MANUALE DEL PERFETTO COGLIONE
2017
2017
A mio padre, che ha amato
i libri per tutta la vita, e che mi ha trasmesso questo amore.
A lui, poeta e sognatore,
sempre presente nei miei pensieri ed al quale vorrei dire tutto quello che non
gli ho detto quando era in vita.
A lui dedico questo
libro, sperando che da lassù mi veda.
Ciao, babbo.
PREMESSA
Nel
mondo si pubblica una enorme quantità di libri, la gran parte dei quali sarà
letta da pochissime persone. Sono davvero poche, in percentuale, le
pubblicazioni che lasciano un segno nella storia culturale del mondo. Perché,
allora, pubblicare l’ennesimo libro?
Le ragioni sono tante, non ultima un certo narcisismo. Ma la principale
è il desiderio di togliermi qualche sassolino dalle scarpe. Dimostrare,
attraverso una serie di brevi pensieri, quanto siamo stupidi e superficiali, e
di come accettiamo passivamente una infinita serie di luoghi comuni, facendoli
nostri, e non mettendone in discussione la verità.
Verità che si rivela falsa al primo approccio critico. Viviamo di luoghi
comuni e di pensieri politicamente corretti. Pensieri falsi, ma che tutti
fingiamo di condividere. E così siamo costretti ad ascoltare sempre le solite
banalità, alle quali poi nessuno crede.
Questo libro è stato fatto anche e soprattutto per coloro che non amano
leggere, ed è strutturato in modo tale che se ne possa aprire una pagina a caso
e leggervi un solo “pensiero”. La mia speranza è che poi quella lettura riesca
ad inculcare nella mente del lettore il dubbio, e lo spinga a riflettere.
So di essere molto cattivo nell’esprimere certi pensieri che, appunto,
sono politicamente molto scorretti. Ma vorrei comunque premettere che la cosa
più stupida che si possa fare è generalizzare, e che quando esprimo dei giudizi
su una certa categoria tendo ad enfatizzarne i difetti che, vorrei ripeterlo,
non appartengono a tutti. In ogni categoria esistono galantuomini e farabutti. Questo
vorrei che fosse chiaro.
Buona lettura.
1
Gli ambientalisti si presentano per manifestare contro una raffineria di
petrolio a bordo del loro fiammante SUV da 3000 di cilindrata. Protestano
contro le antenne ed usano cellulari di ultima generazione. Amano la campagna,
perché ci vanno a fare le scampagnate e non hanno mai armeggiato con una zappa.
Non vogliono il gasdotto, ma in inverno godono del tepore della loro casa
scaldata a metano. Detto in parole povere sono dei pagliacci che vorrebbero
avere tutto senza pagare dazio. Questi coglioni fingono di non sapere che non
esistono pasti gratis.
2 Se fosse dipeso dagli ambientalisti
Portofino non esisterebbe, come non esisterebbero Amalfi o Sorrento. Non
esisterebbero ferrovie, autostrade ed acquedotti. Non esisterebbero grattacieli
e fabbriche. Se fosse dipeso da loro oggi vivremmo ancora nelle capanne di
paglia e fango. Questi super coglioni sostengono che le grandi città, fatte di
grattacieli e tangenziali, metropolitane ed aeroporti, impianti sportivi e
teatri, tangenziali e centri commerciali, sono alienanti e disumane. Chissà
perché ogni anno milioni di persone abbandonano le tanto meravigliose campagne
ed emigrano nelle grandi città. Ma soprattutto occorre chiedersi per quale
motivo loro stessi non fuggono dalle metropoli per ritirarsi in qualche isolato
eremo a vivere a contatto con la natura, evitando di rompere i coglioni con le
loro inutili ed inconsistenti elucubrazioni.
3 Il
mondo moderno è meraviglioso, se paragonato al passato. Quelli che sostengono
che un tempo si viveva meglio potrebbero benissimo rinunciare a tutti i
vantaggi della modernità, e vivere facendone a meno. Li vorrei vedere senza
antibiotici ed anestesia, senza acqua corrente e senza carta igienica, senza
trattori e senza fertilizzanti. Da gran coglioni, quali sono, restano comunque
aggrappati alla modernità, perché sanno che comunque, nonostante i tantissimi
problemi che essa porta con sé, i vantaggi di cui si può godere sono enormi ed
irrinunciabili.
4
Il passato di ognuno di noi è sempre ricordato come un periodo
meraviglioso. In realtà, ad essere meravigliosa era la nostra giovinezza. Ma il
passato di un popolo non è mai migliore del suo presente. Il passato che
rimpiangono non è mai esistito, ed è solo il frutto della loro fantasia e di
oscuri meccanismi della mente. Raramente si ricorda ciò da davvero fu, ma più
spesso ciò che avremmo desiderato che fosse stato. D’altronde se qualcuno
volesse vivere come si viveva nel passato può farlo benissimo, rinunciando a
tutto quanto il progresso degli ultimi anni ci ha regalato. Ma nessuno lo fa,
per la semplice ragione che i vent’anni che rendevano bello quel tempo non ci
sono più, ed il passato si presenta per quello che davvero è stato, sicuramente
meno bello del presente.
5
Esiste la stupida tendenza a valorizzare ed a conservare tutto quanto
appartiene al passato. Purtroppo il passare del tempo non aggiunge valore a ciò
che di valore era privo. E così un mattone, anche se ha duemila anni, resta
sempre un mattone. Un edificio mediocre, per quanto antico, resta sempre un
edificio mediocre, sul quale non vale la pena investire risorse per la sua
conservazione. Ma ciò che fin dalla sua origine aveva un valore di tipo
artistico o storico, conserva quel valore nel tempo. Se le risorse di cui
disponiamo sono limitate, è necessario impiegarle con priorità verso ciò che
davvero merita di essere tutelato e conservato. Che piaccia o meno, occorre
scegliere, e dare il giusto valore alle cose.
Ogni città desidera avere il suo piccolo museo archeologico, in cui
quasi sempre vi sono conservati reperti di infimo valore. Musei inutili che,
giustamente, nessuno visita. Andrebbero tutti chiusi, utilizzando le risorse
risparmiate in quei pochi musei dove vi si conserva l’eccellenza, e che davvero
meritano di essere visitati.
6
La maggior parte dei centri storici italiani andrebbe semplicemente rasa
al suolo, perché priva di qualsiasi valore storico o artistico. La tendenza a
conservare tutto ciò che è vecchio è semplicemente stupida. È come conservare
tutti gli oggetti, i libri, i mobili, le foto e i documenti dei propri
antenati. Ne resterebbero sommersi, lui e l’intera società. Non si può
conservare tutto, ed arriva il momento di dover scegliere, conservando ciò che
merita di essere conservato, e distruggendo il resto.
7
La plastica è meravigliosa. Quasi tutti i prodotti realizzati in
plastica sono migliori degli stessi prodotti realizzati con materiali cosiddetti
naturali. Fermo restando che anche la plastica, a voler essere corretti, è un
prodotto naturale. Perché se è vero che in natura non troviamo la plastica, è
anche vero che non troviamo il vetro, i mattoni, il pane, tessuti in cotone,
vasellame in terracotta, formaggi, salumi e vino.
Occorre affermare con forza che il bello è bello a prescindere. Che un
oggetto sia in marmo o in plastica non cambia nulla. Ciò che dà valore alle
cose è la quantità di conoscenza che la sua realizzazione ha richiesto. Una
sedia in plastica può essere meritevole di essere esposta in un museo al pari
di ogni altro manufatto che il genio umano ha realizzato. Solo i coglioni sono
convinti che un mobile in legno sia migliore di un mobile realizzato in
plastica.
8
Se riflettiamo attentamente ci
rendiamo conto che tutto quel che l’uomo può fare, lo può fare utilizzando
composti chimici esistenti in natura, trasformandoli poi secondo processi
chimico-fisici possibili secondo le leggi di natura. Se facciamo il pane, che
tutti considerano naturale, uniamo farina, sale, acqua, lievito, e, per mezzo
della cottura, produciamo qualcosa che non si trova in natura. E la stessa cosa
vale per i mattoni. Esiste l’argilla, esiste l’acqua ed esiste il fuoco, ma è
l’opera dell’uomo che trasforma queste cose in qualcosa che prima non esisteva.
Eppure nessuno si permette di sostenere che i mattoni non siano naturali. Anche
il petrolio è un prodotto naturale, che, attraverso processi chimici e fisici,
si può trasformare in migliaia di altri prodotti che non si trovano in natura.
Tutto ciò che esiste è naturale, perché deriva da materie che esistono in
natura e subiscono trasformazioni secondo leggi della chimica e della fisica
che certamente esistono in natura al di là dell’esistenza umana.
9
Gli stupidi, con spirito manicheo, distinguono tutto ciò che esiste, in
naturale e in artificiale, con il presupposto che tutto quanto è naturale sia
necessariamente buono. Dimenticano, i coglioni, che i terremoti, gli uragani,
gli tsunami, le siccità e le alluvioni, le invasioni di cavallette, le zanzare
che trasmettono la malaria, il coccodrillo che li divora, il serpente che li
avvelena, le zecche che li tormentano, il botulino, i virus ed i batteri che
producono tremende malattie, il cancro, sono tutte cose assolutamente naturali.
L’uomo intelligente non distingue tra ciò che è naturale da ciò che non lo è,
ma tra ciò che è utile alla sua sopravvivenza da ciò che invece è dannoso, né
più né meno di quanto fa ogni organismo vivente.
10 La caratteristica che accomuna tutti gli
organismi che popolano il nostro pianeta è l’egoismo. Ogni organismo si
preoccupa solo della sopravvivenza della propria specie, ed agisce senza
preoccuparsi del resto dell’ecosistema. Se un animale per sopravvivere mangia
altri animali, non si preoccupa della loro estinzione. La somma di tutti gli
egoismi, insieme alle mutevoli condizioni geofisiche e climatiche, produce il
mondo così come lo vediamo. Un mondo in continuo cambiamento che trova
incessantemente nuovi equilibri. Gli organismi capaci di adattarsi a questi
cambiamenti sopravvivono e prosperano, quelli incapaci si estinguono. L’uomo
non può avere l’arroganza di rendere l’ecosistema immutabile, perché non lo è.
Ciò che l’uomo deve fare è solo avere la capacità di adattarsi ai cambiamenti.
Alla fine, non sopravvive il più intelligente, ma quello che riesce ad
adattarsi.
11
Il perfetto coglione, alla parola “chimica” ha un moto di stizza, perché
associa a questo termine qualcosa di negativo. Eppure tutto è chimica, l’acqua,
il cibo, il nostro organismo, i mattoni, la lana, il fuoco. La chimica sono i
farmaci che ci salvano la vita, i fertilizzanti che hanno eliminato le
carestie, il gas che riscalda le nostre case. La chimica è bella, tanto che la
gran parte dei prodotti realizzati con le materie plastiche sono migliori di
quelli realizzati con materie prime cosiddette naturali, e la loro produzione
ed il loro utilizzo riduce notevolmente l’inquinamento. I coglioni restano
perplessi di fronte a queste affermazioni, per la semplice ragione che la loro
capacità intellettuale è limitata.
Il perfetto coglione non immagina che se tutti noi ci riscaldassimo
bruciando legna in un camino, in breve tempo distruggeremmo tutti i boschi e
renderemmo l’aria irrespirabile per l’enorme quantità di polveri sottili che
produrremmo. Eppure, cosa c’è di più naturale che riscaldarsi con la legna?
12
Un laureato in architettura non è necessariamente un architetto. Perché
lo sia occorrono talento, passione, cultura ed esperienza, tutte cose che
nessuna università è in grado di dare. Il novanta per cento dei laureati in
architettura è composto da individui che con l’architettura non hanno nulla a
che fare.
13
La maggior parte degli architetti pensa che l’architettura sia un fatto
squisitamente tecnico. Questi coglioni, in virtù della loro immensa ignoranza,
non capiscono che l’architettura è una faccenda squisitamente umanistica. Non
si può fare buona architettura se non si conoscono la storia, la letteratura,
la filosofia. Ma soprattutto non si può fare buona architettura se non si è
degli artisti, ed artisti, ovviamente, si nasce. Un artista può progettare
un’opera meravigliosa, e lasciare poi agli ingegneri il compito di curarne la
parte strutturale e tecnica. Infatti tutti i meravigliosi edifici del passato,
quelli che ancora oggi ammiriamo stupiti, sono stati progettati da artisti:
Michelangelo, Brunelleschi, Vasari, Bernini. Anche le grandi architetture di oggi,
quelle che i posteri ammireranno in futuro, sono realizzate da artisti. Perché
non si può negare che Renzo Piano e tutti i grandi architetti siano degli
artisti.
14
La gran parte dei laureati in architettura è composta da individui che
non sono né artisti né ingegneri, e si vede. Detto terra terra, non sono un
cazzo. Per non morire di fame si dedicano all’arredamento di interni, che è il
territorio degli architetti falliti. Passano la loro intera esistenza senza
progettare e realizzare un solo edificio che possa essere annoverato tra le
opere architettoniche, limitandosi a produrre certificazioni, aprire una
finestra, allargare una porta, fare qualche perizia. I più fortunati tra loro
entrano nel novero degli insegnanti, dove insegnano banalità ad alunni
svogliati. La loro incapacità è pari alla loro spocchia.
15
Anche gli sprovveduti possono rendersi conto della inconsistenza della
gran parte dei laureati in architettura. Basta gironzolare per la città e
guardarsi intorno. Quasi tutte le costruzioni potrebbero benissimo essere state
progettate da un bravo capomastro, tale è la loro banalità. Ogni tanto qualche
architetto cerca di fare bene il proprio lavoro, producendo, però, edifici
pretenziosi, retorici e grossolani. A loro discolpa occorre dire che una buona
fetta di responsabilità va addebitata ai committenti, i quali sono alla perenne
ricerca del minor costo, a scapito di qualunque valore estetico.
16
La bellezza è un valore assoluto, non meno importante di cose
considerate più essenziali. Quasi sempre la bellezza misura il valore
economico, morale e civile di un popolo. Alla bellezza ci si educa,
frequentandola. Chi vive in luoghi brutti, trasandati, sporchi, degradati, dove
regnano l’incuria e l’approssimazione, vi viene a tal punto assuefatto da non
indignarsi neanche di fronte alle peggiori brutture. La bruttezza, possiamo
dire, entra a far parte del proprio naturale patrimonio culturale,
rappresentando la normalità della propria esistenza. La deriva dei valori
morali e civili di un popolo è sempre accompagnata da un generale
imbarbarimento del gusto.
17
Pochi apprezzano davvero la bellezza, per soffrirne della sua mancanza.
La bellezza è una droga che crea assuefazione. Chi è cresciuto in un contesto
privo di bellezza, non patirà mai crisi di astinenza dovute alla sua mancanza.
Il degrado del luogo in cui egli vive gli sembrerà la normalità, e si mostrerà
indignato ogni qualvolta qualcuno devesse metterne in evidenza lo squallore, il
degrado e la bruttezza.
Il giudizio sulla bellezza di una città non può essere espresso da
coloro che in quella città vi sono nati e cresciuti. Costoro perdono la
capacità di vedere ciò che uno sguardo emotivamente più distaccato riesce a
vedere. Esistono città orribili che sembrano belle a coloro che vi abitano,
nonostante il palese degrado, l’incuria e lo squallore che vi regnano.
18 Parlare
male del luogo in cui qualcuno vive suscita sicuramente l’antipatia di chi ci
ascolta. Difficilmente qualcuno è in grado di dare un giudizio obiettivo
relativamente a ciò che gli appartiene. Capita così di non riuscire a vedere
neanche le più macroscopiche magagne, e di restare stupiti dei giudizi di chi,
guardando le stesse cose con una certa distanza, ne mette in evidenza gli
aspetti più negativi. “Ogni scarafaggio è bello per mamma sua”, in questo caso
più che mai.
19 Il
bello, negli ambienti, nelle cose, nelle persone, nelle città, nel linguaggio,
e in ogni altro ambito, è sempre preferibile al brutto. Sebbene tutti
riconoscano il valore della bellezza, pochi sono disposti a spendere le proprie
energie affinché essa sia presente in ogni ambito della nostra esistenza.
Entrare in un bar arredato con gusto, frequentato da belle donne ben
vestite e curate, ed essere serviti con garbo da baristi in gamba, mi mette di
buon umore. Viceversa, entrare in un bar raffazzonato e cadente, essere serviti
da un barista squallidamente idiota e sgarbato, mentre all’esterno si
intravvedono donne malvestite e piuttosto malandate, mi avvilisce.
20
I coglioni dicono: non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che
piace. Stupidaggine. La bellezza è assoluta, ma non accessibile a tutti. Anche
se milioni di bifolchi trovano belle cose decisamente pacchiane, tali cose non
acquisteranno comunque la dignità delle cose belle.
21
Per quanto ricchi si possa diventare, non esiste denaro sufficiente ad
acquistare il buon gusto. Il suo prezzo non è espresso in euro ma in
educazione. Il buon gusto si acquista frequentandolo, per anni ed anni. Chi
nasce circondato dal bello, vive in una famiglia educata alla bellezza,
frequenta la bellezza in tutte le sue manifestazioni, sarà dotato di quel buon
gusto naturale che nessuna moneta può comprare.
22
Anche i più pacchiani e buzzurri sono convinti di avere gusti
raffinatissimi. È meglio dire ad una donna che è una zoccola, piuttosto che
dirle di non avere buon gusto. Nel primo caso può darsi che prima o poi vi
perdoni, nel secondo vi odierà per sempre.
23
L’arte. Tutti sanno cos’é, ma nessuno è in grado di spiegarlo.
24
Pretendere di comprendere l’arte è inutile ed impossibile, perché essa
va semplicemente sentita. Sentire l’energia che da essa promana è una capacità
innata che appartiene ad una sparuta minoranza di individui. Il più diffuso
errore che si commette è quello di voler leggere un’opera d’arte, e capirne il
significato. In verità, ciò che l’artista dice, attraverso la propria opera,
non ha alcuna importanza. Coloro che sono dotati della capacità di “sentire”
l’energia di un’opera d’arte sviluppano emozioni diverse, ed immaginano diversi
percorsi narrativi, ognuno dei quali è sempre quello giusto. Non conta ciò che
l’artista vuole esprimere, ma ciò che il fruitore percepisce.
25
È solo a distanza di decenni che le opere d’arte di una certa epoca
manifestano appieno la loro capacità di aver trasformato in energia emotiva lo
spirito di quel tempo. E solo allora si comprende che certe espressioni
artistiche non potevano manifestarsi in un tempo diverso da quello nel quale si
sono manifestate.
26
Quelli che sostengono di non capire l’arte moderna, attraverso la loro
affermazione, vogliono far intendere di capire, invece, l’arte del passato. In
verità chi è sensibile alla forza dell’arte, lo è per l’arte nella sua
interezza. Coloro che sostengono di capire l’arte del passato non fanno che
coglierne gli aspetti superficiali: l’illustrazione, la decorazione, la perizia
esecutiva, la facilità con la quale credono di coglierne il senso. Se davvero
fossero sensibili all’energia artistica dell’arte figurativa, lo sarebbero
anche per l’arte contemporanea, concettuale o astratta che sia.
27 Un
artista, al di là delle sue effettive capacità, è uno che ha capito che, tutto
sommato, fare l’artista è sempre meglio che lavorare.
28 Tutti
gli artisti, in qualunque ambito operino, all’inizio della loro carriera sono
stati massacrati dai soliti saccenti, che li invitavano a cambiare mestiere.
Fortunatamente ognuno di loro ha continuato per la sua strada, incurante delle
critiche dei soliti tromboni. E così abbiamo i Van Gogh, i Picasso, i Vasco
Rossi, e tutta l’arte degli ultimi secoli.
29
Un artista, per poter vendere le proprie opere in provincia, deve essere
decisamente mediocre. Si accorgerà di essere diventato davvero bravo nel
momento in cui non riuscirà a vendere più nulla.
30 Gli
artisti che hanno vissuto e vivono tra stenti e miseria, quelli che noi
chiamiamo bohemien, erano semplicemente dei disgraziati che ambivano a vivere
nel più borghese dei modi. La Boheme è semplicemente un mito. Un artista che non si lava e non ha cura di
sé stesso o è un malato mentale, o un zozzone, o è uno che vuole darsi un tono,
sperando che la sua condizione dia maggior valore alle sue opere.
31
Il valore di un’opera d’arte sta nell’emozione che essa suscita. Ne
consegue che una perfetta copia ha lo stesso valore artistico dell’originale,
perché capace di suscitare le stesse emozioni. Discorso diverso per il valore
storico di un’opera originale, che deriva dal fatto che il suo artefice ha
operato direttamente alla sua realizzazione. La quasi totalità degli individui,
incapace di cogliere la differenza tra un originale ed un falso, rimarrebbe
ugualmente emozionata nel visitare un museo importante, anche se le opere
esposte fossero semplici e raffinate copie. Cosa cambia, artisticamente
parlando, se il Marcaurelio in piazza del Campidoglio è un originale o una
copia?
32
Esercitare una professione creativa in provincia è come pisciare
controvento. Se poi si tratta di una provincia a vocazione prevalentemente
agricola, essere creativi equivale a cagarsi addosso.
33 Buona parte del patrimonio artistico, soprattutto
architettonico, ha dei costi di manutenzione talmente alti da renderne
conveniente l’abbattimento e la ricostruzione. Quelli che si scandalizzano di
fronte a questa affermazione debbono sapere che buona parte delle cattedrali
tedesche sono il frutto di una oculata ricostruzione conseguente alle
distruzioni della seconda guerra mondiale. Così come il campanile di Piazza San
Marco a Venezia, ricostruito dopo il crollo avvenuto all’inizio del ‘900.
Stesso discorso per Ponte Vecchio a Firenze, distrutto dai tedeschi nella loro
ritirata. Un edificio ricostruito non ha nulla di meno, artisticamente
parlando, del suo originale. Nell’originale come nella ricostruzione l’ideatore
dell’edificio ha fatto un progetto che è stato poi eseguito da altri, ed è il
progetto il vero valore artistico e storico dell’opera. Come il valore di una
sinfonia sta nell’atto creativo del suo compositore, a prescindere da chi e da
quando tale sinfonia venga eseguita.
34
Ogni comune pretende risorse per valorizzare il proprio patrimonio
artistico. Nella gran parte dei casi il patrimonio artistico esiste solo nella
fantasia dei cittadini di quel comune. L’ignoranza fa credere loro che la
semplice vetustà conferisca valore a cose che, nel momento in
cui furono realizzate, non ne avevano. La merda, anche dopo secoli, resta
merda. E così ogni comune vuole il suo piccolo museo archeologico, dove
custodisce e mostra reperti di scarso o nullo valore. Museo che, naturalmente,
nessuno visiterà, mentre la sua gestione avrà costi che saranno pagati dai
soliti stronzi.
35 Politici disonesti o semplicemente incapaci
continuano ad illudere i propri elettori sostenendo che l’agricoltura abbia la
capacità di creare benessere diffuso, sfruttandone adeguatamente le
potenzialità. Nella realtà l’agricoltura è sempre associata a redditi bassi, e
questo per la semplice ragione che il valore aggiunto nel settore agricolo è
decisamente scarso. Infatti in tutto il mondo i paesi con economia
prevalentemente agricola sono tra i più poveri, mentre l’agricoltura nei paesi
ricchi è sempre fortemente sussidiata dallo stato.
36
Se ci si prende la briga di controllare certi dati, si può facilmente
osservare una costante. Tanto più un paese ha il PIL pro capite alto, tanto più
è bassa l’incidenza dell’agricoltura nella sua economia. Tanto più l’incidenza
dell’agricoltura è alta, tanto più il PIL pro capite è basso.
37 Il
settore agricolo non sfuggirà al destino di ogni altro settore dell’economia:
la concentrazione della produzione in un minor numero di soggetti economici,
capaci di sfruttare le economie di scala che ne conseguono. I piccoli
coltivatori pian piano scompariranno, mentre le grandi aziende faranno sempre
più ricorso a sofisticate tecnologie che ridurranno al minimo la necessità di
manodopera non qualificata.
38
Tra coloro che usciranno di scena vi sono soprattutto quelli incapaci di
guardare il mondo con lucidità, e che continuano a credere che i loro prodotti
siano i migliori al mondo. Che si tratti di uva, di grano o di olio. Come se il
Padreterno avesse concentrato in un unico luogo il meglio che la natura potesse
dare, e che abbia donato loro, in via esclusiva, capacità di cui ogni altro
popolo è privo.
39 Come
tutti i mediocri, i piccoli produttori agricoli invocano l’intervento dello
stato affinché, attraverso dazi e barriere doganali, riduca la concorrenza
delle importazioni. Invocano la tutela dei consumatori, quando in realtà sono
interessati esclusivamente a salvaguardare i propri redditi. Se le politiche
protezionistiche da loro invocate producono danni alle esportazioni di prodotti
tecnologici sofisticati, con la chiusura di aziende innovative che impiegano
ingegneri ed operai preparatissimi, a loro non importa assolutamente nulla.
Quasi sempre questo è dovuto al fatto che non riescono a vedere oltre il
proprio naso, ed il mondo, per loro, finisce a pochi chilometri da dove vivono.
40
La gran parte dei piccoli produttori agricoli ha una visione del mondo
talmente limitata, da credere che i prezzi, il mercato, l’economia, dipendano
dalle vicende locali. Il fatto di non comprendere che oramai è il mercato globale
a decidere ogni cosa, e che le vicende del proprio contado siano
insignificanti, li condurrà alla rovina. Solo quelli tra loro che saranno in
grado di comprendere gli epocali cambiamenti che si stanno verificando,
troveranno nuove opportunità per il loro futuro.
41 Quando
facevo il militare mi sono reso conto di un fatto che mi ha fatto a lungo
riflettere: tutti i figli di famiglie borghesi, spesso benestanti, che avevano
viaggiato, avevano studiato e conosciuto il mondo, mangiavano tutto quello che
la mensa offriva, senza mai lamentarsi. I commilitoni di origini umili, poco
istruiti, che provenivano da luoghi arretrati e miserabili, che non avevano
conosciuto altro che il loro piccolo mondo, schifavano tutto, e non mangiavano
nulla. L’unico vino buono era quello che producevano loro, l’unico sugo buono
era quello che preparava la mamma, l’unico pane decente era quello del proprio
paese, e così per ogni cosa. Non erano minimamente sfiorati dall’idea che fosse
impossibile che miliardi di persone facessero una vita miserabile,
semplicemente perché diversa dalla loro.
42 Il
contadino, mediamente, ha una tale limitatezza culturale da non comprendere
come nel mondo possano esistere milioni di alternative al suo modo di vivere. Tutta
quanto è diverso dal loro modus vivendi lo ritengono semplicemente sbagliato. Non
accettando la diversità, non viene accettata neanche la novità. Tanto che, se
fosse dipeso dai contadini, oggi vivremmo come 4000 anni fa. Nessuna
innovazione è mai venuta dal mondo contadino. Qualunque innovazione avvenuta
nel mondo agricolo è figlia della città e della sua capacità di cercare e
trovare nuove soluzioni a vecchi problemi. Il contadino, al massimo, scrolla le
spalle rassegnato, scettico verso qualunque innovazione che possa produrre un
cambiamento nella sua vita.
43
Tutti i contadini che fanno il vino in casa, convinti di fare il
migliore vino del mondo, dovrebbero fare un semplice esperimento: in una grande
tavolata dovrebbero mettere delle caraffe con il proprio vino e delle bottiglie
di buon vino prodotto industrialmente, e verificare, alla fine, quale vino sia
stato consumato. Forse capirebbero che il loro vino non è poi quel capolavoro
che credevano.
44
Il contadino che fa il vino in casa, sebbene non sappia neanche leggere
e scrivere, è convinto di saperne più di un enologo con tanto di laurea e
lunghi anni di esperienza. Benché durante l’intera vita non abbia bevuto alcun
vino diverso dal suo, si permette di sostiene con fermezza che il suo vino sia
migliore di qualunque altro.
45
Il perfetto coglione non ama il pane di Modena, o di Ancona, oppure
quello di Bari. Egli afferma in modo perentorio che il pane del proprio paese è
il migliore del mondo, e che tutti gli altri panettieri sono degli incapaci. Al
perfetto coglione non passa per la mente che, forse, ognuno ha la sua
tradizione, e produce quel certo pane perché è quello il pane che la gente del
posto preferisce.
46 Tutte
le innovazioni, le scoperte, i progressi che ci consentono l’attuale livello di
benessere, provengono dalla città. Perché è solo nelle città che si concentrano
quelle menti creative ed aperte a tutte le possibilità. La storia del mondo è
la storia delle città. Tebe, Persepoli, Atene, Roma, Alessandria, Bisanzio,
Parigi, Londra, New York. Le città si possono paragonare a dei torrenti in
piena, limpidi e rigogliosi. Il mondo contadino appare, al confronto, come una
palude putrida e stagnante. C’è un esperimento che tutti possono fare: basta
prendere i nomi di personaggi illustri operanti in qualunque ambito, dalla
letteratura all’arte, dalla scienza all’imprenditoria, dallo spettacolo
all’economia, e verificare dove hanno vissuto ed operato. Che siano cento o
mille nomi il risultato non cambia: tutti sono legati ad una grande città.
47 La
fine del medioevo corrisponde alla rinascita delle città ed allo sviluppo di
una nuova classe sociale: la borghesia. I cosiddetti secoli bui, nei quali vi è
stata una regressione dei livelli di civiltà, corrispondono al periodo
caratterizzato dall’economia contadina di tipo curtense.
48
Si parla spesso di civiltà contadina, confondendo la civiltà con la
cultura. La civiltà è una prerogativa della “civitas” e non può che
manifestarsi in ambito urbano. L’inizio della civiltà corrisponde alla nascita
delle prime città, e da quel momento l’intera storia del mondo è la storia
delle città.
