia, voglio farti conoscere un mio amico poeta. Si chiama Luca, ed ha una specie di libreria. Una persona di grande cultura, intelligenza e sensibilità."
"Scommetto che non ha un euro" disse Sironi "La mia esperienza mi ha insegnato che cultura, intelligenza e sensibilità sono elementi negativi per chi voglia fare business. Occorrono ben altri valori per ottenere il successo economico: ambizione, egoismo, cinismo, e molto spesso anche una buona dose di mediocrità."
"Hai ragione" rispose Carlo " Se noi misurassimo tutto con il metro del successo economico, dovremmo sostenere che Luca, e quelli come lui, abbiano fallito. Ma il denaro, a differenza di quello che hanno voluto farci credere, non è l'unico strumento di misura. Direi, anzi, che sia il più fallace. Credo che uno degli strumenti più affidabili per valutare il successo di una persona sia la sua felicità, ovvero la leggerezza e la serenità con le quali affronta la vita. E posso garantirti che, messa in questi termini, ho conosciuto più gente di successo tra persone dai redditi modesti che tra coloro che dispongono di redditi molto più alti. Chi riesce a fare quel che ama, e comunque a procurarsi un reddito che gli consenta una vita dignitosa, è una persona di successo. Il mondo ci offre una quantità enorme di cose capaci di darci piacere, e si tratta quasi sempre di cose gratuite, che sono a disposizione di tutti, basta prenderle. Eppure ci affanniamo per accumulare denaro, ed accumularne sempre di più. Siamo diventati una società grigia, rancorosa, invidiosa, incapace di solidarietà che non sia spettacolo. La nostra, caro Sironi, è una società in bancarotta."
"Ogni giorno che passa" riprese Sironi "si fa sempre più forte in me la convinzione che il sistema salterà, e nessuno, per quanto possa essere capace, riuscirà a tenere in piedi questa costruzione tanto complessa quanto fragile. Fino a pochi decenni fa le guerre, le carestie e le epidemie, provvedevano a riportare in equilibrio il mondo. L'intervento dell'uomo ha alterato il corso naturale delle cose. E così la popolazione ha iniziato a crescere oltre le possibilità del pianeta di darle sostentamento. Così come, allungando la vita delle persone, abbiamo alterato il giusto rapporto tra i giovani e i vecchi. Si è fatto credere che la perenne giovinezza fosse un diritto di tutti. E così ogni vecchio non riesce più ad accettare la malattia ed il deterioramento fisico, e pretende di essere curato nel migliore dei modi. Di questo passo tutti i paesi occidentali collasseranno sotto il peso della spesa pensionistica e sanitaria necessaria a soddisfare le aspettative di una percentuale innaturale di vecchi in rapporto ai giovani. E così mi capita sempre più spesso di chiedermi se non fosse giusto che una persona, vecchia e non più in grado di badare a se stessa, non avesse il dovere di togliersi dai coglioni. Mi vergogno di quel che penso, ma non riesco a farne a meno."
"Non devi vergognartene" disse Carlo " sono pensieri che nascono naturali in una persona intelligente che si fermi a riflettere. Dobbiamo accettare la morte come parte essenziale della vita. Ed è proprio nel momento in cui facciamo questo che cambia tutta la nostra visione delle cose. Accettando la morte, apprezziamo meglio le cose importanti della vita, come guardare un cielo stellato su una montagna isolata, il suono del silenzio, il profumo del mare, lo stare insieme agli amici, mangiare pane e mortadella nella bianca campagna padana. Tutto il resto è vanità."