49
Qualunque persona di eccezionale talento, se fosse rimasta a vivere in
provincia, avrebbe condotto una vita fallimentare, e sarebbe stata considerata
arrogante e presuntuosa. Che si tratti di Picasso o di Renzo Piano, di Fellini
o di Camilleri, di Versace o di Umberto Eco. La provincia è fatta per i
mediocri, che riescono a prosperare nel loro ambiente naturale, circondati da
altri mediocri con i quali ci si spalleggia a vicenda. Null’altro che la grande
città è in grado di offrire ai geni l’indispensabile contesto nel quale
prosperare.
50 In
provincia, l’insegnante che scrive poesie ermetiche, condite ogni tanto da
qualche parola difficile, si sente un grande poeta, sostenuto, nella sua
convinzione, dall’adulazione falsa dei colleghi, altri grandi coglioni. E
questo vale anche per chi si diletta di pittura, realizzando mediocri copie di
opere conosciute, e sentendosi alla stregua di Caravaggio. I complimenti dei
colleghi, totalmente incompetenti, soddisfano la vanità di questi pseudo
artisti, i quali, a loro volta, non mancheranno di ricambiare la cortesia. La
provincia offre sempre questo squallido spettacolo, che sarebbe in sé tragico,
se non fosse ridicolo.
51 È nella natura del provinciale sopravvalutare
sé stesso, il proprio ambiente ed il proprio mondo. Come quei mediocri che
pagano coloro che si occupano di ricerche araldiche, affinché trovino una
nobile ascendenza al proprio casato, così il provinciale cerca nella storia
spunti più o meno reali, per dare lustro al mondo nel quale vive. Quasi sempre
si creano miti ai quali il provinciale finisce per credere, anche se poi, ad
una attenta analisi, il castello di menzogne crolla miseramente.
Quasi sempre si cercano labili appigli ai quali aggrapparsi per dare
lustro al proprio presente, mancando le basi di una storia importante. E così
ci si inorgoglisce del fatto che il tale personaggio pernottò casualmente nel
proprio paese, oppure che il proprio paese sia citato in qualche antico
documento. La coglionaggine arriva a tali livelli da considerare alla stessa
stregua la storia di Firenze o di Venezia con la storia del proprio miserabile
borgo, nel quale, per secoli, uomini e bestie vivevano in simbiosi nella più
oscura ignoranza.
52 La
natura del provinciale lo porta a limitare le proprie conoscenze all’ambito del
piccolo mondo nel quale vive. Il provinciale non sente il bisogno di conoscere
altri mondi, altre culture, altri modi di vivere e di pensare. Direi, anzi, che
egli teme la diversità, e giudica negativamente tutto quanto differisce da ciò
che conosce. Perché il provinciale nasce “imparato”, a sa già tutto quel che
occorre sapere.
53 Il professionista provinciale ha una
peculiarità che lo distingue dal professionista di città. Egli è fermamente
convinto che, essendo laureato, ha il diritto di esprimersi su tutto, e non
solo sulla materia oggetto del suo studio. Nella gran parte dei casi è un
caprone privo di cultura, anche se bravo nella propria professione. Ma la sua
arroganza, tipica proprio degli ignoranti, lo porta a credersi persona di
grande cultura, e soprattutto a pontificare su cose di cui davvero non sa
nulla, enunciando banalità come sentenze inappellabili. Tutto questo avviene
perché la platea che ascolta tali banalità è composta da individui della stessa
inconsistenza.
54 Il mondo contadino ha una natura profondamente
stoica, a differenza del mondo della grande città, che ha natura epicurea. Quindi,
se amate godervi la vita, andate a vivere in città. Il contadino, per ragioni
storiche, evita di vivere il presente, rimandando ad un futuro che mai
arriverà, il godimento dei frutti del proprio lavoro. Tende ad accumulare
ricchezza, nell’ancestrale timore di una eventuale carestia. Si tratta,
comunque, di una ricchezza che produce pochi benefici per la collettività,
perché non è il denaro che si accumula a creare lavoro e benessere, ma il
denaro che si spende.
55
I coglioni credono che il medioevo sia stata l’epoca della cavalleria e
delle principesse, dell’amor cortese e dei tornei. Il medioevo, come quasi
tutto il tempo passato, è stata un’epoca di fame, miseria, malattia, violenza,
sopraffazione, insicurezza, ignoranza, superstizione. Un’epoca nella quale il
valore della vita umana era prossimo allo zero, e nella quale gli uomini
vivevano come le bestie.
56 Il vero dramma del meridione d’Italia è
costituito dall’esistenza di una borghesia semi parassitaria perennemente
attaccata alla mammella pubblica, dalla quale suggere redditi e privilegi che
altrimenti non saprebbe come procurarsi, essendo poco avvezza al confronto con
il libero mercato. Quelli che vi appartengono non concepiscono altro sistema
per garantirsi reddito, privilegi e prestigio, che esercitare professioni
protette, o lavorare nel pubblico impiego, oppure ricevere incarichi pubblici
di qualsiasi genere. Disdegnano ogni tipo di impresa industriale o commerciale,
ritenendo queste attività umilianti e degradanti, oltre che rischiose. La
rendita è la loro massima ambizione, unitamente al possesso di cespiti
immobiliari. Come i signori medioevali, ritengono il rango sociale la misura di
ogni cosa, e si ritengono naturalmente portatori di privilegi di nascita e di
appartenenza. Secondo i loro valori un insegnante o un impiegato pubblico
meritano maggior rispetto e considerazione rispetto a qualunque imprenditore,
anche se questi fattura milioni di euro e dà lavoro a centinaia di persone.
Perché percepire un reddito garantito dallo stato, senza alcuna relazione tra
ciò che si vale e ciò che si percepisce, pone un individuo ad un livello
sociale superiore rispetto a chi è privo di questo privilegio.
57 Il borghese meridionale ambisce ad
entrare nella pubblica amministrazione, dove trova prestigio, sicurezza e
potere. Poi, da questa posizione parassitaria, fa di tutto per rendere la vita
difficile a chiunque intraprenda un’impresa. Questa pletora di farabutti
produce due evidenti risultati. Da un lato succhia soldi alle casse pubbliche,
ed indirettamente a coloro che producono ricchezza, dall’altro lato, con
sottile sadismo, rende difficile lo sviluppo di una sana imprenditoria,
perennemente vessata da questi cialtroni.
58 La parassitaria borghesia meridionale è composta
da individui talmente miserabili da credere che il diritto che hanno ad
occupare certi posti abbia natura divina, e che tale diritto sia ereditario.
Infatti codesti borghesi faranno di tutto per inserire i propri figli nei ruoli
della pubblica amministrazione, utilizzando l’appartenenza a quella naturale
massoneria composta da tutti coloro che occupano posti di potere all’interno
della pubblica amministrazione. Ognuno di loro rappresenta il nodo di una rete di
mutuo soccorso, utile a controllare la farsa dei concorsi pubblici.
59 La
borghesia meridionale ha una natura profondamente contadina, ed un legame
morboso con il possesso della terra, retaggio culturale della nobiltà
borbonica. Togliere risorse e potere a questa borghesia è il primo passo per un
riscatto del SUD.
60 Per comprendere il gusto medio del
borghese meridionale, ma soprattutto per comprendere quale sia il valore che
egli attribuisce alla bellezza e al decoro, basta fare un tour negli studi
professionali di medici, ingegneri, commercialisti, avvocati. In nove casi su
dieci scopriamo che lo stato dei locali è fatiscente, privo di cura e
manutenzione, ed arredato con sedie, tavolini e quadri di recupero, raccattati
nei modi più diversi. Immancabilmente vi saranno presenti riviste di qualche
anno addietro, di quel genere che nessuno legge. Eventuali comunicazioni
saranno affisse alle pareti con tanto di nastro adesivo, unitamente a quadri
assolutamente impresentabili. Nonostante guadagnino fior di soldi, non
ritengono opportuno investire un solo euro sul decoro, anche perché, essendo
nati e cresciuti nella bruttezza e nel degrado, vi si trovano a proprio agio.
Ogni euro speso per rendere più accogliente lo studio è un euro sottratto
all’acquisto di nuovi uliveti, e questo è per loro inconcepibile. Non ci si
deve quindi meravigliare se anche le città in cui vivono sono generalmente
trasandate, sporche, brutte, prive di decoro e manutenzione.
61 La
piccola borghesia di provincia è quanto di più becero vi possa essere. È
composta da individui tronfi e saccenti, presuntuosi ed inconsistenti, che
amano compiacersi vicendevolmente, giusto per illudersi di valere qualcosa. È
la valvola di sfogo per le loro miserie intellettuali, che sono profonde ed
insanabili. La cosa grave è che, dall’alto della loro arroganza, si permettono
di pontificare su cose di cui non sanno assolutamente nulla. Palloni gonfiati
che fanno la loro figura in un contesto di ignoranti cronici, ma che apparirebbero
per quel che sono, semplice merda, in un contesto diverso dal loro piccolo
miserabile mondo.
62
Il piccolo borghese meridionale usa lamentarsi del fatto che tutti
vogliano i figli laureati, e nessuno più impari un mestiere. Nel frattempo
obbligano i figli a prendere una laurea. A dover fare gli operai, naturalmente,
debbono essere i figli degli altri, e non i propri. Esiste comunque una
caratteristica propria di questa miserabile borghesia, e che ne costituisce
l’essenza: il disprezzo per coloro che lavorano. La loro matrice culturale
profondamente controriformista li spinge a ritenere che coloro che per vivere
sono costretti a lavorare siano dei disgraziati mentecatti, e che da mentecatti
vadano trattati. Solo coloro che in qualche modo derivano i loro redditi dallo
stato meritano rispetto e considerazione, perché sono gli unici che possono
permettersi di non fare un cazzo, e quindi di godere della prerogativa tipica
dei signori.
63 Sotto l’appellativo di volontariato si
nasconde un vasto sistema parassitario attraverso il quale pochi faccendieri,
legati ai partiti ed ai sindacati, fanno business sfruttando giovani
disoccupati che prestano la loro opera camuffandola come prestazione volontaria
destinata all’assistenza di categorie disagiate. La loro paga viene camuffata
come rimborso spese, così si evita anche di pagare i contributi. Di volontario,
nel volontariato, non vi è nulla, se non uno dei tanti sistemi truffaldini per
dare un reddito al sottobosco della politica.
64
Le organizzazioni “no-profit” sono una delle tante trovate per poter
vivere sulle spalle degli altri. Forti della loro smisurata arroganza
pretendono di fare del bene con i soldi degli altri. Innanzitutto i membri di
queste organizzazioni prendono uno stipendio, direi, anzi, che lo pretendono.
Si chiamano “no-profit”, intanto non lavorano gratis. Mentre un lavoratore
autonomo si arrabatta tra mille difficoltà per guadagnarsi uno stipendio, e lo
stato lo massacra perché cerca un “profitto”, il parassita delle associazioni
“no-profit” riceve il suo stipendio proprio dalle tasse pagate dal fesso con la
partita IVA.
65 La
schiera di quelli che pretendono di vivere mungendo la mammella dello stato si
fa sempre più nutrita. Tra cooperative, ONLUS, Lavori socialmente utili, pseudo
associazioni di volontariato, sindacati, patronati, controllori di ogni genere,
ausiliari del traffico, parcheggiatori, addetti alla riscossione dei tributi,
milioni di italiani vivono sulle spalle di chi davvero lavora e produce. Se ad
essi aggiungiamo i dipendenti pubblici ed i pensionati, possiamo renderci conto
di quale fardello deve trasportare chi è tanto stupido da lavorare davvero. E
la cosa più assurda è che quelli che davvero lavorano sono anche considerati
ladri ed evasori fiscali.
66
Chiunque vive sulla ricchezza prodotta da altri è un parassita. Eppure,
sebbene questa condizione sia comune a milioni di italiani, davvero pochi si
rendono conto di godere di un tenore di vita dovuto al lavoro altrui. I
parassiti sono quelli che più di chiunque altro parlano sempre di diritti e mai
di doveri. Essi reputano naturale che qualcun altro paghi i servizi di cui
beneficiano e di cui non pagano il prezzo. Esistono persone che nella loro
intera esistenza non hanno mai pagato una lira di tasse o di contributi, e sono
i primi a pretendere pensioni, sussidi, assistenza sanitaria, case popolari, e
tutto il possibile e immaginabile. Ma la cosa davvero ridicola, se non tragica,
è che sono quelli che con maggior foga inveiscono contro i politici,
chiamandoli ladri. Roba da matti.
67
La produttività di un dipendente pubblico, rispetto ad un dipendente privato,
è vergognosamente bassa. Effettivamente non esiste alcuna relazione tra ciò che
costui produce e ciò che percepisce.
68 Il
più grande alleato e benefattore dei parassiti è lo stato. È lo stato che vi pignora
la casa se ritiene che avete pagato meno tasse del dovuto, ed utilizzerà quelle
tasse per dare la casa popolare a chi le tasse non le ha mai pagate, e mai le
pagherà.
69 Sono
proprio i parassiti quelli più pronti a lamentarsi ed a manifestare per
ottenere diritti che ritengono sacrosanti, il primo dei quali consiste nel
poter vivere sulle spalle degli altri. Vivono sottraendosi ad ogni dovere nei
confronti della collettività, doveri dai quali si sentono dispensati, ma che
necessariamente debbono essere adempiuti dai fessi, affinché possano foraggiare
il loro parassitismo.
70
Lo stato è come un grande condominio, ma con regole decisamente assurde.
Mentre in un condominio tutti partecipano delle spese comuni in ragione del
loro presunto utilizzo, in uno stato tanto meno uno paga, tanto più utilizza le
risorse pagate da altri. Lo stato, in parole povere, è il protettore dei furbi.
71 Quella
dei dirigenti pubblici è una schiera di inetti fannulloni che sostengono di
avere qualità di cui sono del tutto privi. Visto che si ritengono tanto bravi, ci
si chiede perché non si dimettono e non si offrono sul mercato, o non
intraprendono un’impresa. Passano la
vita a lamentarsi, ma dalla mammella pubblica non si staccano neanche se
cascasse il mondo. Forse sanno che, quasi certamente, in una azienda privata
verrebbero messi a spazzare i pavimenti.
72 I sindacati rappresentano la più grande
organizzazione parassitaria presente in Italia. Fattura cifre enormi, senza dar
conto a nessuno, e gode di privilegi spropositati. Insieme alle cooperative,
alle ONLUS, alle varie associazioni di comodo, forma una sovrastruttura che
vive sulle spalle di chi lavora, con la complicità dello stato che emana leggi
apposite per darle denaro e potere.
73
Essere solidali con il culo degli altri è da gran farabutti. Quando lo
stato decide di spendere soldi per immigrati, zingari, fannulloni di vario
genere, dovrebbe chiedere ai cittadini se sono d’accordo o meno. La solidarietà
non può essere una prerogativa dello stato, ma la libera scelta di ogni singolo
cittadino. Deve essere davvero drammatico vedersi pignorare la casa per debiti
con il fisco, e poi sapere che danno una casa popolare a degli zingari, che non
hanno mai pagato nulla, e mai pagheranno nulla, oltre al fatto che
continueranno impunemente a rubare ed a delinquere.
74
Il parassita che munge la mammella dello stato vorrebbe sempre più
regole e sempre più tasse, anche se questo produce la morte delle aziende.
Questo emerito parassita nutre una profonda e malcelata invidia verso tutti
coloro che hanno successo economico, e non desidera altro che il loro
fallimento. E così, abusando dei poteri che lo stato gli ha conferito, piomberà
come uno sciacallo sulle aziende, cercando cavilli e pretesti per comminare qualche
sanzione. Lo fa credendo di operare a favore della società, e ritenendo il suo
lavoro fondamentale per l’interesse di tutti. Ma rimane solo un miserabile
parassita, e null’altro.
75 La
burocrazia è l’insieme di strutture e di uomini preposti ad esercitare il
potere per conto della cupola mafiosa chiamata “stato”. In cambio del proprio
asservimento e della propria complicità il burocrate parteciperà alla
spartizione di una parte del malloppo costituito dal gettito tributario.
I danni prodotti dalla burocrazia sono enormemente maggiori di quelli
prodotti dalla criminalità. E la cosa indecente è che i burocrati credono
davvero di fare qualcosa di utile, o, peggio ancora, credono di essere
indispensabili. La vita passata tra leggi assurde, regole incomprensibili e
lentezze ingiustificabili, li porta ad una latente demenza di cui non si
rendono conto.
76 I
burocrati odiano la semplicità, perché è solo dalla complessità che essi
traggono prestigio e potere. Nella semplicità e nella chiarezza, la loro stessa
esistenza sarebbe inutile.
77 Lo
stato, non diversamente dalla moglie, farà di tutto per fracassarvi i coglioni.
Ciò nonostante, così come della moglie, non se ne può fare a meno.
78 Lo
stato è una efficientissima organizzazione criminale. La cupola che la governa
ama vivere nell’ombra, e preferisce far credere che il governo sia nelle mani
di un parlamento democraticamente eletto. Mentre i governi vanno e vengono, la
cupola rimane sempre saldamente al suo posto.
79 Tutti i servizi pubblici lavorano in un regime
di monopolio. La mancanza di concorrenza produce inefficienza, scarsa
produttività, sprechi, pessimi servizi. È solo la concorrenza che produce
vantaggi per gli utenti. In un servizio pubblico nessuno ha interesse a
migliorare le cose. I dirigenti, comunque vada, avranno i loro stipendi a
faranno la carriera prefissata, mentre i dipendenti continueranno a percepire
uno stipendio, che non avrà alcun rapporto con il lavoro realmente svolto, né
con la soddisfazione dell’utenza.
80 Semplificare una macchina o una procedura è
l’auspicio di qualunque professionista intelligente. L’ingegnere migliore è
quello che riesce a far compiere ad una macchina lo stesso lavoro con meno
passaggi. Qualunque software aumenta di efficienza quanto più è breve
l’algoritmo. Anche uno stato funziona meglio quando le leggi sono poche,
chiare, semplici. Tante più leggi vengono promulgate, e tanto più sono
complesse e contraddittorie, tanto più i cittadini, per poter sopravvivere
dignitosamente, sono costretti a raggirarle o eluderle.
81 La corruzione è la figlia diretta della
discrezione. Esiste corruzione solo laddove la certezza delle norme e dei tempi
è sostituita dalla discrezionalità del burocrate. Eliminare la corruzione
aumentando le pene è stupido, oltre che inutile. Per eliminare la corruzione è
necessario che ogni cittadino abbia la facoltà di fare tutto quanto non sia
espressamente vietato dalla legge, e secondo regole certe e semplici. La
verifica del rispetto delle norme deve essere fatta a posteriori.
82
Gli stati con il più alto indice di corruzione sono quelli con i sistemi
legislativi più ingarbugliati e con la burocrazia più inefficiente. Esiste
inoltre una relazione diretta tra il numero degli avvocati ed il livello di
corruzione di un paese. Poche leggi, semplici e chiare, lascerebbero
disoccupati molti avvocati.
83
Nel nome della patria milioni di disgraziati sono morti, e quasi sempre
non sapendo neanche la ragione della guerra che combattevano. Disgraziati
contro disgraziati, aizzati gli uni contro gli altri da una martellante e
sottile propaganda fatta di menzogne. Pedine di un gioco condotto dai soliti
potenti dalle stanze dorate dei loro salotti.
Quasi sempre dietro l’epica di ogni popolo si nascondono inutili massacri.
Chi scrive la storia la falsifica, ad uso e consumo del popolo coglione, ed a
beneficio dei soliti potenti che gridavano: “vincere o morire” e che non hanno
né vinto né sono morti, mentre sono morti quelli che non volevano né vincere né
morire.
Alla fine coloro che sono stati
mandati al macello, e che spesso non sapevano neanche perché combattevano
quella guerra, avrebbero preferito restare a casa con le loro famiglie. Invece,
come sempre accade, qualcuno ha deciso delle loro vite e dei loro destini,
senza prendersi la briga di chiedere la loro opinione. Date queste premesse,
non mi sentirei di condannare coloro che cercano di evitare di essere mandati
al macello. Non si tratta di vigliacchi, ma di persone consapevoli di come
davvero va il mondo.
84
Che una guerra si vinca o si perda, nessun vantaggio ne trarrà il
popolo. Gli unici a beneficiare delle guerre sono i soliti potenti, che si
spartiscono il dividendo delle carneficine, qualunque sia l’esito del conflitto.
85
Il numero delle contravvenzioni elevate non dipende dalla disciplina
degli automobilisti, ma dalle necessità di cassa delle amministrazioni che
beneficiano di quelle entrate. Comuni come Roma o Milano, semmai gli
automobilisti dovessero diventare improvvisamente disciplinati, andrebbero in
bancarotta. Se un comune, per sopravvivere, deve confidare sull’indisciplina
degli automobilisti, vuol dire che effettivamente le contravvenzioni sono solo
un atto di sciacallaggio verso i cittadini, non dissimile da ciò che facevano
nell’antichità i briganti nei confronti dei viandanti. Se davvero si volesse
evitare che le auto corrano troppo, soprattutto in città, basterebbe realizzare
un certo numero di dossi artificiali. Invece si preferisce utilizzare autovelox
posizionati in posti strategici, quelli che garantiscono il maggior numero di
contravvenzioni.
86
Uno stato sovrano crea denaro dal nulla. Con quel denaro può creare
lavoro. Quel lavoro produce ricchezza. Ed è quella ricchezza che dà valore al
denaro creato dal nulla. È un meccanismo semplice che pochi comprendono, perché
nessuna scuola insegna ai ragazzi un minimo di politica monetaria, ovvero del
come nasce e si gestisce la moneta. Ancora oggi la gente immagina che la moneta
abbia un suo valore intrinseco, e non sia, invece, una semplice cambiale. È
chiaro che anche la moneta creata dal nulla ha dei limiti, rappresentati dal
tasso di inflazione.
87
Con il pretesto dell’interesse generale si perpetrano i peggiori crimini
e le più infami ingiustizie. Quasi sempre viene spacciato per interesse
generale quello che in realtà è l’interesse di una minoranza. Il cosiddetto
interesse generale è il cavallo di troia con il quale limitare la libertà
individuale ed imporre regole sfacciatamente assurde.
88
La fiducia nelle istituzioni appartiene a due sole categorie: agli
uomini di stato ed ai perfetti coglioni. I primi, in verità, di fiducia nelle
istituzioni non ne hanno affatto, ma debbono rispettare il loro ruolo, mentendo
spudoratamente. I secondi hanno davvero fiducia nelle istituzioni, chiaro
segnale della loro coglionaggine.
89
Per salvare l’Italia occorre sopprimere una certa percentuale della sua
popolazione. Che si usi la forca, la fucilazione o la camera a gas, ha poca
importanza. Oramai troppe metastasi, tra parassiti, prepotenti e criminali di
piccola e grande risma, stanno distruggendo ciò che resta dell’Italia. E queste
metastasi, con la complicità di governi imbelli, si stanno diffondendo sempre
più.
90 La deriva morale di questo paese è tale da non
rendere praticabile altra soluzione che la sospensione della democrazia.
Chiaramente la democrazia, in sé, non è la causa dei nostri problemi, ma la sua
errata interpretazione che consiste nel credere che ogni debosciato abbia la
facoltà di fare ciò che vuole, confidando nella assoluta impunità. Ogni onesto
cittadino è oramai ostaggio di delinquenti, prepotenti, debosciati, parassiti,
mafiosi, e furbi di ogni genere. Una situazione che giustifica, a mio parere,
una sospensione o una riduzione delle garanzie costituzionali, soprattutto una
loro interpretazione troppo favorevole alla parte marcia della società.
91 Tanto il denaro che lo stato spende, quanto
quello evaso al fisco e che rimane nella disponibilità di chi lo ha guadagnato,
rientra nell’economia globale. La vera differenza sta nel chi spende quei
soldi. Spendere i soldi guadagnati da altri è diverso che spendere il denaro
guadagnato con il proprio sudore. È incontestabile che la spesa dei privati è
molto più efficiente della spesa pubblica. È per questo che il gettito
tributario deve essere il minimo possibile, e lasciare all’iniziativa privata,
per quanto possibile, la scelta dei servizi di cui si vuol usufruire ed il
prezzo che si è disposti a pagare.
92 È vero che il sistema fiscale ha anche lo
scopo di redistribuire il reddito. Tuttavia se il principio è condivisibile,
all’atto pratico si creano enormi ingiustizie. Massacrare di tasse chi si
spacca la schiena per guadagnare, e poi dare sussidi e case popolari a zingari,
fannulloni e debosciati non è una bella cosa, e giustifica, a mio parere,
l’evasione di chi a malapena sopravvive.
93
Per quanto lo stato possa fare, l’economia sarà florida fin quando chi
lavora, investe, rischia, riuscirà a ricavare un reddito superiore a quello che
ricaverebbe se facesse il fannullone. Se davvero lo stato riuscisse a far
pagare appieno tutte le tasse che pretende, l’economia collasserebbe. Molti di
quelli che oggi lavorano per sopravvivere, preferirebbero chiudere baracca e
burattini ed entrate nella folta schiera dei mantenuti pubblici.
94
Quasi tutti quelli che si vantano di essere degli onesti cittadini perché
pagano tutte le tasse, in realtà, se potessero farla franca, evaderebbero
meglio e più degli altri. Infatti questi galantuomini, che inveiscono contro i
lavoratori autonomi quando si servono di un artigiano non vogliono
assolutamente pagare l’iva, oppure svolgono tranquillamente un secondo lavoro
in nero.
95
I coglioni sono sempre pronti a condannare il piccolo evasore fiscale
che vorrebbe esercitare il sacrosanto diritto di godere dei frutti del proprio
lavoro, pur sapendo che probabilmente quei soldi andranno a beneficio della
sterminata pletora di parassiti che vivono del frutto del lavoro altrui, un
esercito di parassiti che lo stato nutre e coccola.
96 È ridicola la propaganda messa in atto dallo
stato per fomentare l’odio sociale nei confronti degli evasori, creando dei
capri espiatori ad uso del popolo coglione, al fine di nascondere le proprie
malefatte. Si vuol far credere, ad esempio, che un evasore è un parassita,
perché vive sulle spalle degli altri. I conti, naturalmente, non tornano.
Sarebbe un parassita chi ha pagato 20 mila euro di tasse, e che magari ne
avrebbe dovute pagare 30 mila, e non un fannullone che di tasse non paga nulla
perché non ha alcun reddito. In pratica, chi paga 20 mila euro vive sulle
spalle degli altri, chi invece non paga nulla, non vive sulle spalle degli
altri. Se Berlusconi evade un milione di euro, pagandone comunque 20, secondo
la propaganda vive sulle spalle degli altri. Non c’è che dire: sono dei geni.
97 Ogni qualvolta viene trasmessa un
programma televisivo, si può assistere a questa infame situazione: tutti coloro
che partecipano al dibattito vivono di soldi pubblici. Dal conduttore che
prende i soldi dalla RAI, al giornalista che vive dello stipendio di un
giornale mantenuto con soldi pubblici, e che spesso nessuno legge. Dal
dirigente dell’agenzia delle entrate al politico. Dal sindacalista al
rappresentante di qualche ente sovvenzionato dallo stato. Mai che possa
intervenire qualcuno che vive del proprio lavoro e che si vede massacrato dallo
stato e dalla burocrazia.
98 Ogni dichiarazione di fallimento produce
un unico effetto: l’arricchimento di qualche curatore fallimentare. Una
sterminata pletora di professionisti piccolo borghesi, generalmente mediocri,
frequenta i corridoi dei tribunali, nella speranza di ottenere un incarico in
qualche curatela fallimentare. Dopo la nomina si avventano su ciò che rimane di
un’azienda, spolpandola fino all’ultima goccia di sangue.
99 Un governo di cialtroni è sempre preferibile
ad un governo di moralisti intransigenti e giacobini. Nel primo caso, male che
vada, finisce tutto a tarallucci e vino, mentre nel secondo caso finisce sempre
in tragedia.
100 Un governo saggio non è mai troppo
intransigente nel rispetto delle leggi, e consente un certo margine di anarchia
all’interno della società. Tale margine è indispensabili per far sì che i
cittadini, mossi dai propri egoismi, agiscano in modo da correggere nei fatti
gli errori e le mancanze dello stato.
101 Che la cosiddetta unità d’Italia sia stata una
sciagura per il meridione è fuori discussione. Ma pretendere di addebitare ogni
problema del sud a quei fatti storici è da vigliacchi. Tutti i problemi del SUD
hanno una matrice culturale, figlia della propria storia. Ogni popolo è ciò che
è in ragione del proprio passato, durante il quale si è formata la sua cultura:
una cultura di matrice prettamente controriformista, barocca, latifondista. Il
meridionale non è mai diventato un cittadino, rimanendo, nel suo intimo, un
suddito. E tutta la struttura sociale è costruita su questa particolare
caratteristica, ovvero la dicotomia tra il signore ed il servo.
102 Ed
il signore, nella cultura barocca, è colui che non lavora, e che vive di
rendita e di privilegi, godendo di quel piccolo potere che gli deriva dalla
vicinanza allo stato. Ecco quindi che il meridionale ambisce sopra ogni altra
cosa all’impiego pubblico, cosa che gli conferisce prestigio, reddito certo e
continuo, ed una infinita quantità di tutele. E tutto questo a prescindere dal
fatto che effettivamente lavori bene o male.
103 Un
semplice postino gode di una considerazione sociale superiore a quella di un
piccolo imprenditore, nonostante il fatto che guadagni molto di meno. Oltre al
pubblico impiego il meridionale cerca le professioni protette, quelle che
godono di poca concorrenza, come il farmacista o il notaio. Anche un ingegnere
cerca la “protezione dello stato”, con la conseguenza che ambisce ad avere uno
stipendio sicuro con l’insegnamento, e poi si aggrappa allo stato per ottenere
perizie d’ufficio o rilascio di certificazioni. Con la conseguenza che spesso
un ingegnere edile in tutta la sua vita non progetta un solo edificio.
104
Esiste una grande differenza tra l’essere sudditi e l’essere cittadini.
Mentre i cittadini si sentono artefici e responsabili del proprio destino, i
sudditi ritengono che il loro destino dipenda dalla volontà di coloro che
comandano, e che nulla possano fare salvo mettersi sotto la protezione di
qualche potente. I terroni sono
prevalentemente dei sudditi, nella loro forma mentis, ed in quanto tali non
sanno cosa farsene della democrazia, di cui non ne comprendono il senso più
profondo. Ed effettivamente la democrazia al Sud è solo una farsa, ed è la
responsabile di buona parte dei problemi del mezzogiorno.
105 La democrazia funziona e da ottimi frutti solo
laddove esiste un popolo composto da cittadini, consapevoli dei propri diritti
e dei propri doveri. Il suddito, per sua natura, considera la furbizia ed il
piccolo sotterfugio indispensabili per condurre una vita dignitosa, e si
giustifica sostenendo che “tanto fanno tutti così” e non farlo sarebbe da
fessi.
106 Una
delle cose che mi fa incazzare è ascoltare persone del Sud sostenere che nel
loro paese, spesso un piccolo paesino di montagna, si viva meglio che nelle
città del Nord. A parte il fatto che questo è tutto da dimostrare, la cosa
grave è che questi coglioni non si rendono conto che la qualità della loro vita
è possibile grazie all’industria del Nord, ed alle tasse che le regioni
settentrionali pagano proprio grazie ai redditi prodotti dall’industria. È
bello godersi la vita tranquilla di un piccolo paesino senza inquinamento,
traffico e stress, avendo le pensioni, la sanità e le scuole pagate dai fessi
del Nord.
107 Nessuna maschera rappresenta gli italiani, ed
i meridionali in particolare, come Pulcinella. La sua caratteristica è quella
di essere un semplice servo che comunque si compiace della sua furbizia che
consiste nel rubacchiare al proprio padrone, credendo di farlo fesso. E non si
rende conto che l’unico fesso rimane lui, perché mentre il padrone continua a
vivere negli agi e nel benessere, lui resterà servo per sempre, così come i
propri figli che saranno i servi dei figli del suo padrone.
108 Nessuno è tanto fesso quanto colui che si
crede tanto furbo.
E, a proposito di furbizia, la dimostrazione di ciò che siamo sta nel
fatto che mandiamo via i nostri giovani laureati più preparati, più ambiziosi,
più intelligenti, per accogliere una massa di immigrati straccioni ed
analfabeti. Occorre essere davvero dei coglioni per non vedere il disastro che
stiamo preparando.
109
I politici meridionali cercano di acquistare consenso promettendo
sviluppo e lavoro. Peccato che l’unico lavoro che concepiscono è sempre e
comunque legato alla spesa pubblica. Parlano di fondi europei, di fondi
regionali, di cooperative che dovrebbero valorizzare il territorio, oppure
assistere i disabili, o, ancora, figure da inserire nel sistema sanitario,
vigilatori del traffico, guide turistiche dove di turistico non c’è
assolutamente nulla. Questi politici alle volte dicono queste stupidaggini
coscienti di mentire, ma molto più spesso sostengono queste cose perché davvero
ci credono, ed è questo il vero dramma. A nessuno di loro passa per la mente
che l’unico vero sviluppo possibile e concreto consiste ella nascita di aziende
private capaci di produrre cose o servizi che abbiano un vero mercato mondiale,
puntando, possibilmente, sull’innovazione e sulla tecnologia. Intanto, mentre
gli altri costruiscono valvole cardiache, microprocessori o robot, noi speriamo
di creare sviluppo finanziando la sagra del finocchio.
110 Se al sud non arrivassero risorse prodotte da
alcune regioni del Nord, sarebbe la catastrofe. Pochi sono coscienti del fatto
che al Sud, scuola e sanità, non sarebbero sostenibili senza quei
trasferimenti. Quando non si è capaci di provvedere a sé stessi, ma occorre
utilizzare risorse prodotti da altri, si è dei parassiti. Tutti i meridionali,
a queste parole, si indignano e si offendono, cercando, attraverso
inconsistenti giustificazioni, di arrampicarsi sugli specchi. Pare quasi che,
per colpe che qualcuno ha commesso 150 anni fa, il Nord abbia il dovere di
mantenere il Sud per l’eternità.
111
Le cose da fare per risolvere i problemi del Sud sono molte. Ma
qualunque intervento risulterebbe inutile se non se ne attua prima il più
importante, premessa per ogni successiva azione: la sospensione della
democrazia.
112 La peculiarità del terrone è quella di nutrire
la più totale sfiducia nei confronti dello stato e delle sue istituzioni, che
egli considera tentacoli di una grande e vorace piovra. Tale atteggiamento è il segno più evidente di
una intelligenza sottile, maturata in secoli di vicissitudini storiche dalle
quali il terrone ha tratto la verità ultima: il potere, qualunque potere, è il
naturale nemico di ogni uomo libero.
113 Nessun progresso sarà mai possibile fin
quando i terroni continueranno a credersi i più bravi, i più intelligenti, i
più furbi di tutti, ma soprattutto fin quando continueranno a scaricare su
altri le loro esclusive responsabilità.
114 La natura di un popolo si evince da tante
piccole cose, che sembrano non pertinenti, ma che, lette nel modo giusto, sono
un libro aperto. Prendiamo ad esempio il modo in cui sono organizzati i
colloqui scolastici. Non è possibile immaginare che decine di “professori” non
siano in grado di organizzare i colloqui in modo tale che ogni genitore perda
il minor tempo possibile e non passi il pomeriggio in inutili code. Questo non
avviene, per la semplice ragione che a nessuno importa del tempo perso dagli
altri. E così, il meridionale, fin dall’infanzia impara ad essere
approssimativo e leggero riguardo gli orari e gli appuntamenti. La recita
scolastica inizierà certamente almeno con un’ora di ritardo, così come la
partenza dell’autobus per la gita scolastica, perché nessuno si presenterà con
meno di un’ora di ritardo. Questo modo di fare è talmente radicato e
considerato normale che se rimproverate qualcuno per il ritardo ad un
appuntamento, questi vi guarderà stupito, non comprendendo la vostra
indignazione
115 Ogni
popolo è convinto di essere migliore di ogni altro popolo. Anche quello più
scalcinato, più disastrato, più povero. più cialtrone, più parassita, più
arretrato, più ignorante, più schiavo, più intollerante. Anzi, pare che tanto
più le condizioni di un popolo siano disastrate, tanto più quel popolo si sente
superiore, ed addebita i propri disastri ai più fantomatici ed immaginari
nemici, oppure a qualche complotto internazionale che vuole quella situazione.
Nessuno ammette di essere responsabile della propria condizione, ed è proprio
questa la causa che impedisce qualunque cambiamento.
116
Un popolo che si piange addosso, aspettando che qualcuno risolva i suoi
problemi, merita la miseria nella quale vive. Addebitare ad altri colpe che
appartengono solo a sé stessi è da vigliacchi, o da emeriti coglioni.
117 Un
serio studio della storia ci insegna una verità di cui pochi sono davvero
coscienti: il popolo non ha mai contato nulla. La storia è sempre il frutto
della dialettica esistente all’interno di sparute minoranze. Nel frattempo il popolo,
composto in prevalenza da grandi coglioni, è convinto di contare qualcosa, e di
essere determinante per i destini dell’umanità: stupidaggini.
118 Ogni
popolo è fermamente convinto che i propri prodotti, tanto dell’agricoltura
quanto dell’industria, siano i migliori esistenti. Anche di fronte all’evidenza
il popolo è assolutamente cieco. Naturalmente esiste una minoranza priva di
pregiudizi, capace di valutare le cose per quel che sono in realtà. Ecco perché
in ogni società esiste una parte della popolazione che prospera, decide i
destini del paese e detiene il potere, mentre la maggioranza vive di stupidi
luoghi comuni, ed è, consapevolmente o meno, alla mercé dei potenti.
119 Il
popolo? Ebbene, il popolo è fatto da quegli stessi individui che a Piazzale
Loreto hanno vilipeso i cadaveri di Mussolini e di altri fascisti, e che tempo
prima inneggiavano al duce a piazza Venezia.
120
L’elettore, in un politico, non cerca né l’onestà né la capacità, ma
solo qualcuno che curi i suoi interessi, anche se, per fare questo, vengono
calpestati i diritti degli altri. Il
proprio tornaconto è l’unica cosa che conta, ed al culo tutto il resto.
121 Il
popolo manifesta sempre la propria indignazione di fronte alla pratica della
raccomandazione, sebbene ogni persona, in privato, vi ricorre senza ritegno.
122 Quelle
che noi chiamiamo rivoluzioni sono quasi sempre delle semplici rivolte. Il
popolo che vi prende parte non è altro che uno strumento utile a coloro che
vogliono sostituirsi ai precedenti governanti. Quando la rivolta sarà terminata
il popolo avrà semplicemente cambiato padrone.
123
Perché avvenga una vera rivoluzione occorre che il popolo acquisti
consapevolezza. Se questo accadesse non sarebbe necessario alcun uso della
violenza. Ma la consapevolezza non apparterrà mai che a piccole minoranze,
mentre le masse saranno mosse solo dai loro più elementari istinti. Coloro che
saranno capaci di sfruttare questi istinti, useranno le masse per i propri
fini. Mai dimenticare che tra Gesù e Barabba, il popolo salvò Barabba.
124 Ogni
grande cambiamento è l’opera di una minoranza di intellettuali. L’intervento
delle masse è semplicemente strumentale.
125 I coglioni sono convinti che la rivoluzione
francese sia stata una rivolta del popolo contro i privilegi delle
aristocrazie. In verità la rivoluzione francese è stato il mezzo per sostituire
l’aristocrazia della terra con quella del denaro. Il popolo, dopo la
rivoluzione, ha continuato ad essere quel che è sempre stato: una
insignificante massa di servi.
126 Quelli che si lamentano del fatto che lo stato
eroghi le pensioni sociali a chi non ha pagato contributi, trovando la cosa
ingiusta, dovrebbero sapere che la stragrande maggioranza delle pensioni
erogate a coloro che hanno pagato i contributi, sono quasi sempre superiori a
quel che avrebbero dovuto essere se fossero erogate in base a quanto realmente
versato. Quelli che oggi prendono pensioni da 1600 euro al mese, ad esempio,
facendo i calcoli utilizzando la matematica attuariale e la speranza di vita al
momento del pensionamento, si accorgerebbero di dover prendere pensioni da 800
euro al mese. È evidente che ricevono dallo stato un regalo superiore a quel
che ricevono i pensionati sociali.
127 Il problema delle pensioni sembra
irrisolvibile, secondo il terrorismo praticato da una massa di cialtroni,
alcuni in malafede, altri assolutamente coglioni. Si presume che i pensionati
saranno sempre di più, mentre coloro che lavoreranno saranno sempre di meno. Si
omette però di dire una semplice verità: non conta assolutamente nulla il
numero delle persone che lavorano. Quello che davvero conta è la quantità
totale di ricchezza prodotta. Proviamo a pensare che non lavori più nessuno,
perché dei sofisticati robot fanno tutto il lavoro che oggi fanno gli uomini. Credete
che sia un problema? E perché mai? A noi non deve interessare quanto la gente
lavori, ma di quanti beni possiamo disporre. Se un paio di scarpe lo ha
prodotto una persona o una macchina, cosa cambia? Se il cibo viene prodotto da
macchine sofisticatissime, perché mai pretendere che sia un uomo a zappare la
terra? Nel futuro, sempre che non avvenga una imprevista catastrofe, tutta la
produzione sarà realizzata da robot, e quasi tutto il lavoro sparirà per gli
anziani e per i giovani. Ma questo non vorrà dire che non avremo cibo,
medicine, abiti ed ogni altra cosa ci occorri.
128
Durante la guerra, con il pane razionato ed i bombardamenti, i cinema e
le sale da ballo erano piene. Questo perché l’incertezza, la paura e le
privazioni, spingono la gente a distrarsi, evitando di piangersi addosso. Ma
soprattutto quando il futuro diventa incerto, si tende a vivere il presente,
godendone per quanto sia possibile.
129
Del domani non me ne frega niente. Non so neanche se ci sarò.
130
La responsabilità del consumo di droga non è dello spacciatore, ma del
consumatore. Nessuno viene obbligato a consumare droghe, come nessuno viene
obbligato a fumare, a bere troppo, o a mangiare male. Non è del tabaccaio la
colpa di chi fuma, né del barista la responsabilità di chi beve troppo. Occorre
una assoluta assunzione di responsabilità, e smetterla di trasferire su altri
responsabilità che sono proprie. Se la lotta allo spaccio di stupefacenti, dai
costi inimmaginabili, è totalmente fallimentare, è perché le energie si
dovrebbero concentrare su chi consuma sostanze, e non su chi le vende.
131
Non è il più intelligente a sopravvivere, ma quello che meglio si adatta
al cambiamento. Quelli che si lamentano della crisi non si rendono conto che il
problema è dentro di loro, ovvero nell’incapacità di comprendere i cambiamenti
e di adattarvisi.
132
Raramente i politici sono più ladri del popolo che li ha votati.
133
È la somma degli egoismi di miliardi di persone che determina il corso
della storia. Governare questi egoismi è innaturale e dannoso. Al di là di
pochi e precisi limiti, occorre che ognuno faccia quel che meglio crede. È il
sistema migliore per migliorare le condizioni di tutti. I limiti che possono
essere imposti debbono riguardare solo la sicurezza, la proprietà e la libertà
di ognuno.
134
Ogni volta che un governo ha voluto essere totalitario, nel senso di
pretendere di controllare ogni aspetto della vita delle persone, è finita in
tragedia.
135
I coglioni che straparlano di integrazione, sostenendo che essa sia
sempre possibile, dovrebbero essere costretti a vivere per un periodo in un
condominio abitato da zingari. Possiamo avere la matematica certezza che
cambierebbero idea in brevissimo tempo.
136
Non si fa guerra che il banchiere non voglia.
137
Non è stata ancora combattuta una sola guerra che abbia portato benefici
al popolo, il quale, alla fine, ne paga comunque il prezzo. A trarne vantaggio,
che la guerra la si vinca o la si perda, sono sempre le solite oligarchie.
138
La globalizzazione è un processo inarrestabile dovuto al mutare del
contesto tecnologico e geopolitico, e non certo alla volontà di qualche
governo. Ne possiamo rallentare l’espansione, porre degli argini momentanei, ma
nessuno sarà in grado di fermarla. Sicuramente la globalizzazione, come ogni
mutazione sociale, produrrà vincitori e vinti. Ed i vincitori saranno proprio
quelli che ne capiscono la natura, e si adattano al nuovo contesto
socioeconomico, dandosi da fare ed evitando di invocare dazi, protezioni e
barriere.
139 Spesso un buon paliatone, fatto al momento
giusto, produce enormi benefici all’educazione di un figlio. La stessa cosa
avviene con i popoli. Un paliatone, di tanto in tanto, serve a correggere le
pessime derive che una società può prendere, e riportare il necessario
equilibrio laddove tale equilibrio si fosse rotto.
140 Le ZTL e le isole pedonali, insieme ai
parcheggi a pagamento, sono il miglior regalo che le pubbliche amministrazioni
possono fare ai centri commerciali. Ad esclusione di importanti località
turistiche, le isole pedonali rappresentano la morte dei centri storici.
141
Anche il caos ha le sue regole.
Tra ordine e disordine, tra caso e necessità, la natura trova sempre nuovi
equilibri. L’uomo pensa, astrae, crea. Ma tutto, in potenza, è già creato.
Tutto quel che può essere è già incluso nelle leggi che governano il mondo.
142
Ogni cambiamento risponde ad una necessità. Cambiare non è mai una
scelta, ma una risposta indispensabile e spesso inconsapevole al mutare dei
fattori contingenti. Il mondo propone continue innovazioni, alle volte
impercettibili, altre volte dall’impatto dirompente. Un cambio di governo, una
scoperta scientifica, una mutazione climatica, un trattato commerciale,
cambiano il corso della storia. Il sistema è talmente complesso che nessuno è
in grado di prevedere il futuro. Come in tutti i sistemi caotici, basta una
piccola variazione per determinare, nel lungo termine, variazioni macroscopiche
ed epocali.
143
Una puttana esercita per mestiere, a differenza di una zoccola che,
invece, lo fa per vocazione. Puttane si diventa; zoccole si nasce.
144
Tra gli esseri umani le suore sono quelle dall’indole più cattiva, di
una cattiveria nascosta sotto il velo della carità. Il rimorso di tutti i
peccati che non hanno potuto commettere si trasforma in sottile disprezzo verso
ogni essere umano.
145
Il Presidente della Repubblica parla, parla, parla, ma, in fondo, non
dice assolutamente nulla, al di fuori di palesi banalità.
146
È nella natura di ogni prete il voler gestire il denaro degli altri e
disporne a loro insindacabile giudizio, quasi fosse frutto del loro lavoro. Costoro
amano fare la carità con i soldi degli altri, e gestire ospedali, ospizi,
università, scuole. Lo fanno pretendendo di essere considerati benefattori,
anche se poi il conto lo paga lo stato o coloro che usufruiscono di quei
servizi.
147
Pretty Woman è uno dei film più amati dalle donne, perché esalta le loro
due massime aspirazioni: fare le puttane ed essere mantenute da un uomo ricco e
potente.
148 Il vero dramma non sta nella disonestà dei
politici, ma nella loro inconsistenza. La gran parte di loro si è formata nei
ranghi della pubblica amministrazione, che è il regno dell’inefficienza, dei privilegi,
dello sperpero, della corruzione, del parassitismo e del nepotismo. È normale
che amministrino la cosa pubblica secondo i paradigmi tipici del mondo dal
quale provengono. Un grande salto verso l’efficienza della macchina pubblica
sarebbe l’obbligo, per chi pretende di avere cariche amministrative, di
dimostrare una convalidata esperienza nella gestione di aziende private
costrette, giorno dopo giorno, a confrontarsi con il mondo vero, quello che
lavora e produce e nel quale chi non è efficiente viene spazzato via.
149
Raramente i politici sono più ladri degli elettori che li hanno votati.
È inevitabile che un popolo di ladri elegga dei politici ladri. I quali, è bene
ricordarlo, sono considerati tali solo quando rubano per sé o per gli altri, mai
quando rubano per chi si lamenta della loro disonestà.
150
Esistono persone davvero importanti e persone che si danno importanza.
La differenza tra loro è la stessa che passa tra chi è autorevole e chi ha
autorità.
151 I giornalisti hanno il loro bravo albo, al
quale non intendono rinunciare. Il suo scopo è quello di limitare l’accesso
alla loro professione, e quindi diminuire la concorrenza. Sostengono che
l’iscrizione all’albo sia una garanzia per i lettori che loro considerano, a
ragione, dei gran coglioni. Non spiegano però come mai in America o in
Inghilterra, dove esiste una stampa di alta qualità, non esista alcun albo dei
giornalisti.
152
Se esiste una cosa che fa davvero incazzare è quando dei miserabili
quaquaraquà che si dicono giornalisti, si permettono di fare i moralisti e
pontificare di cose di cui non sanno assolutamente nulla. Questa genie di
mantenuti, che prendono i loro stipendi da giornali mantenuti in vita dai
finanziamenti pubblici, che piagnucola ogni qualvolta rischia di perdere il
lavoro, ed invoca ulteriori interventi pubblici a carico dei contribuenti, ama,
sopra ogni altra cosa, criticare il mondo dei lavoratori autonomi, considerati
criminali evasori, e non persone che si fanno un culo enorme per guadagnare la
pagnotta senza pretendere di vivere sulle spalle degli altri. Danno
informazioni false, grossolane, approssimative, facendo credere cose
inesistenti, e si astengono assolutamente da qualsiasi confronto che li farebbe
apparire per quel che sono, dei miserabili coglioni.
153 Ogni artigiano crede che i suoi prodotti siano
migliori di quelli realizzati dall’industria. Ci crede perché è un imbecille, e
non riesce a vedere la realtà. La produzione industriale, che impiega macchine
da milioni di euro e procedure impossibili per un artigiano, realizza prodotti
migliori di quelli artigianali e, a parità di qualità, ad un prezzo molto più
basso. Occorre prendere atto che quasi tutti gli artigiani che producono cose
spariranno. Ne resteranno pochi davvero bravi per soddisfare i capricci di una
clientela ricca, e disposta a pagare per qualcosa di esclusivo.
154
L’artigiano che si lamenta della crisi, ed aspetta con speranza che
torni il lavoro, non si rende conto che il contesto è irreversibilmente
cambiato, ed il suo lavoro è diventato inutile. La gente continua a spendere,
ma ha priorità diverse rispetto al passato.
155
Quella degli avvocati è una delle categorie che annovera il maggior
numero di sciacalli. Spesso avidi, cinici, falsi e corrotti, prosperano sulle
disgrazie altrui, pronti ad avventarsi sul disgraziato che dovesse capitargli a
tiro. Molto spesso il successo economico di un avvocato è in diretto rapporto
con la sua indole criminale.
156 Basta una semplice scorreggia, per far si che
un magistrato “apra un fascicolo”.
157
Il fatto che nella sola città di Roma vi siano più avvocati che non in
tutta la Francia, la dice lunga sulle magagne della nostra legislazione e del
nostro sistema giudiziario.
158
La vita di ogni grande uomo si è sempre intrecciata con grande frequenza
con la vita di altri grandi uomini. Il rapporto con persone eccezionali, con
quella minoranza che emerge dalla massa, è il nutrimento indispensabile allo
sviluppo del proprio genio. Questa è la ragione del fatto che la vita dei
grandi uomini, in qualunque ambito abbiano operato, si è sempre svolta nelle
grandi città. È solo nelle grandi città che si concentrano le più brillanti
intelligenze, formando quella massa critica necessaria all’esplosione del
genio. La provincia, qualunque essa sia, è la patria della mediocrità e la
tomba di ogni grandezza. La provincia è un luogo popolato di pulci che si
credono leoni.
159
Ci sono quelli che fanno gli imprenditori, e ci sono quelli che
vorrebbero insegnare a fare gli imprenditori. Visto che un imprenditore
guadagna molto più che un insegnante, non si capisce per quale motivo, costoro,
piuttosto che accontentarsi del loro misero stipendio, non avviano un’impresa.
160
Quella degli insegnanti è una categoria molto importante, alla quale
dobbiamo grande riconoscenza. Purtroppo una schiera eccessivamente folta di
insegnanti è composta da spocchiose nullità, da esseri insulsi ed inconsistenti
incapaci di rendersi conto di essere delle spocchiose merdacce. Tra le altre
cose, essendo la scuola pubblica, lo stipendio degli insegnanti in gamba e
quello dei coglioni si equivale. E questa, per l’educazione dei giovani, è una
sciagura. Aumentare lo stipendio degli insegnanti sarebbe giusto, se automaticamente
non aumentasse anche lo stipendio di quelli tra loro che dovrebbero andare a
zappare.
161
La disponibilità all’azzardo, ed una certa indole criminale, fanno parte
del corredo di ogni imprenditore di successo. Egli non pretende di cambiare il
mondo, né si pone problemi di ordine morale. Il vero imprenditore accetta il
mondo così com’è, ed agisce di conseguenza.
162
Un imprenditore di successo insegue il profitto aumentando il fatturato,
e non abbassando i costi, si circonda di persone capaci, pagandole bene, e non
di mediocri pagati quattro soldi, e sa bene che per ottenere profitti occorre
prima investire, senza troppo lesinare sulle spese.
163 L’intellettuale non sarà mai felice; è contro
ogni legge di natura. Solo i semplici possono aspirare alla felicità, perché la
loro sana ignoranza le spalanca le porte. L’intellettuale è perennemente
insoddisfatto, perché cerca sempre più in profondità, senza mai trovare la
verità ultima. Mentre l’intellettuale consuma la propria esistenza nella speranza
di migliorare il mondo, il semplice accetta il mondo così com’è, e ne gode per
quel che può. Fortunatamente l’istruzione di massa non è riuscita a diffondere
la cultura, che rimane prerogativa di pochi, in modo tale che la massa, che
continua beatamente a navigare nell’ignoranza, può ancora legittimamente
sperare in qualche sprazzo di felicità.
164
Non tutte le zoccole lo sono allo stesso modo. Una zoccola romana, ad
esempio, ha sempre qualcosa di decadente. Una zoccola napoletana ha una
calorosa volgarità popolare. Una zoccola siciliana manifesta anche a letto la
sua natura aristocratica. Una zoccola bolognese è succulenta e passionale come
una buona lasagna. Una zoccola milanese è puntuale, efficiente e malinconica
come una giornata di nebbia. Una zoccola torinese sa di gianduiotto.
165
Tra gli zotici, i peggiori sono quei mediocri piccolo borghesi che si
credono dei signori, ignorando che i loro miserabili natali difficilmente
possono essere nascosti ad un occhio allenato.
166 Quella del codardo è la categoria che annovera
la stragrande maggioranza della popolazione. Se il potere è sempre detenuto da
una minoranza, e se la stessa minoranza detiene la più grossa parte della
ricchezza di una nazione, è perché il popolo accetta con viltà qualunque
ingiustizia perpetrata in suo danno. Se il numero dei codardi fosse piccolo,
nessuna minoranza sarebbe in grado di opprimere violentare e depredare la gran
parte della popolazione. Se il popolo non fosse stato codardo, non sarebbe
stato possibile che un signorotto con un manipolo di bravi riuscisse a
sottomettere migliaia di contadini, ridotti in una condizione di vera e propria
schiavitù.
167
Nessuno ammette di essere un coglione, addebitando sempre ad altri la
causa dei propri problemi. La crisi, la Cina, la globalizzazione, qualche
complotto, ogni pretesto è buono per giustificare il proprio fallimento.
Omuncoli senza arte né parte, analfabeti rimbambiti dalla televisione, privi di
qualsiasi conoscenza o professionalità, passano la vita a piagnucolare,
elemosinando l’intervento dello stato perché garantisca loro un reddito. Nel
frattempo altri, molto meno coglioni di loro, studiano, si aggiornano,
viaggiano, imparano le lingue, si mettono in gioco e vanno avanti senza tante
storie.
168
La folta schiera dei giovani diplomati disoccupati che si lamentano, è
composta essenzialmente da miserabili coglioni che, avendo ottenuto un titolo
di studio, credono di aver automaticamente diritto a un “posto”. Dopo anni di
scuola non sono capaci di tradurre un breve testo in inglese, né di elaborare
un testo in un italiano decente. Non hanno un minimo di cultura generale e di
cultura scientifica. Praticamente sono degli assoluti analfabeti che hanno
buttato al vento cinque anni della loro vita. Poi, non riuscendo a superare i
test di ingresso a qualche facoltà universitaria, sostengono che ci vogliano le
raccomandazioni, oppure che i test siano troppo difficili. E così, per
garantirsi la pagnotta, iniziano a frequentare il territorio della politica,
dove sperano di trovare una qualche sistemazione. Poiché sono questi giovani
che con grande probabilità entreranno nella pubblica amministrazione, non ci si
deve meravigliare dello sfascio imbarazzante in cui versa la macchina pubblica.
169
La capacità del comico di capire le cose del mondo supera quella di
chiunque altro. Il comico, oltre ad essere dotato di grandissima intelligenza,
ha la capacità di ridere di quelle cose che altri, stupidamente, prendono sul
serio. Sicuramente un governo di comici farebbe meglio di un governo di
politici tanto seriosi quanto coglioni.
170
Le donne si dividono in due categorie: e signore, che amano essere
trattate da gran mignotte, e le mignotte, che amano essere trattate da gran
signore.
171
Le donne meritano tutta la nostra considerazione, specialmente se sono
giovani, belle, e piuttosto mignotte.
172 Una ragazza povera di facili costumi viene
inevitabilmente considerata una zoccola, mentre una ricca che se la gode è solo
una ragazza allegra.
173
Il signore, nel creare la donna, ha fatto un gran bel lavoro. Ne avrebbe
fatto uno migliore se non le avesse dato la parola.
174
Per diventare davvero ricchi occorre possedere un’indole criminale. Se
non si infrange la legge, si infrange la morale. Non esiste grande ricchezza
che derivi dall’onesto lavoro di qualcuno, per quanto laborioso e bravo possa
essere.
175
Esistono due tipi di ricchi, quelli che amano fare gli sborroni, e si
arricchiscono per godersi la vita, e quelli che amano semplicemente accumulare
denaro, spendendo il meno possibile. Mentre gli sborroni, spendendo, danno
lavoro e stimolano l’economia, quelli che accumulano non danno alcun beneficio
alla società, e le loro fortune andrebbero confiscate.
176
I danni maggiori fatti all’umanità originano sempre da coloro che
pretendono di conoscere meglio di chiunque altro cosa è bene e cosa è male per
gli altri. Questi presuntuosi pretendono di imporci ad ogni costo quei
comportamento che loro ritengono necessari per il nostro bene, e non tollerano
che ognuno decida da sé stesso. L’umanità ha subito i peggiori crimini proprio
da costoro, intolleranti, crudeli e manichei.
177
Tutti quelli che vivono di stipendi pubblici passano la vita a
lamentarsi di quanto siano sottopagati rispetto a quanto effettivamente
meriterebbero. Eppure nessuno di loro lascia il proprio posto di lavoro per cercare
migliori opportunità al di fuori dell’impiego pubblico. Evidente, in cuor loro,
sanno di non valere un cazzo, e che solo lo stato gli può garantire uno
stipendio sicuro senza alcun rapporto con le loro effettive capacità.
178
In un sistema di concorrenza lo stipendio sarebbe in rapporto ai servizi
prestati all’utenza, la quale sarebbe libera di rivolgersi ad altri enti.