Continuarono a discorrere della vita, e del suo senso, semmai l'uomo fosse in grado di comprenderlo. E parlarono del mondo, e di come tutto andasse in malora semplicemente per l'avidità di una minoranza.
"Esistono persone" disse Sironi "che hanno una tale quantità di denaro da consentire a loro ed ai loro discendenti, per parecchie generazioni, di vivere nel lusso senza più lavorare. Ma ciò nonostante continuano ad accumulare denaro, e per farlo non si curano delle conseguenze terribili che le loro scelte procurano a milioni di persone. E' chiaro che si tratta di malati mentali. Una persona normale cerca di guadagnare denaro per godersi la vita, per avere successo con le donne, per fare lo sborrone. Ma questi malati vogliono il denaro per il denaro. La cosa più inquietante è che sono proprio queste persone a decidere le sorti del mondo. In parole povere il mondo è in mano a degli psicopatici. Ecco come si spiega il fatto che pur essendoci potenzialmente benessere per tutti, la gran parte della popolazione soffre la miseria."
"Infatti" rispose Carlo " il mondo è malato. Un cancro si è sviluppato nel suo organismo, e lo sta distruggendo con le sue metastasi. Questo cancro si chiama debito, ed è stato generato proprio da quella minoranza che controlla il mondo, essendo lo strumento più efficace per sottrarre ricchezza a chi la produce. Tutto il pianeta è vittima di un immenso raggiro, che consiste nel far credere che il debito sia indispensabile al benessere di tutti, e che senza debito non potrebbe esistere un sano sistema economico. La moneta nasce come debito, le famiglie hanno debiti, e così le imprese, gli enti pubblici, gli stati. Esiste una massa gigantesca di debiti, equivalente a molte volte il PIL mondiale, il cui scopo è quello di depredare la ricchezza di chi lavora, attraverso gli interessi. Si tratta di una massa talmente grande da essere impagabile, e tale da costringere tutti ad una sostanziale perpetua schiavitù."

"E come se ne esce?" Chiese Sironi scuotendo il capo.
"Uscendo dal sistema" Continuò Carlo "cercando un modello di vita fuori dagli schemi imposti ed accettati. Il sistema esiste, ma è difficile convincere le persone a pensare in modo diverso. Ed allora è inutile lottare per cambiare ciò che trova il consenso della maggioranza della popolazione. La cosa più semplice e più intelligente è quella di concentrare le proprie energie esclusivamente su se stessi, attraverso una serie di scelte tali da liberarci il più possibile dalle invisibili catene che ci tengono schiavi. E' quello che sto cercando di fare, e che già  fanno tante altre persone."
Rientrarono a Milano che era già buio, e notarono subito un grande movimento di mezzi delle forze dell'ordine. Carlo, incontrando parecchie strade chiuse al traffico, fu costretto ad un lungo giro per arrivare alla galleria. Appena vi entrò salutò Luca, gli presentò il suo amico, e gli chiese cosa stesse accadendo.
"Un grande casino" rispose Luca. "Ci sono disordini, manifestazioni e tumulti in varie zone della città. Tutto è iniziato stamattina, quando una pattuglia della guardia di finanza, controllando un ambulante che vendeva frutta, ha disposto il sequestro del mezzo perché sottoposto a fermo amministrativo. A quel punto l'ambulante, esasperato dalla prospettiva di non poter più lavorare, è salito sul camion, ha messo in moto, ad ha investito a tutta velocità l'auto di servizio dei finanzieri, distruggendola. Gli agenti, naturalmente, provvedevano ad arrestare l'ambulante. Quando arrivarono rinforzi si era già radunata una folla inferocita, che inveiva contro i finanzieri e contro lo stato. Ci furono scontri, sassaiole e lancio di molotov, che incendiarono due altre auto di servizio. Dopo oltre un'ora gli agenti riuscirono ad eseguire l'arresto. A quel punto, non so come, si sparse la voce in tutta la città. Una folla di oltre 100 mila persone si ritrovò dinanzi alla caserma in cui era stato condotto l'ambulante, chiedendone il rilascio. Le forze dell'ordine che sopraggiunsero trovarono una folla inferocita ed esasperata, che attaccò senza esitazione le forze in tenuta antisommossa. Questa determinazione sorprese coloro che comandavano le forze di polizia, mettendole in condizione di non poter resistere agli attacchi dei manifestanti con i mezzi tradizionalmente in uso. Le forze dell'ordine venivano attaccate e disarmate dei manganelli da una massa decisa a non farsi bastonare senza resistere. A quel punto non restavano che due alternative: o usare le armi da fuoco, oppure ritirarsi, liberando l'ambulante. Dall'alto, dopo concitate consultazioni, si decise per la seconda ipotesi. Il prigioniero fu liberato, fra gli applausi dei manifestanti.
La miccia, comunque, era stata accesa. E così in varie zone della città gruppi ben organizzati lanciavano molotov contro le banche, le agenzie di equitalia, e gli uffici pubblici."
"Un bel casino" disse Sironi.
"Questi imbecilli" intervenne Carlo "non hanno capito che il vaso è colmo. La loro politica idiota ha prodotto una massa di disperati che non ha nulla da perdere. E questo è davvero pericoloso. Non credo che finirà bene..."
Nel frattempo Luca scorse le ultime notizie su internet: il governo aveva appena rassegnato le dimissioni. Nel centro di Milano, tra Corso Vittorio Emanuele e Via Montenapoleone una folla esasperata stava saccheggiando i negozi, e moltissimi incendi stavano mettendo in seria difficoltà i Vigili del Fuoco. Disordini stavano divampando in tutte le grandi città italiane.
Il presidente della repubblica stava per dichiarare lo stato di emergenza, con l'introduzione della legge marziale ed il coprifuoco.
"Ragazzi" disse Sironi "a questo punto mi conviene rientrare a casa."
"Ti accompagno" rispose Carlo.
"No, è meglio che uso i mezzi pubblici. Sicuramente la circolazione delle auto sarà problematica. Comunque ci sentiamo domani"
Sironi andò via, lasciando Carlo e Luca inchiodati davanti al computer. All'improvviso internet cessò di funzionare. Luca uscì per chiedere ai vicini se avessero la linea, ma nessuno di loro riusciva più a connettersi. A quel punto Carlo pensò di telefonare a Simona: "Pronto, Simona? Ciao sono Carlo, dove sei?
"Sto andando alla galleria del pazzo" rispose Simona "E tu dove sei?"
"Sono in galleria"
"Benissimo, sarò da te fra cinque minuti"
Appena Simona arrivò Carlo le andò incontro, baciandola sulle guance. Fuori nevicava, e tutte le attività avevano abbassato le serrande. Anche Luca pensò che fosse opportuno chiudere e rientrare a casa. E così fece.
Carlo e Simona si incamminarono a piedi, in una città imbiancata e spettrale. La neve cessò di cadere, lasciando il posto ad una nebbia che si faceva sempre più fitta. Quando si ritrovarono nel mezzo di un parco Simona chiese a Carlo di fermarsi. Sgombrò della neve una panchina e si sedette, invitando Carlo a fare altrettanto.
Stette per un po’ in silenzio, poi disse: "questa atmosfera mi riporta alla mia adolescenza quando, seduta come ora su una panchina di un parco innevato, con la nebbia che mi avvolgeva quasi a proteggermi dal resto del mondo, mi beavo della mia felicità, innamorata di quell'amore che solo l'incoscienza di quell'età consente. Dopo oltre trent'anni sto riprovando quelle stesse meravigliose sensazioni, e mi pare anche di sentire il suono lontano della fisarmonica che proveniva da una vicina osteria. Credo che il paradiso, se esiste, debba essere così"