Questa libertà spingerebbe i cittadini a rivolgersi a chi garantisce servizi
migliori e più efficienti, lasciando fallire i meno efficienti nei confronti
della clientela. Solo in tale contesto i parassiti ed i fannulloni sarebbero
costretti a lavorare con efficienza. Nella pubblica amministrazione, operante
in un regime di monopolio, non esiste alcuna relazione tra lo stipendio ed il
lavoro eseguito, mentre la garanzia del posto a vita non obbliga nessuno
all’efficienza, con il risultato che vediamo.
179
La caratteristica principale della pubblica amministrazione e dei suoi
dipendenti, è la mancanza totale di rispetto per i cittadini, per il loro
tempo, per le loro necessità, per i loro diritti. Se tutto questo avviene è
solo per la posizione di monopolio nella quale la pubblica amministrazione
opera. Semmai esistesse un regime di concorrenza, ed il cittadino avesse la
possibilità di rivolgersi all’ufficio che meglio lo serve, tutti gli uffici
pubblici chiuderebbero per mancanza di “clienti” con il conseguente
licenziamento dei dipendenti. Ma sono convinto che, se ci fosse concorrenza,
tutti i dipendenti pubblici diventerebbero efficienti, gentili e zelanti.
180
Nel futuro l’unico vero capitale sarà la conoscenza. E proprio nella
conoscenza si effettuerà il più proficuo degli investimenti. Le proprietà
immobiliari varranno sempre meno, e lentamente si concentreranno nelle mani di
poche società. Qualunque bene durevole verrà offerto in uso ad un certo canone,
e nessuno avrà interesse ad acquistarne la proprietà.
181
La conoscenza, in ogni caso, non può essere tassata, rubata, pignorata.
Resterà sempre nella vostra esclusiva disponibilità, finché sarete in vita. La
conoscenza non consuma energia, non inquina, non ha costi di stoccaggio.
182
È solo la conoscenza che produce ricchezza, bellezza e benessere. I
paesi più ricchi sono quelli nei quali la conoscenza è più abbondante e
diffusa. Le multinazionali più potenti e performanti sono quelle che più di
altre investono sulla conoscenza e sviluppano prodotti immateriali.
183
La gran parte delle notizie che ci vengono propinate non sono affatto
delle notizie. Informarci che un paese spia un altro non è una notizia, ma un
dato di fatto di cui tutti sono a conoscenza. Trasmettere un servizio
sull’inefficienza della pubblica amministrazione non è dare notizie, perché si
tratta di una informazione di pubblico dominio. Trasmettere non notizie è il
miglior sistema per disinformare, perché, insieme a tante banalità la cui
verità è certa, si inseriscono notizie false alla quali gli utenti
automaticamente danno credito.
184 Ogni notizia va elaborata, sfruttando
l’intelligenza, la capacità critica e la cultura di chi la riceve. La stessa
notizia, nella mente di un intellettuale o nella mente di un analfabeta, ha due
diverse interpretazioni. Informare il
popolo, in ogni caso, equivale a consegnare una Ferrari a chi non può permettersi
di fare il pieno.
185
Il cinema trash, con i vari Bombolo, Pierino, e compagnia cantando, ha
una sua dignità, ma soprattutto una sua onestà. Perché questo cinema si
presenta per ciò che è, e non ha alcuna pretesa se non quella di far divertire
i semplici. Esiste un cinema, invece, che vorrebbe essere impegnato, ma che
produce solo dei grandi polpettoni.
186
Per comprendere la vera natura del popolo, e quelli che sono i suoi
desideri, è sufficiente prendere atto di cosa trasmette la televisione, e di
quali siano i programmi più seguiti. Qualunque persona intelligente comprende
la follia del suffragio universale, a la necessità di dare al popolo l’unica
cosa che davvero desidera: “panem et circenses”.
187 Più aumenta la qualità tecnica degli
apparecchi televisivi, e più diminuisce la qualità dei programmi trasmessi. La
merda, trasmessa in alta risoluzione, puzza ancora di più.
188
Il valore legale del titolo di studio è una vera iattura, perché fa sì
che tutti vogliano frequentare la scuola, e non solo quelli che hanno voglia di
studiare. La gran parte degli studenti ha bisogno di un “pezzo di carta” senza
del quale non potrebbe accedere al pubblico impiego. E così abbiamo una massa
di diplomati completamente analfabeta, condotta al diploma da una massa di
insegnanti che teme per il posto di lavoro, messo a rischio nel caso in cui, facendo
il proprio dovere, iniziassero a bocciare i ciucci.
189
Anche quando due persone guardano la stessa cosa, vedono, in realtà, due
cose diverse. E questo avviene perché quel che vediamo viene elaborato nella
nostra mente, utilizzando l’intero bagaglio intellettuale di cui disponiamo. E
poiché ognuno di noi ha un bagaglio intellettuale diverso, il frutto
dell’elaborazione sarà necessariamente diverso.
190
La cultura è una pianta che attecchisce e cresce rigogliosa solo nelle
grandi città. Perché è solo nelle grandi città che essa trova il terreno ed il
clima adatti alle sue necessità. Chi sostiene che la cultura appartenga anche
alla provincia è uno che non ha mai frequentato la vera cultura, o che confonde
la cultura con l’istruzione. Che poi vi siano, anche in provincia, singole
persone dotate di vasta cultura, non deve far dimenticare che una rondine non
fa primavera.
191
Il buon Dio ha avuto il buon senso di escludere la gran parte delle
persone dal mondo della cultura, lasciando le masse in una meravigliosa
ignoranza. Questo garantisce loro una certa dose di felicità, negata a coloro
tanto stupidi da volersi acculturare.
192 I relativisti, schiera di perfetti coglioni,
sostengono che tutte le culture si equivalgono, e che non esiste una scala
gerarchica tra diverse espressioni culturali. Quindi secondo loro la cultura
architettonica di chi costruisce capanne di fango è equivalente a quella di chi
ha costruito cattedrali e che oggi costruisce grattacieli. La cultura musicale
di chi suona tamburi è equivalente a quella dei Verdi e dei Beethoven. La
cultura tecnica di chi costruisce lance di legno equivale a quella di chi
costruisce satelliti artificiali. Per
affermare tutto questo occorre davvero essere degli idioti.
193
Nove laureati su dieci, dal momento della laurea, non leggono più un
libro per il resto della loro vita. In fondo se ne vergognano, e si giustificano
sostenendo di non aver tempo, sebbene smanettino ore con i telefonini.
194
Coloro che non leggono libri, per darsi un tono, amano arredare le loro
case con librerie imponenti e pretenziose. Quelli che invece leggono, amano
librerie semplici e pratiche.
195
Il vero valore dei libri non sta in ciò che vi è scritto, ma nel fatto
che la lettura è una ottima ginnastica per il cervello, e consente di costruire
quella capacità critica che divide gli uomini tra élite e popolino.
196
Esiste una relazione diretta tra la quantità di libri letti in un
determinato territorio, e la qualità della vita che vi si conduce.
197
Il valore legale del titolo di studio è una vera jattura, perché spinge
tutti i giovani a prendere un “pezzo di carta” senza del quale non potranno
fare i concorsi pubblici. E così ci ritroviamo una scuola piena di caproni che
non hanno voglia di fare assolutamente nulla, e degli insegnanti che li
promuovono sempre e comunque per non perdere studenti e rischiare di essere
trasferiti.
198
La gran parte dei giovani diplomati ha difficoltà a superare i test di
ingresso universitari, giustificandosi con il fatto che tali test siano
difficili. La verità è che questi giovani sono dei caproni, e se avessero
studiato non avrebbero avuto nessuna difficoltà a superarli.
199
I disoccupati si dividono in due categorie: quelli che cercano un lavoro
e quelli che cercano un posto. I primi, in un modo o nell’altro, qualcosa la
fanno sempre, mentre i secondi, in attesa del “posto” non fanno un cazzo.
200 È estremamente raro che un giovane che non
trova lavoro riconosca che, in effetti, non sa fare assolutamente nulla.
201
La rovina di molti ragazzi deriva dall’imbecillità dei genitori, e dalle
loro frustrazioni. Costoro raramente spingono i figli ad intraprendere studi ad
indirizzo tecnico o professionale. Tutti vorrebbero i figli avvocati o
commercialisti, e poi se li ritrovano a 40 anni a dovergli somministrare la
paghetta.
202
Il semplice fatto che il 90% dei giovani non è capace di fare una
semplice traduzione dall’inglese, nonostante 8 anni di studio della materia,
spiega molto riguardo alle difficoltà che questi hanno a trovare un lavoro
decente. Raramente ho visto giovani preparati, svegli ed intraprendenti restare
disoccupati troppo a lungo.
203
Chi ambisce alla ricchezza dovrà guardarsi bene dal pagare sempre tutti
i propri debiti. Ogni ricco, se avesse sempre onorato la propria parola,
sarebbe certamente molto meno ricco. Eppure i ricchi, i truffatori, gli
insolventi, i bancarottieri e gli usurai, quando entrano in banca vengono
ossequiati e riveriti, mentre onesti lavoratori, sempre rispettosi della legge
e del prossimo, se non sono ricchi, vengono trattati con sufficienza, se non
palesemente maltrattati.
204
Il debito pubblico, se emesso da uno stato con moneta sovrana nella
propria valuta, è pura finzione contabile. Questo per la semplice ragione che
lo stato sarebbe indebitato verso sé stesso, ovvero verso la propria banca
centrale.
205
Tanto più c’è crisi, tanto più i locali e le spiagge sono affollati.
206
In tempo di crisi ci sono quelli che si lamentano e piagnucolano,
aspettando che torni il sereno. Nel contempo ci sono quelli che si danno da
fare, e vanno avanti. Crisi o non crisi, esistono sempre opportunità da
sfruttare, e, in ogni caso, sono proprio quelli che si danno da fare a far si
che le crisi passino. Se dipendesse da coloro che si fermano a piagnucolare,
ogni crisi sarebbe irreversibile.
207
Non esiste la crisi, esistono solo cambiamenti più o meno rapidi.
Troppi, purtroppo, hanno difficoltà a capire ciò che accade, e passano il tempo
a piangersi addosso, aspettando, invano, che la crisi passi. Altri, avendo una
mente più aperta e pronta, si adattano al cambiamento, cogliendo quelle
opportunità che sempre esistono. Anche nei momenti storici più drammatici,
esistono persone che si arricchiscono.
208
La crisi colpisce prevalentemente i coglioni, quelli, per intenderci,
che vedono la Cina come un paese dagli stipendi da fame, e non come un paese
che sforna ogni anno 500 mila laureati in materie scientifiche tra i più
preparati. I coglioni chiedono dazi protezionismo, quelli più intelligenti si
preparano a produrre per decine di milioni di nuovi ricchi.
209 Non esistono spese inutili, perché ogni spesa
comporta il trasferimento di denaro. Quando un ricco spende in articoli di
lusso o voluttuari, produce lavoro. Quando osserviamo e rimaniamo ammirati per
opere che sfidano i secoli, come chiese, monumenti ed opere d’arte, non
dobbiamo dimenticare che tali opere si sono potute realizzare perché un
potente, tassando i suoi sudditi, ha raccolto il denaro necessario alla loro
realizzazione. Ma nello spendere quel denaro ha fatto lavorare spesso migliaia
di artigiani che, altrimenti sarebbero rimasti disoccupati. Perché quel denaro,
nelle mani dei sudditi, sarebbe stato speso per la pura sussistenza. E non vi
sarebbe stato neanche alcun progresso nel campo della tecnica, dell’artigianato
e delle costruzioni. Senza quelle “ingiuste” tasse non potremmo ammirare alcuna
opera umana, se non semplici capanne di fango.
210
L’economia di un paese è come una grande torta. Per quanto grande possa
essere, vi sarà sempre qualcuno che ne avrà molta, e qualcun altro che ne avrà
troppo poca.
211
Una città che non ha né industrie né industriali è una città la cui
borghesia ha problemi di natura culturale. Quando non esistono imprenditori
disposti ad investire nella produzione di beni o servizi vendibili in un libero
mercato, ed a livello globale, vuol dire che la sola idea di economia esistente
tra questa borghesia cialtrona, è quella che consiste nell’operare in un
mercato protetto dalla concorrenza o, peggio ancora, che vede come unico
cliente la pubblica amministrazione. La sua massima ambizione è mungere, sempre
e comunque, la mammella pubblica.
212
Il successo di un imprenditore deriva, spesso, dalla sua capacità di
vedere cose che altri vedono con molto ritardo. Nella corsa verso il successo,
partire in anticipo garantisce enormi vantaggi.
213
È solo la libera iniziativa che garantisce la prosperità economica. Il
desiderio di profitto è l’unica molla che spinge gli uomini a fare, rischiare,
investire, lavorare sodo, rischiare. Quando uno stato, attraverso le tasse, la
burocrazia, le regole, i sindacati, ed un enorme apparato parassitario da
mantenere, riduce i redditi degli imprenditori, tutta l’economia va a
scatafascio. Alla fine, anche i parassiti che si sentono al sicuro, pagheranno
lo scotto della mancata produzione di ricchezza. Perché deve essere chiaro che
per distribuire ricchezza occorre che essa sia prodotta. Quando un imprenditore
porta a casa meno di quanto guadagna un bidello, senza godere delle sue
garanzie e delle sue tutele, non potrà che prendere che una di queste due
decisioni: o entrare nel novero dei parassiti, oppure evadere alla grande.
214 Dicono che il lavoro nobilita l’uomo;
assolutamente falso. È il reddito a nobilitarlo, ovvero la possibilità di
soddisfare i bisogni. Infatti sta meglio chi ha un reddito senza lavorare,
rispetto a chi lavora senza avere un reddito.
215
Il lavoro, fortunatamente, sparirà. La tecnologia libererà finalmente
l’umanità dalla necessità di dover svolgere lavori faticosi, ripetitivi,
sporchi. I politici, spesso perché ignoranti, sperano di aumentare i propri
consensi promettendo quel lavoro che, invece, pian piano sparirà. La ricchezza
necessaria a consentire a tutti di condurre una vita libera e dignitosa sarà
prodotta da una minoranza di persone capaci di gestire strutture
tecnologicamente automatizzate e sempre più sofisticate.
216
Per la stragrande maggioranza è difficile immaginare la possibilità di
avere un reddito senza lavorare, perché, incapace di usare bene il proprio
cervello associa automaticamente il reddito alla quantità di lavoro. Il
reddito, invece, non centra nulla con la quantità di lavoro svolto, ma dipende
dalla quantità di ricchezza prodotta. Altrimenti chi ara un campo con il bue
dovrebbe essere più ricco di chi ara il campo con trattori potentissimi. Se ciò
che oggi producono miliardi di persone viene prodotto da robot, dove sta il problema?
217
L’umanità ha sempre sognato una mitica età dell’oro, nella quale si era
liberi dalla schiavitù del lavoro. Eppure, oggi che ci avviciniamo a questa
meta, la gente si lascia prendere dal panico, convinta che la mancanza di
lavoro vorrà dire miseria. Ma se l’umanità avrà a disposizione tutti i beni ed
i servizi di cui ha bisogno, perché mai dovrebbero esserci problemi? È chiaro
che nella fase di transizione durante la quale il lavoro man mano sparirà, ci
saranno enormi problemi, che i politici dovranno risolvere. La cosa più
difficile sarà quella di accettare l’idea che, alla fine, tutta la produzione
sarà realizzata da aziende pubbliche, per la semplice ragione che le imprese
private, non pagando più stipendi, non potranno neanche avere più clienti. Che
piaccia o meno, il futuro dell’umanità sarà una particolare forma di comunismo.
218
Se il datore di lavoro che sottopaga un dipendente pur potendosi
permettere di pagarlo a dovere è da biasimare, lo è altrettanto chi accetta di
lavorare per una paga miserabile. Se nessuno accettasse di lavorare per pochi
soldi, ogni datore di lavoro che avesse davvero bisogno di personale, sarebbe
costretto a pagare il giusto. I maggiori danni al mercato del lavoro non li fa
l’imprenditore che paga poco, ma chi accetta di farsi sottopagare. Ciò che non
si dice è che chi accetta di farsi sottopagare, probabilmente non vale molto
più della paga che prende. Chi davvero vale, difficilmente è disposto a farsi
sfruttare, e a piangersi addosso per anni: si rimbocca le maniche ed esplora
altre strade.
219 Ho più ammirazione per chi, pur di non farsi
sfruttare e maltrattare, si mette a delinquere, che di chi cala la testa ed
accetta di essere trattato come uno schiavo. Non esiste giustificazione per chi
si fa schiavizzare, se non la constatazione di essere nati servi.
220
In una società che tende inesorabilmente alla smaterializzazione, il
valore degli immobili tenderà mediamente a scendere. Molto probabilmente
mantenere un immobile costerà molto più del reddito che da esso si potrà
ricavare. Nel lungo periodo tutta la proprietà perderà di valore, perché la
tendenza è quella di pagare l’uso di un bene per il tempo che si riterrà
opportuno. Di ogni bene si preferirà un canone d’uso, piuttosto che acquistarne
la proprietà.
221
I mediocri passano la vita ad inveire contro i padroni, senza mai
prendere il coraggio tra le mani e mettersi in proprio. Le persone in gamba, se
reputano di valere qualcosa, non si lamentano dei loro padroni, ma cercano di
diventare padroni a loro volta.
222
I mediocri addebitano ai cinesi tutte le loro disgrazie, sostenendo tesi
che non stanno né in cielo né in terra. Nessuno ammette che i cinesi sono dei
gran lavoratori, come lo sono stati gli italiani del dopoguerra. Investono,
sono molto intelligenti, e soprattutto sfornano ogni anno centinaia di migliaia
di laureati in materie scientifiche tra i più brillanti. Il giovane italiano
che si lagna, con il suo diplomino da ragioniere e la sua imbarazzante
ignoranza, non ammette di non sapere e di non volere fare un cazzo, se non
occupare uno dei tanti posti da fancazzisti che la pubblica amministrazione
offre.
223 La vera forza dei cinesi sta nella nostra
debolezza, nel senso che siamo un popolo di vecchi che pensano ed agiscono da
vecchi. L’italiano non ha più alcuna voglia di investire, ed impiega i suoi
capitali su qualcosa che possa garantirgli una rendita. Mentre i cinesi si
laureano in ingegneria, gli italiani si laureano in giurisprudenza, in
giornalismo, in sociologia e in tante altre materie fatte di nulla. Poi
pretendono che lo stato garantisca loro un reddito, semplicemente perché si
sono laureati. E quindi si inventano lavori inutili, tanto per giustificare uno
stipendio. E mentre l’italiano si crede importante perché è stato assunto come
addetto stampa in qualche ente, il cinese inventa prodotti tecnologici
all’avanguardia.
224
Una delle ragioni della miseria imperante in contesti con cultura
profondamente contadina è il senso della parsimonia insito in codeste culture.
La parsimonia dei pochi si può tollerare, quella dei molti crea miseria perché
limita lo sviluppo. Poco risparmio e molta spesa beneficiano la comunità più
che molto risparmio e poca spesa.
225 Ognuno pensa esclusivamente ai propri
interessi, ritenendoli sempre e comunque prioritari rispetto agli interessi
degli altri. Dell’interesse generale non importa nulla a nessuno. Ecco quindi
la necessità di avere un governo con le palle, che non si faccia ricattare da
ogni piccola e grande lobby. La democrazia, nel voler conciliare gli interessi
di tutti, troppo spesso non produce che immobilismo, più deleterio di qualche
piccola ingiustizia.
226
Nessuno è più povero dell’avaro, perché non ha né per sé né per gli
altri.
227
Dio c’è, anche se alle volte sembra che giri la testa dall’altra parte.
Avrà le sue buone ragioni, che noi non comprendiamo.
228
Sono certo che Dio sia un buontempone, godereccio ed un po’ goliardo.
Alle volte fa degli scherzi piuttosto crudeli, e non capiamo perché. Quelli che
immaginano Dio come un essere severo e triste sono solo dei frustrati mentali.
229
Tutti hanno pregiudizi su tutti, e raramente sono infondati.
230
Spesso il povero, non riuscendo ad arricchirsi, vorrebbe che anche i
ricchi diventassero poveri. Questa è la sua idea di giustizia. Quelli
intelligenti, invece, anche se poveri ammirano i ricchi, e cercano di arricchirsi
a loro volta. È solo in questo modo che si incrementa la ricchezza di una
nazione, ed il benessere generale. Perché non bisogna dimenticare che anche il
povero, in una nazione ricca, è meno povero del povero di una nazione povera.
231 La più dannosa coglionaggine è quella di
sottovalutare gli altri. Credersi migliori di tutti riserva sempre amare
sorprese, con il rischio di ritrovare coloro che avevamo sottovalutati, davanti
a noi.
232
Il perfetto coglione si crede sempre nato “imparato”. Nonostante le sue
conoscenze siano estremamente limitate, è sua convinzione di sapere più e
meglio di chi, attraverso lo studio, i viaggi, le esperienze, ha acquisiti
davvero una valida conoscenza su una certa materia. Quasi tutti quelli che
producono vini imbevibili sono convinti di produrre il miglior vino al mondo,
anche se da 50 anni non bevono altro e non hanno alcuna conoscenza del settore.
E così contestano con arroganza il parere di chi davvero se ne intente, e muove
fatturati per decine di milioni di euro.
233
Quando dici che il 90% della popolazione moriva prima dei cinquant’anni,
il coglione ti risponde che non è così, perché sa di uno che è morto a 70 anni.
Quando dici che, mediamente, i laureati guadagnano di più di chi non ha
studiato, il coglione ti dirà che invece conosce un analfabeta che è diventato
ricco. Quando dici che i figli delle famiglie alto borghesi hanno maggiori
possibilità di inserirsi in posti di alto livello, il coglione ti dirà che non
è vero, perché conosce il figlio di in poveraccio che è diventato direttore di
banca. Parlare con dei coglioni è davvero difficile, perché non hanno il senso
della logica e dei numeri.
234
Il più diffuso sport nazionale è quello di parlare di cose di cui non si
sa nulla. E tanto meno si sa, tanto più si pretende di aver ragione.
235
Ridere di sé stessi e non prendersi mai troppo sul serio, è segno
inequivocabile di grande intelligenza. Il riso non abbonda sulla bocca degli
stolti, ma su quella dei saggi che hanno capito che, in fondo, la vita è solo
una grande commedia.
236 Il razzismo esiste in due varianti: quella
etnica e quella culturale. Se il razzismo basato sull’etnia è sempre
censurabile, quello basato sulla cultura è assolutamente legittimo. Perché
ognuno desidera condividere la propria vita con persone portatrici degli stessi
valori. Credo che nessuno ami vivere in un condominio in cui vi siano famiglie
di zingari. È forse razzismo questo? Forse il rispetto delle altre culture vuol
dire accettare di trasformare la propria vita in un inferno, la propria città
in una cloaca, il frutto del proprio lavoro e dei propri sacrifici nel bottino
di chi fa del furto l’unico modello di vita? Se questo è razzismo io sono il
più razzista dei razzisti.
237
Comunque sia, essere razziasti è un sentimento. Così come l’odio, l’amore,
il disprezzo. Eppure vorrebbero, attraverso la legge, sopprimere anche i
sentimenti. È chiaro che non ci riusciranno mai. Ed allora tutto si riduce ad
essere pure razzisti, l’importante è non dichiararlo.
238
Ogni resistenza al cambiamento è sempre deleteria. La scelta più
intelligente è prendere coscienza dei cambiamenti, ed adeguarsi. I coglioni non
capiscono che tutto muta incessantemente, e mai nulla rimane uguale a sé
stesso. Il vero problema è che solo le menti più aperte si adeguano senza
difficoltà ai cambiamenti.
239
L’invidia sociale è prerogativa di tutti i mediocri. Costoro, non avendo
le palle per intraprendere o per rischiare, vorrebbero che tutti fossero
miserabili come loro. Non si rendono conto, i coglioni, che la ricchezza di
pochi, le loro ambizioni, i loro investimenti, la loro intraprendenza, la loro
ricerca del benessere, produce la gran parte dei benefici di cui anche loro
beneficiano. In una società senza ricchi, anche i poveri sono più poveri.
240
L’evoluzione della specie è come un missile che naviga senza
conducente. Al momento del lancio ha già
al suo interno tutte le istruzioni per raggiungere gli obiettivi e superare gli
imprevisti. Il caso, date queste premesse, si sviluppa entro ben determinati
limiti.
241
Solo chi fa sbaglia. Ma è grazie agli errori che l’umanità è progredita.
I vigliacchi che, per paura di sbagliare, non fanno nulla, passano la vita a
criticare tutto e tutti, nella speranza di assistere al fallimento altrui,
unica consolazione alla loro vita miserabile. Se oggi godiamo dei benefici del
progresso, e sono immensi, è grazie agli infiniti errori che gli uomini veri
hanno fatto nel corso della storia.
242
Troppi confondono il vivere con l’esistere. Coloro che davvero vivono sono
una minoranza. La gran parte delle persone si accontenta di esistere.
243
Nella vita, restare indietro, crea dei problemi. Ma problemi ancora più
grandi li ha chi è troppo avanti rispetto agli altri.
244
A differenza di quel che comunemente si crede, l’uomo è l’unico animale
ad essere profondamente irrazionale. Ogni altro animale fa ciò che deve per
garantire a sé e alla propria specie la sopravvivenza. L’uomo, viceversa, fa
dell’irrazionalità il cardine delle proprie scelte, basti pensare all’innamoramento.
Se esiste una differenza rispetto alle altre specie viventi, è proprio nella
frequenza con la quale l’uomo commette errori. Ma è proprio l’errore ad aver
garantito il progresso e la civiltà. Senza l’errore ci ritroveremmo ancora
nelle caverne. Sottrarre all’uomo il suo libero arbitrio equivale a sottrargli
proprio quella prerogativa che lo distingue da ogni altra specie vivente.
245
In un mondo davvero civile ognuno dovrebbe essere libero di fare quel
che vuole, salvo, naturalmente, ciò che espressamente la legge proibisce.
Eppure i burocrati non riescono ad accettare questa idea, convinti che sia
indispensabile dover chiedere licenze, permessi, autorizzazioni: la chiamano
anarchia. Io credo invece che temano per il loro inutile posto di lavoro e per
quel po’ di potere di cui immeritatamente godono.
246
La vera libertà sta dentro di noi, e nessuno potrà mai togliercela. Un
uomo libero è libero sempre, anche sotto una dittatura, perché la vera libertà
è quella di pensiero. Purtroppo la gran parte delle persone non sa cosa farsene
della libertà, che presuppone una assunzione di responsabilità che costa
fatica. E così si preferisce avere un padrone, che decida al posto loro e
provveda, in qualche modo, alle loro elementari necessità. Non è il padrone a
creare lo schiavo, ma lo schiavo a pretendere un padrone.
247 È imbarazzante constatare come individui
mediocri ed inconsistenti, parlino con sufficienza di altri popoli di cui,
sostanzialmente, non sanno assolutamente nulla. E tanto più sono miserabili,
inutili ed ignoranti, tanto più nutrono disprezzo verso coloro che credono
inferiori. Quasi sempre non saprebbero indicare su un mappamondo dove vive il
popolo di cui parlano.
248
Tanto più si è mediocri tanto più si invoca l’intervento pubblico per
risolvere i propri problemi economici. Raramente quelli che non hanno lavoro, o
che lavorano in modo precario e sottopagato, si rendono conto che è la loro
mediocrità a determinare questa situazione. I giovani che non riescono a
trovare lavoro non ammettono che praticamente non sanno fare nulla. Credono che
il solo titolo di studio dia loro diritto ad uno stipendio, nonostante siano
quasi sempre delle capre super ignoranti.
249
Tutti quelli che sperano di cambiare il mondo inseguono l’utopia. Il
mondo va per conto proprio in ragione di una moltitudine di fattori
incontrollabili. Ma la spinta più potente verso ogni cambiamento è
l’innovazione tecnologica e scientifica. Ad ogni nuova scoperta la società
cerca e trova nuovi equilibri. La ruota, il telescopio, la locomotiva, il
telaio, l’energia atomica, internet, hanno stravolto tutto, ed aperto nuovi
orizzonti all’umanità. Opporsi al progresso è inutile e controproducente. Le
persone intelligenti accettano la realtà, e lasciano l’utopia ai poeti.
250
Gli stupidi amano parlare del mondo, come se ne esistesse uno solo. Di
mondi ne esistono tanti, ognuno con i suoi valori, le sue regole, le sue
idiosincrasie. Il mondo del sottoproletariato di periferia non è il mondo
dell’alta borghesia di una metropoli. Il mondo degli intellettuali, degli
artisti e dei creativi non è il mondo degli impiegati o dei contadini. Il mondo
dello spettacolo non è il mondo dei burocrati. Ognuno vive nel proprio mondo,
chiuso in sé stesso ed incurante di quel che accade altrove.
251
La vita è tragica ma non seria. Alla fine si riduce tutto ad una grande
commedia.
252
Attraverso il teatro riusciamo a vedere ciò che siamo, al di là
dell’apparenza e della finzione. Il teatro mette a nudo la nostra vera natura,
sorprendendoci e costringendoci a ridere di noi stessi, atto di grande
intelligenza
253
In qualunque gruppo sociale, piccolo o grande che sia, vi saranno sempre
alcuni individui che emergeranno dalla massa. Grazie alla loro forza, alla loro
saggezza, alla loro cultura, alla loro intelligenza, alla loro astuzia o al
loro coraggio. Ovunque e in ogni tempo si formerà naturalmente una
aristocrazia. Queste aristocrazie non possono essere eliminate, ma solo
sostituite. Semmai dovessero improvvisamente sparire, in breve tempo se ne
formerebbero di nuove. La natura aborre il vuoto.
254 Gli idioti credono che con la fine degli
antichi regimi e l’instaurazione delle democrazie, il destino dei popoli sia
stato posto nelle mani dei popoli. In realtà l’antica aristocrazia elle armi è
stata sostituita con una nuova aristocrazia del denaro. Il destino dei popoli
resta tuttora nelle mani di una minoranza, che non è certamente quella
costituita dai parlamentari.
255
Se le società non includessero le disuguaglianze, non vi sarebbero né
storia né progresso alcuno. A trarre vantaggio da questa condizione sono anche
quelli che risultano untimi nella scala sociale. Mai dimenticare che oggi, un
povero, vive meglio di un benestante di cento anni fa.
256
La disuguaglianza è indispensabile alla vita e all’evoluzione. Senza
disuguaglianze tutto si fermerebbe, perché la natura, che tende all’equilibrio,
non avrebbe l’energia per mutare incessantemente, e non ci sarebbero più né
spazio né tempo.
257
Tuttavia, se le disuguaglianze sono auspicabili, in quanto generatrici
di energia sociale, non sono tollerabili disuguaglianze eccessive. Nessun uomo
può guadagnare, da solo, quanto mille altri uomini.
258
Il lusso produce due grandi benefici. Mentre dà lavoro a milioni di
persone, spinge a migliorare i prodotti esistenti, producendo, nel tempo,
miglioramenti anche per i prodotti popolari. Solo gli invidiosi, non potendosi
permettere il lusso, desiderano che non ve ne sia per nessuno, rendendo il
mondo decisamente grigio.
259
Anche se vestissimo tutti in jeans, ci sarebbero jeans da 10 euro e
jeans da 200 euro. Perché il ricco ama distinguersi, e per farlo pretende cose
che costino molto, e che non tutti possono permettersi. Per il ricco, più che
la qualità dei prodotti, conta il prezzo.
260
I poveri, che denigrano i ricchi, in fondo vorrebbero essere come loro.
Non potendolo essere, vogliono almeno apparire tali, e quindi acquistano
prodotti di lusso taroccati.
261
La vera massoneria è una consorteria che si forma naturalmente, senza
riti e senza tessere, tra tutti i potenti di un determinato luogo. Coloro che
vi fanno parte occupano posti di potere utili a dispensare favori ad altri
potenti che pagheranno con la stessa moneta. Non hanno né bandiere né partiti,
ma solo l’interesse a perpetuare privilegi e poteri all’interno della propria
consorteria.
262
I nostri natali determinano gran parte di ciò che siamo. Si tratta di un
fardello che ci portiamo dietro per sempre, e del quale è difficilissimo
liberarsi. Nasconderli, poi, è quasi impossibile. Da tante piccole cose si
capisce sempre di quale natura furono.
263
Tutta la nobiltà ha origine nel crimine e nella sopraffazione. Il
capostipide di ogni dinastia nobile è sempre un uomo d’armi, ovvero un brigante
che operava per sé o per altri. Non esiste alcuna differenza tra un nobile ed
un mafioso, entrambi pretendono il pagamento di un tributo per garantire la
vostra sicurezza, oltre all’idea di poter disporre liberamente della vostra
vita. Tutta la ricchezza dei nobili è il frutto di predazione, sopraffazione,
prepotenza.
264 La democrazia è un lusso che non tutti i
popoli possono permettersi. Il suo prezzo si paga con secoli di storia.
265
La maggior parte della popolazione non sa cosa farsene della democrazia,
trovando sufficiente vivere senza privazioni e senza affanni.
266
Gli effetti di una democrazia imposta ad un popolo di sudditi, e quindi
inadatto ad applicarne i principi, si può facilmente verificare in paesi come
la Libia, L’Iraq, l’Afghanistan. La democrazia può solo nascere spontaneamente,
e lo fa solo dove ne esistono i presupposti.
267
Quasi sempre viene spacciata per democrazia qualcosa che è solo il suo
simulacro. La nostra democrazia, intendo quella del meridione d’Italia, è una
farsa alla quale tutti fingono di credere, alcuni per pigrizia, altri per
interesse.
268
La democrazia è quel sistema nel quale i molti che non pagano pretendono
di decidere come spendere il denaro dei pochi che pagano.
269
La democrazia è il sistema più efficiente per soddisfare la massima
ambizione di buona parte dell’umanità: vivere a spese di qualcun altro.
270
L’ambito architettonico riesce a rappresentare appieno gli effetti della
democrazia sulla società, allorquando viene impiantata in contesti inadatti.
Basta prendersi la briga di osservare cosa è stato edificato in 70 anni di
democrazia. Salvo rare eccezioni, la qualità architettonica degli edifici scade
nel banale, se non nel Kitsch. Quando governa un dittatore, oppure una
monarchia, esiste un interesse concreto a realizzare opere che durino nei
secoli e che diano lustro a chi le ha realizzate. Il governo di una democrazia
pensa esclusivamente al presente, ed al consenso immediato. Realizza cose che
portano voti nell’immediato, anche se produrranno disastri nel futuro. L’Italia
è piena di opere meravigliose, che vanno dalla Magna Grecia al periodo
fascista. Ma nulla di valido e duraturo è stato realizzato in settanta anni di
democrazia, sebbene si siano edificati più metri cubi che nei 25 secoli
precedenti.
271
Due sono le attività che caratterizzano ogni governo: tassare tutto il
tassabile e governare la spesa pubblica. E nel governo della spesa pubblica si
esercita il più lucroso dei poteri.
272
Ogni buon governo non dovrà mai fare a meno di considerare l’uomo
unitamente alle sue miserie. L’imperfezione è l’essenza della natura umana, ed
implica la possibilità di commettere errori. E senza errori non vi sarebbe
alcun progresso. Se gli uomini fossero delle macchine perfette non vi sarebbe
alcuna indeterminazione, nessun imprevisto, nessuna storia, nessun progresso.
Se l’uomo si distingue da ogni altro organismo vivente è proprio grazie al
libero arbitrio.
273
Non esiste un governo di ladri se non dove esiste un elettorato di
ladri. Il popolo, quasi sempre, non si rende conto della propria disonestà. Per
quanti sotterfugi utilizzi, per quante furbizie attivi a suo vantaggio, per
quanti privilegi immeritati goda, si sentirà sempre onesto, e denuncerà negli
altri quella disonestà che, in fondo, gli appartiene totalmente.
274 L’uguaglianza non è sinonimo di giustizia.
Direi anzi che l’uguaglianza è quasi sempre l’applicazione di una grande
ingiustizia, perché pretende di trattare allo stesso modo uno che ha studiato
con impegno e sacrificio, e poi lavorato dando il massimo, e un fannullone che
non ha mai fatto nulla, senza arte né parte. Dove si applica l’uguaglianza a
tutti i costi si verifica che chi è capace e volenteroso non fa nulla, visto
che prenderà lo stesso stipendio del fannullone. Il risultato finale sarà la
miseria diffusa.
275
Ogni energia si manifesta solo laddove esistono delle differenze,
proprio perché la natura tende all’equilibrio. Laddove esiste equilibrio tutto
è immobile, e la vita si spegnerebbe.
276
Il successo di un uomo politico è direttamente proporzionale alla
quantità di persone che riesce ad illudere di poter vivere sulle spalle di
qualcun altro.
277
È prassi diffusa e consolidata considerare la classe politica, nella sua
interezza, composta di ladri, come se la popolazione fosse invece composta da
persone per bene. Nella pratica i ladri vengono votati perché rubino e rischino
al posto degli elettori, e poi, in qualche modo, spartiscano con loro parte del
bottino. Troppo spesso coloro che si dichiarano onesti sono solo dei
vigliacchi, troppo vili per rischiare di persona, ma ben felici di beneficiare
della disonestà dei politici.
278
Quando riflettiamo su ciò che la gente guarda in televisione, non
possiamo che accettare l’idea che la storia sia stata fatta da una sparuta
minoranza. Il popolo, come sempre, non desidera che “panem et circenses”.
279
L’idea che in uno stato il potere appartenga ai politici, ovvero ai
parlamentari, è condivisa da tutti, anche se sostanzialmente falsa. Quello del
parlamento è un potere di terzo livello. Al di sopra di esso vi è un potere di
secondo livello esercitato da un apparato dello stato composto da direttori
generali ed alti dirigenti dei ministeri, vertici delle grandi aziende di stato
e di enti pubblici, rettori delle grandi università, presidente della rai e dei
maggiori giornali, alti magistrati, alti ufficiali delle forze dell’ordine e
delle forze armate, vertici delle maggiori banche. Mentre i governi cambiano,
così come i regimi, questa massoneria è sempre al suo posto, e trasmette ai
figli il proprio potere. Ma al vertice di tutto, il vero grande potere di primo
livello, vi è la grande finanza internazionale. È lei che prende le grandi
decisioni strategiche, quelle che davvero contano.
280
Il suffragio universale è il sistema nel quale il voto di un analfabeta
fannullone e debosciato vale quanto quello di un imprenditore o di un
intellettuale. Poiché gli analfabeti sono in maggioranza, e possono essere
facilmente raggirati, è su di loro che i politici cercano di fare presa. Detto
in parole povere: con il suffragio universale la maggioranza è sempre eletta
dalla parte peggiore della popolazione.
281
La paura ha garantito la sopravvivenza dell’umanità. Solo i coglioni
associano questo sentimento a qualcosa di negativo. Avere paura, quasi sempre,
è segno di intelligenza. La codardia, sia chiaro, è una cosa diversa, così come
la temerarietà, che è segno di incoscienza e non di coraggio.
282
Ammiro sempre coloro che pensano con la propria testa, anche quando non
condivido il loro pensiero. Chi ha un pensiero proprio è un uomo Chi ha solo
pensieri presi qua e là, è un quaquaraquà.
283
Ogni romanzo è frutto della fantasia del suo autore. Eppure è solo nei
romanzi che è possibile leggere la verità sul mondo. Nulla è più vero
dell’invenzione letteraria.
284
Esiste poesia che non sia triste. La grande poesia nasce sempre dal
dolore. Il poeta è un infelice. Se non lo fosse, non avrebbe potuto scrivere
poesie.
285
Essere politicamente corretti è, tutto sommato, la più grande forma di
vigliaccheria. Dire ciò che si pensa davvero richiede carattere e coraggio, e
non è per tutti.
286 Una delle più belle frasi del cinema
mondiale, e che rappresenta l’apoteosi del politicamente scorretto è quella
pronunciata da Fantozzi: “la corazzata Potionsky è una cagata pazzesca.”
287
Un’altra meravigliosa frase politicamente scorretta è quella pronunciata
da Checco Zalone quando, a bordo di una barca, indicando al figlio una barca
molto più grande, dice “vedi figlio mio, non devi credere che sia questa la
felicità, perché è quella la vera felicità”.
288
Un eroe è colui che, volontariamente e gratuitamente, mette a
repentaglio o perde la propria vita per salvare la vita di qualcun altro. Chi,
rischiando la vita, si butta in mare per salvare qualcuno che sta annegando, è
un eroe. Chi, rischiando di essere ammazzato, impedisce che qualcuno consumi
una violenza su qualcun altro, è un eroe. Chi, rischiando la propria vita e
quella dei suoi familiari denuncia dei criminali, è un eroe. Ma chi, per
mestiere e per denaro, indossa una divisa, e viene ammazzato vigliaccamente, è
un povero disgraziato, ma non un eroe. Troppo spesso basta morire indossando
una divisa, anche a causa di un semplice incidente, per essere considerati
degli eroi.
289
La felicità non si cerca; è lei che ci trova, dove e quando vorrà.
290
La fortuna, ovvero il caso, rappresentano gli elementi fondamentali nel
determinare il nostro destino. Nascere nella famiglia giusta, avere talento e
intelligenza, trovarsi nel posto giusto al momento giusto, non dipendono dalla
nostra volontà, ma dal semplice caso.
Quelli che si vantano dei propri successi spesso dimenticano, da gran
presuntuosi, che debbono quasi tutto alla fortuna, e non alle proprie capacità.
291
Per ottenere successo occorre sicuramente talento. Ma avere talento non
è sufficiente per ottenere successo.
292 Tutte le città, grandi e piccole, sono piene
di lapidi che commemorano grandi personaggi che in quelle città vi nacquero. In
nessuna lapide è scritta una vergognosa verità, e cioè che questi personaggi,
per realizzarsi, dovettero fuggire dal luogo natio, per cercare fortuna in una
grande città. È da vigliacchi essere orgogliosi di questi personaggi, e quasi
condividerne la gloria, quando gli stessi che oggi li esaltano, al tempo in cui
vivevano nella città natale, li avevano derisi, vilipesi, denigrati. Una legge
dovrebbe proibire queste lapidi, e consentirle esclusivamente a quei luoghi nei
quali questi celebri personaggi operarono e divennero grandi.
293
Solo gli stupidi sono perentori nell’affermare che certe cose non
avverranno mai. Sebbene la storia insegni che ciò che si credeva non potesse
verificarsi mai, si è poi immancabilmente verificato, questi coglioni
continuano imperterriti a negare una evidente realtà storica. Il progresso è un
treno lanciato a grande velocità, e coloro che pensano di poterlo fermare
vengono inesorabilmente travolti. Solo quelli intelligenti si preparano e si
adeguano al cambiamento.
294
Il natale, tutto sommato, ha rotto il cazzo. Le feste appartengono ai
popoli affamati, e rappresentano quei momenti nei quali si riescono a
soddisfare bisogni che altrimenti non si potrebbero soddisfare. Quando c’è opulenza ogni giorno è Natale, ed
il Natale diventa solo una fonte di stress e di tristezza.
295
Anche le tradizioni si evolvono e cambiano. Molti credono che le
tradizioni si perpetuino da tempo immemorabile, mentre basta documentarsi per
capire che ciò che noi credevamo immutato da secoli, è invece cambiato di anno
in anno.
296
I tempi belli sono sempre esistiti, e sono quelli nei quali si avevano
20 anni.
297
Una delle più divertenti ed istruttive attività che si possono svolgere
consiste nella lettura delle sentenze della Corte Costituzionale. Gli ingenui
resterebbero probabilmente sorpresi nel verificare come una stessa norma sia
ritenuta costituzionalmente legittima in un certo momento, ed illegittima in
una successiva o precedente sentenza. Così come siano considerate
costituzionalmente legittime norme palesemente incostituzionali, allorquando
siano necessarie agli interessi dello stato.
298
La costituzione è un elenco di buoni propositi, quasi sempre disattesi.
La sua interpretazione è affidata alla corte costituzionale, gruppo di sofisti
capace di affermare un principio o il suo contrario, in ragione delle necessità
del momento. La costituzione va comunque sempre interpretata nel senso più
favorevole alle oligarchie, di cui anche i giudici costituzionali fanno parte.
299
Il valore di qualunque legge sta sempre nella forza di chi deve far
rispettare quella legge. Una legge che non sia sostenuta dalla capacità di
coercizione è solo carta straccia. La legge è la forza.
300
Un esempio di quanto molte norme burocratiche siano idiote è l’uso dei
guanti nei supermercati. Si pretende l’utilizzo dei guanti per prendere della
frutta che poi saremo noi a mangiare, come se, toccare un’anguria o una banana,
trasferisse su questi prodotti chissà quali malattie. E non si considera
neanche che quella frutta è stata raccolta da mani sudicie, e manipolata più
volte senza che venisse usata alcuna precauzione. Poi, quella stessa frutta,
sui banchi del supermercato, deve essere prelevata da coglioni muniti di
guanti.
301 La legge non sempre è giusta, più spesso è
semplicemente opportuna.
302
Se tutti avessero sempre rispettato le leggi, nessun progresso sociale
sarebbe mai avvenuto, e nessun regime sarebbe mai stato abbattuto. La
democrazia, lo stato di diritto, la costituzione, i diritti fondamentali
dell’uomo, sono stati il frutto di lotte alla cui base vi era il non rispetto
della legge. Come sarebbe possibile abbattere una tirannia senza infrangere
quelle leggi che proprio i tiranni hanno imposto a garanzia del loro potere?
303 “La
legge è legge” è la frase più usata per giustificare il proprio vile operato.
Il finanziere che multa un esercizio perché ha regalato una caramella senza
emettere lo scontrino si giustifica con la scusa di aver applicato la legge.
L’agente che vi multa per aver circolato con i fari spenti in un assolato pomeriggio
d’estate, non dirà che aveva l’ordine di elevare un certo numero di
contravvenzioni, ma di fare il proprio dovere, applicando la legge. Il vigile
che multa un commerciante perché ha messo una ciotolina d’acqua davanti
all’esercizio, affinché si possano dissetare dei cani, sosterrà, con una
impassibile faccia di merda, di aver fatto solo il proprio dovere.
304
Molti ritengono quella dei magistrati una casta intoccabile e super
privilegiata, composta di uomini non migliori di altri uomini, e quindi capaci
di sbagliare. Purtroppo gli errori di un magistrato possono distruggere la vita
di una persona, oppure, nella migliore delle ipotesi, produrre grandi danni
patrimoniali a chi cade vittima dei loro errori, della loro arroganza e della
loro supponenza. Esistono farabutti in tutte le categorie, dai preti ai
muratori, dai commercianti ai medici, dai banchieri ai magistrati. Non esiste
una categoria buona ed una cattiva, ma uomini buoni e uomini cattivi. Guai a
colui che cade nelle mani di un cattivo magistrato.
305
Probabilmente sarà che io non ho il senso dello stato, oppure che non
capisco davvero l’obbligatorietà dell’azione penale, ma a me pare davvero
assurdo che la procura di Milano spenda tantissimi soldi e tantissime energie
per occuparsi delle puttane di Berlusconi, mentre nella stessa città la camorra
allunga i propri tentacoli in ogni ambito della sua economia.
306
La cosiddetta “Milano da bere” è stata un’epoca meravigliosa, dove,
detto terra terra, c’era da “bere” per tutti. Era praticamente il sistema
migliore per governare un popolo come quello italiano. Mani pulite ha spazzato
via quel mondo, aprendo l’era del declino italiano. Tutta la classe politica
precedente, fatta di ladri con grandi capacità, è stata messa da parte, sostituita
da una classe politica di ladri incapaci, fasulla ed inconsistente. Chi pensa
male, ed io sono tra questi, sostiene che sia stata la grande finanza
mondialista a manovrare gli attori di quella grande farsa.
307 La
certezza del diritto è un semplice mito. Se davvero esistesse il numero degli
avvocati e delle cause sarebbe infinitamente più piccolo. Nella realtà giudici
diversi, rispetto ad una stessa fattispecie giuridica, decidono in modo molto
diverso, e spesso opposto. Il destino di una causa risiede più nelle
convinzioni e negli umori di un magistrato che nelle norme del codice.
308
Credere nell’imparzialità assoluta di un magistrato è stupido. Un
magistrato, in fin dei conti, è un uomo, con le sue fallibilità e le sue
convinzioni. Immaginate di dover essere giudicati per maltrattamenti agli
animali. Secondo voi, un giudice senza figli che possiede un cane giudicherà
allo stesso modo di un giudice che detesta gli animali?
309
Un delinquente passa buona parte della propria vita in galera. Quando è
fuori vive nella perenne paura e con l’affanno di trovare soldi per gli
avvocati, veri beneficiari delle loro malefatte. Tutto questo dimostra che
quasi sempre i delinquenti sono dei grandi coglioni, ed è proprio questo che li
rende pericolosi.
310
Le garanzie dello stato di diritto sono una grande conquista della
civiltà, alle quali non dobbiamo rinunciare. Ma tali garanzie devono venir meno
verso coloro che, in modo continuativo e strafottente, si pongono al di fuori
della civile convivenza, e si arrogano il diritto di non rispettare nulla e
nessuno. Il diritto al rispetto di certe garanzie deve essere conquistato
conducendo una vita rispettosa dei diritti di tutti.
311
Nei confronti dei delinquenti abituali, ovvero di coloro che decidono di
vivere fuori da ogni legalità, e che conducono questo tipo di vita per anni,
ogni garanzia legale deve essere sospesa. È l’unico modo per vincere una guerra
che, altrimenti, vedrà lo stato perennemente sconfitto. Giocare una partita
nella quale una sola delle parti rispetta le regole, mentre l’altra si sente
libera di non rispettarne alcuna, è da coglioni.
312
Non si possono sconfiggere le mafie se non agendo con sistemi mafiosi.
Trovo assolutamente legittimo che lo stato adotti questo sistema, in barba ad
ogni limite legale, per distruggere ogni tipo di associazione mafiosa. Solo
ricambiando pan per focaccia, è possibile liberare un paese dal cancro della
mafia. Altrimenti si combatterà una battaglia infinita, il cui costo sociale ed
economico sarà pagato dalle persone oneste, senza trarne alcun beneficio.
313
È davvero difficile digerire l’idea che esistano criminali efferati, che
dominano con il terrore interi territori, e di cui si conoscono nome e cognome,
che possono operare impunemente per decenni senza che lo stato abbia la
possibilità di fermarli, per la semplice ragione che occorrono quelle prove che
non si troveranno mai. Tutto questo è fuori da ogni logica e da ogni buon
senso.
314
La lotta al traffico ed allo spaccio di stupefacenti è inutile, costosa
ed inefficace. Dopo decenni di lotta e di spreco di somme gigantesche, ognuno
può trovare la droga che vuole, dove vuole e quando vuole. Perché fin quando vi
è qualcuno che vuole qualcosa, ed è disposto a pagare, vi sarà qualcun altro
pronto a fornire quella cosa. Figurarsi quando i guadagni sono immensi. Forse
sarebbe il caso di concentrarsi sul consumatore, e non più sullo spacciatore.
Se uno fuma non è colpa del tabaccaio. Se uno si ubriaca non è colpa del
produttore di vino. Se uno si schianta con la macchina non è colpa di chi
costruisce macchine.
315
Una associazione criminale di stampo mafioso non è altro che uno stato
nella sua forma più primitiva. Come lo stato, la mafia pretende il pagamento di
un tributo in cambio di un servizio, ovvero di sicurezza. La possibilità di
imporre tributi deriva dalla capacità di usare la violenza sulle cose e sulle
persone, prerogativa tipica di ogni struttura statuale.
316 I
grandi stati ed i grandi imperi si sono sempre formati dall’aggregazione per
incorporazione di piccoli territori governati da un signore, antesignano di un
boss mafioso. La lotta per la supremazia tra questi mafiosi ha generato domini
sempre più vasti, fino alla formazione di stati e di imperi. Con l’espansione
del dominio, si è resa necessaria la costruzione di una struttura burocratica
atta ad esercitare prerogative di controllo e di dominio da parte del signore.
317
Laddove la mafia è potente, vuol dire che lo stato è debole. Non possono
esserci due padroni. Laddove lo stato è forte ed efficiente non vi è spazio per
l’espansione di organizzazioni criminali di stampo mafioso. Ogni stato, se
davvero lo volesse, potrebbe sopprimere ogni organizzazione criminale che, per
quanto potente, lo è immensamente meno di uno stato. Occorre, chiaramente, che
lo stato utilizzi gli stessi metodi del nemico che vuole combattere.
318
In qualunque guerra non può esservi asimmetria nei mezzi ritenuti leciti
per combattere. Allorquando una parte ritiene legittimo utilizzare ogni mezzo
disponibile, anche l’altra è moralmente autorizzata a non limitare a propria
capacità di azione.
319
La salute, come tutte le cose, si apprezza quando si perde. Per essa
possiamo fare molto, ma non tutto. Alla fine l’ultima parola spetta alla
fortuna.
320
Tanti idioti inveiscono contro i fumatori, sostenendo che il loro vizio
costi denaro alla collettività. Pura idiozia. Che fumare faccia male è fuori
discussione e quindi non fumare è meglio. Ma, se è vero che un fumatore vive mediamente
10 anni meno di un non fumatore, è vero che lo stato risparmia ben 10 anni di
pensione e di spese sanitarie. E non è detto che un fumatore si ammali più di
un non fumatore. Perché anche coloro che non fumano, a vivono più a lungo, alla
fine si ammalano di una delle tante malattie della vecchiaia, e ne muoiono. I
fumatori, intanto, hanno pagato suon di euro su ogni pacchetto di sigarette che
hanno acquistato, beneficiando le casse dello stato di tantissimi soldi. Posso
affermare e dimostrare che, a conti fatti, un fumatore costi allo stato meno di
un non fumatore.
321
Nel campo del cibo l’unica certezza è che mangiare poco è meglio che
mangiare troppo. Per il resto si tratta di semplici congetture. Di qualunque
alimento esiste una sterminata letteratura lo giudica dannoso, ed una altrettanto vasta che lo giudica salutare.
322
Arriva un’età nella quale una buona mangiata vale più di una trombata;
si fatica di meno e si gode più a lungo.
323
Se gli italiani hanno scarso spirito guerriero, è perché hanno capito
che godersi la vita è meglio che fare la guerra. Ma soprattutto che la guerra,
quando serve, serve ai potenti, e non certo alla gente comune. Quando hai un
bel clima, il mare, ottimo cibo e belle donne, è proprio da coglioni desiderare
la guerra.
324 Lo
spirito guerriero di tanti coglioni dura finché la guerra si riduce alle parate
ed alle fanfare. Poi, di fronte alla guerra vera, svanisce come un lembo di
nube al primo raggio di sole.
325
La più grande balla raccontata nelle scuole italiane riguarda l’epica
risorgimentale. Intere generazioni sono state rincoglionite attraverso la
menzogna su quel che veramente avvenne durante tutto l’800. Allora, così come
oggi, gli interessi delle oligarchie plutocratiche hanno determinato il destino
delle nazioni. Ed allora come oggi, quelli che detengono il potere economico,
continuano a raccontarci un sacco di balle su ciò che avviene nel mondo. Balle
alle quali un popolo di tele rincoglioniti crede con assoluta cecità.
326
È per tutti un mistero il fatto che l’Italia, con tutti i suoi difetti,
i suoi drammi e le sue cialtronerie, tutto sommato funzioni, garantendo una
delle migliori qualità della vita a livello planetario. Sempre sull’orlo del
precipizio, pare che da un momento all’altro tutto debba collassare. Occorre
ricondurre tutto al rinascimento, quando tra intrighi, veleni, corruzione,
Michelangelo, Raffaello. Leonardo, davano al mondo stupore e bellezza. Oggi
abbiamo la Ferrari, Armani, la Metafisica ed il Futurismo, la Commedia
all’Italiana, Pavarotti, Renzo Piano, Prada, la pizza, la Lamborghini, la
cantieristica, la Fellini, altissima tecnologia, il design e la moda. Tutto
questo pare assurdo. Allora occorre chiedersi se non sia proprio la nostra
cialtronaggine e la nostra anarchia alla base delle nostre eccellenze.
327
Continuiamo ad essere dei cialtroni, ormai è nel nostro DNA, ed a
sopravvivere ad ogni temperie. Non per niente il melodramma è nato in Italia.
Solo gli italiani potevano trasformare un dramma in uno spettacolo musicale.
Come diceva Flaiano: la situazione è grave, ma non seria.
328
Il fatto che la Guardia di Finanza sia un corpo armato dello stato la
dice lunga su quanto siano vitali le entrate tributarie per la sua stessa
esistenza. Uno stato può rinunciare a tantissime prerogative, ma mai a quella
della riscossione dei tributi. Ed effettivamente uno stato, di qualunque
dimensione e natura, si fonda su tre pilastri: incassare le tasse, amministrare
la giustizia, garantire la sicurezza delle persone e delle proprietà.
329
Nel momento in cui si forma una struttura di tipo statale, ci troviamo
di fronte ad un ente di natura mafiosa. Detto in parole povere, chi ha la forza
pretende un pizzo in cambio della sicurezza. Ogni stato, nella sua essenza, è
una associazione di tipo mafioso, così come ogni associazione mafiosa è uno
stato nella sua forma più primitiva. Il dramma è che una associazione mafiosa
opera all’interno di uno stato, e non è possibile essere servi di due padroni.
L’auspicio è che una delle due forme di stato prevalga sull’altra, ed operi in
regime di monopolio.
330
Nessuno dovrebbe essere assunto nella Guardia di Finanza o all’agenzia
delle entrate se non dimostra di aver esercitato per alcuni anni ana attività
di lavoro autonomo. Tutto questo per evitare quel che accade attualmente: che
pur non avendo alcuna esperienza, questi dipendenti dello stato credono di
sapere, non si sa bene in ragione di quale divina rivelazione, come funzioni un’azienda.
Sparano cazzate gigantesche, con l’arroganza e la spocchia tipiche degli
ignoranti, e credono che l’indossare la divisa conferisca loro doti di cui sono
assolutamente privi. Non si tratta di gente cattiva, ma semplicemente stupida.
Il mondo, nonostante tutto, va avanti, per la semplice ragione che, alla fine,
sa trovare il modo per sopravvivere, ed attutire i danni che costoro producono
al mondo che produce ricchezza.
331
Da un certo punto di vista un brigante è più onesto di un gendarme.
Perché un brigante si presenta per quel che è, ovvero un delinquente, mentre
spesso dietro un gendarme che si pretende onesto, si cela un criminale della
peggiore specie.
332
Sarebbe politicamente corretto sostenere che il personale delle forze
dell’ordine e delle forze armate è composto da persone che hanno deciso di
indossare la divisa per innato spirito di servizio, amor di patria, e desiderio
di servire il popolo. Ma poiché la ragione di questo libro è il desiderio di
essere scorretto, raccontando quella che io ritengo essere la verità, mi
permetto di sostenere che quasi tutti quelli che indossano la divisa lo fanno
per assicurarsi uno stipendio, semplicemente. Esiste anche una piccola
minoranza che, nell’indossare una divisa spera di sconfiggere il proprio innato
complesso di inferiorità.
333
Lo zelo che le polizie impiegano nel contrastare movimenti politici
potenzialmente sovversivi è di gran lunga superiore a quello che impiegano nel
combattere le varie mafie. Le polizie, nel tutelare le élite, chiude spesso un
occhio riguardo il rispetto della legge.
334
Sarebbe interessante sapere per quale motivo se uno muore per un
incidente sul lavoro è semplicemente una vittima, mentre se indossa una divisa
diventa automaticamente un eroe, pur non avendo fatto assolutamente nulla di
eroico.