"Anche a me pare di sentire la nenia malinconica di una lontana fisarmonica. E mi sembra di essere precipitato in un altro tempo ed in un altro luogo. Ecco, forse in paradiso ci sentiremo come se avessimo sempre vent'anni."
Carlo baciò Simona, bagnandosi della lacrima che le solcava il viso. Poi fu il silenzio.





Questa storia finisce qui. Ma se siete curiosi potete leggere l'ultimo capitolo, per sapere cosa è accaduto nell'anno successivo.












UN ANNO DOPO

Il 24 Dicembre Carlo e Simona si alzarono di buon'ora, nel magico silenzio di una Bellavista imbiancata dalla neve. Quel giorno sarebbero arrivati tutti i loro amici, con i quali avrebbero trascorso insieme il primo Natale della loro nuova vita.
Nell'anno appena trascorso Simona acquistò il casolare, ed a tempo di record riuscì a completare i lavori di ristrutturazione, che furono eseguiti da Marco.
Nel sottotetto ricavarono l'appartamento principale, mentre al primo piano le otto camere furono destinate agli eventuali clienti.
Luca ebbe l'idea geniale di arredare ogni camera in base ad un tema specifico.
Così fu realizzata la camera del '900, che aveva l'intera parete del letto con una struttura tridimensionale che riproduceva il palazzo della civiltà italiana dell'EUR, e la parete di fronte con una grande pittura murale nello stile di Sironi, materico e terroso, realizzata da un amico di Luca. Due poltrone anni '30, in stile art deco’, scovate da qualche parte dallo stesso Luca, completavano il tutto.
La seconda camera era ispirata alla metafisica. La parete del letto riproduceva una piazza d'Italia nello stile di De Chirico, mentre di fronte un grande pannello scorrevole, su cui erano realizzati con legni di recupero i suoi famosi manichini, nascondeva un armadio. Due sedie, realizzate in metallo ossidato e traforato al laser, riproducenti altri due manichini, completavano l'arredo.
La terza camera era ispirata al futurismo. Sulla parete del letto fu realizzata una grande scritta con lettere a rilievo, tratta da un brano del manifesto futurista di Marinetti. Gli arredi erano libere interpretazioni di quelli disegnati da Depero, con colori caldi e saturi.