335
Si sostiene che coloro che lavorano nelle forze dell’ordine abbiano
diritto ad una retribuzione elevata perché rischiano la vita. Eppure se andiamo
a valutare con numeri veri il rischio di morire sul lavoro, in base ai dati
INAIL, scopriamo che camionisti, contadini ed operai rischiano molto di più.
Dobbiamo forse credere che la morte di un agente sia più drammatica di quella
di un altro onesto padre di famiglia?
336 L’unico vantaggio della leva obbligatoria è
stato quello di aver permesso, almeno a quelli più svegli, di comprendere che
nel mondo militare si concentrano tutti i peggiori vizi degli italiani:
l’inefficienza, lo sperpero, la burocrazia, il nepotismo, l’imboscamento, il
parassitismo, il maneggio, le piccole e grandi furbizie e l’idiozia ai suoi
massimi livelli.
337
Ciò che è fatto a mano raramente è meglio di ciò che è prodotto
industrialmente con sofisticate macchine. Poiché spesso i prodotti industriali
debbono avere prezzi contenuti, anche la qualità ne soffre. Ma ciò non esclude
che vi sono prodotti industriali di qualità eccelsa.
338
Ci raccontano che il comunismo sia caduto grazie a Giovanni Paolo II, il
che è assolutamente falso. Il comunismo è caduto perché era arrivato al
capolinea, divorato da sé stesso. La sua economia era collassata, in virtù di
un sistema che porta inevitabilmente alla miseria.
339
Anche la Cina, con il suo sistema collettivista e centralizzato, è
collassata economicamente, ed i suoi dirigenti, intelligentemente, hanno capito
che occorreva adottare il sistema capitalistico, l’unico a garantire sviluppo
economico e ricchezza. Perché è sempre bene ricordare che se è vero che in Cina
ci sono enormi disuguaglianze, è anche vero che i poveri stanno molto meglio di
prima.
340
Le persone si dividono in due categorie: quelle che sostengono di essere
razziste, e quelle che sostengono di non esserlo, mentendo.
341
Ci sono bugie che sono veri e propri atti d’amore. Si tratta di menzogne
che non diremmo se non amassimo davvero la persona alla quale le diciamo.
342
Il valore sociale delle bugie è compreso da pochi. Senza di esse il
mondo sarebbe sicuramente più triste e crudele. Le bugie, in fin dei conti,
sono l’olio con il quale si lubrificano gli ingranaggi dei rapporti sociali.
343
Il problema dell’obesità, a differenza di quanto credono i coglioni, non
ha origine nell’alimentazione, ma in fattori psicologici come l’ansia,
l’insoddisfazione, la propria disistima. La cattiva alimentazione è una
conseguenza del pessimo rapporto che si ha con sé stessi. Per questa ragione
gli obesi, prima ancora di rivolgersi ad un dietologo, dovrebbero rivolgersi ad
uno psicologo.
344
Quelli che fanno la salsa in casa, nella convinzione di alimentarsi in
un modo più genuino, non si rendono conto che il prodotto industriale di
qualità è sicuramente migliore del loro, sotto il profilo igienico ed
organolettico. Molto probabilmente, se la salsa fatta in casa venisse messa in
commercio, si finirebbe in galera. Ma la cosa più ridicola è che, se davvero
volessero alimentarsi in modo più salutare, dovrebbero allevare da loro la
carne di cui si nutrono, e dovrebbero auto coltivare tutta la frutta e gli
ortaggi che utilizzano.
345 Intanto
questi intelligentoni dovrebbero sapere che Milano, che è sicuramente la città
più inquinata d’Italia, è quella con la speranza di vita più alta della
penisola.
346 Qualcuno
tra i partigiani che esaltano i prodotti locali ed aborrono i prodotti
industriali, nella convinzione che solo al proprio paese si mangi bene,
dovrebbe spiegare come mai la vita media di chi vive nelle grandi metropoli è
superiore a quella di chi vive in piccoli paesi agricoli.
347 Di
tanto in tanto bisognerebbe prendersi la briga di guardare delle foto di 70
anni fa, quelle che ritraggono interi gruppi familiari. Sapere, innanzi tutto,
che quelle vecchie ciccione e senza denti in realtà sono donne tra i trenta ed
i 40 anni, distrutte dalla fatica e dalle privazioni, e che quel vecchio
piegato su sé stesso non ha più di 55 anni. Questo esercizio gli farebbe capire
che il bel mondo passato in realtà è solo un mito, esaltato soprattutto da
vecchi rincoglioniti che ricordano la loro giovinezza.
348 Che
la gente parli a vanvera è risaputo, e dica cosa che differiscono profondamente
da come poi si comporta. È facile ascoltarli mentre esaltano la qualità del
lavoro artigianale, e di quanto si dispiacciano della scomparsa di questa
categoria. Intanto, però, non comprano che prodotti industriali fatti in Cina,
ad un prezzo irrisorio. Se dipendesse da loro gli artigiani morirebbero
tranquillamente di fame.
349 Ogni amministrazione comunale, sul cui
territorio esistono dei ruderi insignificanti, vorrebbe attingere a
finanziamenti per la valorizzazione di tali ruderi. Prepara uno studio per
dimostrare l’eventuale afflusso turistico e le enormi possibilità di lavoro per
i giovani, tra guide turistiche, addetti ad un eventuale ufficio informazioni,
custodi, parcheggiatori, albergatori e ristoratori. Semmai riuscissero ad
ottenere questi fondi, metterebbero in piedi un castello che crollerebbe dopo
breve tempo per mancanza di turisti e per l’esaurimento dei fondi ricevuti. La
cosa che davvero preoccupa è che questi amministratori sono talmente coglioni
da credere davvero alle opportunità di lavoro che hanno programmato. È questo
il vero dramma. Perché voglio ribadirlo: meglio degli amministratori ladri ma
capaci, che dei coglioni onesti.
350 Ad
ogni terremoto assistiamo alla stessa commedia. Case crollate, governo che
promette a vanvera, amministratori locali che già pregustano la gestione di
risorse di vario genere. Nessuno che abbia il coraggio di dire una sacrosanta
verità: il 70% del patrimonio edilizio italiano va abbattuto. Tentarne la
cosiddetta messa in sicurezza è costoso ed inutile. Catapecchie di 200 anni,
che si tengono in piedi con lo sputo, e prive di qualunque valore storico o
artistico, vanno semplicemente demolite. Questo Paese di vecchi rincoglioniti
vorrebbe conservare tutto, anche ciò che in effetti non vale niente. Questo
attaccamento morboso al passato ci ucciderà. Poiché non si può fare tutto, è
necessario fare delle scelte, e preservare ciò che davvero ha un valore. Va
bene spendere soldi per il centro storico di Lucca, ma buttiamo giù migliaia di
piccoli insignificanti borghi.
351 Una domanda che tutti dovrebbero porsi: come
mai tra i portatori dei santi non esistono professionisti? E come mai tra le
donne che frequentano quotidianamente la parrocchia, non ci sono dottoresse,
avvocatesse, professoresse?
352 La
cosa più indicativa della coglionaggine umana è il relativismo, ovvero quella
concezione culturale secondo la quale tutto si equivale. I relativisti
sostengono che coloro che costruiscono capanne di fango abbiano la stessa
dignità di chi costruisce grattacieli. Quelli che suonano la tarantella siano
allo stesso livello di Beethoven, quelli che fanno vasi in terracotta non siano
da meno di chi produce porcellane di Sèvres. Questi imbecilli non anno ben
chiaro il concetto di progresso, che vuol dire sostanzialmente miglioramento.
Si inizia costruendo capanne, poi case di mattoni, poi cattedrali gotiche e
finalmente grattacieli. Detto in soldoni: ci sono quelli che hanno progredito,
e quelli che sono rimasti indietro.
353 Uno degli spettacoli più patetici ai quali assisto
di frequente è quello durante il quale un sindaco, nell’esaltare il proprio
territorio, ne mette in evidenza il valore storico ed artistico, l’artigianato,
le tradizioni, i prodotti tipici. In genere occorre un grande sforzo da parte
di questi volenterosi sindaci per esaltare una storia tutto sommato
insignificante. Così come mettere in evidenza valori artistici esistenti solo
nella mente di qualche concittadino analfabeta. Si esalta poi l’artigianato che
consiste nella produzioni di cucchiai
in legno o salvadanai in creta. Intanto altrove si producono scarpe da 600 euro
al paio o valvole cardiache, pezzi di design in plastica che si vendono in
tutto il mondo e finiscono nei musei, software per il riconoscimento ottico e occhiali
griffati. Ma soprattutto si produce quella ricchezza e si pagano quelle tasse
necessarie a garantire sanità, scuole e pensioni a quelli che intanto ballano
la tarantella e vivono di sussidi, orgogliosi delle loro inesistenti qualità.
354 Il
paesano seduto al bar sport, nella piazzetta del piccolo paesino
dell’appennino, mostra con orgoglio i vantaggi della vita tranquilla che
conduce, tra aria buona e mancanza di stress. Il coglione non dice, perché
effettivamente non sa, che quella vita se la può permettere perché ci sono gli
stronzi che pagano per lui. Crede che la pensione di cui godono i genitori, la
sanità e tutti gli altri servizi pubblici si mantengano grazie alle 200 euro di
IMU che lui paga, oppure grazie ai contributi che versa come bracciante, anche
se ne riprende indietro il triplo sotto forma di assegno di disoccupazione.
Bello vivere sulle spalle degli altri…
355 Altro segno chiaro e forte di coglionaggine è
l’esaltare il passato e criticare la modernità in tutti i suoi aspetti. La cosa
che davvero infastidisce è che mentre si esalta il passato, non si rinunzia a
nulla di quanto offre la vita moderna. Vorrei vedere i contadini vendemmiare
con i tinelli di legno, o arare i campi con i cavalli. La mancanza di coerenza,
in questi casi, equivale a mancanza di pudore.
356 Un
ulteriore segno di quanto sia usuale parlare a vanvera, senza l’ausilio del
cervello, si coglie allorquando i contadini sostengono che un tempo i redditi
agricoli fossero più alti di quelli di oggi. Questi geni dimenticano di considerare
che allora il contadino viveva in due stanze riscaldate da un bracere che
bruciava carbonella autoprodotta. Gran parte dell’alimentazione era costituita
da pane e prodotti di cui si faceva scorta durante la stagione calda: sottoli,
pomodori, olio, salsa, mandorle, fichi secchi, mosto cotto. I figli non si
mandavano a scuola, ma a tredici anni si mandavano già a lavorare. Nessuno
aveva la macchina e nessuno andava in ferie. Ci si vestiva prevalentemente con
abiti comprati al mercato americano. La verità è che si guadagnava meno di
oggi, ma, spendendo poco o nulla, si riusciva a mettere da parte consistenti
risparmi.
357 Il paesano che non paga un euro di tasse, e
passa la vita a succhiare tutto quel che può dalla mammella pubblica, sotto
forma di assegni di disoccupazione, sussidi, esenzioni, invalidità, assegni di
accompagnamento, risparmio sull’uso della nafta agricola, è il più sfegatato
accusatore della disonestà dei politici. Lui, parassita della peggiore specie,
si permette di criticare la cattiva amministrazione del denaro pubblico, benché
di quel denaro egli non ha tirato fuori un solo euro. Sono sempre più convinto
che il diritto di voto spetti solo a chi paga tasse oltre una certa soglia.
358 Il
suffragio universale è una pura follia. Far votare gli zingari che non lavorano
e vivono tutta la vita sulle spalle della collettività è assurdo. Come lo è far
votare debosciati nullafacenti che vivono di espedienti e pretendono sussidi e
case popolari. Ed è assurdo far votare il coglione ultrà che scrive sui muri
“onore ai diffidati” e, essendo fondamentalmente un vile, insieme ad altri
vigliacchi acquista coraggio e sfascia tutto. È vero che comunque la democrazia
è una grande farsa, ed il voto, nella sostanza, non conta nulla. Per fortuna,
direi.
359 Il
destino delle persone in gamba non cambia, tanto se vivono sotto una dittatura
quanto se vivono in una democrazia. Chi è intelligente, studia, si impegna, sa
guardare il mondo con gli occhi giusti, e cerca di eccellere nel proprio campo,
troverà sempre la strada per collocarsi nella parte superiore della società. I
coglioni, in qualunque contesto, restano dei coglioni.
360 Tanto
più l’economia si globalizza, tanto più gli investimenti si espandono in tutto
il globo in un intreccio inestricabile, tanto più le grandi potenze acquistano
aziende di paesi rivali, tanto più il pericolo di una guerra globale viene
scongiurato, perché anche in caso di una improbabile vittoria, il danno subito
sarebbe gigantesco.
361 Il
fatto che esistano grandi potenze militarmente forti, è la migliore garanzia di
una pace duratura. La certezza della reciproca distruzione impedirà il
verificarsi di un conflitto globale. La guerra viene fatta solo da una grande
potenza contro un paese più debole, oppure da un grande paese economicamente
insignificante, e che quindi non ha nulla da perdere.
362 Sicuramente
la Cina diverrà la più grande potenza economica a livello mondiale. Ma la sua
influenza sul resto del pianeta non sarà paragonabile a quella che l’America ha
avuto nel XX secolo. E questo per la semplice ragione che l’America era davvero
l’unica vera superpotenza, senza rivali, mentre la Cina dovrà convivere con
altre superpotenze: America, Russia, Cina, Europa.
363 Il
mondo arabo, se non sarà capace di dare un colpo di reni verso la modernità,
continuerà a non contare nulla. E conterà sempre meno man mano che il petrolio
del golfo perderà di importanza strategica. Semmai nuove fonti di energia
dovessero sostituire buona parte del petrolio, il mondo Arabo verrà abbandonato
a sé stesso, e lasciato cuocere nel suo stesso brodo. È questo il motivo per il
quale i ricchi del medio oriente investono le loro enormi ricchezze
esclusivamente in occidente e nei paesi economicamente simili. Sanno che le
loro terre sono destinate al collasso economico e sociale, ed allora si
trasferiranno, forti delle loro immense fortune, proprio in qualche capitale
occidentale. Alla faccia del popolo coglione.
364 Il
grande disprezzo che i musulmani hanno nei confronti dell’occidente deriva
dalla profonda invidia che questi popoli nutrono nei nostri confronti. Dietro
le false dichiarazioni ideologiche dovute al loro profondo complesso di
inferiorità, ognuno di loro vorrebbe vivere all’occidentale, e dell’occidente
goderne gli infiniti vantaggi. Infatti fuggono a milioni dalle loro terre per
vivere in Europa, senza alcuna intenzione di tornare al loro paese. Poi, di
generazione in generazione, prendono degli occidentali tutti i vizi e tutte le
virtù.
365 L’ultimo
pensiero di questo libro riguarda la legge del menga, ovvero:
“chi lo prende in culo, se lo tenga”.
LETTERA
AD UN AMICO DEL NORD
Voglio parlarti, caro amico, della mia terra,
ovvero della mia gente. Voglio farlo con un linguaggio chiaro, semplice,
conciso, lungi dall'enfasi e dalla retorica idiota di tante puttane della
politica e del giornalismo, di coloro che non hanno nulla da dire e vogliono
farlo camuffando la vacuità di fondo e vestendola di abiti intellettualoidi.
Ognuno
è artefice del proprio destino, come individuo e come popolo. Al di là dei rari
eventi in cui la nostra volontà è impotente, sono le scelte che operiamo a
tracciare il solco entro cui scorre la nostra esistenza. Questo, se è vero per
i singoli, lo è ancor più per le nazioni. Scegliamo con la testa, in base alla
nostra cultura, ai nostri valori, alla nostra educazione. Affermo, e ne sono
fortemente convinto, che le condizioni economiche, sociali, politiche di un paese
dipendano dalla "cultura" di quel paese, e dalla cultura di ogni suo
singolo componente. Quali che siano tali condizioni, benché non condivise,
vanno comunque rispettate, giacché ogni popolo ha il diritto di
autodeterminarsi.
Fin
qui tutto quadra. Il problema nasce quando un popolo, vigliaccamente, non si
ritiene responsabile della propria condizione, ma tende a scaricarne la
responsabilità verso capri espiatori, i più fantasiosi. A questo proposito ho
sentito l'intero pacchetto delle assurde menzogne con le quali noi meridionali
tendiamo a mondare le nostre coscienze. La cosa che più mi rammarica è che tali
menzogne siano propinate non solo dal netturbino semianalfabeta ma anche, forse
soprattutto, da persone istruite allo quali lo studio della storia, se mai
l'avessero studiata, avrebbe dovuto conferire una maggiore capacità di analisi.
Probabilmente cinquant'anni di propaganda demagogica da parte dei nostri
politici è servita a rimbecillire la coscienza di gran parte del popolo
meridionale. Sta di fatto che pochi, davvero pochi, comprendono appieno le
cause del nostro disastro. Questo ci impedisce di praticare la cura giusta, la
sola che potrebbe guarirci dal nostro male oscuro. Curiamo i sintomi, ma non la
malattia. Assumiamo farmaci palliativi, trasferimenti, sussistenze,
finanziamenti, investimenti fasulli, che consentono esclusivamente il
prolungamento di una lenta agonia.
Ti parlerò, caro amico del Nord, della
malattia che logora il nostro organismo, del perché ne siamo colpiti, di quali
ne siano i sintomi e, soprattutto, delle possibili cure. Il nostro male si
chiama controriforma. Alcuni usano nomi diversi come "sudditanza",
feudalesimo, spirito levantino. Nomi diversi per uno stesso male: la mancata
trasformazione dei sudditi in cittadini.
Non
esiste democrazia compiuta senza cittadini. Laddove esistono cittadini la
democrazia nasce e si sviluppa generando frutti sani e copiosi. Laddove il
popolo è composto da sudditi la democrazia non può che essere imposta. Ma una
democrazia imposta non attecchisce, anzi tende a degenerare in qualcosa che
della democrazia è un simulacro.
Solo
gli stolti possono negare che fino alla metà dell'ottocento la struttura
sociale meridionale fosse sostanzialmente di tipo feudale. La storia del
meridione d'Italia è un susseguirsi di dominazioni: Bizantini, Arabi, Normanni,
Svevi, Angioini, Aragonesi, Francesi, Spagnoli, Sabaudi. Nonostante questa
varietà di case regnanti la condizione del popolo restava la stessa, quella dei
sudditi sottomessi all'arbitrio del padrone di turno al quale pagare tributi.
Questa condizione, nel corso dei secoli, ha prodotto nella coscienza popolare
la convinzione che, chiunque comandi, lo farà nel suo esclusivo interesse. In
conseguenza di ciò il meridionale ha sviluppato alcune forme di autodifesa: lo
scetticismo, il familismo, il fatalismo.
Caro
amico, ho fatto questa premessa perché tu possa capire perché il meridionale
sia rimasto, nel suo modo di pensare, un suddito. Ora voglio parlarti della sua
natura, e di come differisca da quella del cittadino. Il suddito considera
naturale il fatto che esista un padrone. Egli non dubita del fatto che colui
che comanda lo fa in virtù di una ineludibile volontà divina, lontana,
astratta. Un padrone può essere sostituito da un altro padrone, perché ci sarà
sempre e comunque qualcuno che comanda. Il suddito, che non ha diritti, vive
beneficiando dei favori e delle concessioni che colui che comanda vorrà di
volta in volta dispensargli, secondo il suo arbitrio. La vita stessa del
suddito è nella piena disponibilità del padrone, che ne determina il destino.
Non esistono, in questo contesto, i beni pubblici. Ciò che non appartiene al
suddito appartiene al padrone che, da vero signore, aborre il lavoro. È il
lavoro che distingue il signore dal suddito. Il primo vive di privilegi,
potere, rendite; il secondo deve guadagnarsi da vivere lavorando. Entrambi
disprezzano coloro che lavorano, considerandoli mentecatti. La proprietà terriera,
ed il latifondo in particolare, garantiscono al signore la rendita parassitaria
necessaria ai suoi bisogni. Ogni altra iniziativa economica è considerata
disdicevole, salvo quelle poche attività privilegiate, prive di concorrenza,
avute in concessione dal Re, come la riscossione dei tributi, il monopolio del
sale, l'attività notarile.
Date
queste premesse possiamo riassumere ciò che caratterizza il suddito, la sua
natura profonda, il suo modo di pensare, la sua cultura.
1) Egli disprezza il lavoro ed ammira coloro che
vivono di rendita, privilegi, sussidi, concessioni, piccole truffe,
intrallazzi.
2) Egli non ha cura di ciò che non gli
appartiene, e considera i beni pubblici qualcosa su cui non ha né diritti né
doveri. Spesso partecipa al loro scempio con sottile compiacimento, quasi una
rivalsa nei confronti del potere.
3) Egli considera lo stato come un padrone al
quale dare il meno possibile a dal quale prendere il più possibile. Il bilancio
pubblico è una faccenda che non lo riguarda, ciò che conta è esclusivamente il
proprio "particulare".
4) La sua
massima ambizione è quella di divenire un signore. Ciò può avvenire
esclusivamente entrando nelle grazie di qualche potente, e partecipando al
godimento di una miserabile fetta di privilegi.
5) Non avendo alcuna fiducia nello stato egli
confida esclusivamente nella propria famiglia, la quale ha la priorità su ogni
altra pubblica istituzione.
6) Egli è
eternamente in lotta con lo stato, dal quali si sente vessato, e si vendica
cercando di eluderne le leggi.
7) Ritenendo inutile il voto, "tanto
comandano sempre gli stessi", venderà il proprio suffragio a colui che gli
garantirà protezione nei confronti della pubblica amministrazione. Tale aiuto
consisterà nell'elusione delle regole e delle leggi.
È'
vero che non tutti i meridionali sono uguali, ed esiste una certa percentuale
di miei conterranei che ha oramai acquisito appieno lo status di cittadino, ma
la gran parte della popolazione è, in maggiore o minore misura, portatrice di
queste convinzioni. Non ti fidare, caro amico del nord, delle chiacchiere.
Troppi predicano bene e razzolano male. Bisogna giudicare da ciò che fanno, e
non da ciò che dicono. A suffragio di quanto affermo ti rivelo il risultato di
un sondaggio che ho effettuato tra una trentina di miei conoscenti. Un
sondaggio che ha poco di scientifico ma i cui risultati sono affidabili.
La
domanda era: “siete disposti a rinunciare per sempre al diritto di voto in
cambio di un impiego pubblico, una casa garantita e all'eliminazione della
criminalità?” Credimi, il 100% ha risposto sì. Coloro che avevano già un
impiego pubblico hanno richiesto un impiego pubblico per i figli. (sic! ) Sembrerebbe impossibile che si possa
rinunciare così facilmente alla prerogativa fondamentale di ogni democrazia: la
sovranità popolare. Il fatto è che il suddito ritiene che il voto sia solo una
presa per i fondelli, inutile e dispendiosa. che in ogni caso non determini
l'indirizzo politico di chi governerà. Egli ritiene che il diritto di voto sia
una concessione che il potere, chissà perché, ha elargito al popolo. Bada bene:
non un diritto, ma una concessione. Al di fuori di sparute minoranze il popolo
meridionale, sempre passivamente servo di qualcuno, non ha mai lottato per la
sua autonomia, per i suoi diritti, per la democrazia. Essa le è piovuta
addosso, senza che ne comprendesse i meccanismi e senza che ne sentisse il
bisogno.
È in
questo contesto, caro amico del Nord, che il meridionale esercita i suoi
diritti politici. Il voto non viene utilizzato per dare un determinato
indirizzo alla gestione della cosa pubblica, alla migliore tutela
dell'interesse collettivo, all'affermazione di un certo ideale. Esso è
considerato semplicemente merce di scambio. Il meridionale, in grandissima
maggioranza, vende il proprio voto a colui che meglio potrà tutelare il suo
"particulare". E tanto più il candidato è un mariuolo, un disonesto,
un faccendiere voltagabbana, tanto più godrà del favore popolare in quanto
maggiormente propenso all'intrigo, all'elusione delle leggi, alla
corruttibilità. Che poi questo candidato, una volta eletto, concorra insieme
agli altri al depauperamento della cosa pubblica, allo sfascio della pubblica
amministrazione, alla sclerosi economica del paese, gli è del tutto
indifferente. Sebbene cosciente di pagare in qualche modo le conseguenze di un
siffatto sistema, egli lo accetta, nella convinzione che, chiunque governerà,
agirà nello stesso identico modo. Caro amico del Nord, è questo fatalismo
tipico dell'epoca premoderna e del mondo rurale in generale uno degli aspetti
del male che ci logora.
Il
meridionale è cosciente del fatto che questo meccanismo sia perverso e sia la
causa primaria del degrado sociale, intellettuale ed economico del nostro
paese. Ritiene, però, che non possa essere modificato, e che comunque il
proprio voto non possa cambiare le cose. In virtù di tale convinzione tende a
salvaguardare gli interessi propri e della propria famiglia. Lo fa cercando
l'unica strada che possa garantirgli reddito, sicurezza, prestigio sociale: il
pubblico impiego. La mancanza di lavoro al sud non è la causa della brama con
la quale il meridionale cerca il "posto", ma ne è la conseguenza.
Relativamente alla natura del reddito necessario alla sopravvivenza il suddito divide
la società tra coloro che lavorano e coloro che hanno un impiego pubblico.
Questi ultimi sono considerati, in varia misura, dei "signori". Tale
considerazione deriva dal fatto che, pur godendo di un reddito garantito, non
hanno l'obbligo di lavorare.
Caro amico del Nord, traccerò ora il ritratto
caratteriale del pubblico dipendente meridionale. Ti prego di considerare che
tendo ad estremizzare certe caratteristiche che non appartengono a tutti ma ad
una percentuale che, nel corso degli anni, tende fortunatamente a diminuire. In
genere nella pubblica amministrazione si accede per concorso. Non posso
affermare che in Italia i concorsi siano tutti fasulli. Ciò che posso dirti è
che relativamente alla zona nella quale vivo conosco le graduatorie dei concorsi
prima ancora che essi si svolgano; e non sono un chiaroveggente. Queste
"stranezze" si verificano sia per l'assunzione di un autista che per
quella di un primario. Non è difficile comprendere come i concorsi siano un
grande bluff, inutili e costosi. Servono, al massimo, a salvare la forma,
l'apparenza, cose che il meridionale, controriformista e quindi barocco, ama.
Le assunzioni, in verità, si decidono nelle stanze del potere.
Ogni
politico eletto tende a riscuotere la propria "parcella elettorale"
che girerà, poi, ai propri gregari. Questi, a loro volta, cercheranno di
accontentare le famiglie che maggiormente avranno contribuito all'elezione del
proprio padrino. Il numero dei "posti" disponibili è sempre inferiore
a quello degli aspiranti fannulloni, per cui ad ogni concorso si cercherà di
sistemare ora il membro di una famiglia, ora quello di un'altra famiglia. Avere
un ministro delle poste o dei trasporti o delle foreste proveniente dalla
propria circoscrizione diventa una vera manna. In questi casi si inventeranno i
più assurdi pretesti pur di assumere senza concorso schiere di compaesani. Alla
fine paga pantalone.
Il
meridionale che viene assunto sente, da quel momento, di appartenere ad una
casta privilegiata. Attraversato il Rubicone che divide i sudditi dai signori
egli acquisirà d'improvviso la spocchia, la presunzione, l'arroganza tipiche
del signore feudale. Ed in realtà si sentirà tale in virtù del fatto che non
sarà più obbligato a lavorare per vivere. Egli godrà di ampi diritti, dei quali
tenderà naturalmente ad abusare, e di pochi doveri. Cosciente che la sua nuova
condizione sia irreversibile, imperitura, garantita al di là della qualità
delle sue prestazioni, userà la propria intelligenza al solo scopo di lavorare
il meno possibile e rendersi edotto di tutti i meccanismi utili per partecipare
con efficienza ed entusiasmo al saccheggio delle casse pubbliche. Nei rapporti
con il pubblico, in modo più o meno evidente, tenderà a sottolineare il fatto
che l’utente è alla sua mercé, e se proprio soddisferà le sue istanze lo farà a
mero titolo di favore personale. Totalmente incurante delle vostre esigenze e
privo di rispetto per il vostro tempo e la vostra dignità, cercherà di farvi
sentire in debito nei suoi confronti, avendo egli interrotto il suo ozio, cosa
quanto mai disdicevole, essendo quello dell'ozio uno dei diritti fondamentali
dei veri signori. Il pubblico dipendente diviene a tal punto assuefatto al
sistema di cui fa parte da non rendersi più conto di essere un parassita, e gli
sembrerà, addirittura, di essere sfruttato e sottopagato. Una certa permanenza
all’interno della pubblica amministrazione gli avrà fatto dimenticare cosa vuol
dire lavorare davvero, sempre che abbia mai lavorato.
Il più
delle volte il suddito meridionale tende ad evitare i rapporti diretti con la
pubblica amministrazione, salvo il caso in cui ha delle conoscenze all'interno
dell'ente o dell'ufficio al quale deve rivolgersi. Più spesso egli si rivolgerà
al proprio referente politico, il quale, avendo ricevuto il suo voto, si
sentirà obbligato al disbrigo delle incombenze dei propri “clienti”. Può
apparire strano, ad un non meridionale, che la gente chieda queste
intercessioni anche per quelle prestazioni che sarebbero comunque fornite
gratuitamente e velocemente semplicemente rivolgendosi al relativo ufficio.
Tutto questo è invece normale se si conosce la mentalità che sottintende a
questa prassi. Per il meridionale lo stato non rappresenta il popolo, ma un
potere estraneo, lontano, astratto. Lo stato è composto da una minoranza di
privilegiati che ha il diritto di vivere a spese di chi produce ricchezza e che
di queste spese non deve mettere conto a nessuno. Nel momento in cui un suddito
riesce ad entrare nell'olimpo della pubblica amministrazione viene considerato,
dai più, un privilegiato, uno che ha pochi doveri e molti diritti, uno che ha
facoltà di dispensare favori, uno che, addentro alle cose pubbliche, avrà
maggiori possibilità di mungere la vacca della spesa pubblica. La grandissima
parte dei dirigenti della pubblica amministrazione dispone di patrimoni e
redditi non giustificabili dell'entità degli stipendi percepiti, i quali,
comunque, sono molto sovradimensionati rispetto alla qualità del lavoro svolto.
È molto probabile che questi dirigenti, se lavorassero in una azienda privata,
svolgerebbero mansioni decisamente umili, data la loro viscerale incapacità.
E non
credere caro amico del Nord che la gente consideri questi signori dei ladri. Il
popolo meridionale ossequia, ammira, riverisce questi parassiti, considerandoli
dei furbacchioni che ci hanno saputo fare. Dei veri e propri modelli da
imitare. Lo dimostra il fatto che la quasi totalità degli eletti alle varie
votazioni, è composta da dirigenti pubblici. Tutta gente palesemente ladra ed
inetta, ma che in virtù dei ruoli occupati sarà in grado di dispensare favori
in gran quantità. Nessuno voterebbe una persona capace, onesta, corretta, per
il semplice fatto che quasi certamente non dispenserà favori, agirà nel
rispetto della legalità, e, soprattutto, farebbe vacillare quel consolidato
sistema di relazioni tra sudditi e potere sul quale si basa la società
meridionale. Che tale sistema sia marcio ne sono tutti consapevoli, ed in cuor
proprio ognuno vorrebbe che avesse fine. Ma ognuno è anche cosciente che da
solo non potrà cambiare le cose, e mentre cercherà di lottare per abbattere
questo sistema marcio, resterebbe fuori dal gioco, provocando gravi danni ai
propri familiari, di cui si sente responsabile. Ed allora egli spera che siano
gli altri a lottare per cambiare le cose.
Laddove
un bidello o un postino godono di un riconoscimento sociale superiore a quello
di un piccolo imprenditore è evidente che lo sviluppo di una sana imprenditoria
viene soffocato. È il contesto sociale, e non la mancanza di capacità
individuali, che inibisce la creazione di un tessuto industriale diffuso. E per
quanti finanziamenti possono essere erogati, nulla cambierà se non cambierà la
cultura alla base di questo sfacelo.
Nel
dopoguerra, e fino agli anni settanta, vi è stato un grande fermento economico
nella zona in cui vivo. Cavalcando l'onda del boom economico molti artigiani si
sono trasformati in imprenditori, ottenendo sorprendenti risultati. Molte micro
aziende si sono trasformate in piccole e medie industrie, producendo utili e
creando occupazione. Di tutte queste aziende oggi non rimane nulla. Come mai?
In verità tutti questi imprenditori, sebbene ottenessero buoni risultati
economici, continuavano a convivere con un profondo complesso di inferiorità
nei confronti dei "signori". Si premurarono, quindi, di preparare i
figli a quel salto di classe al quale ambivano. Li fecero laureare ed usarono
la loro forza economica per inserirli nella pubblica amministrazione e nelle
libere professioni. Sistemati i figli, complice un mercato sempre più
difficile, cessarono le attività ed affittarono i capannoni. A quel punto la
famiglia si poteva finalmente considerare appartenente al mondo dei signori,
disponendo della cosa indispensabile alla bisogna: la rendita. Una doppia
rendita derivante dai canoni di locazione degli immobili e dal sicuro ed
intoccabile stipendio pubblico.
L'attaccamento
alla sicurezza ed al privilegio è così forte che una grandissima quantità di
avvocati, ingegneri, biologi, nutre la folta schiera degli insegnanti. Può
sembrare strano che un ingegnere trascuri la libera professione per dedicarsi
all'insegnamento dal quale trarrà un reddito tutto sommato miserabile. Devi
capire, caro amico del Nord, che la parola "pubblico impiego" genera
nei meridionali un vero e proprio stato di estasi. L'appartenenza ad una certa
casta ha un valore sociale che supera il puro aspetto economico. Il
meridionale, figlio della controriforma, vede nel rango sociale il metro di
ogni valore. La capacità, l'impegno ed il talento valgono nulla rispetto ad un
titolo, anche se il più delle volte dietro quel titolo vi è il nulla. Anche
questo è uno dei motivi per il quale tantissimi meridionali impiegati nella
pubblica amministrazione che risiedono al nord fanno carte false pur di essere
trasferiti nel loro paese d'origine. Oltre l'attaccamento alla loro terra,
legittimo, essi desiderano tornare laddove godrebbero di quel prestigio sociale
che in una cultura europea non è loro riconosciuto.
Voglio
nuovamente precisare che le cose, fortunatamente, stanno cambiando. Una
percentuale sempre più grande di meridionali ha oramai perso del tutto le
caratteristiche del suddito. Così come è vero che in molte zone del Nord il
quadro sociale non è molto dissimile da quello del Sud. Rimane comunque il
fatto che nessuna delle aziende delle quali ti ho appena parlato ha compiuto il
salto di qualità che le avrebbe consentito di crescere e consolidarsi. Non è
rimasto che il vuoto totale. Ed è difficile che oggi possano nascere aziende
competitive dall'iniziativa di un piccolo artigiano privo di capitali. Coloro
che dispongono di cospicui capitali, e ve ne sono tanti, si astengono da
qualsiasi iniziativa imprenditoriale, e questo per i motivi di cui ti ho
parlato. Poiché il nulla genera il nulla, è facile prevedere il futuro
industriale del meridione.
Intanto i politici, che provengono tutti dalla pubblica amministrazione,
aggravano la già penosa situazione, promettendo lavoro che, in un modo o in un
altro, trova la sua ragione di esistere nella spesa pubblica. E così parlano di
fondi europei par fantomatiche attività culturali, di cooperative per gestire
centri per anziani o inesistenti patrimoni artistici. Di fondi regionali per
corsi stupidissimi ed inutili. E migliaia di giovani si attrezzano per un
titolo di studio comprato in qualche diplomificio, frequentando corsi per OSS o
per autisti di ambulanza. Come se la sola pubblica amministrazione potesse
assorbire l’intera forza lavoro esistente. E mai, e dico mai, parlano di aziende
capaci di produrre beni e servizi da vendere sul libero mercato globalizzato.
Non sfiora loro l’idea che il lavoro vero, quello che produce ricchezza, e non
quello cha la assorbe, deriva dall’industria privata, dagli imprenditori
privati che investono nell’innovazione e che pensano al mondo e ai milioni di
nuovi ricchi che vogliono i prodotti migliori di questo Paese.
Ma il
dramma più grande, e forse il più sottovalutato, consiste nella fuga delle
intelligenze. I meridionali più intelligenti, più aperti, più qualificati,
soffrono più di altri questo clima di sfascio generale, di immobilismo funereo,
di rassegnazione. Queste persone hanno capito che nulla cambierà se non
cambierà il modo di pensare, e quindi di agire, degli individui. Queste persone
sono coscienti del fatto che gli aiuti indiscriminati, le sussistenze, i
finanziamenti, le leggi speciali, hanno concorso a drogare l'economia
meridionale, ed a consolidare una cultura anacronistica. Sentendosi impotenti e
soli fuggono laddove trovano le condizioni economiche e sociali tali da
consentirgli una vita più consona alle proprie aspettative. Amano, dei luoghi
in cui vanno a vivere, quel senso generale di ordine e di rispetto delle
regole, il buon funzionamento della pubblica amministrazione, il riconoscimento
sociale dell'impegno, della capacità e del talento, la cura del bene pubblico
e, soprattutto, l'apprezzamento per il lavoro.
Esiste
una via d'uscita da questa situazione? Certamente sì. Abbiamo visto come il
problema meridionale sia essenzialmente un fatto culturale. E fin quando non si
cambierà il modo di pensare, ovvero non si trasformeranno i sudditi in
cittadini, le cose non cambieranno, per quanti soldi possano essere spesi.
Quando sentite dire che occorre investire al sud, che bisogna realizzare
infrastrutture, che occorre creare lavoro pubblico, sappiate che ci stanno
prendendo per il culo. Anzi, queste cose procurano danni al meridione, a fronte
dei grandi vantaggi riservati ai soliti parassiti.
Non di
denaro ha bisogno il Sud, ma di nuove regole. Innanzitutto occorre sospendere
la democrazia, ovvero scordarsi per un certo tempo il suffragio universale. Far
votare analfabeti, fannulloni, criminali, debosciati, non ha senso. Poiché con
il voto amministrativo si decide chi sceglierà come spendere i soldi pubblici è
necessario che votino solo coloro che concorrono a quella spesa. Mi pare
assurdo che coloro che non pagano nulla, e vivono di espedienti e sussidi
pubblici abbiano il diritto di decidere dei frutti del lavoro e dei sacrifici
dei fessi che pagano le tasse, le multe, l’abbonamento alla televisione, il
mutuo della casa, l’immondizia e tutti gli altri servizi di cui usufruiscono.
Perché deve essere chiaro: è assolutamente ingiusto e diseducativo ciò che
oramai è diventata la norma, ovvero che i furbi vengono sempre premiati a
scapito dei fessi.
Ed è
questa, a mio parere, la priorità. Organizzare le cose in modo che ai furbi non
sia più consentito vivere sulle spalle degli altri, con la complicità di uno
stato che con il pretesto della giustizia sociale produce una situazione di
assoluta ingiustizia.
La
seconda priorità è far cessare la condizione di sostanziale impunità per tutti
i criminali, grandi e piccoli, e per i prepotenti, e per tutti coloro che non
rispettano le leggi, minando profondamente la qualità della vita dell’intera
società. Da questo punto di vista lo stato deve essere duro ed intransigente.
Chi non rispetta la legge deve inesorabilmente essere punito. L’idea di poterla
fare franca deve scomparire dalla mente della popolazione. Ed a tal fine ogni
mezzo deve essere utilizzato, anche a scapito di una riduzione della libertà
personale e delle garanzie dello stato di diritto. La situazione è talmente
degenerata che non esiste la possibilità di rimettere le cose a posto
continuando ad usare la legislazione ed i mezzi attualmente a disposizione. Che
persone debosciate, che vivono infrangendo quotidianamente la legge e che non
contribuiscono in alcun modo al benessere generale, debbano anche ricevere case
popolari, sussidi economici, benefici e servizi completamente gratuiti, quando
coloro che rispettano la legge e pagano le tasse sono costrette a pagare tutto,
mi pare talmente assurdo da chiedermi come si sia potuti arrivare a questo
punto.
Se
davvero la sovranità appartiene al popolo occorre soddisfarne le istanze, la
prima delle quali riguarda la sicurezza personale e la tutela della proprietà
privata. Sono certo che la stragrande maggioranza della popolazione, pur di
godere di una vita tranquilla e di un contesto sociale civile, è disposta a
rinunciare a quell’eccesso di garanzie di cui si è assolutamente abusato.
La
terza priorità riguarda l’assunzione di responsabilità da parte dei cittadini,
obbligati a prendere coscienza del fatto che esiste una relazione diretta tra
quanto si dà e quanto si riceve. Non esistono pasti gratis, e quando si riceve
senza dare vuol dire che c’è qualcun altro che sta pagando per noi. Per cui le
tasse vanno tutte pagate a livello comunale, e successivamente una percentuale
di quelle tasse vanno trasferite allo stato centrale. Ogni comune, poi, può
amministrare la somma residua, senza pretendere nulla dallo stato. E così i
cittadini possono godere dei servizi possibili in ragione delle tasse pagate, e
non più avere pretese astratte soprattutto da parte di milioni di cittadini che
non pagano nulla e pretendono tutto. Esistono attualmente piccoli comuni dove
il gettito fiscale è praticamente nullo, mentre i relativi abitanti pretendono
tutto il possibile, sostenendo che i politici siano dei ladri. Non si rendono
conto di essere dei parassiti, perché da sempre altri stanno pagando la loro
sanità, le loro scuole, le loro pensioni. Ogni cittadino deve avere un conto
fiscale personale, in cui debbono figurare le tasse pagate e le risorse di cui
ha usufruito, sotto forma di servizi pubblici. Il primo che protesta e
pretende, sebbene abbia avuto molto più di quanto abbia dato, deve essere preso
a bastonate.
La
quarta cosa da fare riguarda la differenza di reddito, di garanzie e di tutele,
che esiste tra i dipendenti pubblici ed i dipendenti privati. Nessun dipendente
pubblico deve avere più diritti di quanti ne abbia un dipendente privato.
Nessuno deve poter essere assunto come dirigente nella pubblica amministrazione
se non ha maturato una lunga esperienza in ruoli equivalenti in una azienda
privata. La semplice laurea, che hanno oramai cani e porci, ed un eventuale
concorso farsa, non possono consentire ad una persona di gestire la cosa
pubblica, perché, ancor prima dell’onestà, è necessaria una vera e verificabile
capacità manageriale. Ma soprattutto va privatizzato tutto il possibile,
facendo sempre attenzione ad eliminare ogni monopolio. Non è necessario che
siano strutture pubbliche ad eseguire esami diagnostici di qualsiasi tipo.
Questo servizio può essere offerto da aziende private, in concorrenza tra loro,
e con costi a carico del pubblico. Perché è solo la concorrenza a garantire
efficienza ed economia. Amministrazioni come il PRA, la Motorizzazione, il
catasto, debbono essere gestite direttamente dai professionisti privati,
collegati on-line, eliminando decine di migliaia di mansioni oramai inutili.
Anche le scuole dovrebbero essere tutte private, ed ogni genitore dovrebbe avere
la facoltà di iscrivere il proprio figlio in quella che ritiene migliore.
Questo, naturalmente, eliminando il valore legale del titolo di studio, ad
esclusione della laurea, naturalmente.
La
quinta cosa da fare è privilegiare l’investimento, l’intraprendenza e
l’innovazione, rispetto alla rendita, al privilegio, al mantenimento dello
status quo. Colpire il patrimonio della parassitaria borghesia meridionale è
fondamentale. Occorre istituire una forte patrimoniale sui capitali non
impiegati in attività produttive, ed esentare da qualunque tassa i redditi
derivanti da investimenti nell’industria e nei servizi, soprattutto se
innovativi. Andrebbero completamente detassati i redditi derivanti
dall’attività di esportazione.
Essendo l’industrializzazione fondamentale perché si crei quella
ricchezza indispensabile perché vi sia un benessere diffuso, e perché un popolo
sia sufficiente a sé stesso, ogni azione che spinga imprenditori ad aprire
fabbriche nel sud deve essere intrapresa, ad iniziare dalla totale detassazione
dei redditi di impresa distribuiti agli azionisti esteri. Qualora vi fossero
industrie in grado di garantire due milioni di posti di lavoro, e quindi due
milioni di stipendi e conseguente aumento notevole del PIL, me ne fotterei se
le aziende non pagassero tasse. Perché le tasse vanno pagate dalle persone, e
non dalle aziende. Se un’azienda ha un utile, quell’utile deve essere tassato
nel momento in cui viene distribuito alla persona fisica. Se, naturalmente,
quella persona risiede in un’altra nazione, è giusto che le tasse le paghi
nella nazione nella quale risiede. Uno stato meridionale dovrebbe fare tutto il
possibile per incentivare le grandi multinazionali ad aprire succursali al SUD.
Ad iniziare, come ho appena detto, da una certa politica fiscale. Strutturare
la macchina giudiziaria in modo tale che tutte le cause, e in particolar modo
quelle relative al commercio ed all’industria, si concludano entro 60 giorni.
Garantire la sicurezza delle aziende nei confronti delle varie mafie che, lo
ribadisco nuovamente, vanno assolutamente soppresse, utilizzando qualunque
mezzo, in barba ad ogni limite costituzionale. L’azzeramento della grande
criminalità è talmente fondamentale, da essere la priorità assoluta. Sono
convinto che se vi fosse un referendum consultativo, e si chiedesse alla
popolazione di accettare un governo autoritario, che limitasse certe libertà,
allo scopo di annientare la criminalità, vi sarebbe un plebiscito a favore
della proposta.
Sempre
per incrementare lo sviluppo industriale, si dovrebbe snellire la burocrazia al
massimo possibile, evitando che sia ciò che è oggi, un enorme fardello sulle
spalle di chi produce ricchezza.
Vedi
caro amico, non credo che, restando le cose così come sono, possa cambiare
qualcosa. Mi pare, anzi, che le cose stiano peggiorando di anno in anno. Quando
vado in giro, e vedo cumuli di immondizia nelle campagne e lungo le strade, e
vedo le città come pattumiere, ed il verde pubblico in uno stato pietoso, così
come ogni bene pubblico, mi duole il cuore. Ma ancor peggio provo un grande
senso di vergogna nei confronti di altri popoli. Ed il fatto di avere un grande
passato, enormi bellezze naturali ed artistiche, grandi intelligenze, non
allevia questo senso di vergogna, anzi lo aggrava. Solo i grandi coglioni si
aggrappano al passato per nascondere il presente. Le persone intelligenti sanno
riconoscere le proprie colpe, condizione indispensabile ad ogni cambiamento.
Purtroppo sento ancora troppe persone sostenere che siamo i più belli, i più
bravi, quelli che vivono meglio, che mangiano meglio, che hanno le città più
belle, e che ogni cosa che non va è da addebitare a qualche astratta e non ben
definita entità, a qualcuno a cui fa comodo la nostra miserabile condizione.
Ecco! Sono proprio queste le persone alle quali va assolutamente tolto il
diritto di voto, perché sono proprio questi vigliacchi, incapaci di assumersi
le proprie responsabilità, che impediscono il riscatto del SUD, ed il terreno
sul quale prosperano e mafie, le combriccole, le consorterie, e il sottobosco
della più deleteria politica.
IL
FINANZIERE
Quando ero ragazzo avevo, come tutti, tanti
amici. La gran parte di loro studiava, sperando di raggiungere la laurea. Pochi
altri, per le ragioni più varie, abbandonavano gli studi ed andavano ad
"imparare un mestiere". Ve ne erano altri che non studiavano e non
lavoravano, e che al mio paese vengono definiti "spacca piazza":
nomen-omen. Questa schiera di fannulloni, allergica a qualunque impegno e
responsabilità, dovendo comunque sopravvivere anche allorquando i genitori
sarebbero passati a miglior vita, speravano in un reddito che avesse la valenza
di una rendita, senza alcuna relazione tra quanto avrebbero dato e quanto
avrebbero ricevuto.
Ecco, quindi, la spasmodica ricerca di un
"posto". Occorre, a questo punto, aprire una piccola parentesi, onde
definire cosa intende, un meridionale, per "posto". Il posto è un
privilegio concesso dallo stato ad alcuni eletti, dotati di non meglio definite
qualità. Il posto assomiglia ad un impiego, ma a differenza dei normali
impieghi, non vi è alcun obbligo di lavorare. Il posto è una rendita garantita
vita natural durante, che conferisce al suo beneficiario uno status sociale
superiore a quello di tutti coloro che, volenti o nolenti, debbono lavorare davvero.
Il posto viene concesso attraverso un antico rito chiamato
"concorso". Si tratta di una farsa nella quale una commissione
dovrebbe selezionare, tra tanti candidati, quelli dotati di migliori capacità o
di migliori titoli. Nella realtà la commissione, prima ancora che il concorso
si svolga, dispone della lista dei "vincitori". Tale lista viene
formata in ragione del peso politico del raccomandante, e di misteriosi
meccanismi di spartizione, noti solo alla ristretta cerchia del sottobosco
politico. Lo spacca piazza, quindi, necessita di due cose indispensabili: la
raccomandazione ed un titolo di studio.
La raccomandazione va conquistata dai genitori
dello spacca piazza attraverso un lavoro che dura parecchi anni, in cui la
famiglia del raccomandato si adopera, elezione dopo elezione, a fornire al
politico designato, il maggior numero di voti. La cosa ridicola è che esistono
magistrati che aprono indagini per "voto di scambio", fingendo di non
sapere ciò che sanno tutti: nel meridione d'Italia tutto il voto è "voto
di scambio".
Nel frattempo lo spacca piazza dovrà procurarsi
un diploma, uno qualsiasi. A questa ambascia ha provveduto il genio
meridionale, con l'istituzione di una miriade di scuole private, dette anche
"diplomifici". Si tratta di istituzioni che, in cambio di denaro,
forniscono al cliente, nell'arco di due anni, un diploma. L'unica incombenza
dello "studente" è quella di presentarsi all'esame di stato, dove gli
verrà regolarmente fornito un kit con tutti i compiti già eseguiti, che lui,
comunque, riuscirà a sbagliare. Ma questo ha poca importanza, perché un
diploma non si nega a nessuno.
Ecco finalmente che lo spacca piazza, munito di
quanto accorre alla bisogna, inizia il breve tour dei concorsi pubblici, fino
alla conquista dell'agognato "posto". Si tratta quasi sempre di
concorsi che riguardano assunzioni nelle varie forze armate dello stato:
polizia penitenziaria, carabinieri, pubblica sicurezza, esercito, aeronautica,
guardia di finanza.
Non posso affermare che tutti gli appartenenti a
questi settori dello stato siano ex spacca piazza, ma ho la certezza che tutti
gli spacca piazza che conoscevo sono entrati in questi settori. Fatto sta che
questi individui, sostanzialmente mediocri, subiscono una vera e propria
metamorfosi, trasformandosi da individui remissivi ed anonimi, in persone
spesso arroganti e supponenti, forti della divisa che indossano e che ostentano
quasi si trattasse di un trofeo, o di una laurea con lode nella più prestigiosa
delle università. Quasi sempre si tratta di brave persone, vittime della loro
mediocrità e del lavaggio del cervello che subisce chiunque entri a far parte
del mondo militare. Perché forse pochi sanno che le regole, le abitudini e le
consuetudini del mondo normale, sono completamente stravolte nell'ambiente
militare, ad iniziare da una regola basilare ed inderogabile: evitare di
pensare. Ma c'è qualcosa di ancora peggiore che mina l'equilibrio di tutti i
militari, e che genera in loro una profonda frustrazione che spesso scaricano
sugli incolpevoli cittadini, vittime sacrificali del loro profondo complesso di
inferiorità: il fatto di dover sempre e comunque ubbidire, anche e soprattutto
agli ordini più irrazionali e privi di senso.
Quasi tutti coloro che entrano nel mondo militare
ne vorrebbero fuggire, ma la loro mediocrità, con la conseguente impossibilità
di collocarsi nel mondo del lavoro vero, glielo impedisce. La divisa che
indossano ed il piccolo potere di cui dispongono, unitamente allo stipendio
sicuro, conferiscono allo spacca piazza quei vantaggi ai quali altrimenti
dovrebbe rinunciare, e che non riuscirebbe a conquistare fuori dal mondo
militare.
Il "posto" più ambito dagli spacca
piazza è quello nella Guardia di Finanza. Tale corpo gode, nell'immaginario
collettivo, di privilegi sconosciuti agli altri corpi armati dello stato. È 'convinzione
diffusa tra il popolo che i finanzieri facciano la spesa gratis, o comunque
godano di sconti imbarazzanti. Si tratta sicuramente di legende metropolitane,
anche se esistono indizi che fanno riflettere, come ad esempio il fatto che,
dovendo accompagnare le mogli a fare compere, quasi sempre i finanzieri
preferiscono indossare la divisa. Molti pensano che ciò accada per intimorire
il commerciante, e che la divisa rappresenti una minaccia occulta. Io invece
credo che lo facciano perché orgogliosi di appartenere ad una istituzione
che “con spirito di sacrificio e grande
senso del dovere, fa propria la missione di garantire la sicurezza dei
cittadini e la giustizia sociale".
È lo stesso senso del dovere che impone loro di
multare il commerciante che regala una caramella ad un bambino senza emettere
lo scontrino, o che multa per la stessa ragione il barista che si prepara e
consuma un caffè. Molti si indignano per questo eccesso di zelo, ma sbagliano.
Dimenticano che "dura lex, sed lex". Anzi, personalmente proporrei un
pubblico encomio a questi militi che "con spirito di sacrificio e grande
senso del dovere, fanno propria la missione di garantire la sicurezza dei
cittadini e la giustizia sociale".
Cosa accadrebbe se non ci fossero i finanzieri a
lottare quotidianamente contro il flagello del consumo di sostanze
stupefacenti? Sicuramente sarebbe facile per chiunque acquistare droghe, perché
si troverebbero ovunque, di ogni tipo, a qualunque ora. Invece apprendiamo che
l'anno passato la Guardia di Finanza ha sequestrato droghe in una quantità
corrispondente allo 0,00003% di tutta la droga consumata in Italia. Un
risultato strepitoso che viene, giustamente, enfatizzato dalla televisione,
dove militi compiaciuti ed impettiti danno ragguagli sull'operazione appena
conclusa.
Si tratta della stessa enfasi con la quale
mostrano i risultati della lotta all'evasione fiscale, evidenziando
accertamenti per miliardi di euro. Sarebbe superfluo essere maggiormente
esaustivi, comunicando che la maggior parte di quegli accertamenti in sede di
contenzioso verrebbero considerati per quel che sono: semplici elucubrazioni di
individui fantasiosi e creativi, privi di sostanza logica e coerenza con la
realtà. E sarebbe altrettanto superfluo informare che di tutti gli accertamenti
che diventano esecutivi non si incassa che la minima parte, per la semplice
ragione che i cosiddetti evasori sono molto spesso dei morti di fame che a
malapena sbarcano il lunario, ed i guadagni che vengono loro addebitati non
sono che il frutto delle false convinzioni degli accertatori, condite con una
buona dose di invidia mista a rancore.
Torniamo, comunque, a parlare dello spacca piazza
divenuto finanziere. Egli, indossando la divisa, dimentica immediatamente di
essere un mediocre, semianalfabeta, sfaticato. Come ho già accennato la divisa
produce una metamorfosi nella sua personalità. D'improvviso egli crede di
detenere qualità e conoscenze precluse ai comuni mortali, avendo frequentato un
corso in cui gli viene data una leggerissima infarinatura della normativa
tributaria. Il poveraccio non dispone di alcun metro di paragone con il quale
poter ponderare la qualità delle sue reali conoscenze, con la conseguenza di
credersi un esperto tributarista, e pretendere di contraddire commercialisti
con due coglioni grandi come mappamondi. Lo fanno coprendosi di ridicolo, senza
rendersene conto, mancando degli strumenti intellettuali per farlo.
E se proprio gli si fa notare, codice alla mano,
che si stanno sbagliando alla grande, feriti nel loro orgoglio, inveiscono
quanto più possono, giustificandosi con il fatto che il contribuente può
comunque fare ricorso. Non si curano, chiaramente, delle conseguenze economiche
della loro incompetenza; tanto non sarà lui a pagare. In fondo, cosa pretendere
da chi "con spirito di sacrificio e grande senso del dovere, fa propria la
missione di garantire la sicurezza dei cittadini e la giustizia sociale"
per il miserabile stipendio di 1800 euro al mese?
Sappiamo bene che fanno una vita dura, e
giustamente poco dopo i cinquanta vanno in pensione. Mica come quei viziati dei
carpentieri, dei contadini, dei camionisti, degli operai, che non subiscono
l'usura a cui sono sottoposti i finanzieri, e che giustamente possono lavorare
fino a 67 anni.
Un carpentiere lavora all'aria aperta, con folate
gelide che gli sferzano il volto, o con il sole implacabile che brucia la
pelle, sollevando pesi notevoli e salendo e scendendo dai ponteggi. Tutto
questo lo mantiene in forma, e può considerarsi fortunato.
Ma il povero finanziere, tutto il giorno seduto
in ufficio, a chiacchierare, bere il caffè, navigare su internet, con l'aria
condizionata che potrebbe dargli problemi alla cervicale, o con il
riscaldamento che potrebbe procurargli indesiderati sbalzi di temperatura, può
egli restare in servizio oltre i 50 anni? Giammai....
La pensione, comunque, è il traguardo di un
percorso irto di ostacoli che il finanziere deve seguire. Già dopo una
quindicina di anni di servizio ogni finanziere ritiene di aver già dato
abbastanza allo stato, e di meritare una sistemazione più consona alla sua
esperienza ed ai suoi meriti. Per agevolare l'ottenimento di questa sistemazione
il finanziere, come un po' tutti i pubblici dipendenti, ricorre ad un
istituto geniale, frutto del duro lavoro dei sindacati: la causa di servizio.
In pratica si tratta di manifestare qualche
malanno, uno qualsiasi, e pretendere il riconoscimento che tale malanno sia una
conseguenza del lavoro svolto. Se, ad esempio, il finanziere soffre di una leggera
ernia al disco, cercherà di vedersi riconosciuta come causa del suo malanno il
fatto che sia stato troppo a lungo seduto. Ma nel caso avesse prestato il suo
servizio in piedi, cercherà di addebitare alla abituale postura eretta la causa
del suo male. Così come per i diplomi, anche una "causa di servizio"
non si nega a nessuno. È una conquista che consente al pubblico dipendente una
serie di vantaggi, essendo quelli già goduti evidentemente insufficienti.
Innanzitutto egli potrà godere dall'essere esonerato
dai servizi più gravosi, imboscandosi in qualche ufficio, o svolgendo attività
investigativa un po' sui generis, come scoprire i redditi del marito
separato che nega gli alimenti alla moglie. Ma potrà anche godere di riposi
straordinari, cure termali gratuite con vitto e alloggio pagati dallo stato,
periodi più o meno lunghi di malattia, abbuono di alcuni anni lavorativi ai
fini della pensione.
In Italia abbiamo circa 500 mila persone
impiegate nei corpi armati dello stato, ovvero una persona ogni 120. Questo
vuol dire che in una cittadina di venti mila abitanti dovremmo avere 180
persone addette alla sicurezza dei cittadini. Una quantità enorme che dovrebbe
garantire la sicurezza totale di tutti e l'eradicazione di qualsiasi forma di
criminalità. Sappiamo bene come stanno le cose. Ed il vero motivo è che nella
pratica solo una piccola frazione di queste persone è realmente operativa. La
loro produttività è davvero bassa, ed è ancor più diluita dalla gigantesca
percentuale di fancazzisti, volontari o comandati che siano.