La quarta camera era ispirata all'arte concettuale ed allo spazialismo. La parete del letto, in blu scuro, era percorsa da una luce al neon dalla forma curvilinea e di colore bianco. Un altro neon mistilineo di colore blu pendeva dal soffitto bianco. L'armadio aveva le ante nel classico rosso di Fontana, con gli immancabili tagli. Due sgabelli, riproduzioni in grande dei famosi barattoli "merda d'artista" di Manzoni, completavano la camera.
La quinta camera era ispirata all'arte povera ed alla scuola romana. Gli arredi erano in abete traforati nel classico stile di Mario Ceroli. La parete del letto aveva un grande specchio con le immagini di spalle di Carlo e Simona, nello stile di Pistoletto.
La quinta camera era ispirata al post moderno. Gli arredi, realizzati in laminato serigrafato, erano ispirati ai mobili di Alessandro Mendini. Sulla parete del letto una grande pittura ispirata alle famose "città" di Emilio Tadini. L'armadio aveva le ante bianche su cui era riprodotta un'opera di Eugenio Carmi.
La sesta camera era ispirata alla pop art. L'insieme assunse l'aspetto di un loft, con pareti in mattoni a vista, travi in acciaio arrugginito, pavimento in tavolato di larice. Alle pareti grandi pannelli alla Andy Wharol e poltrone gonfiabili.
La settima camera era ispirata agli anni '60, con arredi originali di quegli anni, e grandi manifesti dei film dell'epoca.
L'ottava camera era un omaggio ai libri. La parete del letto fu realizzata tagliando diagonalmente alcuni libri, ed incollandoli in modo tale che parevano nascere dl muro. Il tutto fu trattato ad effetto pietra, in modo tale da dare l'idea che si trattasse di un unico grande blocco di marmo. Sulla parete frontale, utilizzando delle lettere in forex dallo spessore di 1 centimetro, si compose una poesia di Leopardi. Due poltrone, realizzate in polistirolo ad alta consistenza, furono rivestite a decoupage con pagine di libre antichi.
Al piano terra si ricavò una grande cucina a destra della scalinata, ed una sala da pranzo alla sua sinistra. In quella che un tempo fu la stalla, si ricavò un soggiorno, con bar, pianoforte e una grande libreria.
La passione e la competenza di Simona per l'arte, e la preziosa collaborazione di Luca e di tantissimi suoi amici artisti, avevano prodotto un risultato davvero notevole. L'originalità delle soluzioni fu uno strepitoso strumento pubblicitario.
Per fortuna le strade erano già state sgomberate dalla neve che quella notte cadde copiosa. Così gli amici di Carlo e Simona non avrebbero avuto difficoltà a raggiungerli. La decisione di trascorrere il natale insieme fu accolta da tutti con grande entusiasmo, e si sarebbe rivelata anche l'occasione per fare il punto sulla situazione di ognuno.
Le prime ad arrivare furono Luisa e la madre che, come sappiamo, abitavano poco più in la. Presero immediato possesso della cucina, dove avrebbero dato una mano a Simona nella preparazione della cena; anzi, più che una mano, sarebbero state loro a fare il grosso del lavoro, data l'inesperienza di Simona.
Poco prima di mezzogiorno arrivò il primo gruppo, composto da Luca, sua moglie, Marco e Chiara.
Tra Marco e Chiara, dopo l'incontro di quella sera alla galleria, nacque una relazione che pareva funzionare, almeno fino a quel momento.
Subito dopo arrivò il secondo gruppo, composto da Sironi, Giovanni, e le rispettive mogli. Sironi si offrì di dare un passaggio a Giovanni, che disponeva di una macchina molto poco affidabile.