Comunque, sebbene "con spirito di sacrificio
e grande senso del dovere, facciano propria la missione di garantire la
sicurezza dei cittadini e la giustizia sociale" anche loro sono uomini,
con le loro miserie e le loro debolezze. Con la conseguenza che, avendo bisogno
dell'opera di un artigiano, rinunciano volentieri alla fattura in cambio di un
interessante sconto. Oppure utilizzano disinvoltamente programmi per computer
senza licenza. O badanti e colf in nero. Personalmente ho grande comprensione
per le loro piccole debolezze. Quello che non sopporto è il momento in cui
pretendono di fare la morale agli altri, ergendosi ad esempio di rettitudine ed
onestà, cosa che fanno puntualmente, forse recitando una parte che gli è stata
imposta loro malgrado.
Uno dei discorsi tipici dei finanzieri riguarda i
lavoratori autonomi. Loro sostengono, credendoci davvero, che tutti i
lavoratori autonomi guadagnino tantissimi soldi, siano ricchi, facciano la
bella vita, a differenza loro che sono sfruttati e sottopagati. Viene quasi
spontaneo replicare con la fatidica domanda: ma perché non avete fatto gli
imprenditori? Oppure: perché non vi licenziate e vi mettete a lavorare in
proprio, così da diventare anche voi ricchi e felici? A queste domande il
finanziere inizierà a farfugliare una serie di giustificazioni confuse,
mostrando evidente imbarazzo. Lo stesso imbarazzo che mostrerà allorquando gli
chiederete come mai, piuttosto che indirizzare il proprio figlio laureato verso
un'attività imprenditoriale o professionale, faccia carte false per inserirlo
tra i servitori dello stato che "con spirito di sacrificio e grande senso
del dovere, fanno propria la missione di garantire la sicurezza dei cittadini e
la giustizia sociale".
Il finanziere in pensione, ancora piuttosto
giovane, oltre ad impiegare il proprio tempo prostituendo la propria dignità
per "sistemare" il figlio, cercherà qualche lavoretto rigorosamente
in nero, giusto per arrotondare la sua magra e meritata pensione. Lui,
naturalmente, non si considera un evasore fiscale, in quanto ritiene di aver
già dato abbastanza allo stato.
Esistono nella vita di ognuno di noi, momenti che
ci restano impressi per sempre nella nostra memoria in ragione del fatto che
l'emozione che ci hanno suscitato è stata davvero grande. Pochi giorni fa mi è
capitato di incontrare un paio di compagni della mia adolescenza che non vedevo
da decenni.
Il primo era uno spacca piazza, poi divenuto
finanziere ed oggi pensionato. È abbastanza giovanile, mostrando chiaramente di
aver vissuto comodamente, senza eccessivi affanni o fatiche. Si gode la sua
pensione di 1800 euro al mese, cazzeggiando per il paese e facendo discorsi non
meno stupidi di quelli che faceva da ragazzo, con l'unica differenza che oggi
li condisce con quell'arroganza tipica di chi crede di appartenere ad una casta
di eletti.
Il secondo andò ad imparare un mestiere. Lavora
da quando aveva 15 anni, e porta sul volto i segni della fatica e dell'usura.
Parla poco, e se lo fa ha l'intelligenza della prudenza e del dubbio. È
preoccupato perché sarà costretto a lavorare altri 12 anni, ma data la
crisi e l'età, ha sempre più difficoltà a trovare lavoro.
Cammina senza una meta precisa, con lo sguardo
spento e rassegnato, e maledice il padre che, credendo di fare una cosa buona,
lo mandò a lavorare. Un tarlo divora pian piano la sua mente: ma se avessi
fatto lo spacca piazza la mia vita sarebbe sicuramente stata migliore, ed oggi
farei il signore, e non il miserabile che deve elemosinare qualche giorno di
lavoro, semmai la schiena me lo consentirà. Maledetta Italia, dove i fannulloni
e gli incapaci hanno mille privilegi, e gli stronzi come me vengono calpestati
e derisi.
P.S. Questo scritto ha un carattere
prevalentemente satirico, e spazia tra il serio ed il faceto. Ho tanti amici
nella Guardia di Finanza, e sono certo che sono persone davvero perbene.
LETTERA AD UN COGLIONE DELLA MIA TERRA
Caro
amico, ti scrivo questa lettera affinché tu prenda coscienza del fatto di
essere una emerita merdaccia. Dubito che ci riesca, perché difficilmente un
coglione riesce a prendere coscienza della propria condizione, nonostante ogni
sforzo. Ma ci provo ugualmente, non fosse altro che per avere la coscienza
pulita.
Vedi
caro amico, esistono molti segnali che dimostrano la tua condizione, e te ne
elenco alcuni. Innanzi tutto il fatto di inveire con acredine verso la classe
politica ed i pubblici amministratori, chiamandoli ladri, e sostenendo che il
paese è in una condizione pietosa perché i soldi vengono mangiati dai politici.
Ma dimmi, tu che sbraiti, di quali soldi parli? Certamente non dei tuoi soldi,
perché è certo che tu non contribuisci in alcun modo alla spesa pubblica.
Fai il
bracciante, e versi una certa quantità di contributi. Ne versi il minimo
possibile che ti consente di ottenere il sussidio di disoccupazione. Eppure
lavori tutti i giorni, ad esclusione di quelli piovosi. Già questo dimostra che
sei un ladro, perché buona parte dell’anno lavori in nero. In ogni caso quei
pochi contributi che versi te li riprendi indietro, moltiplicati, sotto forma
di assegno di disoccupazione. Questo vuol dire che allo stato non solo non dai
niente, ma addirittura prendi più di quel che dai. Intanto, quando sarà il
momento, pretenderai la tua bella pensione sostenendo di aver versato fior di
contributi, quando, a conti fatti, hai preso sempre più di quel che hai dato.
E così
quello stato governato da politici che tu chiami ladri, ti somministrerà la tua
bella pensione per venti o trenta anni, senza che da te abbia
effettivamente ricevuto nulla. E non ti
passa per la tua mente bacata che qualcuno pagherà per te. Perché vedi, caro
amico, non esistono pasti gratis. Se uno riceve senza dare vi sarà qualcuno che
darà senza ricevere. E quello che riceve, a voler parlare senza peli sulla
lingua, si chiama parassita.
Ma se
tutto si esaurisse nell’ottenere una pensione senza aver, nella sostanza,
versato un bel niente, non mi sarei preso la briga di scrivere questa lettera.
La verità è che comunque non versi un euro di IRPEF, e comunque pretendi la
scuola, la sanità, le strade asfaltate, il verde curato e tutti gli altri
servizi pubblici.
Ma
dimmi, grande faccia di merda, ma se tutti facessero come te, con quali soldi
lo stato pagherebbe i servizi di cui tu usufruisci, e che pretendi di buona
qualità? Non ti passa per la mente che qualcuno, alla fine, dovrà pur pagare?
Dovranno farlo gli altri, chiaramente, perché, chissà per quale legge divina,
tu hai il diritto di avere senza dare. Tu sei furbo, tanto furbo da non
contribuire alla spesa pubblica neanche con le accise sui carburanti, perché
questo onere spetta ai fessi. Tu sei furbo, invece, ed usi la nafta agricola,
ma poi, quando vai in ospedale, pretendi tutto e subito, dimenticando, o
facendo finta di dimenticare, che quello che ti viene dato è un bel pasto
gratis pagato dai soliti fessi.
Io
credo che tu, oltre ad essere un furbacchione faccia di merda, sia anche un tantino
idiota, perché sei così abituato a questo andazzo da non renderti più neanche
conto della tua condizione di parassita. E non ti rendi conto, ad esempio, che
anche quello che hai ereditato proviene spesso e in larga parte non dal lavoro
dei genitori o dei suoceri, ma dal lavoro dei soliti fessi che hanno pagato le
tasse. Perché era prassi consolidata che, soprattutto le donne, dopo aver
versato contributi agricoli fittizi, ripresi con gli interessi attraverso la
disoccupazione, verso i 50 anni riuscissero ad ottenere una pensione di
invalidità, che, dopo qualche altro anno, veniva integrata da un assegno di
accompagnamento. E così, persone che nella sostanza non avevano pagato un solo
euro di tasse e di contributi, riuscivano a percepire per decenni fior di
quattrini. E poiché si tratta di una generazione che veniva dalla miseria della
guerra, era abituata a vivere con così poco, da accumulare in banca discrete
fortune, di cui i figli avrebbero goduto.
Caro
amico, anche io sono un ladro, che ha preso più di quel che ha dato. Ma la
differenza tra di noi sta nel fatto che ho il pudore di non chiamare ladri i
politici. Perché solo chi è senza peccati può scagliare la prima pietra, e noi,
credimi, di peccati ne abbiamo a bizzeffe.
Visto
comunque che hai difficoltà a capire le cose, voglio aiutarti. Devi sapere che
per fare le cose occorrono soldi, e tanti più soldi ci sono a disposizione
tante più cose si possono fare. E così un’amministrazione comunale può operare
in ragione del proprio bilancio. Ora, se un comune è abitato in prevalenza da
braccianti, disoccupati veri o fasulli, debosciati di varia natura, fannulloni,
faccendieri e pensionati, avrà certamente meno risorse di un comune la cui
popolazione è composta prevalentemente da operai, impiegati e imprenditori
grandi e piccoli. Mille braccianti agricoli non versano un solo euro nelle
casse pubbliche, anzi, come ti ho già spiegato, prendono più di quanto danno.
Mille operai, invece, tra IRPEF e contributi previdenziali, versano ogni mese qualcosa
come un milione di euro, che vuol dire quasi 12 milioni di euro l’anno.
Ora
capirai anche tu, nonostante i tuoi limiti mentali, che tra zero entrate e
dodici milioni di euro di entrate c’è una bella differenza. Va da sé che dove
nessuno paga nulla ciò che si ha viene pagato da coloro che le tasse le pagano.
Si chiama redistribuzione.
Concludo, caro amico, invitandoti a non lamentarti dei nostri politici
che non saranno dei geni, ma neanche dei ladri, visto che non c’è nulla da
rubare. Fatti un esame di coscienza e chiediti: quante volte ti sei rivolto a
qualche politico per ottenere favori? Quante volte hai brigato per favorire un
tuo famigliare a scapito di qualcun altro? Quante volte hai cercato di ottenere
cose alle quali non avevi diritto? E come credi che i tuoi genitori o qualche
parente dal quale hai ereditato abbiano ottenuto pensione ed accompagnamento?
Siamo adulti e vaccinati, e certe chiacchiere possiamo lasciarle alle educande
quindicenni.
Ed
allora, taci. E non venirmi a raccontare che non hai “venduto” il tuo voto e
quello dei tuoi familiari a qualcuno dal quale ti aspetti qualcosa in cambio? E
dimmi, cosa ti fa credere che quando si infrange la legge a tuo favore si
tratta di un atto dovuto, mentre quando la si infrange a favore di qualcun
altro si tratta di un abuso?
Gli
anni passano, si invecchia, e si capiscono cose che in gioventù non si
capivano. E così comprendo i politici che non tengono in alcun conto il
popolino, e che anzi lo disprezzano. Loro sanno che si tratta di coglioni
inutili, che vanno presi costantemente per il culo. Il mondo va avanti a
prescindere da loro, anche se per opportunità si fa loro credere di essere
importanti. E così il suffragio universale si trasforma in una grande farsa,
utile a far credere ai coglioni di contare qualcosa.
Caro
amico, credimi, tu e i tuoi compari non contate assolutamente nulla. Come non
contano nulle le vostre chiacchiere fatte di banalità e luoghi comuni. Passate
il tempo a rimbambirvi davanti alla televisione, oppure davanti al bar dove,
tra di voi, continuate a raccontarvi chiacchiere alle quali vi piace credere. E non vi passa assolutamente nella mente di
essere profondamente ignoranti, e di non sapere nulla. E non vi sfiora l’idea
che, forse, se vi prendeste la briga di informarvi correttamente, otterreste
dei risultati migliori nel vostro lavoro. Ma voi, si sa, siete nati “imparati”
e siete convinti, da gran coglioni, di saperne più e meglio di coloro che hanno
studiato, girato il mondo, ed operato nel vostro settore muovendo decine di
milioni di euro.
Fate
un vino che quasi sempre è una miscela imbevibile, convinti di produrre il
miglior vino del mondo. Non avete bevuto altro da quando siete nati, eppure vi
permettete di considerare i vini prodotti da grandi cantine come prodotti
mediocri. Intanto, chissà perché, questi vini si vendono a 10 euro la bottiglia
ed il vostro non lo vuole nessuno, neanche gratis. E parlate di complotto, di
speculazione, di assenza dello stato. Voi, mi pare evidente, non avete colpe.
La colpa è sempre di qualcun altro. Ma questo atteggiamento è tipico dei
coglioni, e non deve meravigliare.
Solo i
coglioni sono convinti di produrre la migliore uva del mondo, il miglior grano
del mondo, il miglior olio del mondo, come se il Padreterno avesse voluto
concentrare in un solo luogo il meglio che la natura potesse dare. Intanto gli
altri, con i loro prodotti “mediocri” vendono in tutto il mondo.
Allora
i casi sono due: o davvero avete i migliori prodotti al mondo e non li sapete
vendere, segno evidente di coglionaggine, oppure il fatto di avere il meglio
che esista al mondo è pura mitologia, ed anche questo è segno di coglionaggine.
Io comprendo
che spesso per una necessità di autoconsolazione occorre mentire a sé stessi. E
credere davvero che la salsa fatta in casa sia migliore di quella prodotta
industrialmente, o che la qualità del nostro cibo ci assicura una vita lunga e
sana. Peccato che a Milano, città più inquinata d’Italia, la gente ha la più
alta speranza di vita del nostro paese. Ma i numeri, che sono gli unici a non
mentire, non vi appartengono. Vi piace sparare cazzate a vanvera, prive di ogni
riscontro e di ogni fondamento.
E intanto il mondo corre, senza curarsi di
voi e della vostra “paranzana” di cui, sia chiaro, non frega nulla a nessuno.
Mentre sperate in una valorizzazione dei vostri prodotti, che vi consenta di
ottenere redditi più alti, gli altri costruiscono alta tecnologia, robot,
farmaci innovativi, prodotti di lusso da vendere in tutto il mondo a decine di
milioni di nuovi ricchi. Continuate a piangervi addosso, della serie “chiagne e
fotte”, e non vi rendete conto di essere un residuo del passato che sopravvive
per inerzia, totalmente insignificanti e semplici spettatori di un mondo che
procede velocemente verso quel futuro che la vostra ignoranza vi impedisce di
scorgere.
LETTERA
AD UN GIOVANE DISOCCUPATO
Ora
voglio fare due chiacchiere con te, giovane disoccupato che non riesci a
trovare lavoro. È un vero peccato che un giovane, nel pieno delle proprie
energie fisiche ed intellettuali, non possa dare il suo contributo al benessere
generale. Si tratta, purtroppo, di un problema di difficilissima soluzione,
soprattutto per quelli come te che abitano in una provincia meridionale ad
economia prevalentemente agricola.
Perché
occorre essere onesti, e dire le cose come stanno. La campagna non offre che
occupazioni di basso livello, precarie e sottopagate. Tant’è che oramai la
manodopera agricola è composta in prevalenza da immigrati, che, fuggendo da
condizioni ben peggiori, trovano accettabile il lavoro in agricoltura. E non
credere alle fandonie che raccontano i politici per acchiappare voti, perché
per quanto si possano valorizzare i propri prodotti ed il proprio territorio,
non si riuscirà a creare tanto lavoro sufficiente ad occupare tutti.
Se il
lavoro agricolo è oramai appannaggio degli immigrati, e l’industria ed i
servizi avanzati sono assenti, gli unici sbocchi possibili riguardano l’impego
pubblico e l’emigrazione. Ma il pubblico non può, evidentemente, assorbire i
milioni di giovani disoccupati del sud che cercano uno stipendio. Ne può
assorbire una parte, che, con il passar del tempo, diventa sempre più piccola.
Devi
sapere, caro giovane, che il 50% del lavoro nella pubblica amministrazione
sparirà, per la semplice ragione che si tratta di stupidissime mansioni che un
semplice computer svolge meglio e più velocemente di qualunque impiegato. Si
tratta di tutti quei lavori di pura burocrazia, dove gli impiegati non fanno
altro che compilare, trasmettere e archiviare documenti. Si tratta dello stesso
destino che subiranno gli impiegati di banca, quelli, per intenderci, che
lavorano agli sportelli e che compiono operazioni stupide e ripetitive. Non
occorre un genio per eseguire un versamento su un conto corrente.
Non
resta, quindi, che l’emigrazione. Ma anche questa possibilità porta con sé dei
limiti ben precisi, salvo il caso in cui taluno voglia andare a svolgere lavori
da miserabili. È passato il tempo dell’emigrante analfabeta con la valigia di
cartone. Nessuno ha più bisogno di lui. Il giovane che si rassegna a cercare
fortuna altrove può sperare in un lavoro soddisfacente solo se davvero
qualificato. E qui casca l’asino.
Capisco che nessuno ama sentirsi dire la verità, soprattutto quando fa
vacillare l’impianto mentale su cui si basa la vita di una persona. Ma girare
la testa dall’altra parte non è di alcun aiuto. E la verità è che tu, molto
probabilmente, fai parte di quel 90% di diplomati e laureati che non sa fare
nulla. L’idea che basti un titolo per trovare occupazione è sorpassata da lungo
tempo, anche se troppi ancora credono in questa fesseria, con la complicità di
una classe politica che dovrebbe aprirvi gli occhi e non lo fa.
Avere
un titolo non dà garanzie di saper fare qualcosa, e soprattutto qualcosa che il
mercato del lavoro di oggi cerca. Ancora tutti a diplomarsi in ragioneria, al
magistrale, al liceo classico, schifando le scuole tecniche che, se frequentate
con passione, garantiscono davvero di trovare un lavoro qualificato. Un tecnico
in meccatronica, in termoidraulica o in elettromeccanica, se bravo, trova
lavoro facilmente, anche se, purtroppo, lontano dal proprio paese. Così come
trova lavoro un laureato in materie scientifiche, dalla chimica alla
matematica, dalla medicina all’ingegneria.
Ma di
un laureato in legge nessuno sa cosa farsene. In Italia esiste una quantità di
avvocati abnorme, e ciò nonostante, i giovani continuano ad iscriversi a questa
facoltà. Così come si iscrivono a psicologia, scienze della formazione,
giornalismo, scienze politiche, lingue. Tutte facoltà che garantiscono una
disoccupazione di lunga durata, perché si tratta di figure professionali di cui
nessuno ha bisogno.
Il mio
sospetto è che si è portati a scegliere la strada più semplice, perché forse
non tutti possono affrontare facoltà scientifiche. Ma allora è meglio non
prendere una inutile laurea, ed imparare un mestiere. Ma impararlo bene, essere
davvero bravi e preparati. Meglio un bravo parrucchiere che un mediocre
avvocato. Meglio un ottimo cuoco che un giornalista fallito. In fondo ha poca
importanza quel che fate, quanto il modo con cui lo fate. Qualunque cosa
uno faccia. può farla in modo innovativo,
creativo, professionale, ed ottenere grandi soddisfazioni economiche.
Sento
dire che per accedere a certe facoltà occorre superare i test d’ingresso,
difficilissimi. E lo sono davvero per coloro che hanno perso 5 anni a non fare
una benemerita mazza. Caro giovane, parliamoci chiaro: la gran parte dei
diplomati è di una ignoranza sconfinata. Se facessi loro 100 domande di cultura
generale difficilmente risponderebbero correttamente a 10 di esse. Ed è assurdo
che dopo 8 anni di studio della lingua inglese, non si è capaci di tradurre un
breve articolo di giornale.
Conosco
tanti giovani, e tra loro alcuni che hanno davvero studiato, sono
intraprendenti, ambiziosi, brillanti. Ebbene, nessuno di loro è disoccupato. Ed
allora è il caso che tu e i tuoi amici facciate un serio esame di coscienza. Il
tempo del lavoro per tutti è finito. Che piaccia o meno le disuguaglianze
aumenteranno, così come aumenterà la precarietà. L’unica arma per combattere in
questo mondo, e che ci può consentire di uscirne vincitori, è la conoscenza.
Perché
questo i politici non te lo hanno detto: il mondo si dividerà tra chi possiede
la conoscenza, e chi no. Da un lato ci sarà una minoranza che vivrà negli agi,
amministrando il potere, e dall’altra una maggioranza composta da un enorme
sottoproletariato a cui sarà garantita la semplice sussistenza. Ciò che prima
aveva un valore oggi diventa un onere, ad iniziare dai beni immobili. Un medico
brillante guadagnerà più di chi possiede 20 appartamenti, considerando anche
che la conoscenza uno la porta con sé, e nessuno la può rubare, distruggere,
tassare.
Non è
necessario, chiaramente, essere medici o ingegneri. Perché la conoscenza è
importante in qualunque ambito. Si può arricchire un medico come un
ristoratore, un grande avvocato come uno che piazza distributori automatici di
bevande.
Occorre
quindi fare, e fare meglio degli altri. Ma stare a piagnucolare, frequentando
le anticamere dei politici, non porta da nessuna parte. E mentre passano gli
anni, nella vana speranza di un “posto”, quelli più intelligenti cercano di
acquisire conoscenza, frequentando dei corsi seri, ed imparando cose nuove,
utili al mondo contemporaneo. E sarebbe anche importante stare meno tempo su
Faceboock e leggere qualche libro. Perché, a differenza di quel che credi, la
lettura attrezza il cervello di strumenti formidabili per affrontare il mondo.
La
gente, in fondo, si divide in due categorie. Una minoranza che impara ad usare
il cervello con razionalità, che si informa e guarda i numeri. Perché i numeri,
caro giovane, difficilmente mentono, a saperli leggere. Poi c’è la seconda
categoria, che abbraccia il 90% della popolazione, ed è quella che ragiona con
la pancia, ovvero con l’istinto. Non si informa e non guarda i numeri, perché è
inutile. Queste persone sanno già tutto, anche se le loro conoscenze provengono
dalle chiacchere da bar, e non ammettono di potersi sbagliare.
La
storia del mondo dimostra che in ogni epoca ed in ogni luogo c’è chi sta sopra
e chi sta sotto. Ora fai un piccolo esercizio: delle due categorie di cui ti ho
accennato, indovina chi sta sopra? E tu, onestamente, vuoi stare sopra o sotto?
Se
davvero non desideri divenire un anonimo ed insignificante sottoproletario,
vivere di stenti ed essere considerato una nullità, inizia a darti da fare, e
sgombera la tua mente dall’enorme massa di stupidaggini e luoghi comuni di cui
è piena. Solo la conoscenza separerà i pochi dai molti, ed è su di essa che
devi investire il tuo tempo e le tue energie.
IL
POLITICO
Don
Raffaele, noto politico locale, nonché instancabile benefattore, riceve i suoi
clienti nello studio al primo piano del palazzo di famiglia. Entra il primo
cliente, una madre disperata e supplicante: "Don Raffaè, voi dovete
sistemare mio figlio. Quello, il disgraziato, non ha né arte né parte. Dorme
fino a mezzogiorno e non ha nessuna intenzione di sistemarsi ed andarsene di
casa. Io e suo padre siamo stanchi. Per favore, dateci una mano!"
"Avete detto che non ha né arte né parte?" interrompe Don
Raffaele. "Vediamo un po', ecco, gli trovo un posto da bidello. Li non fa
un cazzo tutto il giorno, ma comunque prende uno stipendio, che è l'unica cosa
che conta. Uno stipendio sicuro, vita natural durante; malattia, assegni
familiari, prestiti agevolati, aspettative, distacchi sindacali. Tutto fuorché
la fatica signora mia" "Grazie Don Raffaè, ve ne saremo grati tutta
la via. Siete un santo." "L'importante” interrompe Don Raffaele “è
che ve ne ricorderete quando sarete nella cabina elettorale. Li, io non vi
vedo, ma Dio si"
Entra
il secondo cliente, Un uomo modesto e dall'aspetto supplicante:
"Buongiorno Don Raffaele. Voi sapete che io e la mia famiglia siamo e
resteremo sempre vostri servi devoti. Oggi, purtroppo, debbo chiedervi un
favore, un grande favore che a voi non costa nulla ma che può cambiare la vita
di un giovane sfortunato: mio figlio. "Oh Madonna del Carmine” interviene
preoccupato Don Raffaele “e qual è questa sfortuna che ha colpito quel bravo
giovine di vostro figlio"?
"Vedete, Don Raffaè, mio figlio non ha
voglia di fare un cazzo. Gli ho trovato tanti lavori, ma ogni volta ha durato
pochi giorni. Un lavoro era sporco, un altro era faticoso, un altro ancora si
lavorava di domenica, e poi il padrone era scorbutico, oppure i clienti non lo
rispettavano. Ogni volta un pretesto per farsi licenziare. Don Raffaè, siamo
disperati." "E ditemi" intervenne Don Raffaele. "Vostro
figlio ha qualche titolo?" "Veramente ha un diploma di
ragioniere" "Beh, almeno ha avuto la buona volontà di studiare:"
"Macchè, quello, mio figlio, non ha combinato niente neanche a scuola. Il
diploma glielo abbiamo comprato. Conoscete quelle scuole dove paghi e ti danno
il diploma? Seimila euro ci è costato, seimila euro che avevamo messo da parte
con grandi sacrifici per comprare un posto al campo santo. Quello, Don Raffaè,
non si può mai sapere. E allora è meglio che uno sia sempre preparato, siete
d'accordo?"
Don
Raffaele, dopo essersi grattato con discrezione dove tutti immaginiamo, inizia
a pensare: "Ho trovato. Vostro figlio lo mandiamo in Finanza. È' la
carriera ideale per i fancazzisti cronici che si credono di possedere qualità
di cui sono del tutto privi. E mi sembra che vostro figlio, di qualità, non ne
ha alcuna." "Don Raffaè, vi debbono fare santo subito. Non capisco
come possano in tanti parlare male di voi, che non fate che del bene.
Permettetevi di baciarvi le mani." "Comodo, non è il caso.
L'importante è che ve ne ricordiate al momento giusto: capite a me:"
Entra
il terzo cliente, un uomo dall'aspetto distinto, di buona famiglia. "Don
Raffaele, vi porgo i miei ossequi. Mi spiace importunarvi, sapendo che siete
sempre tanto impegnato a fare il bene degli altri. Se sono qui è perché anche
io, questa volta, ho bisogno della vostra sacra intercessione."
"Professore carissimo, ditemi pure." Disse Don Raffaele "Conosco
da sempre voi e la vostra famiglia, e so che siete sempre stati dalla mia parte
e mi avete sempre sostenuto nei momenti importanti. Ditemi pure."
"Vedete, caro onorevole, io ho un figlio
che mi sta dando tante preoccupazioni. Si è laureato in legge per il rotto
della cuffia. Ci ha messo 12 anni, capite? Dodici anni. Benché sia mio figlio
debbo riconoscere che era ed è rimasto un caprone, nonostante la laurea. Ma la
cosa che davvero mi preoccupa è che si accompagna a persone poco raccomandabili.
Gente avvezza alle piccole e grandi truffe, agli intrallazzi, al guadagno
facile, sempre al limite della legalità. Lui, mio figlio, sostiene che solo i
fessi lavorino, e che esistono tanti sistemi per fare soldi, alla faccia degli
ingenui." "Beh!" Interviene l'onorevole "Una bella testa
calda" "Ho paura, onorevole" Riprende il professore. "Ho
paura che prima o poi finirà in galera, portando disonore a tutta la
famiglia"
"Non si preoccupi, professore. Vediamo un po': ha una laurea, è un
caprone e crede di essere un genio, è avvezzo all'intrigo, ha poche remore
morali. Credo che l'ideale sarebbe un bel posto come dirigente nella pubblica
amministrazione. Vada pure tranquillo, professore, ci penso io."
"Sapevo di poter contare sulla vostra benevolenza, esimio onorevole. In
qualunque occasione disponete pure di me e di tutta la mia famiglia."
Entra
il quarto cliente. "Buon giorno onorevole. Mi hanno parlato a lungo della
sua disponibilità nel risolvere i problemi della gente. Sono qui per chiedervi di
aiutarmi." "Ditemi pure. Di cosa vi occupate e cosa vi occorre?"
"Sono un fabbro, e, scusate la modestia, sono anche bravo. Lavoro
da quando avevo quattordici anni, e guadagno abbastanza. Il
fatto è che sono stanco. Gli anni passano e vorrei un lavoro meno faticoso. I
miei figli sono autonomi, e mi basterebbe un semplice stipendio per vivere
serenamente.
"Vedete caro amico" risponde l'onorevole "Voi non vi
rendete conto di quanto siete fortunato. Sapete fare
qualcosa, lo sapete fare bene e siete
anche abituato a lavorare sodo. Il vostro è un atteggiamento egoistico."
"Egoistico?" "Si, egoistico. Se io vi dessi un posto, sarebbe un
posto in meno a disposizione di qualcun altro, magari un fannullone
nullafacente e sfaticato. Mentre voi siete capace di guadagnarsi la pagnotta,
questo mondo è pieno di incapaci ai quali, noi politici, abbiamo il dovere di
provvedere. Se non dessimo loro un posto, come farebbero a sopravvivere? Pensateci,
e mettetevi la mano sulla coscienza." "Onorevole, la mano sulla
coscienza se la dovreste mettere voi. Comunque non conti sul mio voto e su
quello della mia famiglia"
"Caro mio, lei non si rende conto che nella democrazia contano i
numeri. La quantità e non la qualità. I nullafacenti, gli ignoranti, gli
sfaticati, gli incapaci, sono tanti, ma proprio tanti. È il loro voto che fa
vincere le elezioni, e non quello di un imprenditore, o di un intellettuale o
di un onesto lavoratore. Cercate quindi di capire, e mettetevi
l'anima in pace."
Stampato nel mese di
Ottobre 2017
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