Ogni coppia prese possesso della propria camera, sistemò le proprie cose, e si mise a proprio agio. Poi scese nella sala da pranzo, dove ci si ritrovò tutti insieme per consumare uno spuntino leggero, in attesa della copiosa cena che Luisa e la madre stavano preparando per la sera.
Sironi, che si licenziò dall'azienda nella quale lavorava, riuscendo a spuntare una buona liquidazione, sviluppò insieme a Carlo il progetto della  distribuzione di alimenti di alta qualità. Carlo si occupava di selezionare i fornitori, controllarne la produzione, e consegnare la merce al deposito di Milano, che fu ricavato nel casolare di campagna che Sironi acquistò. Questi, a sua volta, si occupava di acquistare clienti, mettendo a frutto le sue estese relazioni. Giovanni, che al termine della cassa integrazione fu licenziato, fu assunto da Carlo e Sironi, ed incaricato delle consegne a domicilio dei prodotti acquistati. L'idea sembrava funzionare, almeno fino a quel momento. La loro offerta di prodotti andava man mano ampliandosi, arricchendosi di alimenti provenienti anche da altre regioni, tutti, comunque, di altissima qualità.
Il metodo di distribuzione garantiva l'eliminazione di alcuni passaggi che, insieme all'assenza delle spese di packing e di pubblicità, consentiva di mantenere i prezzi ben al di sotto di quelli della normale distribuzione. I loro clienti accedevano al sito internet, dove potevano visionare tutte le offerte disponibili, con esaurienti descrizioni degli alimenti, delle zone di provenienza e dei produttori. Una volta selezionati i prodotti indicavano il giorno e l'ora per la consegna. Il pagamento avveniva ogni fine mese, con il sistema che il cliente preferiva.
Anche Marco, in questo anno appena trascorso, diede avvio ad  una nuova attività. Essendo un artigiano, ed essendo dotato di grande intelligenza, non ebbe difficoltà a praticare altri mestieri che non gli erano propri. Ebbe un'idea che si rivelò vincente.

Poiché esisteva una quantità enorme di esercizi commerciali bisognosi di rinnovare gli arredi, ma nel contempo la crisi sconsigliava di investirvi cifre elevate, Marco, su suggerimento di Luca, pensò di proporre agli eventuali clienti un bel lavoro di restyling. In pratica, spendendo cifre notevolmente inferiori a quelle necessarie per un rinnovo totale, il cliente poteva ristrutturare il proprio esercizio, dandogli una immagine completamente nuova, semplicemente con pochi interventi intelligenti.
Per trasformare un bar, ad esempio, bastava cambiare il fronte del bancone, tinteggiare le pareti in un altro colore, intervenire con installazioni decorative dal costo contenuto. Per fare questo, naturalmente, occorreva una mente creativa abituata ad ottenere molto dal poco. Ecco perchè Luca e Marco iniziarono a collaborare. Il primo offriva la sua esperienza e la sua creatività, il secondo il suo pragmatismo e la sua capacità manuale.
Se il mercato edile era oramai saturo, il mercato delle ristrutturazioni e del restyling offriva grandi opportunità. Marco le colse, e fu il suo sistema per sopravvivere alla crisi che continuava a mordere più che mai.
In effetti le cose, in Italia, erano precipitate. Lo stato aveva fatto praticamente bancarotta. L'idea di sanare la situazione aumentando le tasse aveva prodotto il risultato contrario. Ogni mese morivano migliaia di aziende, impossibilitate ad operare tra l'incudine ed il martello, ovvero tra i fatturati in calo e le tasse in aumento. I più fortunati mettevano in liquidazione l'attività, saldavano i debiti e cercando di salvare quel po che restava. Quasi sempre non restava nulla, perchè gli impianti ed i capannoni non avevano praticamente mercato. Gli immobili, che non si riuscivano a vendere neanche con ribassi del 50%, diventavano un fardello insopportabile per i proprietari, avendo lo stato applicato una aliquota IMU del 3% sul valore catastale, ben superiore a quello di mercato.

Anche le aste degli immobili pignorati andavano deserte. Chiunque poteva, cercava di liquidare il patrimonio e trasferire i soldi su un conto estero. Ma era già troppo tardi. Lo stato bloccò tutti i conti bancari consentendo solo minimi prelievi mensili.
I disoccupati erano arrivati a 6 milioni, e lo stato dovette provvedere ad istituire innumerevoli mense pubbliche, oltre a bloccare tutti gli sfratti. Il pagamento del debito pubblico fu sospeso, le pensioni e gli stipendi tagliati del 30% sulla parte eccedente 600 euro. Il lavoro nero e l'evasione totale dilagarono, e tutte le misure messe in atto dal governo risultarono vane. Si minacciò anche il carcere per chi evadeva le tasse, ma ci si rese presto conto che era una misura inattuabile perchè avrebbero dovuto arrestare milioni di italiani disperati.
Intanto le grandi città industriali iniziarono a svuotarsi. La gente cercava di trasferirsi in campagna, dove la vita costava meno, oltre ad esserci più sicurezza. Coltivando un piccolo orto, allevando un po di galline, a facendo piccoli lavori, magari usando il baratto, in qualche modo si riusciva a vivere meglio che nelle città. Nelle piccole comunità fu facile organizzarsi per gestire la sicurezza. Mentre nelle città la criminalità dilagava, ed era diventato rischioso frequentare posti isolati o andare in giro oltre una certa ora da soli, nei piccoli centri la popolazione, non facendo alcun affidamento sulle forze dell'ordine e usando metodi molto spiccioli, riusciva a tenere a bada la deriva criminale.
Intanto la BCE, dopo una lunga resistenza, fu costretta ad immettere moneta acquistando direttamente titoli di stato ad un tasso simbolico dello 0,1%. La misura si rese indispensabile nel momento in cui quasi tutti i paesi aderenti alla moneta unica si trovarono in una situazione non molto dissimile da quella italiana. La stessa Germania cadde in recessione. Esportare divenne difficile. La crisi europea trascinò con se tutti i grandi paesi industriali del mondo, compresa la Cina.
Apparve sempre più evidente che il sistema economico basato sul debito era saltato. Ci si aspettava ovunque, quasi fosse inevitabile, una deriva autoritaria nazionalista, nella convinzione che fosse l'unica possibilità di arginare lo strapotere della grande finanza. Le democrazie si erano dimostrate il terreno migliore per le scorribande delle oligarchie usuraie.
In tutti i paesi movimenti populisti, nel senso migliore del termine, andavano ingrossandosi, ed i governi parevano incapaci di porvi un argine, avendo perso ogni credibilità. I leader di questi movimenti redassero un documento comune in cui era steso un programma generico da tutti condiviso: stop alla globalizzazione, ripristino dei dazi e delle quote alle importazioni, stop all'immigrazione, ripristino delle banche centrali nazionali popolari, uniche autorizzate ad emettere moneta, giubileo del debito a livello mondiale, controllo dei movimenti finanziari e vincoli alla loro pratica, messa al bando dei derivati, una certa dose di autarchia.
La tesi di questi movimenti era che se anche queste misure avessero prodotto un rallentamento della crescita, avrebbero garantito una migliore armonia sociale, e quindi aumentato il benessere delle persone. Le nazioni industrializzate, anche con bassa crescita, avrebbero prodotto una ricchezza più che sufficiente per consentire un certo benessere alla popolazione, sempre che si fosse intervenuti sulla sua distribuzione. Ricchezza, dicevano, ve ne era a sufficienza per tutti. Il compito di ogni stato sarebbe stato quello di stringere la forbice tra ricchi e poveri.
Carlo ed i suoi amici festeggiarono il Natale in quel luogo che pareva, almeno in quel frangente, così lontano dai problemi che affliggevano buona parte degli italiani. Nessuno di loro era più la persona di un anno prima, e forse fu per questo che prima della mezzanotte tutti insieme si recarono alla chiesa del paese per assistere alla nascita del Bambin Gesù.
Quando uscirono si scambiarono gli auguri con tutti gli sconosciuti presenti. Carlo, vedendo la felicità nei volti di tutti i suoi amici, pensò: forse, il modo migliore per andare avanti, è tornare un po’ indietro.

4 commenti:

  1. Complimenti! Letto d'un fiato . Danìele..

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  2. Bravo! Non era facile tenere in equilibrio allo stesso tempo denunce, suggerimenti, suggestioni poetiche e la trama di un romanzo breve.
    gp

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  3. Ora è mezzanotte, fuori piove e domani devo andare in ufficio.
    Forse.

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  4. Bravo molto bello, sembra una favola anche se c'è molta realtà dentro

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